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Il contesto: le piattaforme di food delivery: da economia “collaborativa” a economia “dei lavoretti”
L’emergenza da Coronavirus che ormai si trascina da più di un anno continua a fornire l’occasione di riflettere sulla fragilità e le contraddizioni del nostro mercato del lavoro, e più in particolare sulle condizioni di lavoro delle persone che operano con rapporti di lavoro atipico e autonomo, prive di sufficienti coperture.
Non sfugge sicuramente all’attenzione, testimoniata anche in questo ormai lungo periodo anche dalla stampa, la situazione di grande difficoltà nella quale i lavoratori delle piattaforme digitali e del food delivery hanno svolto e stanno svolgendo la loro prestazione.
L’economia delle piattaforme ha iniziato ad emergere ormai qualche anno fa. Ha lasciato molti, compreso il sindacato, disorientati. All’inizio, si è efficacemente nascosta dietro il concetto di economia collaborativa tanto che la stessa Commissione europea dedicò a questo fenomeno crescente una specifica comunicazione che la definiva così: “Cos'è l'economia collaborativa? Ai fini della presente comunicazione, l'espressione "economia collaborativa" si riferisce ai modelli imprenditoriali in cui le attività sono facilitate da piattaforme di collaborazione che creano un mercato aperto per l'uso temporaneo di beni o servizi spesso forniti da privati. L'economia collaborativa coinvolge tre categorie di soggetti: i) i prestatori di servizi che condividono beni, risorse, tempo e/o competenze e possono essere sia privati che offrono servizi su base occasionale ("pari") sia prestatori di servizi nell'ambito della loro capacità professionale ("prestatori di servizi professionali"); ii) gli utenti di tali servizi; e iii) gli intermediari che mettono in comunicazione — attraverso una piattaforma online — i prestatori e utenti e che agevolano le transazioni tra di essi ("piattaforme di collaborazione"). Le transazioni dell'economia collaborativa generalmente non comportano un trasferimento di proprietà e possono essere effettuate a scopo di lucro o senza scopo di lucro” .
Peccato che, eccetto rare eccezioni in cui il rapporto tra i soggetti si realizza davvero alla pari, andando a guardare dentro le modalità di svolgimento della relazione tra “i prestatori di servizio” e le “piattaforme di collaborazione” si scopre che non si tratta di un rapporto di agevolazione tra soggetti, ma di vere e proprie forme di lavoro svolte per un utente finale, rispetto alle quali la piattaforma mantiene il sostanziale controllo della prestazione effettuata e della stessa relazione con l’utente.
Da un po’ di tempo, abbandonato perché troppo riduttivo il termine di Economia collaborativa si è giunti a quello di Economia dei lavoretti o Gig economy. Anche qui lo stesso intento mistificatorio: gli acquisti di cibo a domicilio nel 2020 sono aumentati del 55% rispetto all’anno precedente e la crescita si mantiene poderosa anche per l’anno in corso, mentre quelli del grocery (cioè della consegna di prodotti del supermercato) addirittura del 113% raggiungendo rispettivamente le cifre ragguardevoli di oltre 1,4 miliardi e di 1,3 miliardi di euro di giro d’affari . Il mercato italiano in particolar nel food delivery è concentrato nelle mani di poche imprese riunite in Assodelivery, Glovo, UberEats, Deliveroo, FoodtoGo, Social Food. L’altra grande impresa, Just Eat, è uscita dall’associazione lo scorso anno per motivi legati all’applicazione contrattuale. La dimensione di queste imprese che di quel mercato sono circa il 90%, le fa rientrare senza alcun dubbio nel novero delle grandi imprese (in Italia basta avere 50 milioni di fatturato). Eppure, sia per loro esplicita ammissione, sia secondo quando da ultimo rilevato dall’INPS, il dato su dipendenti e collaboratori è sconcertante: 29 società su 50 non hanno dipendenti e collaboratori, 15 hanno 926 dipendenti, 6 hanno 537 tra collaboratori e dipendenti! Una risposta a come ciò sia possibile, si proverà a darla più avanti.
Siamo di fronte a colossi economici , a cui si addice poco la locuzione di Economia dei lavoretti perché è evidente dietro la definizione, l’obiettivo di svalorizzare la componente lavoro rispetto a società che in realtà sono degli importanti player economici. È noto, o almeno non è mai stato smentito, che le piattaforme chiedano all’esercente per il quale si propongono di svolgere un servizio, sia esso Mc Donald’s sia esso la piadineria sotto casa, circa il 30% dell’importo per ogni consegna. Stiamo parlando di un ricarico enorme che non esiste in nessun altro settore affine, come quello della consegna di pacchi, posta o altro.
