Testo integrale con note e bibliografia

1. Il lascito del lavoro agile pandemico
Tra gli strumenti ai quali si è fatto ricorso per il contenimento della pandemia, il lavoro agile ha assunto un rilievo determinante, che ne ha comportato un’ampia diffusione, sconosciuta in precedenza .
Esso si è caratterizzato – per il vero, non solo nell’ambito delle pubbliche amministrazioni – da un lato, per la funzione ulteriore che ha assunto, quale misura a tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro nonché di salvaguardia della salute pubblica , e, dall’altro, per la disciplina semplificata che ne è stata dettata, rispetto alle prescrizioni normative della legge n. 81/2017, che lo regola .
Al fine di facilitare la trasformazione della prestazione lavorativa ordinaria in lavoro agile, così da estenderne l’utilizzo, infatti, si è consentito ai lavoratori di utilizzare i propri dispositivi digitali, sollevando così le pubbliche amministrazioni dalla responsabilità per il loro buon funzionamento e la sicurezza , nonché dall’obbligo di fornire ai lavoratori un’adeguata informativa scritta . Inoltre, il lavoro agile pandemico è stato propriamente attuato nella forma di home working, perché la prestazione di lavoro è stata svolta – e continua ad esserlo - esclusivamente presso il domicilio del lavoratore, per l’intera settimana o a giorni alterni, a seconda della diversa gravità delle fasi della pandemia e delle ordinanze sanitarie di conseguenza adottate dal Governo. Ma soprattutto, per ricorrere al lavoro agile non si è reso necessario sottoscrivere un patto individuale, accessorio al contratto di lavoro subordinato, operando così la deroga più rilevante alla normativa generale sul lavoro agile, in quanto la sua introduzione è stata rimessa al potere unilaterale delle pubbliche amministrazioni .
La sperimentazione pandemica del lavoro agile, pur con tutte le sue peculiarità, ha avuto il merito di evidenziare le potenzialità e i limiti dello strumento, su cui si appuntano i più recenti interventi normativi occorsi e quelli ancora attesi, e pertanto non può essere considerata una semplice parentesi da lasciarsi quanto prima alle spalle .
In particolare, la pandemia ha contribuito all’inequivoco disvelamento della necessaria interconnessione tra lo sviluppo organizzativo e tecnologico delle amministrazioni e la flessibilità spazio-temporale della prestazione lavorativa. Non è un caso che le esperienze migliori di lavoro agile pandemico abbiano interessato le amministrazioni che già avevano intrapreso un percorso sperimentale in questa direzione.
Del resto, nelle fonti regolative che si sono susseguite dal 2015 ad oggi in materia di lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni , il necessario presupposto dell’individuazione dei modelli organizzativi e gestionali da adottare per un’efficace implementazione del lavoro agile non è mai stato trascurato, sul piano del dettato normativo.
Emblematica in tal senso è la prima Direttiva Ministeriale adottata al riguardo, la n. 3 del 2017 , che definiva le linee guida per l’adozione di misure di organizzazione del lavoro finalizzate alla conciliazione e, in questa logica, forniva indicazioni in merito all’utilizzo del lavoro agile, soffermandosi sugli aspetti organizzativi, di gestione del rapporto di lavoro e di relazioni sindacali, con particolare attenzione per i profili concernenti le infrastrutture tecnologiche e la protezione dei dati; la misurazione e la valutazione della performance; la salute e la sicurezza sul lavoro.
Semmai, è sul piano applicativo che più di qualcosa non ha funzionato in passato.

2. Il lavoro agile e il ritorno in presenza
La finalità di tutela della salute e sicurezza, perseguita attraverso il lavoro da remoto a ridosso delle fasi più difficili della pandemia, si avvia ad essere ridimensionata, sia pure con le necessarie cautele.
Nel Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, firmato dal Ministro Brunetta con le maggiori sigle sindacali il 10 marzo 2021, è stato stabilito che “con riferimento alle prestazioni svolte a distanza (lavoro agile), occorre porsi nell’ottica del superamento della gestione emergenziale, mediante la definizione, nei futuri contratti collettivi nazionali, di una disciplina che garantisca condizioni di lavoro trasparenti, che favorisca la produttività e l’orientamento ai risultati, concili le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori con le esigenze organizzative delle Pubbliche Amministrazioni, consentendo, ad un tempo, il miglioramento dei servizi pubblici e dell’equilibrio fra vita professionale e vita privata”.
