TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. È stato di recente firmato il C.C.N.L. rider, il 15 settembre 2020 a Roma, fra l’Assodelivery e l’Ugl rider, che è stato subito stoppato da una Nota 17 settembre 2020 dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro spedita alla Società Assodelivery, con una motivazione tutta al condizionale, ma non per questo meno dissuasiva, tanto da prospettare che “a partire dall’entrata in vigore dell’art. 47-ter, D.lgs. n. 81 del 2015, le … disposizioni contrattuali sul compenso potrebbero essere ritenute, anche in sede ispettiva, contra legem e dunque sostituite a dalla norma di legge”. Ora per valutare la fondatezza di tale nota occorre partire dal caso rider Foodora, che certo il legislatore nell’aggiornamento del D.lgs. n. 81/2015, effettuato col D.l. n. 101/2019 (convertito con modificazioni nella l. n. 128/2019) ha tenuto presente, coll’aggiungervi un Capo V-bis (“Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali”); farlo per verificare la riserva di base della nota stessa, cioè che sbagli il CCNL rider a qualificare come autonoma la prestazione del rider, essendo questa qualificazione riservata solo al giudice, secondo la tesi condivisa dalle tre grandi Confederazioni.
Il caso è stato oggetto di un procedimento giudiziario su tutti i tre gradi, con un diverso responso in diritto riguardo alla fattispecie dell’originario art. 2, co. 1 D.lgs. n. 81/2015, se pur condividendo la ricostruzione fattuale fattane in I° grado: per il Tribunale di Torino 7/5/2018, “norma apparente” ; per la Corte di Appello 4/2/2019, tertium genus ; per la Corte di Cassazione n. 1663/2020, “norma di disciplina che non crea una nuova fattispecie” .

2. Mi sembra di poter dedurre dalla ricostruzione fattuale una distinzione fra conclusione ed esecuzione del contratto fra la Foodora e i rider. La conclusione comprende una fase precontrattuale, costituita dalla previa compilazione di un questionario sul sito di Foodora, con la successiva convocazione per un colloquio presso la sede della società, dove veniva richiesta la disponibilità di uno smartphone e di una bicicletta e avanzata la proposta di una attività coordinata e continuativa, che, una volta accettata, comportava la consegna dei dispositivi di sicurezza e dell’attrezzatura per il trasporto. Esaurita questa fase, si entrava in quella contrattuale, con la sottoscrizione del contratto di collaborazione coordinata e continuativa a tempo determinato, che faceva salvo il coordinamento generale della società, ma negava esplicitamente l’esistenza della subordinazione, quale connotata da un potere gerarchico o disciplinare, con esclusione di qualsiasi vincolo di presenza e di orario. Il che si traduceva per il lavoratore nella libertà di recedere ante tempus, previo un preavviso di trenta giorni; di candidarsi o non candidarsi per una specifica corsa solo che, una volta candidatosi, doveva procedere alla consegna al cliente entro trenta minuti dall’orario per la presa a carico del cibo dal fornitore indicatogli, con, in difetto, la comminatoria di una penale di 15 euro. Il compenso era previsto in 5,60 euro lordi per ogni ora di disponibilità.
Se così è, l’esecuzione del contratto appariva del tutto conforme: gestione attraverso una piattaforma multimediale e un applicativo per lo smartphone; pubblicazione settimanale dell’indicazione dei turni (slot), con l’indicazione del numero dei rider per ogni turno; possibilità per ciascuno di essi di dare o meno la propria disponibilità per qualsiasi turno, peraltro revocabile (funzione swap); presentazione dei rider nei luoghi e nei tempi convenuti, per iniziare la prestazione, con libertà di astenersene (funzione no show); ricezione da parte dei rider dell’ordine, con indicazione del ristorante; corsa al ristorante, ricezione dell’ordine con l’indicazione del prodotto, presa in consegna, verifica della sua corrispondenza all’ordine, con conseguente comunicazione della bontà della verifica; ricezione dell’indirizzo del cliente, consegna da effettuare entro trenta minuti, comunicazione della regolarità dell’operazione. Un iter volta a volta comunicato, ma senza poter parlare di un “costante monitoraggio della prestazione, perché il sistema permetteva solo di fotografare la posizione dei rider in maniera statica e non di seguire l’intero percorso in maniera dinamica”.

3. A condividere la ricostruzione esposta, si deve concludere che il contratto siglato fra Foodora e i rider conteneva l’intero programma negoziale per il tempo previsto, con le sue prestazioni periodiche, definite nelle loro caratteristiche dinamiche di libertà e di vincolatività. Solo che per Cass. n. 1663/2020 non sarebbe così, in base ad una distinzione fra fase genetica autonoma e fase funzionale etero-organizzata. Nella fase genetica colloca la libertà del lavoratore di rispondere alla prima convocazione e concludere un contratto a tempo determinato; a sua volta, nella fase funzionale sistema le obbligazioni dello stesso lavoratore: recarsi all’orario di inizio del turno in una delle zone di partenza predefinite; ricevuta l’indicazione dell’indirizzo del ristorante, procedere alla presa in consegna dei prodotti; controllarne la corrispondenza; comunicare la verifica positiva; ricevuta la comunicazione dell’indirizzo del cliente, procedere alla consegna del cibo e confermare la regolarità dell’informazione.