A fronte di questa situazione, la condizione dei lavoratori è nota: pagati per stare in bicicletta 7 ore in un giorno e guadagnare se va bene 60 euro in qualsiasi condizione di tempo e mettendo a rischio la propria sicurezza; il tutto poi senza contribuzione previdenziale se, come sempre avviene all’inizio di questa esperienza lavorativa, sei un collaboratore autonomo occasionale, senza previdenza, senza malattia e altri diritti legati all’iscrizione INPS almeno fino a 5000 euro annui.
La giurisprudenza e la nuova normativa
L’ultimo anno e mezzo ha rappresentato un anno di straordinaria rilevanza dal punto di vista della evoluzione giurisprudenziale e della azione della magistratura a seguito della sollecitazione da parte del sindacato di una serie di pronunce su vari aspetti del lavoro svolto tramite piattaforma.
Certamente punto di riferimento fondamentale è la sentenza della Cassazione n.1663 del 24 gennaio 2020: la vicenda, ormai nota, affrontata dai giudici della suprema corte, riguarda un gruppo di rider di Foodora (ora Glovo), impresa tedesca di consegna dei pasti a domicilio, che erano ricorsi al giudice del lavoro per chiedere l’accertamento della natura subordinata o, in subordine, etero-organizzata dei rispettivi rapporti di lavoro.
Dopo che il Tribunale di Torino aveva rigettato in primo grado tutte le domande, la Corte di Appello a cui i lavoratori si erano rivolti, pur negando la configurabilità della subordinazione ha ritenuto però applicabile ai rider la disciplina dell’art. 2 del d.lgs. 81/2015 relativo alla collaborazione eterorganizzata.
Questa norma estende le tutele del lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Se la Corte di Appello individuava l’esistenza di una nuova figura intermedia tra subordinazione e autonomia (tertium genus) alla quale si applicano alcune tutele proprie del lavoro subordinato compatibili con la sua struttura, tra le quali gli standard retributivi minimi, i limiti di orario, la previdenza e le regole in materia di igiene e sicurezza, ma non la disciplina dei licenziamenti, i giudici di Cassazione hanno corretto la motivazione escludendo che si configuri un tertium genus con la conseguenza di selezionare la disciplina applicabile. Secondo i giudici l’art. 2 del d.lgs, 81/2015 sarebbe una norma di disciplina che non crea una nuova fattispecie. Il lavoro dei rider “etero-organizzati” mediante la piattaforma digitale, anche quando non ne venga accertata la “subordinazione” in senso tecnico e debbano quindi essere qualificati come “autonomi”, viene comunque attratto nella sfera di applicazione dell’intero insieme delle protezioni proprie del lavoro subordinato.
L’intervento della Corte di Cassazione si inserisce dunque in un quadro “protettivo” perseguito anche dal legislatore che prima della pubblicazione della sentenza era intervenuto sulla disciplina delle collaborazioni etero-organizzate con il decreto legge 101/2019 convertito nella legge 128/2019 .
La legge 128/2019, i cui contenuti sono richiamati in nota, stabiliva che il 2 novembre 2020 in assenza di una definizione contrattuale, si sarebbe applicato ai rider “un compenso minimo orario parametrato ai minimi tabellari stabiliti dai contratti collettivi nazionali di settori affini o equivalenti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale”. Tale disciplina si sarebbe applicata nel caso in cui la contrattazione non avesse stabilito entro quella data “criteri di determinazione del compenso complessivo che tengano conto delle modalità di svolgimento della prestazione e dell’organizzazione del committente”. “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 2 comma 1” (disciplina dell’eterorganizzazione), i nuovi articoli di cui sopra, dal 47bis in poi, si applicano “ai lavoratori autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore... anche attraverso piattaforme digitali”.
Inoltre, la legge apriva un fronte ulteriore di azione - che è stato praticato durante l’emergenza -, quello sulla salute e sicurezza dei lavoratori, imponendo l’iscrizione all’Inail dei lavoratori, al di là della loro qualificazione contrattuale, e l’applicazione del d. lgs. 81/2008. Anche sulla base delle nuove previsioni di legge, assieme alla Confederazione CGIL e alle altre due categorie interessate al tema, Filcams (Federazione del commercio e servizi) e Filt (Federazione trasporti e logistica), abbiamo richiesto e ottenuto che il giudice ordinasse ad alcune piattaforme di food delivery la consegna di dispositivi di protezione individuale (mascherine, gel disinfettate, guanti monouso e soluzione a base alcolica per la disinfezione dello zaino) ai propri lavoratori . Nell’ordinanza del Tribunale di Firenze dello scorso 5 maggio ’20 il Giudice, richiamando la sentenza di Cassazione, ritiene applicabile ai rider la disciplina della eterorganizzazione, pur considerando comunque responsabilità della piattaforma assicurare a tutti i propri collaboratori, al di là della qualificazione del rapporto, dispositivi di sicurezza a proprie spese. L’ordinanza di Firenze ha preceduto altri giudizi nella stessa direzione emessi dai Tribunali di Bologna e Roma.