Ed in effetti, la Direttiva del Ministero relativa alla sessione di contrattazione collettiva per i rinnovi 2019-21 ha riconosciuto il ruolo fondamentale dei contratti collettivi nella definizione di un quadro normativo comune per i patti di lavoro agile. In particolare, si è previsto che “la contrattazione collettiva dovrà disciplinare, in relazione al lavoro agile, aspetti del rapporto di lavoro, delle relazioni sindacali e dei diritti sindacali (quali il diritto alla disconnessione, le fasce di contattabilità, il diritto alla formazione specifica, il regime dei permessi e delle assenze, delle relazioni sindacali e dei diritti sindacali nonché gli altri istituti del rapporto di lavoro disciplinati dal contratto nazionale che esigono adattamenti nel caso di lavoro eseguito non in presenza e che si ritiene opportuno regolare)”.
Si tratta, cioè, di regolamentare alcune di quelle criticità che sono emerse nell’esperienza applicativa forzata occasionata dalla pandemia e che non trovano adeguata risoluzione nelle norme della legge del 2017, che peraltro non si intende, almeno allo stato, modificare.
Le trattative sindacali sono in stato di avanzato svolgimento e, a quanto consta, è ormai prossima la stipula del contratto collettivo per i dipendenti delle Funzioni Centrali, le cui soluzioni regolative fungeranno, come di consueto, da apripista per gli altri comparti.
Nelle more dell’introduzione di tale disciplina negoziale a regime, tuttavia, si sono susseguiti una serie di interventi regolativi diretti a favorire il rientro dei dipendenti nelle sedi di lavoro, attuando, dunque, un progressivo ridimensionamento del ricorso al lavoro agile nella modalità emergenziale, fatta eccezione per i lavoratori c.d. fragili.
Si tratta dei lavoratori dipendenti pubblici e privati “in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita”, nonché dei lavoratori con disabilità grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Costoro possono continuare a lavorare in smart-working secondo i criteri fissati dall’art. 26, c. 2-bis del decreto legge n. 18/2020 convertito dalla legge n. 27/2020, vale a dire, anche “attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti, o lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale anche da remoto” .
Al fine di promuovere il rientro al lavoro, incrementando contestualmente l’efficacia delle misure di contrasto al fenomeno epidemiologico già introdotte dalle amministrazioni pubbliche, è intervenuto il decreto legge 21 settembre 2021, n. 127, che, all’ articolo 1, ha esteso l’obbligo del possesso della certificazione verde Covid-19 anche ai lavoratori del settore pubblico.
Su tali presupposti, il d.P.C.M. 23 settembre 2021, adottato su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, ha disposto che, a decorrere dal 15 ottobre 2021, la modalità ordinaria di svolgimento delle prestazioni lavorative nel settore pubblico sia quella in presenza. Le ragioni di tale scelta, esplicitate nella premessa al disposto normativo del decreto, sono ricondotte alla necessità di “consentire alle amministrazioni pubbliche di operare al massimo delle proprie capacità”, così da offrire “il massimo supporto alla ripresa delle attività produttive e alle famiglie”, in particolare con riferimento alle attività connesse all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Traspare con evidenza dalle motivazioni poste alla base di questa previsione la preoccupazione che la remotizzazione del lavoro, se non adeguatamente perseguita ed attuata, possa incidere sull’efficacia e soprattutto sull’efficienza dell’azione amministrativa, ritenuta assolutamente essenziale ed imprescindibile per la realizzazione degli obiettivi indicati dal P.N.R.R.
Per regolare il rientro in presenza sono state adottate le Linee Guida per il controllo sul possesso del green pass , nelle quali si rinvengono anche alcune previsioni relative al lavoro agile, dettate in ossequio a finalità anti-elusive dell’obbligo di certificazione.
