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L’importanza del ruolo della donna nel mondo del lavoro sembra un fatto ormai pacificamente riconosciuto.
Numerosi sono invero gli studi che dimostrano come il ruolo femminile, sia in ambito lavorativo, sia in ambito economico, finanziario e sociale, abbia un impatto significativo sullo sviluppo e sulla crescita di un Paese.
In Italia l’impianto normativo esistente sembra garantire una sostanziale parità giuridica per quanto riguarda le regole di accesso al lavoro unitamente alle regole di svolgimento dello stesso e le novelle si muovono da tempo in un’ottica di progressiva eliminazione delle discriminazioni fondate sul genere e di adozione di sempre maggiori tutele.
A partire dalla uguaglianza retributiva stabilita dai CCNL di settore (oltre che universalmente tutelata dagli artt. 2099 c.c. e 36 Cost.) e di trattamento normativo, le norme di diritto positivo vigenti in Italia appaiono quindi orientate verso l’obiettivo dell’abbattimento delle diseguaglianze.
Le norme, da sole, non sono tuttavia sufficienti a garantire una concreta ed effettiva situazione di pari opportunità e di pari trattamento.
Da lungo tempo si combatte infatti contro le disparità tuttora riscontrabili nella pratica e contro il fenomeno della scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Disparità sovente riscontrabili in quei contesti ove, a parità di tutele normative, permangono notevoli differenze tra uomini e donne a livello di prospettive di carriera, di qualificazione professionale, di formazione imprenditoriale, di parità di retribuzione.
Tali disparità consentono, purtroppo, di affermare che il cammino sinora percorso è stato contrassegnato da numerosi successi, ma che la strada da percorrere è ancora lunga.
Occorre quindi adottare ulteriori, nuovi e diversi strumenti per superare, nei fatti, effettive disuguaglianze.
Tra le questioni su cui intervenire, si evidenziano, inoltre, la compartimentazione per genere del mercato occupazionale e la pari opportunità di accesso ai ruoli rappresentativi e apicali in favore delle donne.
Sembra potersi affermare che, all’origine di tale compartimentazione, vi siano anzitutto stereotipi culturali, purtroppo ben radicati, che incidono tuttora sull’atteggiamento adottato nei confronti del lavoro femminile.
Stereotipi che riducono, senza dubbio, le potenzialità del sistema economico con conseguente sottoutilizzo del lavoro femminile in termini, sia quantitativi, sia qualitativi.
La disuguaglianza basata sul genere è, d’altro canto, un fenomeno trasversale che, seppur in maniera diversa e con forte dipendenza da elementi di natura storica, culturale e religiosa, è riscontrabile nell’intera dimensione sociale.
È quindi fuor di dubbio che un incessante “lavoro culturale” si collochi alla base di un indispensabile cambiamento per depotenziare e combattere questo modo di pensare.
In questa direzione occorre proseguire nelle azioni di sensibilizzazione.
E ciò a partire dalla scuola, incoraggiando sempre più donne ad intraprendere studi in materie scientifiche e/o in ambiti tradizionalmente appannaggio dell’altro genere.
Si potrebbe poi ripensare a come rafforzare il sostegno alle aziende che promuovono la leadership femminile attraverso meccanismi premiali che prevedano e/o potenzino eventuali benefici, riconoscimenti, incentivi fiscali dedicati, ecc. ed utilizzare ogni altro mezzo che possa ritenersi idoneo a promuovere una “cultura” del lavoro e dell’impresa più consapevole, responsabile e sensibile alle tematiche di genere.
Ulteriore passaggio non più differibile sembra poi quello di riconsiderare esperienze e pratiche organizzative che pongano la “conciliazione vita-lavoro” al centro del più ampio dibattito sulle politiche del lavoro.
Conciliazione da ritenersi ormai elemento cruciale, decisivo nello sviluppo e nella crescita del lavoro femminile e non argomento da relegare ai margini della discussione quale semplice corollario.
A fronte delle trasformazioni e dei cambiamenti avvenuti e in corso di svolgimento nel mondo del lavoro, anche dovuti all’innovazione tecnologica, non si può poi più prescindere da una riflessione relativa ai tempi, luoghi e modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.
In questa riflessione, conciliazione e flessibilità meritano di essere percepite come ambito di condivisione tra membri della stessa comunità, indipendentemente dalle differenze di genere.
Molte sperimentazioni adottate nel recente passato sull’argomento si sono dimostrate positive e meritevoli di maggior diffusione.
