testo integrale con note e bibliografia
1. Una premessa sulla questione ordinamentale.
Come è noto, le relazioni sindacali sono state considerate e descritte dalla dottrina italiana maggioritaria come fondative di un ordinamento c.d. intersindacale, autonomo anche se in dialogo con l’ordinamento generale . Questa teoria non è unanimemente accolta: infatti, v’è chi osserva che, in fin dei conti, le relazioni sindacali italiane vivono, in Italia almeno dall’entrata in vigore dello statuto dei lavoratori nel 1970, di un riconoscimento statale essenziale per il suo ordinato svolgimento . Gli studiosi non sembrano invece nutrire dubbi riguardo all’esistenza di un vero e proprio ordinamento sportivo, in virtù dei più marcati spazi di autonomia dovuti, in primis, alla promanazione internazionale ben più sviluppata di quella delle relazioni sindacali nonché alle sue origini pre-repubblicane .
Il tema dell’autonomia collettiva nel settore sportivo interseca entrambe queste prospettive ordinamentali e si colloca nel crocevia fra tre (attuali o potenziali) ordinamenti diversi: quello statale, quello sportivo e quello intersindacale. Anche se non si approfondirà la questione inter-ordinamentale, va detto che questa influenza necessariamente l’analisi delle più concrete questioni giuridiche relative al diritto sindacale sportivo; è quindi, in qualche modo, un convitato di pietra che accompagnerà l’analisi fino alle conclusioni .
Analizzando la letteratura sul tema del lavoro sportivo si può constatare che il tema delle relazioni sindacali e dell’autonomia collettiva in ambito sportivo è molto meno battuto di quello dei rapporti individuali di lavoro sportivo . Di primo acchito, si potrebbe ritenere che la ragione di ciò risieda nel fatto che sono già pochi i giuslavoristi che si occupano dei rapporti individuali di lavoro. Ma, più probabilmente la ragione risiede nel fatto che se una dinamica ordinamentale sportiva si è sviluppata subito molto chiaramente, la dinamica collettiva/sindacale propriamente detta, invece, non si è diffusa con la medesima forza prorompente; probabilmente, a ben guardare, perché le energie degli attori coinvolti nella creazione dell’ordinamento sportivo, spese per differenziarsi dagli ordinamenti statali, ha finito per ostacolare il concepimento di un ulteriore sistema di relazioni intersindacali autonomo rispetto all’ordinamento sportivo (oltre che con quello statale).
Il tema può essere sviscerato sotto tanti punti di vista: 1) quello delle libertà sindacali degli sportivi e delle loro associazioni, 2) quello dell’organizzazione degli attori e delle relazioni sindacali, 3) quello della funzione e regolazione della contrattazione collettiva, 4) quello dell’azione collettiva.
Su ogni tema si potrebbero fare tante riflessioni, in questa sede vengono sviluppati alcuni profili più significativi, in particolare alla luce della riforma del lavoro sportivo realizzata nel 2021-2022, per verificare se la nuova disciplina stia agevolando o meno lo sviluppo di relazioni sindacali più mature.
2. Il riconoscimento e la formazione degli attori sindacali nel settore sportivo.
È opportuno tenere presente, in primo luogo, le libertà costituzionali fondamentali, quali innanzitutto la libertà o meno di formare sindacati e di parteciparvi (art. 39 Cost.). Come è noto, tutti sono titolari potenziali delle libertà sindacali essenziali riconosciute dalla Costituzione con norma immediatamente precettiva (l’art. 39 Cost.). Tuttavia, questa titolarità diventa effettiva a condizione che le persone acquisiscano lo status di lavoratore (subordinato o meno). Sembra una considerazione scontata ma non lo è più guardando al lavoro sportivo. La l. 23 marzo 1981 n. 91, infatti, considerava lavoratori solo gli sportivi professionisti, ignorando i dilettanti che, però, come la dottrina ha dimostrato, potevano essere di fatto (e quindi anche di diritto) considerati dei lavoratori dello sport . Già guardando a questo primo profilo, si osservano i potenziali conflitti interordinamentali. Peraltro, la stessa legge del 1981 lasciava alle federazioni il potere discrezionale di definire il confine fra professionismo e dilettantismo (il CONI offre alle federazioni sportive indicazioni di principio vaghe sul punto ) e quindi un potere di influenza enorme sull’ambito di copertura delle garanzie sindacali fondamentali .
