Testo integrale con note e bibliografia

1. Brevi cenni introduttivi
Il tempo quale indicatore di misurazione della prestazione di lavoro subordinato è, da sempre, elemento significativo del relativo scambio sinallagmatico. La sperimentazione di modalità nuove di lavoro abilitate dalla innovazione tecnologica e la vertiginosa diffusione per una drammatica congiuntura storica comportano la necessità di una riflessione sul “tempo di lavoro” o del “tempo al lavoro” cui si connette l’affermazione di nuovi istituti e tutele. Il riferimento è, in particolare, allo smart working, o lavoro agile, il quale rappresenta una forma “evolutiva” nelle modalità di svolgimento della prestazione di lavoro, ma è una fattispecie che, in punta di norma, permane nell’ alveo dell’art. 2094 del Codice civile.
* Le opinioni espresse dall’autrice non impegnano l’Istituto di appartenenza.
** Ricercatrice INAPP, Coordinatrice Master MAWE Università Ca’ Foscari
Le innovazioni tecnologiche hanno un inevitabile impatto sui working patterns e la pandemia da Covid-19, come si accennava poc’anzi, ha determinato un’accelerazione vertiginosa di tale processo, con il passaggio repentino da circa 500 mila lavoratori agili a oltre 7 milioni di remote worker , determinando l’emersione più marcata di interessanti potenzialità, ma al contempo anche di correlate criticità.
La tecnologia, infatti, da una parte può “liberare tempo”, dall’altra comportare un effetto diametralmente opposto. Nell’attuale mercato del lavoro, infatti, è evidente ormai che il termine della giornata lavorativa non si identifichi più con l’uscita fisica dall’ufficio atteso che come icasticamente rappresentato in letteratura sussiste il rischio di rimanere «attaccati ad una specie di “guinzaglio elettronico”» ,.
Peraltro, studi di carattere neurobiologico rivelano meccanismi cerebrali simili tra la tossicodipendenza e la dipendenza da tecnologia , cui manifestazione è ad esempio la tendenza alla consultazione ossessiva di e-mail relative al lavoro . Emerge, quindi, ictu oculi che, come evidenziato da tempo in dottrina, l’always-on possa implicare che la popolazione lavorativa potrebbe essere esposta «ad uno stato permanente di allerta reattiva circa il soddisfacimento delle richieste del datore di lavoro» .
Specifici profili di rischio in termini di salute e sicurezza sono stati evidenziati dalla letteratura medico scientifica, che ha sottolineato la correlazione tra tali disfunzioni e patologie quali insonnia, irritabilità, demotivazione, esaurimento nervoso, stress lavoro correlato, bornout .
Vista invece dal punto di vista della performance aziendale, analisi basate su evidenze empiriche attestano, da tempo, oltre a un maggiore rischio di infortunio, malattia o assenza dal lavoro , anche la correlazione negativa sussistente tra orari di lavoro più lunghi e decremento della produttività .
La compressione della libertà fisica pandemica ha incrementato tale rischio di overworking digitale , considerato anche il tessuto produttivo ed organizzativo per lo più impreparato sul quale è stato repentinamente implementato il lavoro agile semplificato. Infatti, nell’ultimo Rapporto ISTAT è emerso che il 40% di coloro che hanno lavorato da casa durante la pandemia ha dichiarato di essere stato contattato al di fuori dell’orario di lavoro non solo da superiori, ma anche da colleghi e quasi un terzo di essere soggetto a richieste di tempestivo riscontro .
La flessibilità oraria e organizzativa, pertanto, come può rappresentare una concreta opportunità di conciliazione vita-lavoro, può anche essere causa di un effetto diametralmente opposto, rischiando di accentuarne il conflitto, in modo peraltro più surrettizio, quale effetto di una sempre maggiore permeabilità dei confini tra tempi di vita e tempi di lavoro e l’avvento di fenomeni denominati in letteratura work-life blending (o work-life integration) .
Dalla ricostruzione dell’attuale scenario emerge che l’individuazione di nuove modalità di tutela del tempo di riposo, ma anche inerenti alla qualità del tempo di vita e di lavoro siano prioritarie , atteso che il fenomeno della iperconnessione non è solo vertiginosamente aumentato, ma è plausibile ritenerlo in espansione anche in ragione della presenza, sempre più preponderante, di nativi digitali.