In primo luogo, infatti, viene preclusa alle amministrazioni la possibilità di individuare i lavoratori da adibire al lavoro agile sulla base del mancato possesso della certificazione verde. Il ricorso a tale modalità di esecuzione della prestazione lavorativa deve avere ben altre e fondate ragioni a supporto, che non possono evidentemente essere individuate nell’aggiramento di obblighi di legge. Analogamente, è vietato disporre l’assegnazione al lavoro agile in favore del dipendente che abbia dichiarato di avere il green pass e ne sia, invece, risultato sprovvisto a seguito di un controllo disposto a campione nel corso della giornata lavorativa. Al verificarsi di una simile evenienza, il lavoratore dovrà essere allontanato dal luogo di lavoro e considerato assente ingiustificato .
Il quadro normativo delle misure atte a favorire il rientro dei lavoratori pubblici in sede si è completato con l’introduzione, a partire dal 15 dicembre 2021, dell’obbligo vaccinale per il personale delle istituzioni scolastiche, del comparto sicurezza, della polizia locale e delle istituzioni penitenziarie , che si è aggiunto a quello già previsto per il personale sanitario .

3. Il decreto ministeriale di ottobre 2021 e le nuove Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche.
Le misure organizzative da adottare per il ritorno allo svolgimento delle attività lavorative nelle sedi di servizio sono state individuate dal decreto del Ministro Brunetta dell’8 ottobre 2021.
Nel decreto si ribadisce che il lavoro agile non è più una modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa, ma soprattutto si prevedono una serie di condizionalità per le amministrazioni che intendano farvi ricorso nelle more della regolamentazione contrattuale e della predisposizione dei Piani integrati di attività e organizzazione (P.I.A.O) , da formulare entro il 31 gennaio di ogni anno, come già i Piani organizzativi per il lavoro agile (P.O.L.A.) , che i primi sono destinati a sostituire, recependone i contenuti.
I Piani integrati di attività e organizzazione, che avranno durata triennale ma con aggiornamento annuale, accorperanno, tra gli altri, i piani della performance, del lavoro agile, della parità di genere e dell’anticorruzione. La ratio di questa scelta regolativa consiste nella volontà di far adottare alle amministrazioni una visione unitaria della propria programmazione strategica per evitare duplicazioni, nonché conseguire maggiore trasparenza a beneficio dei cittadini. Ogni amministrazione dovrà, quindi, predisporre un unico Piano con sezioni specifiche, indicando la programmazione degli obiettivi, le azioni da intraprendere, gli indicatori di performance. A proposito del lavoro agile, si prevede che debbano essere definiti “la strategia e gli obiettivi di sviluppo di modelli di organizzazione del lavoro, anche da remoto, adottati dall’amministrazione”, nonché gli istituti del lavoro agile stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale .
Tra le diverse condizionalità imposte dal Ministero alle pubbliche amministrazioni per il ricorso al lavoro agile figurano la disponibilità di piattaforme digitali o cloud, o comunque di strumenti tecnologici idonei; la definizione di piani di smaltimento degli arretrati; l’adozione del principio di rotazione dei lavoratori e l’individuazione dei contenuti necessari dell’accordo individuale, come la previsione di specifici obiettivi per la prestazione da rendere in modalità agile.
Se la si considera in coerenza con l’attività programmatoria unificata da realizzare attraverso l’adozione del nuovo Piano integrato, la stretta imposta dal Ministro Brunetta per il ricorso al lavoro agile da parte delle pubbliche amministrazioni assume i connotati di un realistico richiamo ad un impiego responsabile di questa modalità flessibile di svolgimento della prestazione lavorativa, che impone di salvaguardare, in ultima istanza, il diritto dei cittadini a non subire pregiudizio nella fruizione dei servizi. Non va dimenticato, infatti, che esso è stato introdotto dal legislatore quale strumento di potenziale virtuoso contemperamento tra le esigenze organizzative (delle aziende e) delle amministrazioni, tese ad incrementarne l’efficienza e la produttività, e le istanze di conciliazione vita-lavoro dei loro dipendenti . E neppure può trascurarsi che le esigenze delle pubbliche amministrazioni, sul piano micro dell’organizzazione e gestione del lavoro, sono condizionate al rispetto delle scelte organizzative definite a livello macro in funzione degli interessi dei cittadini utenti. Il ricorso indiscriminato al lavoro agile, se appare giustificato nel regime emergenziale causato dalla pandemia, potrebbe rivelarsi addirittura un boomerang per le amministrazioni impreparate a gestirlo. Di conseguenza, le condizionalità imposte dal decreto di ottobre 2021 andrebbero considerate come incentivi alle amministrazioni per migliorare gli standard quali-quantitativi di esercizio delle funzioni e di erogazione dei servizi pubblici, attraverso interventi sui loro assetti organizzativi, piuttosto che come penalizzazioni.