Ora va ricordato che proprio nella fase funzionale sono presenti le funzioni swap e no show, pur sempre riconducibili al contratto, per cui il rider può non solo revocare la propria disponibilità a partecipare a un turno, ma anche non presentarsi affatto al turno prescelto, sì da posticipare la fase gestionale al momento in cui sceglie di essere presente nel luogo previsto per l’inizio, dando così il via all’intera sequenza esecutiva. Ma qui la Cassazione sembra dimenticarsene, influenzata com’è da Cass. n. 3457/2018 - citata per confutarla dalla Corte di Appello di Torino- sentenza che riconosce l’esistenza della subordinazione con riguardo agli addetti al ricevimento delle giocate presso le aziende ippiche e le sale scommesse. Solo che in quella sentenza richiamata, ispirandosi alla tesi della doppia alienità nel rapporto di lavoro, vi era sostenuto che la libertà di rispondere o meno alla convocazione da parte delle agenzie e sale ippiche integrava un elemento esterno rispetto allo svolgimento del rapporto; ma se così è, si ricostituiva ex novo ogni giorno in cui il lavoratore comunicava la propria accettazione.
Il che, trasferito sul rapporto dei rider, appare decisamente forzato, perché, pur in difetto di un esplicito accenno al suo essere continuo, si svolge ininterrotto per tutto il tempo previsto, se pur con prestazioni periodiche rimesse alla previa disponibilità del lavoratore, sempre revocabile almeno fino al momento di presentazione nel luogo previsto per l’inizio del turno prescelto.

4. La vicenda giudiziaria rider Foodora si è svolta tutta sul vecchio testo del D.lgs. n. 81/2015, senza ovviamente tener conto della introduzione del Capo V-bis, tanto che la stessa Cass. n. 1663/2020 richiama, in via interpretativa, la modifica dell’art. 2, co. 1, ma non lo fa per tale Capo V-bis. Solo che, dopo l’intervento del legislatore del 2019, non si può più prescinderne per valutare la Nota critica dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro sul CCNL rider del 15 settembre 2020.
Va premesso che il quadro normativo tenuto presente nel redigere i CCNL rider risente in pieno del carattere confuso del diritto oggi vigente, sì da evidenziare l’intento perseguito di coprire ogni possibile spazio, con l’inevitabile rischio di risultare contraddittorio. Una prima intitolazione, nella nota di trasmissione al CNEL e al Ministero del lavoro, recita “Contratto collettivo nazionale per la disciplina dell’attività di consegna di beni per conto altrui svolta da lavoratori autonomi, c.d. rider”, con l’aggiunta “ai sensi e per gli effetti del Capo V-bis ‘Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali’ del D.lgs. n. 81/2015, così come modificato dal D.L. n. 101/2019, convertito in legge con modificazioni dalla L. n. 128/2019, e dell’art. 2, comma 2, lett. a) del D.lgs. n. 81/2015”. L’errore consiste nel richiamare sia il Titolo V-bis, sia l’art. 2, comma 2, lett. a) sempre dello stesso decreto: il Titolo V-bis attiene alla fattispecie di cui all’art. 47-bis, disciplinata ai sensi degli artt. 47-bis/47-octies; mentre l’art. 2, co. 2, lett. a) concerne la fattispecie di cui all’art. 2, co. 1, che, se pur ampliata, resta soggetta in toto alla normativa della subordinazione.
Da questo punto di vista è condivisibile la seconda intitolazione, quella premessa allo stesso contratto, che parla di “Contratto collettivo nazionale per la disciplina dell’attività di consegna di beni per conto altrui svolta da lavoratori autonomi, c.d. rider, di cui al Capo V-bis ‘Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali’ del D.lgs. n. 81/2015”, anche se poi non viene tenuta ferma nel testo che segue.

5. Riesce, dunque, centrale, il rapporto esistente fra l’art. 2, co. 1, Capo primo (Disposizioni in materia di lavoro) e l’art. 47-bis ss., Capo V-bis (Tutela del lavoro tramite piattaforme digitali) del D.lgs. n. 81/2015. Se si riparte dal testo originario del D.lgs. n. 81/2015, non è certo privo di significato il fatto che, subito dopo la proclamazione del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato quale “forma comune del rapporto di lavoro” ai sensi dell’art. 1, apriva la sequenza delle “eccezioni” con la fattispecie di cui all’art. 2, co. 1, relativa alle “collaborazioni organizzate dal committente”, non qualificata esplicitamente come autonoma o subordinata, tanto da meritarsi la etichetta di “norma di disciplina” da Corte Cass. n. 1663/2020, per essere comunque assoggettata all’integrale normativa della subordinazione. Dopo veniva la schiera dei contratti di lavoro subordinato diversi dalla forma comune, tutti debitamente regolati (lavoro a orario ridotto o flessibile, lavoro a tempo determinato, lavoro somministrato, apprendistato), con in chiusura il lavoro accessorio, anch’esso non qualificato esplicitamente, certo, però non di lavoro subordinato come sostenuto rispetto ad un suo autorevole predecessore , il lavoro a progetto previsto dall’art. 69 del D.lgs. n. 276/2003 e soggetto solo al regime di cui agli artt. 48-50.
