Testo integrale con note e bibliografia

1) Premessa
Il binomio appalti – lavoro autonomo ha catalizzato l’attenzione del legislatore nell’ultimo quinquennio, dopo un lungo periodo di generale disinteresse.
Nello specifico si allude, in ordine cronologico, al d.lgs. n. 50/2016, Codice dei contratti pubblici, e alla l. n. 81/2017 che negli articoli da 1 a 17 ha dettato una serie di disposizioni protettive del lavoro autonomo, da qualcuno definite come il “Jobs Act” del lavoro autonomo , in ideale continuità con quello del lavoro subordinato, varato con la legge delega n.183/2014 e gli otto decreti delegati attuativi.
In entrambi i casi si è in presenza di norme finalizzate alla tutela di una categoria di prestatori di lavoro storicamente posti su un piano di parità col committente, secondo la logica liberale di cui è permeato il codice civile, ma che crisi cicliche e globalizzazione hanno mostrato essere oramai connotati da fragilità sociale e dipendenza economica.
Il tratto comune ad entrambi gli interventi citati - che in qualche modo disvela il tendenziale rifiuto dell’ordinamento, salvo qualche eccezione, ad avvicinare l’area dell’autonomia a quella della subordinazione – è l’attrazione dei lavoratori autonomi verso l’area dell’impresa, specie la piccola impresa, con una frammistione concettuale foriera di grossi problemi applicativi.
È il caso dell’articolo 105, comma 3, d.lgs. 50/2016, al quale è dedicata questa riflessione, secondo cui: “Le seguenti categorie di forniture o servizi, per le loro specificità, non si configurano come attività affidate in subappalto:
a) l'affidamento di attività specifiche a lavoratori autonomi, per le quali occorre effettuare comunicazione alla stazione appaltante; (omissis).

La norma innanzi trascritta, quindi, esclude la riconducibilità all’interno del sub-appalto e della relativa disciplina dettata dall’art. 105, dell’affidamento di attività specifiche a lavoratori autonomi, ponendo il problema interpretativo di quando ricorrono i due requisiti che consentono l’esclusione: in primo luogo la specificità dell’attività affidata; in secondo luogo l’essere l’affidatario un lavoratore autonomo.