Le difficili tappe della contrattazione: l’accordo con Takeaway
A fronte della data limite prevista dalla legge per la stipula di un accordo (2 novembre 2020), su istanza delle organizzazioni sindacali confederali, il ministero del Lavoro convocava nell’estate del 2020 un primo tavolo di confronto tra OO.SS. e Assodelivery per arrivare alla definizione di un accordo che applicasse la nuova normativa. Dopo le prime riunioni interlocutorie, a sorpresa il 15 settembre 2020, Assodelivery sottoscriveva con UGL un accordo che intendeva appunto dare applicazione al nuovo quadro normativo. Accordo che giudicammo subito politicamente scorretto in costanza di una trattativa aperta in ambito istituzionale, inaccettabile dal punto di vista del merito dell’accordo e carente dal punto di vista della legittimazione di parte sindacale dal punto di vista della rappresentatività.
Il merito dell’accordo contraddice la previsione normativa della impossibilità di pagamento a cottimo in base alle consegne effettuate in quanto l’artificio utilizzato è quello di prevedere sì una paga oraria ma solo per il tempo di consegna effettiva, una sorte di tariffa “a minutaggio” grazie alla quale il cottimo esce dalla porta per rientrare dalla finestra e cristallizza la situazione contrattuale dei lavoratori, sempre collaboratori autonomi occasionali o al massimo con partita Iva, derogando dalla disciplina dell’eterorganizzazione. Sugli aspetti formali ci torneremo.
A fronte di questa complessa situazione che si è andata delineando il sindacato si è messo su più versanti: un lavoro di organizzazione dei lavoratori iniziato tra il 2018 e il 2019 attraverso la creazione di nuclei organizzati (oggi siamo presenti come CGIL in oltre 20 città italiane), il sostegno e la promozione di azioni di mobilitazione dei lavoratori (30 ottobre 2020, 26 marzo 2021), la sollecitazione della riapertura di un tavolo istituzionale di confronto, l’impulso al contenzioso giudiziario su più punti, il riconoscimento della subordinazione o della collaborazione eterorganizzata , la discriminazione esercitata dall’algortimo , l’attività antisindacale ex art. 28 .
Dal punto di vista del tavolo istituzionale va registrata nel periodo immediatamente successivo all’accordo Assoelivery-Ugl una circolare del ministero del Lavoro che poneva dubbi molto rilevanti sulla legittimità dell’intesa sia dal punto di vista del merito (la riproposizione del cottimo travestita) sia dal punto di vista della rappresentatività del sindacato firmatario; una presa di posizione poi richiamata da una nota dell’Ispettorato nazionale del Lavoro che ne riprendeva ed esplicitava i contenuti ad uso della rete ispettiva. In realtà come CGIL avevamo da più parti interrogato le sedi territoriali su vari aspetti della condizione lavorativa e degli atteggiamenti discriminatori messi in atto dalle piattaforme nei confronti dei lavoratori che non avevano intenzione di accettare le nuove condizioni contrattuali peggiorative.
Da non sottovalutare rispetto a tutto il processo in atto le conseguenze dell’indagine della procura di Milano. I fatti sono noti: la procura nel maggio 2020 a seguito di un’indagine su Uber Eats per intermediazione illegale e caporalato ne dispose l’amministrazione giudiziaria; fu scoperto un sistema di sfruttamento del lavoro e illegalità sotto ogni profilo ai danni in particolare di lavoratori socialmente fragili, come richiedenti asilo e immigrati. Un elemento della vicenda che è stato poco sottolineato a mio parere è che questo sistema di sfruttamento si basava esattamente sulla possibilità di poter utilizzare una forma contrattuale come la collaborazione autonoma occasionale (la cosiddetta ritenuta d’acconto) che non prevede alcuna formalizzazione e che è stata ed è ancora utilizzata a piene mani nel delivery, che ormai non è più come dimostrano i dati solo food ma anche grocery. Nessuna contribuzione Inps nessuna comunicazione al centro per l’impiego, nulla di tracciabile: questo ha permesso a intermediari senza scrupolo di mettere in atto azioni di vero e proprio caporalato, sfruttamento e soggezione dei lavoratori. Su questo versante chiediamo al legislatore di intervenire per scoraggiare l’utilizzo improprio di forme contrattuali. Va, infine considerato che tale indagine poi estesasi a tutto il territorio nazionale ha portato alla irrogazione alle piattaforme di multe salatissime per 700 milioni di euro per il mancato rispetto degli obblighi di prevenzione dei rischi da lavoro conseguenti alla riqualificazione dei rapporti di lavoro in collaborazioni coordinate e continuative per 60 mila fattorini. Da ultimo anche il Garante per la privacy è intervenuto rilevando gravi infrazioni nei confronti dei lavoratori ad opera dell’algoritmo impiegato da Glovo elevando ammende per 2,6 milioni di euro.