Si pensi, ad es., alla sperimentazione relativa allo “smart working” che il Comune di Milano ha progressivamente esteso ai propri dipendenti e che, forte dei positivi riscontri, ha contribuito a promuovere ed ampliare, favorendo l’adesione a tale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro da parte di un nutrito numero di aziende, molte delle quali anche di piccole dimensioni.
Tale modalità di svolgimento della prestazione non può certamente trovare applicazione in qualsiasi ambito lavorativo, ma senza dubbio in numerose situazioni e settori ha costituito e costituisce un’opportunità di significativo rilievo da cui trarre benefici non soltanto in termini di “conciliazione”, ma anche in termini di cambiamento dell’ottica con cui si è sempre guardato alla prestazione lavorativa.
Recentemente l’Osservatorio del Politecnico di Milano ha evidenziato, proprio in relazione allo “smart working”, un significativo aumento della produttività, una progressiva riduzione dell’assenteismo, una soddisfacente riduzione dei costi di gestione degli spazi fisici, oltre a minori, ma pur sempre apprezzabili benefici in termini di risparmio economico e di tempo, ciò che ha contribuito a migliorare la qualità della vita per lavoratrici e lavoratori.
Anche la promozione di modelli di welfare aziendale, che garantiscano in particolare servizi di cura alle persone e all’infanzia, può essere un importante segnale di maturazione culturale e segnare la differenza con le rigide impostazioni tradizionali.
Alcune imprese di grandi dimensioni hanno da tempo inaugurato queste nuove forme di tutela del benessere lavorativo e familiare delle lavoratrici e dei lavoratori, superando il concetto classico di retribuzione.
Si ritiene però sia giunto il momento di accelerare nella sperimentazione di soluzioni innovative, sia in ambito pubblico, sia in ambito privato, per aprire la strada a questo tipo di possibilità anche in contesti e dimensioni aziendali medio piccole.
Sul punto sono invero possibili esperienze di gruppo, attraverso contenitori efficaci non solo per creare sinergie virtuose, ma anche per facilitare donne e uomini occupati in realtà imprenditoriali di ridotte dimensioni nella gestione del proprio tempo di vita e di lavoro.
Per le microrealtà imprenditoriali, del lavoro autonomo e delle professioni, soluzioni aggregative potrebbero, inoltre, offrire il necessario supporto per accedere a prestazioni e servizi che vadano oltre la componente meramente economica della retribuzione e del compenso e possano migliorare, sia la vita lavorativa, sia la vita privata in numerosi ambiti.
Riguardo alle categorie meno tutelate, si osserva poi che il rischio di espulsione dal mondo del lavoro non riguarda solo le lavoratrici dipendenti; tante lavoratrici autonome in caso di malattia, infortunio e soprattutto di gravidanza rischiano di compromettere in maniera spesso non reversibile i propri percorsi professionali.
In mancanza di Organismi collettivi di tutela (si pensi ad es. alle cd. professioni non ordinistiche) l’ipotesi di prevedere l’istituzione di meccanismi di tutela accessibili ad una platea più ampia potrebbe essere ulteriore materia di intervento per supportare le lavoratrici di fronte a queste eventualità.
Certamente, nella prospettiva di rendere concrete ipotesi e proposte anche nei vari livelli territoriali sarebbe utile avere a disposizione un sistema di “gender budgeting”, in maniera tale che, al momento della predisposizione del bilancio preventivo, si possano impostare ed approvare specifici capitoli che tengano conto delle esigenze di genere.
In questa direzione occorrerebbe adottare dei meccanismi di “gender auditing”, al fine di valutare l’effettiva realizzazione delle azioni previste in sede di approvazione del bilancio consuntivo e segnare finalmente quel “cambio di passo” che da molti anni si attende.
Valorizzare le pratiche virtuose che possano essere di esempio, stimolo e aiuto alle donne che vogliono approcciarsi in maniera più efficace e inclusiva nel mondo del lavoro e a quelle che fanno o vogliono fare impresa, potrebbe costituire un ulteriore contributo attivo alla realizzazione di progetti con esiti positivi.
Come detto, la strada percorsa è stata lunga ed importante, ma i passi ancora da compiere necessitano di ulteriori sforzi da muovere congiuntamente.
È infatti indispensabile che nell’ambito di una collettività si lavori tutti insieme, sia sotto il profilo dei cambiamenti culturali, sia sotto il profilo dei cambiamenti materiali, perché i cambiamenti di breve respiro sovente tamponano soltanto un’emergenza, quelli più duraturi si possono realizzare solo con il contributo di tutte e di tutti.

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