2) Gli elementi distintivi tra imprenditore e lavoratore autonomo

Partendo dal secondo profilo, preliminare rispetto al primo, sembra utile sviluppare un’analisi che assuma come paradigma normativo proprio la citata legge n. 81/2017, considerato che essa esclude dal proprio ambito di applicazione gli imprenditori, anche piccoli (art. 1, co. 2). Appare evidente che a fini qualificatori occorre attingere alle nozioni codicistiche di imprenditore (art. 2082) e di piccolo imprenditore (art. 2083). Scelta decisamente discutibile per la non conformità di tali nozioni con quella euro-unitaria secondo la quale “imprenditore” è «ogni soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione» . Pur venendo confermato il criterio distintivo della organizzazione, lo stesso viene abbinato a quello della professionalità, con un deciso ampliamento della nozione di impresa.
Al contrario, nel sistema italiano l’elemento distintivo tra l’imprenditore e il lavoratore autonomo sta nell’organizzazione che caratterizza il primo e manca nel secondo, con la variante del lavoro prevalentemente proprio (e dei componenti della famiglia) per il piccolo imprenditore. Quest’ultimo rappresenta «una sorta di ponte tra l’imprenditore e il lavoratore autonomo, assommando in sé le caratteristiche (o i tratti distintivi) delle altre due, “un grigio tra il bianco e il nero”» .
Ai fini che ci occupano concorrono, in astratto, quattro fattispecie: l’imprenditore caratterizzato dall’esercizio professionale e dall’attività economica organizzata per la produzione o lo scambio di beni o servizi; il piccolo imprenditore per il quale rileva anche la prevalenza del lavoro proprio e dei componenti della famiglia; il lavoratore autonomo che realizza un’opera (anche intellettuale) o un servizio con lavoro prevalentemente proprio; ed infine, la collaborazione coordinata e continuativa (c.d. co.co.co) che pur permanendo nell’area dell’autonomia, è caratterizzata dalla continuatività della prestazione e dal coordinamento con l’attività del committente.
Quindi, l’imprenditore si differenzia dalle altre tre fattispecie per la non prevalenza del lavoro proprio. V’è una teoria che valorizza l’esclusività come criterio distintivo , pur se quello della “prevalenza” -come condivisibilmente sostenuto– “oltre che un fondamento logico ha anche quello normativo, come dimostra la tutela previdenziale accordata alle tre categorie di piccoli imprenditori “tipizzate” dall’art. 2083, i coltivatori diretti, gli artigiani, e i piccoli commercianti, in toto ricadenti nel campo di operatività dell’art. 38 co. 2 Cost., con l’unica eccezione, per ora, della tutela della disoccupazione involontaria ad essi non spettante” . Non va dimenticato, peraltro, che ove l’esercizio della professione confluisca in un’attività organizzata in forma di impresa (v. art. 2238 c.c.) si ha una trasmigrazione nell’area dell’impresa, soggiacendo alla relativa disciplina.
Si può, pertanto, concludere che la demarcazione tra lavoro autonomo e impresa è alquanto sfumata, rilevando il maggiore o minore peso che ha nel singolo caso il lavoro prevalentemente proprio rispetto all’organizzazione dell’attività economica.
3) (segue) L’elemento in comune
L’attenzione riservata nel 2017 dal legislatore nei confronti del lavoratore autonomo è in buona parte incentrata sull’elemento che talvolta lo accomuna all’imprenditore, la dipendenza economica, già definita dall’art. 9 della legge n. 192/1998 sulla subfornitura, quale «eccessivo squilibro di diritti e di obblighi».
La similitudine tra la disciplina del 1998 e quella del 2017 è innegabile sol che si mettano a confronto le disposizioni in materia di: a) forma scritta del contratto a pena di nullità ; b) in mancanza, di ottenere il pagamento delle prestazioni già effettuate e il risarcimento delle spese sostenute in buona fede ai fini dell’esecuzione del contratto ; c) prederminazione di un termine massimo per il pagamento del corrispettivo ; d) tutela contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali ; e) diritto all’adeguamento del prezzo anche se non previsto dal contratto in caso di significative modifiche e varianti che comportino incrementi dei costi .
A suggellare tale similitudine concorre l’esplicita previsione contenuta nella l. n. 81 secondo cui: «Ai rapporti contrattuali di cui al presente capo si applica, in quanto compatibile, l’articolo 9 della legge 18 giugno 1998, n. 192, in materia di abuso di dipendenza economica» . La clausola di salvaguardia non elide detta similitudine.