2. La tutela della disconnessione. Ipotesi ricostruttive
Come emerso, da quanto sin qui evidenziato, la disconnessione dai device rappresenta un interesse meritevole di tutela, su cui si è imposta la necessità di una attenta riflessione giuridica.
L’istituto è stato introdotto nell’ordinamento italiano con la previsione di cui all’art. 19, comma primo, della legge n. 81/2017, laddove viene disposto che l’accordo individuale di smart working debba contenere «le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro».
Il Legislatore non ha qualificato però espressamente la disconnessione come diritto, diversamente da quanto avvenuto nel comportato pubblico nello stesso anno con la Direttiva del Presidente del Consiglio n. 3,contente le prime linee guida in materia di lavoro agile nel comparto pubblico, e in parte della contrattazione collettiva .
Come già indicato in altra sede, cui sia consentito rinvio per un maggior dettaglio , nella fattispecie de qua, peraltro, l’assenza di una qualificazione specifica si connette anche alla mancanza di una nozione giuridica, nell’assenza dell’indicazione di un iter attuativo o di eventuali conseguenze qualora non vi si ottemperi.
Si concorda poi con quella dottrina che ha prontamente rilevato come sia difficile ritenersi che tale mancato riferimento costituisca mera svista del Legislatore, atteso che il disegno di Legge n. 2229/16 «Adattamento negoziale delle modalità di lavoro agile alla quarta rivoluzione industriale», all’art. 3 prevedeva che «nel rispetto degli obiettivi concordati e delle relative modalità di esecuzione del lavoro autorizzate dal medico del lavoro, nonché delle eventuali fasce di reperibilità, il lavoratore ha diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche di lavoro senza che questo possa comportare, di per sé, effetti sulla prosecuzione del rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi» .
Ad ogni modo, al di là degli specifici aspetti qualificatori, nell’economia del presente lavoro, si ritiene opportuno evidenziare che l’istituto collocandosi all’interno della disciplina del lavoro agile occorre venga interpretato innanzitutto alla luce dei principi ispiratori di tale disciplina.
Corre quindi l’obbligo di evidenziare che la previsione della assenza di precisi vincoli di orario nella fattispecie de qua non è una conseguenza delle mansioni svolte, ma trattasi di espressa pattuizione concordata dalle parti nel perseguimento tra i fini, indicati dalla norma, della conciliazione vita-lavoro nonché della competitività datoriale, come si legge all’art. 18 della legge 81/2017 .
In virtù di ciò si ritiene il rilevare di una dimensione oraria intesa in termini esclusivamente quantitativi potrebbe non essere non totalmente aderente a modelli organizzativi basati sull’utilizzo delle tecnologie hanno comunque «incrinato la fissità del cosiddetto tempo di lavoro» .
Peraltro, il riferimento anche all’adozione di misure organizzative, e non solo tecniche, di cui al citato art. 19, può essere interpretato in senso ampio: dall’introduzione di policy volte alla sensibilizzazione a una formazione dedicata, unitamente a una più ottimale organizzazione del lavoro, attraverso ad esempio un più performante time management e una migliore distribuzione dei carichi di lavoro.
Una commistione tra diritto al godimento del riposo minimo e disconnessione per quanto si concordi con coloro che sottolineano gli indubbi elementi di confine delineando il secondo come una sorta di adattamento tecnologico del primo - non appare, quindi, ad avviso di chi scrive l’interpretazione più rispondente alla ratio sottesa ed espressamente indicata all’interno della legge introduttiva del lavoro agile, ossia l’agevolazione della conciliazione vita-lavoro, istituto valoriale che oltrepassa evidentemente il perimetro del diritto al riposo .
Inoltre, tale analisi afferisce alla lettera della norma di riferimento, dove non solo vengono testualmente citati entrambi gli istituti ma anche in termini distintivi e non di sovrapposizione o analogia applicativa.