Riconoscendo lo status ordinario di lavoratore subordinato allo sportivo professionista, la l. 23 marzo 1981 n. 91 gli riconosceva inevitabilmente non solo le libertà di fonte costituzionale, ma anche le libertà sindacali di rango ordinario esercitabili sul luogo di lavoro ai sensi, innanzitutto, dello statuto dei lavoratori. Il legislatore, infatti, esplicitava solo una serie, scontata, di eccezioni all’applicazione della legge del 1970 (e di altre disposizioni relative ai rapporti di lavoro) , ma non derogava affatto alla disciplina fondamentale del titolo III sulla rappresentanza sindacale aziendale. Come detto, fino alla riforma del 2021, la dottrina si è chiesta se fosse possibile considerare lavoratore (subordinato o autonomo) anche lo sportivo non professionista (il c.d. professionista di fatto), al fine di estendere le tutele lavoristiche nella loro dimensione individuale . La risposta positiva al dubbio, invero, si può estendere anche a proposito del riconoscimento dei diritti e libertà che accedono alla dimensione collettiva dei rapporti fra sportivi non professionisti e federazioni. Diversi indizi provenienti proprio dalle fonti dell’ordinamento sportivo confermano infatti che esiste uno riconoscimento giuridico degli attori collettivi in ambito sportivo, anche se a questo riconoscimento non segue spesso una adeguata agibilità sindacale.
Gli statuti di diverse federazioni sportive non professionistiche o non esclusivamente professionistiche, infatti, prevedevano già prima della riforma del 2021 la facoltà della federazione di riconoscere le associazioni di atleti dilettanti, autorizzandone le funzioni essenziali. Un esempio è dato dall’art. 65 comma 7 statuto FIPAV (Federazione italiana pallavolo), che autorizza la Federazione a riconoscere associazioni nazionali di tesserati, pur essendo quella dei pallavolisti una federazione che riunisce sportivi solo non professionisti . Nonostante ciò, l’Associazione Italiana Pallavolisti (AIP) è stata formalmente riconosciuta dalla Federazione di riferimento solo nel dicembre del 2023, dopo un serrato ed incandescente dialogo proprio a proposito della preliminare esigenza di riconoscimento quali interlocutori sindacali . Viceversa, l’Associazione Procuratori Volleyball non è ancora stata riconosciuta.
Altri esempi pre-riforma 2021 sono offerti dallo statuto dell’AIC (Associazione Italiana Calciatori) che prevede che possono far parte dell’associazione calciatori/trici, professionisti e non professionisti, alludendo proprio agli sportivi formalmente dilettanti ma che, in qualche misura, vivono del loro lavoro e hanno interesse ad unirsi in sindacato; e dallo statuto dei Giocatori Italiani Basket Associati (GIBA), che prevede diverse quote di iscrizione distinguendo professionisti e dilettanti (art. 7).
Possiamo affermare, quindi, che l’ordinamento sportivo riconosceva già prima del 2021, almeno sulla carta e seppur timidamente, le potenziali libertà associative e sindacali degli sportivi non professionisti, a prescindere dal fatto che lo statuto individuale di lavoratore subordinato dei dilettanti fosse ancora oggetto di conflitti interordinamentali.
La conclusione è confermata guardando anche all’altra parte delle relazioni collettive. Come è noto, le libertà sindacali di rilievo costituzionale riguardano anche la parte datoriale. Da questo punto di vista, è interessante segnalare il 10° principio del documento CONI sui principi fondamentali degli statuti delle federazioni sportive approvato nel 2018 . Esso è dedicato, senza alcuna “timidezza”, alla tutela degli interessi collettivi delle società e delle associazioni sportive. Tale principio, in particolare, autorizza le federazioni a riconoscere le leghe, ammettendo espressamente sia leghe di società professionistiche che dilettantistiche, ed imponendone la separazione. Non è detto che l’interesse collettivo cui si riferisce il CONI sia quello inerente alla dialettica intersindacale (v’è un interesse collettivo, strettamente “sportivo”, ad esempio all’autonoma organizzazione dei campionati), ma la formulazione del principio non ci impedisce di ricomprendervi anche quell’interesse datoriale alla regolazione dei rapporti di lavoro, che entra in dialogo (più o meno conflittuale) con quello degli sportivi tesserati professionisti o dilettanti. Non va trascurato però che, sotto questo profilo, l’ordinamento sportivo sacrifica la libertà negativa di associarsi, perché di regola le società/associazioni sportive sono obbligate a riunirsi in leghe, in ragione delle “indivisibili” funzioni organizzative svolte in materia di campionati sportivi.
