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1. Premessa
Con una recente sentenza la Cassazione ha finalmente messo fine ad una vicenda legale, ormai al centro del dibattito da più di un biennio: il “caso Foodora”, prima piattaforma di food delivery ad assumere la veste di convenuta nelle aule dei tribunali italiani, è finalmente giunto a conclusione, dopo che i precedenti due gradi di giudizio avevano assunto posizioni tra loro contrastanti. Mentre il Tribunale di Torino, in primo grado, aveva escluso in toto la natura subordinata del rapporto di lavoro in essere tra i riders e la piattaforma digitale, essenzialmente fondando tale conclusione sulla possibilità riconosciuta al fattorino di rifiutare la prestazione offertagli, la Corte d’Appello del capoluogo piemontese, accogliendo un’impostazione inizialmente sviluppatasi nelle corti statunitensi e diretta a ricondurre tali lavoratori in una sorta di tertium genus tra autonomia e subordinazione, ha concluso nel senso di accordare ai ciclofattorini le tutele previste per il lavoratore subordinato tout court ed astrattamente applicabili a tali lavoratori, in quanto rientranti a pieno titolo nell’alveo delle collaborazioni etero-organizzate, di cui all’art. 2, c. 1, del d.lgs. n. 81/2015. Inevitabile a tal punto il ricorso in Cassazione da parte di Foodinho, l’azienda che ha rilevato Foodora, diretto a sconfessare la pronuncia emessa in secondo grado e a negare la natura autonoma dei rapporti di lavoro dei cinque riders di Torino, fautori dell’intera vicenda processuale.
2. La decisione della Cassazione
Con sentenza n. 1663/2020 la Cassazione ha esteso ai riders le tutele dettate per il lavoro subordinato in presenza della c.d. etero-organizzazione dell’attività di collaborazione, richiamandosi così all’art. 2, c. 1, del d.lgs. n. 81/2015 che, in presenza di rapporti di collaborazione organizzata dal committente, applica le tutele tipicamente dettate dal legislatore per i rapporti di lavoro subordinato. La Suprema Corte giunge a tali conclusioni, negando apertamente la configurabilità di un tertium genus tra autonomia e subordinazione, come invece statuito dalla Corte d’Appello di Torino, ponendosi così, a suo dire, in linea con quell’intento legislativo che, dal Jobs Act in avanti, è volto ad assumere il contratto di lavoro subordinato come modello di riferimento nella gestione dei rapporti di lavoro. L’estensione dell’intera disciplina dettata per il lavoratore subordinato ai riders, e non delle sole tutele astrattamente applicabili, come invece auspicato dalla corte torinese, si pone, a detta dei giudici della Consulta, come conseguenza necessaria ad una scelta di politica legislativa, volta ad assicurare l’estensione delle tutele tipiche del lavoratore subordinato a tutti i casi in cui l’etero-organizzazione risulti talmente marcata ed evidente, da rendere il collaboratore organizzato socialmente meritevole di protezione, al pari del tradizionale lavoratore subordinato. Pervenendo a tali risultati, i giudici della Consulta si pongono in linea con le soluzioni già prospettate dal legislatore nel recente decreto legge n. 101/2019, intervenuto nelle more del procedimento, che aveva già optato per tali conclusioni: la sentenza in esame si limita, quindi, ad estendere tale disciplina anche ai rapporti di lavoro antecedenti alla data di entrata in vigore del citato decreto legge.
3. Tutela effettiva o mera illusione?
Senza dubbio, le conclusioni prospettate da tale sentenza potrebbero segnare una vittoria per tutti i riders che, ormai da diversi anni, hanno cercato di rivendicare i propri diritti in un panorama giuridico non ancora preparato a rispondere ad istanze connesse a tale innovativa modalità di svolgimento della prestazione. Va da sé che, ad una più attenta analisi della questione, tale auspicata vittoria possa tradursi in una mera e fugace illusione: il concetto di etero-organizzazione, presupposto imprescindibile al fine dell’estensione della disciplina dettata per la subordinazione, può risultare di difficile verifica in contesti lavorativi, come quello tipico del food-delivery, ove l’utilizzo delle piattaforme digitali rende meno incisiva la determinazione delle modalità della prestazione da parte del committente. A ciò si aggiunga la concreta difficoltà di adattare alcuni istituti tipici della subordinazione, primo fra tutti il sistema di tutela contro i licenziamenti ingiustificati, ad una modalità di resa della prestazione che poco a che vedere con il lavoratore subordinato, in riferimento al quale il nostro legislatore ha modellato la disciplina protettiva. L’integrale applicazione delle regole della subordinazione a tali collaborazioni può rivelarsi in alcuni casi ontologicamente impossibile, tanto da delineare un panorama incerto e di difficile interpretazione per tutti gli addetti ai lavori.
4. Jobs Act: tra dubbi di costituzionalità e richieste di superamento
È lecito oltremodo sindacare l’opportunità della scelta intrapresa dalla Cassazione di rimandare ad un sistema normativo, come quello delineato dal Jobs Act, negli ultimi anni al centro di censure di illegittimità costituzionale, e non solo, implicanti la necessità di una sua ormai improcrastinabile riforma: a partire dalla nota sentenza 194/2018 della Corte Costituzionale, censurante il meccanismo rigido e automatico di quantificazione dell’indennizzo, ancorato alla sola anzianità di servizio, passando alla più recente pronuncia del Comitato europeo dei diritti sociali, che ha deciso di accogliere il ricorso presentato dalla CGIL, volto a contestare la fissazione di un tetto massimo di indennizzo in caso di licenziamento illegittimo, senza possibilità di reintegrazione e di rimedi alternativi o complementari. A ciò si aggiunga la recente questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Roma, e non ancora passata al vaglio della Corte, diretta a contestare il meccanismo automatico di quantificazione dell’indennizzo anche in riferimento al licenziamento affetto da vizi procedurali, anch’esso, a detta dei giudici della Capitale, determinante il diritto ad un risarcimento del danno “adeguato e personalizzato”. Insomma, una continua messa in discussione che mal si concilia col sistema di tutele auspicato per i riders dai giudici della Consulta: il richiamo ad una scelta di politica legislativa, posta in essere da un sistema normativo la cui effettiva portata tutelante è ormai messa in dubbio, se non addirittura confermata da più parti, finisce per rivelarsi una mera scelta di stile, a nulla apportando in termini di effettività della tutela ai riders stessi.
5. Possibili scenari
Volgendo lo sguardo al futuro, i pratici risvolti dell’intervento della Cassazione in esame, seppur diretto a fornire chiarimenti e a porre fine ad una vicenda legale ormai da anni al centro del dibattito, non potranno così che condurre a differenti valutazioni ad opera dei giudici di merito, chiamati ad analizzare caso per caso la natura del rapporto di lavoro sottoposto al loro giudizio, al fine di verificare la presenza di quel requisito di etero-organizzazione che legittima l’applicazione delle tutele tipiche del lavoro subordinato. L’automatica estensione di tali tutele, agli occhi del legislatore semplice e meccanica, rischia di comportare una serie di contrasti giurisprudenziali, alla luce della singolare interpretazione del concetto di etero-organizzazione fornita dal giudice del caso concreto, tanto che l’intento chiarificatore perseguito dai giudici della Consulta non può che aprire uno scenario interpretativo frammentato e per niente coerente. È auspicabile, quindi, un intervento coordinato della giurisprudenza di merito, volto a dipanare le incertezze del caso e a fornire informazioni e chiarimenti in grado di trasformare tale apparente conquista in un vero e proprio sistema di tutele per i riders.

 

 

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