I profili accennati hanno portato a interrogarsi sulla reale esistenza del diritto de quo , o comunque sulla sua effettività , ovvero al come assicurarne la concreta applicazione , o al ricondurlo a una sorta di adattamento tecnologico del diritto al riposo .
A ogni buon conto, nonostante gli evidenziati aspetti centrali in ordine alla fattispecie del lavoro agile, la necessità di eterointegrazione della norma imperativa posta, non ha costituito sino ad oggi la regola; laddove una disciplina più puntuale in materia di disconnessione si rinviene in una casistica contrattuale che appare limitata, atteso che esistono anche casi, in cui un riferimento specifico alla stessa non è solo carente, ma del tutto assente , come evidenziato da ultimo dal Gruppo di studio tecnico, nella Relazione introduttiva del Protocollo Nazionale sul lavoro agile del 7 dicembre 2021 .

2.1 L'annunciato rafforzamento della previsione emergenziale. Presunto o reale?
La normativa emergenziale, e nello specifico, la legge n. 61 del 6 maggio 2021, che ha convertito con modificazioni il decreto-legge n. 30/2021, ha introdotto una previsione dedicata espressamente al diritto alla disconnessione, in merito alla quale, a parere della scrivente, pur non mancando spunti interessanti, l’impatto è più nell’enfatica presentazione, che nella reale portata del precetto.
Il riferimento è all’art. 2, comma 1-ter, il quale dispone che: «è riconosciuto al lavoratore che svolge l’attività in modalità agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati. L’esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi».
Pertanto, questa previsione per tale via conferma la vigenza della tutela della disconnessione anche nell’attuazione del cosiddetto lavoro agile emergenziale , privo del presupposto volontaristico dato dall’accordo individuale, fonte nel quale devono essere indicate «le misure tecniche e organizzative per garantire misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro» (art. 19, primo comma, l. n. 81/2017) e che in tale ottica, in virtù di quanto premesso nel precedente paragrafo, assume particolare rilevanza.
Una prima previsione, che è opportuno evidenziare, afferisce all’espressa qualificazione quale diritto, aspetto che differisce dalla norma introduttiva di cui all’art. 19 e che come accennato ha sollevato posizioni contrastanti in dottrina.
Ad avviso di alcuni il mancato riferimento dell’inerenza all’esecuzione della prestazione lavorativa potrebbe comportare un ampliamento dell’oggetto del diritto , ipotesi che però si ritiene suscettibile di diversa interpretazione alla luce di una lettura complessiva dell’articolo, nel quale viene previamente identificato il soggetto tutelato, quale il lavoratore che svolge l’attività in modalità agile, ponendo in premessa il collegamento sistemico.
In ordine al perimetro della fattispecie lo switch off atterrebbe non solo alle strumentazioni tecnologiche, ma anche alle piattaforme informatiche, precisazione che a parere di chi scrive potrebbe apparire ridondante, atteso che è difficile immaginare una piattaforma scissa dal device, che materialmente ne consente l’utilizzo, a meno di voler intendere tale precisazione come riferita ad altre forme di lavoro digitale, quale ad esempio la prestazione di lavoro svolta dai riders, ma su questo risulterebbe requisito dirimente la relativa qualificazione giuridica del rapporto lavorativo quale subordinato .
Ulteriori elementi relativi al perimetro giuridico dell’istituto afferiscono al rispetto degli accordi sottoscritti tra le parti ed eventuali periodi di reperibilità e/o contattabilità . In merito al primo, l’ammissibilità di limiti alla portata del citato diritto demandata alla contrattazione individuale desta perplessità in ordine all’annunciato effettivo rafforzamento dell’efficacia precettiva, seppure da un punto di vista sistematico, il rinvio all’accordo individuale si collochi nell’alveo dell’attuale disciplina, che rinviene in esso lo strumento deputato alla regolamentazione dell’istituto.
Peraltro, il carattere di mera “eventualità” di una regolamentazione da parte dell’accordo individuale appare in antitesi con la previsione contenuta nell’art. 19 dove, come si è ricordato, vi è un rinvio espresso allo stesso quale fonte regolativa dell’istituto. Si ritiene, pertanto, che l’indicazione dell’accordo individuale quale meramente “eventuale” sia ulteriore conferma della vigenza della norma per il periodo emergenziale, cui come noto vi è la deroga alla necessaria sottoscrizione dello stesso ai fini dell’introduzione del lavoro agile.