Non interessa qui seguire la sorte del lavoro accessorio, dalla sua abrogazione da parte del D.l n. 25/2017 (convertito nella l. n. 49/2017) alla sua “sostituzione” col contratto di prestazioni occasionali da parte D.l. n. 50/2017 (convertito nella l. n. 96/2017), ma solo evidenziarne il collocamento “anomalo”, sul finire del D.lgs. n. 81/2015, dopo i contratti di lavoro subordinato diversi dalla “forma comune”. Ora il D.lgs. n. 81/2015 viene integrato nel 2019, dal Capo V-bis con lo stesso collocamento “anomalo”, riempiendo lo spazio lasciato scoperto dal lavoro accessorio, solo che questa volta l’art. 47-bis, che lo apre, parla esplicitamente di “lavoratori autonomi”.
Già questo dovrebbe orientare nel senso che non esiste alcun rapporto sistematico fra il novellato art. 2, co. 1 e il Capo V-bis, ma contro si è fatto valere lo stesso attacco dell’art. 47-bis che recita “Fatto salvo quanto previsto dall’art. 2, comma 1 …”. Ma non è detto che tale incipit si debba leggere come se l’ambito dell’art. 47-bis e ss. risultasse residuale rispetto a quello dell’art. dell’art. 2, co. 1; può ben essere inteso nel senso che, dato per scontato l’ambito applicativo dell’art. 2, co. 1, se ne debba scorporare quello dell’art. 47-bis. Non per niente è seguito da una puntuale definizione della fattispecie nei termini di “lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore … attraverso piattaforme anche digitali”, nonché da una disciplina, pur solo relativa ai “livelli minimi di tutela”.
Non si è mancato di far valere la correlazione fra le chiamate in causa delle piattaforme digitali effettuate dal novellato art. 2, co. 1, per cui “le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”; e, rispettivamente, dall’art. 47-bis, co. 1, laddove specifica che le attività di consegna dei beni sono svolte “attraverso piattaforme anche digitali”. Il punto d’incontro sarebbe costituito dalla definizione di cui all’art. 47-bis, co. 2, secondo la quale “ai fini di cui al comma 1 si considerano piattaforme digitali i programmi e le procedure informatiche utilizzati dal committente che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, sono strumentali alla consegna di beni, fissandone il compenso e determinando le modalità di esecuzione della prestazione”, ritenuta di portata generale, applicabile anche alle piattaforme digitali di cui all’art. 2, co. 1.
A voler proprio essere precisi, si può ammettere che la parte strutturale della definizione di cui all’ art. 47-bis, co. 2 (“si considerano piattaforme digitali i programmi e le procedure informatiche utilizzati dal committente … indipendentemente dal luogo di stabilimento …) sia estendibile a tutte le piattaforme digitali; ma a conferma dell’essere solo “Ai fini di cui al comma 1” risulta la parte funzionale (“sono strumentali alle attività di consegna dei beni, fissandone il compenso e determinando le modalità di esecuzione della prestazione”). L’“attività di consegna dei beni” caratterizza la stessa fattispecie di cui all’art. 47-bis, co. 1 mentre il riferimento alla determinazione del “compenso” rinvia all’art. 47-quater.

6. Mi vien da dire che la parola definitiva la dà proprio la disciplina prevista dal Capo V-bis, che, come detto, è “minima”, ridotta a quanto scritto nel Capo V-bis, a cominciare dall’art. 47-ter, co. 1, D.lgs. n. 81/2015 che prevede la forma scritta del contratto ad probationem, nonché la comunicazione ai lavoratori “di ogni informazione utile per la tutela dei loro interessi, dei loro diritti e della loro sicurezza”. A fronte di una eventuale violazione del co. 1, nei co. 2 e 3 è prevista la corresponsione di una indennità risarcitoria di cui si precisa la modalità di calcolo; nonché la rilevanza della stessa violazione del co. 1 “come elemento di prova delle condizioni effettivamente applicate al rapporto di lavoro e delle connesse lesioni dei diritti previsti dal presente decreto”. Il che, però, resta abbastanza criptico con riguardo alla sorte del rapporto, qualora non ne sia provata la sussistenza in mancanza di forma scritta, ma soprattutto qualora il suo svolgimento effettivo metta in luce condizioni diverse da quelle dovute per contratto o per legge.
Estremamente significativo in termini di confronto fra i regimi ricollegabili alle due fattispecie, di cui all’art. 2, co. 1 e, rispettivamente all’art. 47-bis, è il diverso rilievo del richiamo alla contrattazione collettiva. Dopo che l’art. 2, co. 1 ha previsto l’applicazione della normativa dettata per la subordinazione, il co. 2, lett. a), prescrive che, una volta accertata la sussistenza della fattispecie di cui al co. 1, può scattare la non applicazione di tale normativa “alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore”.