Sul versante della legittimità è da ultimo intervenuta la sentenza del 30 giugno 2021 del Tribunale di Bologna che ha giudicato in prima battuta applicabile l’art. 28 legge 300/1970 alla fattispecie e di seguito UGL carente di “valido potere negoziale ai fini dell’effetto derogatorio” esercitato con l’accordo ai fini della disapplicazione della eterorganizzazione e quindi della disciplina del lavoro dipendente . Quella O.S. in sostanza, come sostenuto dalle strutture locali delle categorie ricorrenti della CGIL, Filcams, Filt e NIdiL, non è rappresentativa dei lavoratori rider e non può sottoscrivere un accordo in solitaria quando peraltro la legge parla di “organizzazioni sindacali”. Un’importante vittoria che interviene su un argomento molto delicato legato alla rappresentatività e quindi al potere di stipula di accordi valevoli per un’intera categoria di lavoratori in assenza, purtroppo, di una norma che applichi l’art. 39 della Costituzione. L’argomentazione del giudice di Bologna fa leva sul giudizio della Suprema Corte considerando il rapporto di lavoro con la piattaforma una collaborazione eterorganizzata (quindi con l’applicazione della disciplina del lavoro dipendente) e conseguentemente meritevole della “copertura” offerta dall’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori; inoltre circoscrive alle organizzazioni maggiormente rappresentative il potere derogatorio in merito alle collaborazioni eterorganizzate (D. Lgs. 81/2015 art. 2 c. 2 lettera a)).
È evidente che l’autonomia negoziale delle parti va esercitata dentro questo schema.
La novità dal punto di vista negoziale più rilevante è quella intervenuta il 30 marzo 2021 con l’accordo integrativo aziendale sottoscritto tra le organizzazioni sindacali confederali dei lavoratori dei trasporti e degli atipici (per la CGIL, Filt e NIdiL), con Takeaway (Just Eat) una delle principali imprese del settore che, uscita da Assodelivery alla fine dello scorso anno, inizia una trattativa con le OO.SS. confederali per la ricerca di un accordo che abbia alla base il lavoro subordinato. L’accordo sopraggiunto è incardinato sulla applicazione del CCNL Logistica; c’è un parziale adattamento della parte normativa in particolare in relazione all’orario e alla sua distribuzione annuale, alle peculiarità del food delivery e un percorso di avvicinamento al pieno trattamento economico in un arco temporale biennale; è prevista la clausola di assorbimento di tutti i lavoratori precedentemente impiegati con altre forme lavorative autonome nell’organico aziendale.
Un accordo per certi versi storico (vista che si tratta dell’unico a livello europeo) che segna per questo mondo dal punto di vista sindacale, un punto di riferimento rispetto al quale orientare le azioni future.
Si tratta di capire se la negoziazione per stipulare un’intesa in grado di regolare efficacemente l’intero settore possa riaprirsi. Un piccolo segno di avvicinamento come esito dell’ultima tornata di incontri ministeriali, risalente ormai al dicembre 2020, è stato il protocollo contro il caporalato sottoscritto tra le organizzazioni confederali e Assodelivery nel marzo di quest’anno.
Come emerge da questa ricostruzione, alla luce della peculiare difficile condizione dei lavoratori del food delivery dal punto di vista contrattuale, delle specifiche modalità di svolgimento della prestazione in strada, abbiamo perseguito come sindacato un percorso complesso che si compone di azioni il più possibile coordinate: organizzazione dei lavoratori, mobilitazione degli stessi, comunicazione esterna, stimolo alle pronunce giurisprudenziali e alle iniziative dell’Ispettorato, contrattazione. Un percorso difficile, per certi versi inedito nell’equilibrio tra contrattazione e vertenzialità ancora senza una definitiva soluzione.
Il punto che appare dirimente per la possibile riapertura di una trattativa è quello legato alla qualificazione dei rapporti di lavoro. La qualità e la quantità dei pronunciamenti della giurisprudenza in merito (collaborazione eterorganizzata), nonché la stipula dell’accordo Just Eat (subordinazione), lasciano spazio, a nostro parere, solo ad accordi che mettano in discussione la tipologia contrattuale utilizzata, la collaborazione autonoma occasionale. Superato questo scoglio, lo spazio per un’intesa che, salvaguardando le condizioni reddituali e le tutele dei lavoratori ai quali va riconsegnata la piena dignità, contratti l’organizzazione del lavoro, è possibile.

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