Sembrerebbe costituire invece un effettivo rafforzamento la testuale esplicitazione secondo cui l’esercizio del diritto non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi, previsione che, nella ricordata assenza di puntuali riferimenti all’interno del testo dell’art. 19, per quanto evincibile alla luce del testo complessivo, si ritiene potenzialmente incidente in termini di effettività del diritto.
Infine, un aspetto significativo si ha nel riconoscimento del diritto alla disconnessione, quale presupposto per la tutela dei diritti di riposo e di salute del lavoratore. Tale indicazione, inserita in forma di inciso e alla luce dei principi, che permeano la disciplina del lavoro agile - di cui ne si è indicata testualmente la vigenza anche in costanza di emergenza epidemiologica - non si ritiene circoscriva la tutela esclusivamente in ragione di tali diritti, ma anche di altri, come la già citata conciliazione vita-lavoro , o la privacy .

3. La disconnessione alla luce del sistema multilivello europeo
L’aumento dei rischi connessi all’overworking digitale, unitamente agli impatti e alle varie implicazioni evidenziate, hanno indotto a una riflessione in materia non solo il Legislatore italiano, ma anche quello europeo.
L’avvertita importanza del tema si evince già dall’osservazione di politica del diritto, in ordine alla scelta del Parlamento Europeo di non limitarsi a emanare una specifica Risoluzione con raccomandazioni alla Commissione, ma di proporre anche un’articolata direttiva per il riconoscimento del diritto alla disconnessione nell’ordinamento europeo.
L’espressa necessità di pervenire a un quadro di riferimento, emerge con chiara evidenza già nel considerando C del testo nel quale si sottolinea che: «un utilizzo sempre maggiore degli strumenti digitali a scopi lavorativi ha comportato la nascita di una cultura del “sempre connesso”, “sempre online” o “costantemente in guardia” che può andare a scapito dei diritti fondamentali dei lavoratori e di condizioni di lavoro eque, tra cui una retribuzione equa, la limitazione dell’orario di lavoro e l’equilibrio tra vita professionale e vita privata, la salute fisica e mentale, la sicurezza sul lavoro e il benessere, nonché della parità tra uomini e donne [….]; che la transizione digitale dovrebbe essere guidata dal rispetto dei diritti umani, nonché dei diritti e valori fondamentali dell’Unione e avere un impatto positivo sui lavoratori e le condizioni di lavoro».
Il Parlamento Europeo, in virtù di quanto premesso al successivo considerando H, colloca quindi espressamente il diritto di disconnessione nel novero dei diritti fondamentali che costituiscono «una parte inseparabile dei nuovi modelli di lavoro e dell’era digitale».
Si pone in linea con tale volontà legislativa la precisazione di cui all’art. 1 della annessa proposta di direttiva, secondo cui la disciplina proposta troverebbe applicazione sia per il settore privato che pubblico, e riguarderebbe anche tutti lavoratori e le lavoratrici, indipendentemente da status e modalità di lavoro.
Quindi obiettivo del Parlamento Europeo è che siano adottate delle prescrizioni minime di attuazione volte a consentire a tutte le lavoratrici e i lavoratori, che utilizzano per rendere la prestazione di lavoro strumenti digitali (comprese le TIC) di esercitare il proprio diritto alla disconnessione con garanzia di rispetto dello stesso da parte dei datori di lavoro.
Di tale diritto, poi, si procede a fornire una nozione puntuale all’art. 2 che lo definisce quale il mancato esercizio di attività o comunicazioni lavorative per mezzo di strumenti digitali, direttamente o indirettamente, al di fuori dell’orario di lavoro; nozione che, attesa anche la fase de iure condendo, si ritiene opportuno venga interpretata anche alla luce di quanto specificato dal preambolo 10, secondo cui la disconnessione è il «diritto dei lavoratori di non svolgere mansioni o comunicazioni lavorative al di fuori dell’orario di lavoro per mezzo di strumenti digitali, come telefonate, e-mail o altri messaggi».