Nello stesso senso può essere letta la riduzione della soglia percentuale minima di accesso al lavoro agile per le amministrazioni, passata dal 60 al 15 per cento . Per accedere a soglie più elevate le amministrazioni dovranno dotarsi di risorse organizzative adeguate. In realtà, bisognerà verificare se tale limite percentuale, che doveva essere previsto nei Piani organizzativi del lavoro agile, sarà riproposto anche in relazione ai nuovi Piani integrati di attività e organizzazione.
Al fine di addivenire ad una omogenea attuazione delle misure organizzative da adottare per il ritorno allo svolgimento delle attività lavorative nelle sedi di servizio, è stata prevista l’adozione di Linee guida ministeriali .
Nella bozza disponibile al momento in cui si scrive, concernente le modalità di superamento della fase emergenziale per lo sviluppo del lavoro agile , si rinvengono indicazioni operative rivolte alle amministrazioni, che, per quanto espressamente dichiarato, sono destinate a perdere efficacia una volta che saranno siglati i contratti collettivi nazionali di lavoro (v. premessa). Questi, infatti, disciplineranno a regime l’istituto, fatta eccezione per gli aspetti riservati alla fonte unilaterale. In questa logica, sono certamente destinate a sopravvivere in ogni caso le disposizioni concernenti le condizionalità per il ricorso al lavoro agile, nella misura in cui attengono agli assetti organizzativi delle amministrazioni, già previste nel decreto di ottobre e qui ulteriormente dettagliate (parte I, par. 2). Lo stesso può ritenersi per le previsioni concernenti le modalità di utilizzo delle strumentazioni tecnologiche, che saranno di norma fornite da parte delle amministrazioni, e le conseguenti misure atte a garantire standard di sicurezza e tutela dei dati da possibili minacce provenienti dalla rete (parte II, par. 1). È rimesso, altresì, alle amministrazioni il compito di individuare le attività che possono essere effettuate in lavoro agile, previo confronto con le organizzazioni sindacali (parte II, par. 2).
Sul fronte della disciplina del rapporto di lavoro, è presumibile ritenere che le opzioni regolative concernenti i contenuti dell’accordo individuale, l’articolazione della prestazione (che investe anche la fruibilità di istituti come la disconnessione, i permessi e i congedi, il lavoro straordinario, la trasferta, etc.) e la formazione dei lavoratori agili (parte II, parr. 3-5), stanti le trattative in corso, costituiscano un’anticipazione - almeno in parte - dei futuri contenuti negoziali. Considerato che si tratta ancora di un testo in bozza, appare prematura un’analisi di dettaglio delle singole disposizioni, meritano, però, di essere segnalati alcuni contenuti integrativi rispetto alle previsioni legali. Ad esempio, con riferimento alla disciplina del recesso, si prevede che le ipotesi di giustificato motivo che ne legittimano l’esercizio anticipato debbano essere specificate nel patto individuale, affinché siano superate quelle incertezze interpretative che il dettato legislativo si presta a suscitare. Inoltre, relativamente alla flessibilità oraria della prestazione, che parrebbe limitata alla sola collocazione temporale, si identifica una fascia di “inoperabilità”, coincidente (sembrerebbe) con la disconnessione, la quale comprende le 11 ore di riposo giornaliero, ma non si direbbe esaurirsi in quelle. A proposito della formazione, poi, se ne ampliano i contenuti oltre i profili relativi alla salute e sicurezza per lo svolgimento della prestazione fuori dall’ambiente di lavoro, per comprendervi lo sviluppo delle competenze organizzative necessarie al lavoratore agile, ma anche al management pubblico che lo deve gestire, che riguardano in particolare il saper lavorare in autonomia, l’empowerment, la delega decisionale, la collaborazione e la condivisione delle informazioni.