Invece, in presenza della fattispecie di cui all’art. 47-bis, co. 1, l’art. 47-quater, co. 1, D.lgs. n. 81/2015 prevede solo ed unicamente che “i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale possono definire criteri di determinazione del compenso complessivo che tengano conto delle modalità di svolgimento della prestazione e dell’organizzazione dei committenti”. In difetto di tali contratti, ai sensi del co. 2, il compenso deve essere calcolato non “in base alle consegne effettuate”, ma come “compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari di settori affini o equivalenti” stabiliti da contratti collettivi stipulati come sopra. C’è, poi, il co. 2 che rimette agli stessi contratti collettivi la garanzia di una “indennità integrativa non inferiore al 10 per cento per il lavoro svolto di notte, durante le festività o in condizioni metereologiche sfavorevoli”, e sempre in difetto di tali contratti la riserva ad un decreto del Ministro del Lavoro.
Tutto qui per quanto riguarda il trattamento economico, per quello normativo l’art. 47-quinquies, co. 1, D.lgs. n. 81/2015 prevede l’estensione della “disciplina antidiscriminatoria e quella a tutela della libertà e dignità del lavoratore previste per i lavoratori subordinati, ivi compreso l’accesso alla piattaforma”, dove la riproduzione della rubrica del Titolo I dello Statuto dei lavoratori, appunto “Della libertà e della dignità dei lavoratori”, sembra aprire la via ad una applicazione dello stesso, peraltro altamente problematica perché costruito a misura del lavoro in fabbrica. Peraltro, già questo co. 1 si fa carico del carattere specifico del lavoro dei rider, coll’includere “l’accesso alla piattaforma”; e, così, anche il co. 2 che vieta “l’esclusione dalla piattaforma e le riduzioni delle occasioni di lavoro ascrivibili alla mancata accettazione della prestazione”. A sua volta l’art. 47-sexties, D.lgs. n. 81/2015 dispone che i “dati personali dei lavoratori … sono trattati in conformità alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, e al codice di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.”
Non manca nell’art. 47-septies, il richiamo, nei co. 1 e 2, al T.U. n. 1124/1965, con l’estensione della copertura assicurativa obbligatoria, effettuata secondo la procedura per il calcolo del premio Inail, e con l’obbligazione a carico del committente di effettuare tutti gli adempimenti ivi previsti; e, nel co. 3, al D.lgs. n. 81/2008, per l’osservanza, a cura e spese, dello stesso committente della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Questi sono i “minimi di tutela” previsti dall’art. 47-bis per i lavoratori autonomi che svolgono l’attività di consegna beni per conto altrui seconda la modalità che vi è individuata, tant’è che gli articoli seguenti vi si riferiscono quasi sempre, rinviando ai “contratti individuali di lavoro di cui all’art. 47-bis” (art. 47-ter co. 1), ai “lavoratori di cui all’art. 47-bis” (art. 47-quater, co. 2 e 3, art. 47-quinquies co. 1), ai “lavoratori che svolgono la loro attività attraverso le piattaforme digitali” (art. 47-sexies), ai “prestatori di lavoro di cui al presente capo”, (art. 47-septies). Nessun dubbio che si tratti di una disciplina costruita a misura di una specifica fattispecie, non riconducibile sotto la copertura del novellato art. 2, co. 1 dello stesso D.lgs. n. 81/2015, con la conseguente prevista applicazione dell’intera normativa della subordinazione, tanto più che non manca di richiamarla alla bisogna (artt. 47-quinquies, co. 1, 47-sexties, 47-septies, co. 1, 2, 3).
Naturalmente non potendo negare che trattasi di una specifica fattispecie, si è cercato di ridimensionarne l’area di applicazione, forzando sulla già vista differenza fra la definizione di cui all’art. 2, che parla di “prestazioni … continuative”, e la definizione del 47-bis, che non accenna affatto alla durata delle prestazioni. Ma, a prescindere, dall’evidente forzatura letterale, risulta cosa evidente la differenza strutturale fra le due, perché la prima attiene a collaborazioni organizzate dal committente la cui continuità rappresenta una caratteristica naturale; mentre la seconda concerne una disponibilità, consensualmente determinata nella durata a svolgere attività puntuali rimessa volta a volta alla scelta del lavoratore. D’altronde quale sarebbe la linea distintiva da tracciare, quante volte alla settimana o al mese o all’anno per ricadere sotto l’art. 2, co. 1 o, invece, sotto l’art. 47-bis, con un salto non da poco, dalla normativa della subordinazione alla disciplina del Capo V-bis?
Non per nulla il legislatore teneva presente il caso rider Foodora, con un contratto a tempo determinato perché una società costituita per svolgere l’attività in parola, deve poter contare su una certa disponibilità di persone, sufficientemente ampia per poter scontare le eventuali carenze di risposte. Non è pensabile che il legislatore abbia apprestato un Capo V-bis solo per l’ipotesi priva di conferma nella realtà di prestazioni occasionali non inquadrate in un contratto a monte, che, invece è puntualmente previsto dall’art. 47-ter; tanto più che ha redatto tale Capo in via sperimentale, come conferma la previsione da parte dell’art. 47-octies di un Osservatorio, istituito al “fine di assicurare il monitoraggio e la valutazione indipendente delle disposizioni del presente capo”; indipendente fino a un certo punto, perché “presieduto dal Ministro o da un suo delegato e composto da rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori di cui al comma 1 dell’art. 47-bis”, ma questi devono essere “designati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale”.