Sembra pertanto che anche nell’intenzione del Parlamento Europeo la disconnessione si configuri come una fattispecie che trascende la mera tutela del riposo minimo consecutivo per afferire anche al tempo di non lavoro, e quindi al tempo libero, oppure non per forza a un non svolgimento dell’attività lavorativa, perché potrebbe avere comunque luogo, ma senza l’utilizzo di strumentazione digitale. Ad avviso di chi scrive si tratterebbe di incertezze interpretative derivanti dal testo letterale contenente l’espressione dicotomica l’«esercizio di attività o comunicazioni lavorative per mezzo di strumenti digitali», che sembrerebbe in linea con una tutela specificatamente volta alla rilevata potenziale dannosità del profilo tecnologico dell’attività di lavoro.
Importante evidenziare, poi, che gli Stati membri sono invitati a darne attuazione, previa consultazione con le parti sociali, prevedendo modalità attuative dettagliate, volte a consentire l’esercizio del diritto alla disconnessione e garantire che i datori di lavoro ne diano applicazione «in modo equo, lecito e trasparente» e «istituiscono un sistema oggettivo, affidabile e accessibile», al fine di consentire «la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore nel rispetto del diritto dei lavoratori alla vita privata e alla tutela dei diritti personali» .
Attuazioni che, come si accennava, possono essere migliorative, ma non inferiori a determinati livelli minimi di tutela anche in ordine; alle modalità pratiche per scollegarsi dagli strumenti digitali a scopi lavorativi, compreso qualsiasi strumento di monitoraggio inerente al lavoro (lett. a); ai sistemi per la misurazione dell’orario lavorativo (lett. b); alle valutazioni in ordine ai profili di salute e sicurezza, comprese quelle del rischio psicosociale, in relazione al diritto alla disconnessione (lett. c); ai criteri per la concessione di una deroga all’obbligo di attuare il diritto alla disconnessione (lett. d) e, in caso di deroga, gli indicatori per stabilire le modalità di calcolo della compensazione per il lavoro svolto al di fuori dell’orario di lavoro (lett. e); and last but not least, le misure volte alla sensibilizzazione, compresa la formazione sul luogo di lavoro.
Con riguardo alla fonte di attuazione, la proposta legislativa prevede un rinvio alla contrattazione collettiva sia nazionale che decentrata, attribuendo alla stessa la facoltà non solo di eterointegrazione ma anche di stabilire direttamente tali condizioni.
Diversamente, quindi, dall’attuale disciplina italiana viene espressamente riconosciuto alle parti sociali un ruolo significativo, attesa tale specifica previsione di coinvolgimento, il cui significato si ritiene venga rafforzato nella lettura congiunta delle previsioni di cui al considerando 21, il quale esplicita che le modalità pratiche per l’esercizio del diritto alla disconnessione da parte del lavoratore, nonché quelle relative alla sua attuazione, dovrebbero essere concordate per mezzo della contrattazione collettiva .
Tale ruolo centrale riconosciuto alla contrattazione collettiva può ritenersi anche logica conseguenza del processo che ha condotto all’adozione di tale documento da parte del Parlamento Europeo; infatti, al punto 13 della Risoluzione si richiama testualmente l’Accordo Europeo sulla digitalizzazione del 22 giugno 2020, prevedendo che la Commissione sia tenuta a presentare la proposta di Direttiva prendendo in considerazione quanto previsto dalle parti sociali europee in tale testo .
Nella proposta in esame per imprimere concreta effettività al diritto, si prevede poi all’art. 5 una sorta di tutela rafforzata, innanzitutto prevedendo che gli Stati membri debbano garantire il divieto di discriminazione, di trattamento meno favorevole, di licenziamento e di altre misure sfavorevoli da parte dei datori di lavoro per il fatto che nel caso in cui il lavoratore non solo abbia esercitato, ma anche tentato di esercitare il diritto alla disconnessione (art. 5, comma 1), estendendo la tutela anche al rappresentante sindacale che dovesse assisterlo (art. 5 comma 2).
Una previsione quest’ultima che sembra conferire una connotazione di particolare disvalore sociale, osservazione ad avviso di chi scrive che troverebbe conferma in altri due elementi.