La gravità della situazione in cui si sono trovati i lavoratori sportivi non professionisti, trattati come dei “clandestini” del diritto del lavoro almeno fino all’entrata in vigore della riforma del 2021 (ovvero fino a luglio 2023), ha messo in ombra il problema del riconoscimento delle libertà sindacali anche in favore dei lavoratori autonomi dello sport. Su di essi le fonti dicono poco o nulla, sia a livello statale che di ordinamento sportivo. Ebbene, il silenzio induce a ritenere che anche questi godano almeno delle garanzie costituzionali di libertà sindacale, non foss’altro che in virtù delle fonti di diritto internazionale inglobate nel nostro ordinamento ai sensi dell’art. 117 Cost., le quali riconoscono i diritti sindacali essenziali a tutti i lavoratori, senza alcuna distinzione. In verità, non ci sono fonti di diritto internazionale specificamente dedicate ai lavoratori sportivi, ma un issues paper dell’OIL del 2019, che interpreta le fonti generali – ovvero le Convenzioni OIL nn. 87 e 89 – fa chiaramente riferimento ai lavoratori sportivi senza distinguere fra subordinati ed autonomi, e ricomprendendo sia gli atleti professionisti, sia gli atleti, anche dilettanti, che ottengono un guadagno dalla loro attività sportiva .
La riforma del 2021 regola la dimensione lavoristica dei rapporti fra società/associazioni sportive e sportivi professionisti o dilettanti, subordinati o autonomi, e riconosce anche la loro dimensione sindacale, accogliendo le pressioni esercitate dalla realtà e dalle fonti internazionali. Il d.lgs. 36/2021, infatti, prende atto dell’effettiva natura lavorativa subordinata o autonoma dell’attività di molti sportivi dilettanti (cfr. art. 25), e riconosce di conseguenza le funzioni collettive e l’esercizio delle libertà sindacali costituzionali. Infatti, la natura sindacale delle associazioni di sportivi (rectius di atleti) è chiaramente proclamata nelle definizioni dell’art. 2 d.lgs. 36/2021, ove si fa coraggiosamente riferimento agli interessi collettivi degli atleti, delle atlete e di tecnici (cfr. lett. c) e d)).
Inoltre, le libertà sindacali nel luogo di lavoro riconosciute dalle leggi ordinarie sono implicitamente riconosciute a tutti i lavoratori sportivi indipendentemente dal fatto di appartenere al settore professionistico, per il fatto in sé del riconoscimento della natura subordinata del rapporto (all’art. 26), da presumere quando non ricorrono i presupposti del lavoro autonomo o del co.co.co. (ai sensi dell’art. 27 d.lgs. 36/2021 per i professionisti e dell’art. 28 d.lgs. 36/2021 per i dilettanti). Ciò dovrebbe rafforzare (e sta rafforzando almeno per certi sport) la funzione sindacale delle associazioni sportive dei dilettanti già esistenti e la sindacalizzazione dei dilettanti che vivono di lavoro sportivo; favorendo anche qualche modifica statutaria a livello di federazione e di statuto delle associazioni, perché la prerogativa della difesa di interessi collettivi dovrebbe essere esplicitamente garantita, ove è solo cautamente accennata.