La disposizione che risulta più ambigua, tant’è che la Conferenza unificata Regioni e Province autonome ha proposto di eliminarla , è contenuta nel par. 6 delle Linee guida sul lavoro agile e attiene alla disciplina del lavoro da remoto, identificato con il telelavoro domiciliare e altre forme di lavoro a distanza, quali il co-working e il lavoro da centri satellite. Tenuto distinto dal lavoro agile, il lavoro da remoto si caratterizzerebbe per la sola modificazione del luogo di adempimento della prestazione lavorativa, mentre dovrebbe essere prestato con vincolo di tempo e, quindi, nel rispetto dei “medesimi obblighi derivanti dallo svolgimento della prestazione lavorativa presso la sede dell’ufficio, con particolare riferimento al rispetto delle disposizioni in materia di orario di lavoro”. Esso andrebbe, peraltro, svolto di norma in alternanza con il lavoro prestato presso la sede dell’ufficio. Per il lavoro da remoto con vincolo di tempo, inoltre, sarebbero garantiti “tutti i diritti giuridici ed economici previsti dalle vigenti disposizioni legali e contrattuali per il lavoro svolto presso la sede dell’ufficio, con particolare riferimento a riposi, pause e permessi orari e trattamento economico accessorio” .
La previsione in analisi, nel prendere atto di quanto concretamente verificatosi durante la pandemia nell’utilizzo del lavoro agile da parte di numerose amministrazioni, totalmente impreparate alla remotizzazione del lavoro, intende confermare la possibilità di avvalersi del lavoro a distanza per le amministrazioni che non hanno – o per lo meno, non ancora – la capacità di dotarsi delle strutture tecnologiche e di sviluppare la cultura organizzativa, entrambe necessarie per supportare l’implementazione del lavoro agile.
Questa disposizione delle linee guida, in fondo, non fa che dare conferma all’interpretazione sistematica delle norme sul lavoro agile, per cui, per un verso, la definizione offertane dall’art. 18, l. n. 81/2017 contempla una pluralità di modalità di esecuzione della prestazione agile, la cui forma più evoluta è certamente quella “per fasi, cicli e obiettivi” e, per altro verso, esso rappresenta insieme con il telelavoro (a domicilio, alternato, in centri satellite) una species del più ampio genus del lavoro a distanza, conseguentemente esponendosi a contaminazioni tra le rispettive discipline .

4. Il lavoro agile nella transizione digitale
Nelle linee guida fin qui descritte, il lavoro agile è espressamente riconosciuto come “uno strumento di innovazione organizzativa e di modernizzazione dei processi” (parte II, art. 2).
Chi scrive ha già avuto modo di sostenere, in altra sede , che l’utilizzo del lavoro agile può rappresentare un volano per l’innovazione delle amministrazioni pubbliche, favorendo un approccio bottom-up in questa direzione. E ne sono ancora convinta.
A rafforzare tale convinzione contribuisce il rilievo strategico che nell’azione di governo è assicurato agli obiettivi di buona amministrazione e digitalizzazione, come si evince tanto dalle Linee guida del Ministero della pubblica amministrazione di inizio mandato, che hanno introdotto il “nuovo” alfabeto per la p.a., quanto dal Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, ove vengono altresì coniugati con il perseguimento di obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale, istituzionale e occupazionale.
I temi della buona amministrazione e della digitalizzazione, in realtà, non sono affatto nuovi, in quanto accompagnano, da lungo tempo ormai, il cantiere sempre aperto nel nostro paese della modernizzazione delle pubbliche amministrazioni. Se questo è vero per la digitalizzazione, percorso intrapreso almeno a partire dall’approvazione del Codice per l’amministrazione digitale (d.lgs. n. 82/2005), lo è ancor più per gli obiettivi di buona amministrazione, che hanno contrassegnato i processi riformatori fin dagli anni ’90 del secolo scorso.
Può definirsi buona amministrazione l’azione degli apparati pubblici orientata - tanto nell’erogazione dei servizi quanto nell’esercizio delle proprie funzioni – al perseguimento di obiettivi di giustizia sostanziale. Tale nozione è sintonica con l’interpretazione delle norme costituzionali sull’amministrazione pubblica secondo la quale, con riferimento al rapporto con i cittadini, va esaltata la dimensione del servizio anziché quella del potere . Le finalità che emergono dalla lettura della premessa alle Linee guida di marzo 2021, come “garantire a cittadini e imprese servizi adeguati a soddisfare le loro esigenze di vita e di attività”, fare delle amministrazioni uno strumento per contrastare le diseguaglianze, nonché “un acceleratore della crescita economica e sociale, un catalizzatore della ripresa”, certamente sono coerenti con il modello di buona amministrazione evocato.