In primis l’inversione dell’onere della prova, la quale grava sul datore di lavoro, tenuto a dimostrare che il licenziamento o il trattamento sfavorevole sia fondato su motivi diversi degli elementi allegati in giudizio dal lavoratore. In secundis ulteriore elemento può essere tratto dall’art. 8, secondo cui gli Stati membri devono prevedere sanzioni effettive, proporzionate ma anche dissuasive, analogamente a quanto si rinviene per il licenziamento più odioso dell’ordinamento, ossia quello fondato su fattori discriminatori.
La tutela rafforzata emerge, poi, ex art. 6, secondo cui gli Stati membri devono introdurre un meccanismo di risoluzione di tali controversie rapido, efficace ed imparziale, e possono altresì prevedere norme che facoltizzano le organizzazioni sindacali ad avviare, per conto e a sostegno dei lavoratori, procedimenti amministrativi al fine di garantire la conformità con la direttiva.
Inoltre, analogamente a quanto previsto in materia di salute e sicurezza per la fattispecie del lavoro agile, la proposta di direttiva dispone all’art. 7 che i datori di lavoro siano obbligati a fornire per iscritto a ciascun lavoratore informazioni chiare, sufficienti e adeguate sul diritto qui in analisi, compresa una dichiarazione che precisi i termini degli accordi collettivi o di altri accordi applicabili.

4. Itinerari de iure condendo alla luce di evidenze empiriche
In Italia, la disconnessione trova applicazione limitatamente alla fattispecie del lavoro agile, in divergenza da come si è visto sembri orientarsi l’ordinamento europeo; all’interno, pertanto, della disciplina di un istituto che in relazione all’orario di lavoro rinviene la sua maggiore “rivoluzione”. Infatti, per quanto la relativa norma istitutiva preveda che il tempo di lavoro vada necessariamente garantito nei «limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva» , scompare la necessità di precisi i «vincoli di orario».
Tale inciso comporta che necessariamente il tempo di lavoro muti, e possa sfumare e confondersi con il “tempo” che dovrebbe essere dedicato non solo al riposo e alla ripresa psico-fisica, ma anche alla cura, agli interessi personali, e pertanto al valore della conciliazione vita-lavoro.
Rispetto alla prospettiva de iure condendo è interessante, quindi, operare una lettura in chiave giuslavorista delle evidenze empiriche sul punto emerse dall’indagine INAPP Plus, la quale riguarda un campione di oltre 45 mila lavoratori e lavoratrici, che hanno lavorato da remoto da marzo a luglio 2021 .
La connessione anytime è un fenomeno che riguarda il 32,8% del campione con un’incidenza leggermente superiore nel privato rispetto al pubblico. Nel 44,5% vi è la previsione di una fascia di connessione obbligatoria e nel 64% dei casi la presenza da remoto è comunque registrata con autocertificazione o con sistema automatico di rilevazione della presenza. Queste risultanze sembrano smentire l’ipotesi di un’applicazione incentrata su un’autonoma collocazione temporale della prestazione di lavoro, seppure abbia probabilmente inciso, come già evidenziato, l’improvvisata “sperimentazione”.
In tal senso anche l’evidenza per cui nel 32,8% dei casi la connessione è sempre attiva
appare in linea con l’esito per il quale oltre il 49% del campione dichiara di potersi disconnettere solo durante la pausa pranzo, e pertanto questo porta a dedurre che la possibilità di fare brevi pause dichiarato dal 74,6% non escluda che essa avvenga davanti al pc, profilando quindi scenari che richiedono riflessioni in ordine ad un’effettiva disconnessione.
Peraltro, a lavorare spesso la sera nel privato è il 29,6% (nel pubblico il 27,7%), mentre capita di lavorare spesso il weekend al 20,55% del campione complessivo, e in ordine alle richieste al di fuori dell’orario e dei giorni standard di lavoro è fenomeno rilevato da oltre il 40% del campione.