7. Tornando, ora al CCNL rider, l’art. 1 (“definizioni”) individua la fattispecie ai “fini del presente contratto”, sì da delimitarla all’interno della stessa generica espressione di rider. Definisce, prima, le piattaforme come “le aziende che mettono a disposizione i programmi e le procedure informatiche che, indipendentemente dal luogo di stabilimento, sono strumentali alle attività di consegna dei beni”, con una riproduzione quasi alla lettera dell’art. 47-bis, co. 2. D.lgs. n. 81/2015. Descrive, poi, la figura rider tenuta presente, cioè i “lavoratori autonomi che decidono di svolgere attività di consegna beni per conto altrui”, con una riproduzione quasi alla lettera dell’art. 47-bis, co. 1, D.lgs. n. 81/2015.
Solo che tale descrizione legislativa della figura del rider è filtrata in dettaglio attraverso la vicenda dei rider Foodora, sì da ritornarvi ancor più larga negli artt. 3 (“caratteristiche del settore di Food Delivery”) e 7 (“definizione di rider, modalità e tipologia di collaborazione”). Secondo l’art. 3 quelli posti in essere sono contratti di lavoro autonomo ex art. 2222 c.c. o ex art. 409, n. 3 c.p.c., privi di vincoli di esclusiva, ed è ammessa la prestazione di servizi anche per piattaforme in concorrenza diretta”, dopo di che è riconosciuta ai rider la facoltà sia “di rifiutare le proposte di consegna nonché la possibilità di scegliere dove, come, quando e quanto rendersi disponibili”, sia “di connettersi o meno alle piattaforme software o applicazioni a sua discrezione”, se pur con la contestuale previsione che “l’accesso … alla piattaforma software della Piattaforma non comporta la garanzia di ricevere proposte di consegna”.
A sua volta, l’art. 7, dice che il rider tenuto presente è “… un lavoratore autonomo che, sulla base di un contratto con una o più Piattaforme, decide se fornire la propria opera di consegna dei beni, ordinati tramite applicazione”; “… la prestazione si concretizza nella consegna di cibo e altri prodotti ai clienti finali. Per fare ciò il rider è chiamato a recarsi nel luogo designato, ritirare i beni ed effettuare, con mezzo di trasporto proprio, la consegna al cliente finale”; “il rider per rendersi disponibile a ricevere proposte di consegna, può accedere alla piattaforma software della Piattaforma tramite log-in e ricevere proposte di prestazioni come definito sopra, senza che questo comporti accettazione delle stesse. Resta, comunque ferma per il rider la facoltà generale di accettare o meno le proposte di prestazione a suo insindacabile giudizio”; “il rider potrà decidere se e quando iniziare a connettersi alla piattaforma digitale e, anche se connesso alla stessa, se e quando accettare le richieste di servizio oggetto della prestazione. Il rider potrà autonomamente stabilire se e quando eseguire l’attività pattuita e, in caso di assenza non dovrà essere giustificata e la presenza non potrà essere imposta”; “il rider non potrà essere assoggettato ad alcun vincolo di orario. Ne consegue che la sua assenza non dovrà essere giustificata e la presenza non potrà essere imposta”; “il rider potrà determinare le modalità di esecuzione dell’eventuale prestazioni nell’ambito delle condizioni generali contenute nel contratto individuale”.
E c’è una ulteriore elencazione della flessibilità della prestazione del rider all’art. 10 (“compenso”), che, nell’elencare le modalità di effettuazione della prestazione che sono da tener presenti nella determinazione del compenso, riecheggia le modalità esecutive già descritte sopra, per rimarcarle ancor più nettamente. E, dopo aver prescritto nell’art. 8 (“forma del contratto di lavoro”), la forma scritta del contratto, vi elenca le prescrizioni che vi devono essere contenute, ivi compresa l’attribuzione al rider del diritto “di autoregolamentarsi nell’attività lavorativa, relativamente ai tempi, luoghi, orari e modalità di esecuzione della prestazione; per, poi, all’art. 9 (“recesso e cessazione del contratto individuale di lavoro), riconoscere al rider il diritto di “recedere unilateralmente dal contratto in qualsiasi momento con effetto immediato e senza alcun onere a suo carico …”.
Come si vede c’è una insistenza quasi ossessiva nel sottolineare l’ampia libertà dei rider, per poterne ribadire il carattere autonomo del contratto concluso, fino al punto di ridurlo ad un accordo quadro da cui nascono occasioni ma non obbligazioni, fino al momento in cui inizia la singola esecuzione. La preoccupazione che il rapporto che ne scaturisce possa essere qualificato come subordinato spinge ad affermazioni che escludono i tratti caratteristici della subordinazione: “il fatto che la proposta di prestazione includa l’indirizzo del luogo designato per il ritiro e per la consegna dei beni non costituisce direttiva ai fini dell’esecuzione della prestazione stessa …”; “i rapporti di lavoro regolati dal presente contratto sono autonomi, fra l’altro non sussistono obblighi di orario o reperibilità e la prestazione dei servizi è meramente eventuale, resta cioè fermo il diritto di non rendere alcuna prestazione”; “nell’ambito del rapporto è escluso l’assoggettamento del rider al potere gerarchico e disciplinare della Piattaforma, in quanto risulta assente qualsivoglia vincolo di subordinazione”. Ci si spinge ancora più in là, affermando che quanto disciplinato successivamente si applica a tutti i rider “il cui rapporto è regolato dal presente Contratto collettivo, a prescindere dalla tipologia del contratto di lavoro individuale … nell’ambito dei contratti d’opera ex art. 2222 c.c. o delle collaborazioni ex art. 409 n. 3 c.p.c.”.