In stretta connessione con gli obiettivi di buona amministrazione si pone il tema della digitalizzazione, in rapporto di reciproca strumentalità con la semplificazione: quest’ultima può favorire la transizione al digitale, che a sua volta facilita l’innovazione organizzativa. Si sottolinea, infatti, l’importanza di procedere alla reingegnerizzazione dei processi e dei procedimenti amministrativi nel ripensare la p.a. in chiave digitale. In quest’ambito operativo l’attenzione per il cittadino torna ad essere prioritaria, senza trascurare i benefici per le imprese, con l’obiettivo di superare diseguaglianze sociali e territoriali. A tal proposito, si ravvisa la necessità di operare un cambio di passo in termini di riduzione dei tempi dei servizi: eliminazione degli adempimenti basati sui dati già disponibili; calibrazione sulle specifiche esigenze del cittadino e dell’impresa; rilevazione della soddisfazione del cliente rispetto a degli standard di servizio indicati preventivamente. Sul fronte interno all’amministrazione, quello dei rapporti di lavoro, reclutamento e definizione delle competenze sono indicati tra i terreni di elezione della digitalizzazione, rispettivamente assunta come strumento di semplificazione per l’uno e presupposto di valorizzazione professionale per l’altra.
Per rispondere al meglio ai “nuovi e mutati” bisogni dei cittadini e delle imprese e soddisfarne così le legittime pretese, l’azione amministrativa non deve solo essere semplificata ma anche rapida e tempestiva. A tal fine, l’investimento in digitalizzazione è fondamentale per conseguire livelli adeguati di flessibilità organizzativa, che non sarebbero possibili senza la partecipazione attiva dei lavoratori. Con la stipula del Patto, infatti, le parti firmatarie hanno inteso avviare una nuova stagione di relazioni sindacali, per un verso, rafforzando il confronto sulla organizzazione del lavoro e le sue evoluzioni, conseguenti alla innovazione digitale, e, per altro verso, attribuendo “efficacia conclusiva alla stagione di rinnovi contrattuali del triennio 2019-2021”.
Tanto la semplificazione dei processi per una buona amministrazione quanto la transizione al digitale postulano interventi regolativi in materia di definizione delle competenze, valorizzazione della formazione, continua e certificata e, quindi, anche un ricorso mirato e selettivo al lavoro agile trova piena cittadinanza in tale contesto. Nella medesima prospettiva si colloca, sul fronte delle relazioni collettive di lavoro, la volontà di valorizzare gli Organismi paritetici per l’innovazione, istituiti dai contratti collettivi di comparto 2016-18, ma rimasti diffusamente confinati a livello di potenzialità inespresse . Questi organismi sono stati concepiti come la sede privilegiata per attivare relazioni stabili, aperte e collaborative “su progetti di organizzazione e innovazione, miglioramento dei servizi, promozione della legalità, della qualità del lavoro e del benessere organizzativo - anche con riferimento alle politiche formative, al lavoro agile ed alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, alle misure di prevenzione dello stress lavoro-correlato e di fenomeni di burn-out - al fine di formulare proposte all’amministrazione o alle parti negoziali della contrattazione integrativa” .
Non siamo certamente all’anno zero sul fronte della digitalizzazione, da tempo nelle amministrazioni si lavora in questa direzione, con i Piani triennali per l’informatica, con l’investitura dei Responsabili per la transizione digitale , con i Programmi di sviluppo delle competenze digitali , per la prima volta da tempo, però, grazie alle risorse collegate al Piano di Ripresa e Resilienza, tutto questo non dovrà compiersi ad invarianza di costi e senza aggravio dei bilanci per le amministrazioni. Un simile investimento costituisce una preziosa opportunità e può fare veramente la differenza, sempre che ci siano volontà e capacità degli organi di vertice e del management pubblico di impegnarsi sul serio per realizzare obiettivi di buona amministrazione.

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