Le citate evidenze potrebbero non rappresentare una casistica necessariamente disfunzionale atteso che la dislocazione temporale dell’attività lavorativa “agile” non presenta “precisi vincoli temporali” (salvo il rispetto dei limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale). Tuttavia, l’attuazione unilaterale dello smart working pandemico, che la ricerca ha indagato, non rende al momento presumibile tale ipotesi, ma più come elemento di riflessione per una regolamentazione pattizia.
Il requisito fondativo dell’istituto di un allentamento dei vincoli orari è confermato anche dal recente Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile siglato dalle parti sociali e dal Ministero del Lavoro il 7 dicembre 2021, il quale sottolinea anche il ruolo prioritario dei fattori di carattere organizzativo nel determinare eventuali criticità (in linea con quanto rilevato sul versante europeo sia con l’accordo quadro che con la Risoluzione del Parlamento e annessa proposta di direttiva).
Infatti, nell’ accordo interconfederale all’art. 3 rubricato “Organizzazione” del lavoro agile e regolazione della disconnessione”, innanzitutto al primo comma viene riaffermato il principio per cui «la giornata lavorativa svolta in modalità agile si caratterizza per l’assenza di un preciso orario di lavoro» e si evidenzia altresì il requisito «dell’autonomia nello svolgimento della prestazione nell’ambito degli obiettivi prefissati». Al secondo comma viene invece previsto che la prestazione in modalità agile - quindi si ritiene che attesone il relativo carattere ibrido, sia per quanto attiene al lavoro in presenza sia in riferimento a quanto svolto da remoto - «può essere articolata in fasce orarie, individuando […] la fascia di disconnessione nella quale il lavoratore non eroga la prestazione lavorativa».
In riferimento a tale ultimo inciso sorgono due riflessioni. Innanzitutto, la previsione a contrario di una fascia di disconnessione potrebbe prestarsi maggiormente a profili di mantenimento di orari rigidi di lavoro, come peraltro sembra essere prevalentemente avvenuto durante la pandemia alla luce dei dati qui riportati e di quanto ulteriormente emerso nella citata ricerca INAPP cui si rinvia .
Trattasi, peraltro, di una sintesi degli indirizzi della contrattazione collettiva che sembra preferire il pungolare un indirizzo contrattuale su tale soluzione, in alternativa invece alla previsione di fasce di contabilità - relative anche a una implementazione della fattispecie che tenga conto dei profili di carattere organizzativo - da cui si ricava a contrario una area di disconnessione, nel momento in cui non si è disponibili al contatto a mezzo device. Aspetto quest’ultimo, che come già rilevato in altra sede cui sia consentito rinviare, non si ritiene sufficiente per un’effettività della tutela .
Ad ogni modo sancendo il Protocollo un indirizzo può interpretarsi in un più ampio e condivisibile rinvio alla contrattazione collettiva, aprendo anche eventuali scenari di eventuale superamento dei confini del lavoro agile come da prospettive evolutive europee. Da tale osservazione si passa all’ulteriore punto in esame che focalizza l’attenzione su come nel caso di specie si specifichi che la prestazione lavorativa non avvenga in occasione della fascia di disconnessione. Tale previsione sembrerebbe però interpretare la connessione, e quindi l’aspetto tecnologico come requisito sostanziale della fattispecie, in luogo della nozione normativa per la quale è solo eventuale, al di là dell’evidenza empirica in tal senso. Ad avviso di chi scrive, poi, può esservi il rischio che tale indirizzo orienti la contrattazione verso un irrigidimento della fattispecie che potrebbe essere distorsivo rispetto ai profili ontologici dell’istituto.
Interessante è quindi un’attenzione non solo al “tempo di lavoro”, ma anche ai relativi istituti che si stanno affermando per consentire nuove modalità di controllo della prestazione lavorativa nel rispetto della sfera di riservatezza del lavoratore, quali la contattabilità o di misurazione della stessa, come le schede e la reportistica di monitoraggio della attività svolta.
Il contesto italiano in evoluzione dovrebbe poi tenere conto della centralità che si rinviene all’interno del panorama europeo portatore di un indirizzo normativo che intende travalicare i confini del lavoro agile, del remote working o del telelavoro, anche nella necessità di fondo di rendersi intellegibile e porre standard minimi per il panorama estremamente eterogeneo dei Paesi membri.

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