Ora quello che conta è la ricostruzione della figura del rider deducibile dagli articoli del CCNL rider sopra citati, non la preoccupazione di escludere la natura subordinata. Si tratta di verificare se tale ricostruzione rientri nella definizione dell’art. 47-bis; l’impressione è che vi risulti addirittura trasbordante, sì da potersi rivelare eccessiva rispetto alla pratica. Se vi rientra, essa può ben essere qualificata autonoma, per forza di legge, non, come afferma la Nota dell’Ufficio legislativo del Ministero, per forza del CCNL rider che la declina in dettaglio. Certo tocca al giudice l’ultima parola sulla fattispecie concreta che sia stata costruita a misura di tali articoli contrattuali, ma la pronuncerà sulla sua riconducibilità alla fattispecie astratta qualificata come autonoma dall’art. 47-bis.

8. Il CCNL rider non ha ben presente l’autosufficienza della fattispecie astratta dell’art. 47-bis, tanto da riprendere nel suo art. 2 (“Quadro normativo”) gli articoli del D.lgs. n. 81/2015, 2, co. 1 e 47-bis, come se fossero entrambi rilevanti, mentre, invece, riguardano fattispecie astratte diverse, che mettono capo a discipline profondamente differenti: come visto, quella dell’art. 2, co. 1 non è individuata né come autonoma né come subordinata, con una protezione estesa all’intera normativa della subordinazione; mentre quella dell’art. 47-bis è indicata esplicitamente come autonoma, con una tutela minima.
In quell’art. 2 del CCNL rider appena citato, il riferimento cumulativo agli artt. 2, co. 1 e 47-bis è propedeutico al richiamo altrettanto cumulativo agli artt. 2, co. 2, lett. a) e 47-quater, co. 1, già riportati supra, con il rinvio ad accordi/contratti collettivi nazionali, stipulati da/dalle associazioni sindacali/organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentativi. Quanto ai soggetti c’è una sostanziale coincidenza, tranne che nell’utilizzo della particella da/dalle, ma a restare profondamente diversi sono gli oggetti di tali accordi/contratti, per l’art. 2, co. 2, lett. a), “il trattamento economico e normativo”, mentre per l’art. 47-quater “i criteri del compenso complessivo”.
Così, sempre nell’incertezza circa l’applicabilità dell’art. 2, co. 1 o dell’art. 47-bis, in quell’art. 2, CCNL rider, relativo al quadro normativo tenuto presente in sede di redazione del testo, si chiamano in causa sia l’art. 2, co. 2 (lett. a) che il 47-quater, co.1. Questo trova una precisa conferma nel successivo art. 5 (“validità e sfera di applicazione”), per cui “il presente contratto viene stipulato ai sensi e agli effetti dell’art. 2, co. 2, lettera a), nonché dell’art. 47-quater, comma 1, del D.lgs. n. 81 del 2015”.
Peraltro, della non fungibilità di questi due ultimi articoli pare rendersi conto lo stesso CCNL rider quando all’art. 10 (“compenso”), fa riferimento al solo art. 47-quater, co. 1, per considerare quali criteri di determinazione del compenso “distanza della consegna, tempo stimato per lo svolgimento della consegna, fascia oraria, giorno feriale o festivo, condizioni meteorologiche”, con la precisazione che “il Rider riceverà compensi in base alle consegne effettuate”.

9. La Nota dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro considera irrilevante il fatto che il CCNL rider sia stato sottoscritto prima della vigenza dell’art. 47-quater, prevista dall’art. 47-octies, in dodici mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione, che, comunque, sopravvenendo, avrebbe la prevalenza; e si concentra sulla critica gli artt. 10 e 11 CCNL rider che traducono quanto previsto da quell’art. 47-quater, ma tradendone l’effettivo significato .