A quest’ultimo riguardo rileva il tema della libertà sindacale intesa come libera determinazione della struttura e dell’organizzazione interna del sindacato sportivo. Le Federazioni sportive, infatti, hanno il potere di riconoscere le associazioni datoriali e degli atleti controllandone l’attività, entro certi limiti fissati dal CONI – come l’ordinamento interno democratico – e dagli statuti delle federazioni, in particolare in materia di determinazione di funzioni e competenze e anche di nomina di commissari in caso di violazioni. Si tratta di interferenze organizzative problematiche dal punto di vista costituzionale/statale. L’ordinamento sportivo, infatti, sembra aver in questo modo abbozzato un meccanismo autonomo di riconoscimento e agibilità sindacale, analogo nella funzione a quello, mai attuato, dell’art. 39 commi 2 e 3 Cost. A prescindere da questo dato tecnico, volendo valutare la coerenza di questo sistema di riconoscimento con i valori e principi su cui si fondano le disposizioni lavoristiche della Costituzione, nonché con le regole di funzionamento che presidiano l’ordinamento intersindacale, emerge subito un problema del tutto peculiare e che pare insuperabile. Le federazioni sportive, infatti, sono controllate dalle società e associazioni sportive (a loro volta riunite in leghe riconosciute dalle federazioni) e, peraltro solo dal 1999, è prevista solo una presenza minoritaria di rappresentanti (non sindacali) di atleti e tecnici. Le funzioni di riconoscimento e controllo delle federazioni sulle associazioni (anche sindacali) di atleti/e, dunque, rappresentano un evidente rischio per l’autonomia e l’indipendenza delle organizzazioni di natura sindacale. Da questo punto di vista, il controllo sulle federazioni svolto dal CONI – che pure è un ente pubblico – non sembra allo stato essere un elemento sufficiente a garantire la terzietà e l’equidistanza delle federazioni rispetto a questo tema, visto che anche il CONI è, a sua volta, influenzato maggiormente dagli interessi delle federazioni e delle loro società/associazioni sportive .
Il discorso potrebbe proseguire verificando il grado di riconoscimento di altre libertà e diritti sindacali, all’interno dei luoghi di lavoro sportivi. Abbiamo detto che l’ordinamento statale conferma l’applicazione dello statuto dei lavoratori, compresa la parte III, ma vi sono poche tracce dell’effettivo esercizio di questi diritti nel luogo di lavoro. A quanto consta, solo un contratto collettivo dà seguito a questi riconoscimenti di legge, specificando le modalità di esercizio del diritto di assemblea. È il caso dell’art. 5 dell’accordo collettivo dei giocatori di basket professionisti.
La legge di riforma del 2021-2022 nulla cambia sul punto, ma forse avrebbe potuto prevedere qualche regola speciale per promuovere un effettivo esercizio di diritti sindacali nel luogo di lavoro. La questione non è affatto naif, o solamente teorica. Si consideri, ad esempio, che la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) ha deciso di ritardare, durante la crisi dovuta alla pandemia da Covid, i controlli sulle retribuzioni non pagate, ammettendo di fatto una proroga dei versamenti sulla base di accordi individuali stipulati in sede assistita, invece che tramite un contratto collettivo . Sono temi tipicamente oggetto di confronto e scontro fra lavoratori e datori di lavoro, anche a livello “aziendale”, che dimostrano l’importanza di formalizzare un quadro normativo di agibilità sindacale sul luogo di lavoro.
3. Le relazioni sindacali e la contrattazione collettiva nel settore sportivo.
Il tema delle relazioni sindacali in ambito sportivo è di particolare delicatezza perché alla questione della libertà di (e dei limiti alla) organizzazione sindacale dei lavoratori e delle società sportive si affianca quella, meno familiare ai giuslavoristi, del tesseramento degli atleti alle società sportive, della affiliazione delle società sportive datrici alle federazioni, del riconoscimento federale delle leghe e delle associazioni di sportivi. Tutti legami associativi cui i soggetti coinvolti non possono sottrarsi e che rappresentano lo strumento giuridico che fa da formante dell’ordinamento sportivo. Tali rapporti associativi, almeno fino alla riforma del 2021, hanno indebolito il dispiegarsi libero delle relazioni sindacali, competendo con i legami associativi sindacali, come dimostra sia il limitato pluralismo sindacale in ambito sportivo, sia il basso tasso di sindacalizzazione.
L’intreccio problematico fra rapporti associativi e sindacali ha influenzato anche la contrattazione collettiva relativa ai professionisti, dando vita ad una singolare contrattazione trilaterale, in cui interviene direttamente anche una figura terza a presidio del corretto svolgimento delle relazioni negoziali . Di regola, infatti, i contratti collettivi per i lavoratori subordinati sportivi professionisti sono stipulati dalla associazione degli atleti e dalla lega oltre che dalla federazione di appartenenza di entrambe le parti. Si dice che ciò accade perché la federazione sportiva fa gli interessi generali del sistema sportivo, nell’ambito del prescritto controllo operato dal CONI (che, come detto, è un ente pubblico) , ma si ricordi che la federazione ha comunque natura privata e che, come si è anticipato, il suo orientamento è naturalmente influenzato dalle società sportive che hanno la maggioranza dei voti negli organi statutari. Il rapporto/conflitto fra natura privata e funzioni di interesse generale delle federazioni sportive è oggetto di un dibattito datato su cui è intervenuta, da ultimo, una decisione della Corte di Giustizia UE. C. giust. UE del 3 febbraio 2021, C-155/2019 e C-156/2019 , infatti, per determinare l’applicazione o meno della disciplina sui contratti pubblici alla FIGC, ha lasciato al giudice di merito il compito di accertare se in concreto la federazione sportiva fosse veramente soggetta ad un controllo determinante da parte del CONI, oppure se fossero le federazioni sportive, entità di diritto privato “controllate” dalle leghe, a svolgere un ruolo di influenza sul CONI. Ebbene, Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2021 n. 5348, a valle delle indicazioni della CGUE, ha stabilito che il CONI non interferisce in modo determinante sulle federazioni, al punto da potere qualificare queste ultime come organismi pubblici. Ciò conferma che non è affatto detto che l’intervento diretto della Federazione nella contrattazione collettiva giochi un ruolo di garanzia e bilanciamento.
Sotto il profilo strettamente giuridico, la partecipazione e la sottoscrizione dell’accordo collettivo da parte della federazione sportiva sembra essere considerata necessaria dai più, o comunque è data per scontata, in virtù di quanto previsto dal legislatore, sia nella legge del 1981 che in quella del 2021. Sembra opportuno sottolineare, però, che la lettera della legge abrogata (cfr. l’art. 4 l. 91/1981) e quella ora in vigore (cfr. art. 27 d.lgs. 36/2021) possono essere letti anche nel senso di ammettere una contrattazione collettiva puramente bilaterale. Infatti, a stretto rigore, l’intervento della federazione sportiva è necessario solo ai fini della predisposizione del contratto-tipo, i cui contenuti devono essere conformi al contratto collettivo, ma non ai fini del perfezionamento del contratto collettivo stesso. D avviso di chi scrive, quindi, le trattative negoziali possono (o addirittura debbono) svolgersi sotto gli auspici della federazione sportiva che presidia il singolo settore, ma non per questo l’accordo sindacale necessita per legge del consenso e della sottoscrizione della federazione. Quest’ultima potrà semmai influenzare le trattative e i suoi esiti in virtù del suo compito istituzionale di partecipare alla formazione, a valle, del contratto tipo. Sta evidentemente agli attori sindacali orientare il sistema in questo senso, se ritenuto opportuno . La riforma del 2021 e la conseguente apertura di nuovi tavoli negoziali per i lavoratori sportivi non professionisti appaiono l’occasione migliore perché le parti collettive si riprendano spazi a disposizione attualmente troppo presidiati dalle federazioni .
Per il resto, sotto il profilo della contrattazione collettiva dei professionisti, la riforma innova poco, ma chiarisce qualcosa. Infatti, si abbandona il vecchio linguaggio istituzionalistico/pubblicistico – nella legge del 1981 si parlava di “rappresentanti delle categorie interessate” – e si accoglie un linguaggio veramente “giussindacale”. Infatti, in più punti e soprattutto a proposito del contratto collettivo per i professionisti, si parla di “organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, sul piano nazionale, delle categorie di lavoratori sportivi” , adoperando categorie ben note ai giuslavoristi, anche se molto problematiche, e aprendo implicitamente peraltro ad un potenziale pluralismo. Si consideri, a questo riguardo, che il legislatore, anche in questo caso, ha recepito innovazioni che si sono già sperimentate in ambito sportivo. La FIGC, infatti, per sciogliere il nodo delle rappresentanze (non sindacali) degli atleti, autorizzate a partecipare agli organi federali (le c.d. componenti tecniche) fa riferimento alle associazioni comparativamente più rappresentative per numero di iscritti e articolazioni territoriali.