Ci sarebbe contrasto con l’art. 47-quater, co. 1, dato che tale comma, utilizzando la particella “dalle”, lascerebbe capire che devono essere firmatarie tutte le organizzazioni legittimate a contrarre; per di più qui quella che ha sottoscritto il CCNL rider non lo sarebbe nemmeno, perché priva del requisito richiesto di essere comparativamente più rappresentativa. Ora la discussione circa l’uso della preposizione premessa al richiamo delle organizzazioni legittimate ad una contrattazione collettiva delegata dalla legge, “dalle” o “da”, è risalente ma non significativa, scontando una certa indifferenza del legislatore al riguardo, come conferma il caso assai più rilevante di cui all’art. 2, co. 2, lett. a). Qui, una volta accertata la sussistenza della fattispecie di cui al co. 1, prescrive la possibile disapplicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, qualora siano stipulati contratti collettivi disciplinanti il trattamento economico e normativo “da” e non “dalle” associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Sarebbe strana una interpretazione che, valorizzando “dalle”, richiedesse più organizzazione sindacali, si noti di datori e di lavoratori, per far scattare l’art. 47-quater, co.1, al solo fine di stabilire “criteri di determinazione del compenso complessivo” dei rider; mentre, prendendo atto di “da”, ritenesse sufficienti solo due, una per entrambe le parti, per far operare l’art.2, co. 2, lett. a), allo scopo, di ben maggior rilievo, di sostituire l’intera normativa della subordinazione con un “trattamento economico e normativo”.
Comunque, la rilevanza data alla differenza fra “dalle” e “da” fa da premessa a tutta la successiva argomentazione in tema di rappresentatività svolta nella Nota, sì da richiedere una valutazione unitaria. Secondo il suo punto c) “rileva non - e quindi non è sufficiente - … il possesso del criterio della maggior rappresentatività storica della organizzazione stipulante” che dà per scontato essere posseduto dalla Ugl, ma “il diverso e ulteriore requisito selettivo costituito dal parametro comparativo sul piano nazionale. Come chiarito dalla giurisprudenza il requisito della maggiore rappresentatività comparata presuppone un raffronto appunto di natura comparativa, specifico e concreto e di tipo eminentemente quantitativo, nell’ambito - che qui è di livello generale nazionale - considerato dalla legge”.
A voler muoversi nella stessa prospettiva della Nota , c’è certo da riconoscere che le due espressioni, maggiore rappresentatività e rappresentatività comparata, portano nella stessa denominazione la loro differenza, la prima definibile in sé e per sé; la seconda in confronto. Ma nella pratica tale differenza è risultata assai più nella finalità perseguita che nell’effettiva significanza: quanto alla finalità perseguita, la prima è servita fino al referendum abrogativo del 1995, a selezionare le confederazioni le cui federazioni fossero legittimate a costituire rappresentanze sindacali aziendali nelle unità produttive, mentre la seconda dovrebbe servire tutt’ora per scegliere fra più contratti collettivi che condividono la stessa categoria, quali scegliere in presenza di una delega da parte della legge; ma quanto all’effettiva significanza, la stessa giurisprudenza amministrativa citata nella Nota si è uniformata alla tendenza di richiamare per la seconda gli indici elaborati per la prima, con una significativa continuità, numero degli iscritti, diffusione geografica delle strutture del sindacato, stipulazioni di contratti collettivi.
Solo che tali critiche non sono condivisibili. Anzitutto la Nota non tiene conto dell’esplicito riconoscimento legislativo del rapporto di lavoro del rider come autonomo, in ragione del suo stesso svolgimento quale tipizzato dall’art. 47-bis, co. 1, ma con Cgil, Cisl, Uil favorevoli a qualificarlo come subordinato o a non qualificarlo affatto, lasciando tale compito al giudice, ritenuto propenso a battezzarlo come subordinato. Sì che, a modo di “compenso risarcitorio” di tale riconoscimento, viene, anzitutto prescritto nell’art. 47-quater, co. 1 il rinvio a contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, dando per scontato che siano quelle aderenti alle tre maggiori confederazioni. Del compromesso così effettuato c’è traccia nell’art. 47-octies, co. 2, dove, come già ricordato, viene previsto che l’Osservatorio permanente sia “composto da rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori di cui al comma 1 dell’art. 47-bis”, quindi Società gestrici di piattaforme digitali e rider, come tali costituenti la categoria professionale “secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore” di cui all’art. 2070 c.c., ma messi sotto tutela, in quanto “disegnati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionali”.
Solo che nell’art. 47-quater c’è un doppio rinvio alla contrattazione collettiva nazionale a firma delle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello: il primo di cui al co. 1, che per contrasto con il secondo di cui al co. 2, dovrebbe concernere il settore specifico dei rider definiti dall’art. 47-bis, con riguardo alla definizione dei “criteri di determinazione del compenso complessivo”; il secondo di cui al co. 2, destinato a scattare in difetto del primo, attiene “a settori affini o equivalenti”, con rispetto ad “un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari”. Ci sarebbe da richiamare qui l’art. 3, l. n. 142/2001, che, co. 1, per cui il trattamento economico complessivo del socio lavoratore sia “proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione del settore e della categoria affine”; ma aggiunge subito “ovvero per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo”.
Ora sembrerebbe quasi in previsione della prevedibile carenza di una contrattazione Cgil, Cisl, Uil ai sensi dell’art. 47-quater, co.1, data la loro opposizione a considerare i rider lavoratori autonomi, che questa è stata resa possibile ex art. 47-quater, co. 2, data la precedente stipula da parte delle loro federazioni dell’accordo 18 luglio 2018, integrativo del CCN, Logistica, relativo a “distribuzione delle merci con cicli, ciclomotori e motocicli (c.d. rider), ripreso da ultimo dall’accordo 2 novembre 2020.