La novità più dirompente offerta dalla riforma, evidentemente, riguarda la sostanziale “liberalizzazione” della contrattazione collettiva nell’ambito del lavoro sportivo dilettantistico non professionistico. La riforma del 2021 (come la legge del 1981), infatti, riconosce una funzione necessaria e istituzionale solo alla contrattazione collettiva per gli sportivi professionisti (prevedendone espressamente l’inderogabilità e l’efficacia erga omnes), ma rimane silente riguardo alla contrattazione collettiva per i c.d. dilettanti. Tale silenzio, però, assume un significato nuovo nel sistema attuale. Prima della riforma, infatti, il silenzio del legislatore si spiegava con l’ipocrita assunto per cui, fuori dal professionismo, non vi dovevano essere rapporti lavoristici, e, di conseguenza, non si potevano esercitare libertà sindacali o negoziali. Viceversa, il riconoscimento della natura lavoristica dell’attività sportiva dilettantistica operato dalla riforma del 2021 trasforma quel silenzio in un riconoscimento anche delle liberte sindacali e negoziali. Infatti, ammesso lo status di lavoratore, e in assenza di deroghe espresse alla disciplina di diritto sindacale innanzitutto costituzionale, la contrattazione collettiva per gli sportivi non professionisti si deve considerare libera. Anzi, più libera di quella dei professionisti, perché in questo caso l’ordinamento statale non impone l’intervento diretto o indiretto della federazione sportiva, né altri limiti specifici che non siano quelli fissati dall’ordinamento sportivo. L’esito di questa innovazione è ora rappresentato dall’accordo collettivo nazionale per il calcio a 11 dilettantistico, sottoscritto da FIGC, Lega Nazionale Dilettanti e Associazione Italiana Calciatori del 28 settembre 2023. Tale accordo, tuttavia, regola solo i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa in ragione della presunzione (iuris tantum) circa la natura non subordinata degli sportivi dilettanti ex art. 27 d.lgs. 36/2021, coerentemente con l’intenzione degli attori dell’ordinamento sindacale di rappresentare il lavoro subordinato nell’area del dilettantismo come una eccezione se non una patologia.
Infine, nel nuovo sistema il potere delle federazioni sportive di segnare il confine fra settore sportivo professionistico e dilettantistico rimane intatto, ma avrà effetti normativi diversi, dal punto di vista lavoristico. Non più quello di stabilire chi accede all’universo delle tutele lavoristiche e delle libertà sindacali – visto che esse spettano indifferentemente a professionisti e dilettanti – ma quello di stabilire chi beneficia della contrattazione collettiva “protetta” (cioè inderogabile, efficace erga omnes, ma controllata dalla federazione) – cioè i professionisti – e chi accede ad un sistema di contrattazione collettivo libero, la cui forza ed effettività dipenderà dagli attori in campo e dall’atteggiamento dell’ordinamento sportivo nel suo complesso – cioè i dilettanti. Si tratta di un potere con effetti meno dirompenti di prima, ma ancora molto importante. Per questo è condivisibile la scelta del legislatore di prevedere l’eventuale intervento diretto dell’ordinamento statale (tramite la Presidenza del Consiglio dei Ministri), nel caso di mancata indicazione di quelle direttive e criteri che il CONI deve trasmettere alle federazioni perché procedano alla distinzione fra attività professionistiche e dilettantistiche (art. 38) .
In definitiva, la riforma ha lanciato alcuni nuovi ponti verso l’ordinamento sportivo, ha chiaramente aperto degli spazi per le libertà sindacali, le relazioni sindacali e la contrattazione collettiva, ma non ha imposto regole e prerogative nuove su quest’ultimo fronte – a differenza di quanto ha fatto sul fronte dei rapporti individuali. Coerentemente con la storia delle relazioni industriali italiane, spetta allora agli attori sindacali operanti nell’ambito dell’ordinamento sportivo il compito di esercitare e rafforzare le libertà sindacali potenziali, in modo da inverare con la forza dei fatti un regime di relazioni sindacali forti, soprattutto nell’interesse degli sportivi dilettanti, cui sono state anche formalmente aperte le porte del diritto del lavoro e delle sue protezioni.