Ma a disturbare il manovratore è intervenuto il CCNL rider, che ha suscitato la reprimenda dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro. Senza volersi far carico di una problematica affrontata da una vastissima produzione, c’è da notare come sia convinzione comune che la categoria non precede , ma segue la definizione offerta dalla contrattazione collettiva : la categoria è qui data dallo stesso CCNL rider , che la crea con una perfetta corrispondenza all’attività l’attività cui fanno comune riferimento entrambe le parti stipulanti, dei datori e .
Allora la maggiore rappresentatività comparativa richiesta per avvalersi dell’art. 47-quater, co.1, dovrebbe essere valutata con riguardo a Assodelivery e Ugl rider. Solo che la formula, costruita per esorcizzare la contrattazione pirata, dando per scontata la contestuale presenza di federazioni aderenti a Cgil, Cisl, Uil, si rivela sfasata rispetto alla situazione sotto esame, dove c’ è un solo contratto collettivo riferito allo specifico settore rider da tener presente alla luce del rilievo acquisito a tutt’oggi dalle parti stipulanti.
Se così è, non rimane che prendere atto che Assodelivery rappresenta circa il 90% delle società impegnate nella gestione delle piattaforme digitali, sì da conferire di per sé credibilità al sindacato Ugl rider; ma, poi, il sindacato Ugl rider aderisce alla confederazione Ugl, riconosciuta come dotata di maggiore rappresentatività, nato dalla adesione della Associazione nazionale autonomia rider, conta ancora una limitata base associativa, circa un migliaio, ma in un settore in lenta e faticosa sindacalizzazione . Mentre è prevedibile che la rappresentanza quasi totalitaria della Assodelivery assicuri al CCNL rider una larga efficacia, essendo tenuta a farlo applicare a tutti i rider utilizzati dalle società aderenti, a prescindere dalla loro iscrizione al sindacato Ugl rider.
Non pare possibile ritenere che a prevalere sia l’accordo 18 luglio 2018, come ripreso da quello del 2 novembre 2020, che pur dà atto, come attuativo dell’art. 47-bis ss., dell’esistenza di una fattispecie auto-sufficiente, con una sua propria specifica disciplina. A prescindere dalla loro esiguità contenutistica vis-à-vis del CCNL rider, determinante è il fatto che costituiscono una appendice del CCNL Logistica con riguardo ai lavoratori subordinati ivi impiegati, sottoscritto dalle stesse organizzazioni sindacali, prive di una specifica rappresentatività rispetto ai rider, che, da parte dei lavorato sono da Filt/Cgil, Fit/Cisl, Uiltrasporti, le federazioni categoriali della Logistica delle tre grandi confederazioni.

10. Una volta optato per la riconduzione del CCNL rider sotto l’art. 47-quater, co. 1, questo poteva definire “criteri di determinazione del compenso complessivo” come ha fatto col suo art. 10; ma così lo stesso CCNL escludeva la ricaduta sotto l’art. 47-quater, co. 2 che lo avrebbe costretto a non retribuire i rider secondo le consegne effettuate, ma a compensarli tramite un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari dei contratti collettivi di settori affini o equivalenti.
Solo, sempre per l’intento di coprire tutto lo spazio possibile, il CCNL rider, al suo art. 11, prevede sì un compenso correlato alle consegne, ma in vista di un compenso minimo per una o più consegne, “determinato sulla base del tempo stimato per l’effettuazione delle stesse”. Al riguardo la Nota dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro, obietta che, in forza di una interpretazione sistematica alla luce della ratio legis dell’art. 47-quater co. 1 e 2, l’obbligo a un rinvio ai contratti collettivi ivi previsti varrebbe non solo per il co. 2, che lo esplicita, ma anche per il co. 1, che non lo contempla, limitandosi a parlare di “criteri di determinazione del compenso complessivo”. Il che fa pensare che l’estensore di tale Nota, continui a ragionare come se il CCNL rider ricadesse sotto il co. 1 e non il co. 2, per poi, sostenere che le previsioni di quel contratto “non contemplano, all’apparenza alcuna garanzia minima in tal senso, già che paiono astrattamente consentire un compenso esclusivamente parametrato sulla base delle consegne effettuabili nel tempo unilateralmente stimato dalla piattaforma”.
Ora, è vero che il CCNL rider si barcamena in un quadro normativo confuso, così, come detto, richiamare nell’art. 10 (“compenso”) il 47-quater, co. 1, per quel che concerne i “criteri di determinazione del compenso complessivo”; e da riecheggiare nell’art. 11 (“compenso minimo per consegna”) il 47-quater, co. 2 per quel che attiene al “compenso minimo orario”. Ma resta pur sempre che lo stesso CCNL rider si muove sostanzialmente sotto la copertura dell’art. 47-quater, co.1, che non comporta il bando del compenso a consegna di cui al successivo co. 2.
D’altronde questa voce costituisce solo un minimo, non esaurisce il compenso del rider, che deve essere completato ai sensi sempre dell’art. 11 con l’indennità integrativa prevista dall’art. 47-quater, con riguardo al lavoro notturno, festivo, svolto in condizioni metereologiche sfavorevoli, nonché con i sistemi premiali di cui all’art. 11 .

 

 

 

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