4) L’esatta portata della esclusione sancita dall’art. 1, comma 2, l. n. 81/2017: esclusività versus prevalenza del lavoro personale
Alla luce degli elementi di diversità e di comunanza tra impresa e lavoro autonomo, innanzi sinteticamente riportati, è possibile svolgere qualche considerazione sulla esatta portata della esclusione sancita dall’art. 1, comma 2, l. n. 81/2017, sulla quale si è sviluppato il dibattito sulla legge n. 81.
Secondo una prima tesi restrittiva, rileva sia il rinvio all’art. 2222 c.c. operato dal comma 1 sia l’esclusione presente nel co. 2, dal ché consegue che il lavoro autonomo, destinatario delle tutele della legge n. 81 è quello che si concretizza nella esecuzione di una prestazione d’opera con lavoro esclusivamente e non anche prevalentemente proprio del contraente, il che giustifica l’esclusione dei piccoli imprenditori, che l’art. 2083 c.c. caratterizza per «un’attività organizzata professionale prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia» .
A questa tesi, prima facie persuasiva, è agevole obiettare che ci sono ben tre disposizioni sul lavoro autonomo che utilizzano il criterio della prevalenza; il riferimento è all’art. 2222 c.c. [«lavoro prevalentemente proprio»]; all’art. 2232 c.c. [che consente l’utilizzo di sostituti e ausiliari]; all’art. 409 n. 3 cpc [prestazione d’opera prevalentemente personale] .
Queste tre disposizioni, quindi, escludono che a tracciare la linea di demarcazione tra lavoro autonomo e piccolo imprenditore, ai fini dell’inclusione/esclusione dal campo di applicazione della l. n. 81, possa essere la prevalenza del lavoro proprio. Ne consegue che il criterio distintivo va individuato piuttosto nell’apporto di un complesso di beni materiali e immateriali, richiesto dall’art. 2555 c.c. per individuare l’azienda. Il rischio che connota l’attività imprenditoriale, che riguarda la prestazione personale ma anche l’organizzazione, caratterizza anche il piccolo imprenditore, con l’effetto che la presenza di una pur minima azienda è fondamentale per distinguere il piccolo imprenditore dal lavoratore autonomo .
L’adesione all’una o all’altra teoria, ovvero a nessuna di esse, non può prescindere dall’individuare l’esatta portata delle tutele introdotte in via di estensione o di riproposizione dalla legge di cui si discute .
Il primo nucleo di tutela (artt. 2-3-4) contiene regole valide per tutta l’area del lavoro autonomo, che si sostanziano in un intervento del legislatore sul regolamento contrattuale. L’esclusione degli imprenditori, compresi i piccoli, non significa negazione a costoro della tutela, bensì rinvio a quella identica già accordata loro dalla legge 192/1998 e dal d.lgs n. 231/2002, in ossequio alla convinzione che il lavoratore autonomo abbia le caratteristiche “somatiche” più dell’imprenditore, ancorché piccolo, che non del lavoratore subordinato. Quindi, si tratta di un’esclusione apparente. Il secondo nucleo (artt. 5 e seguenti) ribadisce o riformula o introduce tutele, per la maggior parte previdenziali, ma anche di altro tipo (es. fiscali), specifiche per chi presta lavoro (prevalente o esclusivo che sia), mai e poi mai fruibili da chi del lavoro altrui si avvale. Quindi anche in questo caso un’esclusione apparente .
Così individuata l’esatta portata delle tutele generali introdotte con la l. n. 81, va detto che a quelle prima richiamate vanno aggiunte quelle contenute negli artt. 10 e 12 co. 1, rispettivamente sullo sportello presso il Centro per l’impiego dedicato al lavoro autonomo e sulle informazioni e accesso agli appalti pubblici, attraverso tale sportello, sulle quali si dirà in chiusura.

5) Le ipotesi di lavoro autonomo
La giurisprudenza, prodiga di indici identificativi della subordinazione e della parasubordinazione, per il lavoro autonomo ripropone la definizione data dall’art. 2222 c.c.: «compimento verso un corrispettivo di un’opera o un servizio, con il lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente».
Questo atteggiamento inerziale va messo da parte - è il caso di dirlo - proprio per individuare il campo di applicazione della tutela del lavoro autonomo, introdotta dalla legge n. 81, dovendosi porre l’interrogativo di quando ricorrono le ipotesi di lavoro autonomo alla luce dell’utilizzazione della rubrica del titolo III del libro V del codice civile. La risposta all’interrogativo è indispensabile per individuare gli elementi identificativi della fattispecie sia per verificare se essi ricorrono nei rapporti disciplinati in modo “particolare” nel libro IV del codice civile, sia per individuare la linea di confine tra lavoro autonomo e impresa, anche piccola, i cui titolari sono esclusi da questa tutela in quanto non sono lavoratori autonomi (supra) .
Nell’area del lavoro autonomo vanno collocate in primo luogo le due ipotesi disciplinate dal titolo III del Libro V del codice civile, quindi il contratto d’opera, ex art. 2222 c.c. e la prestazione d’opera intellettuale, ex art. 2230 c.c., ma in quest’ultimo caso, come già detto, se l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di impresa si applicano anche le disposizioni del titolo II, sull’impresa (art. 2238 c.c.) .
Ancora, nel campo di applicazione della nuova disciplina sono ricompresi, «i rapporti di lavoro autonomo che hanno una disciplina particolare ai sensi dell’articolo 2222 del codice civile», utilizzando l’identica espressione contenuta in quest’ultima disposizione [«…salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV»], che oltre a definire il contratto d’opera, fornisce la nozione generale e onnicomprensiva di lavoro, astratta da un particolare tipo di contratto, coincidente con l’obbligo dietro corrispettivo di eseguire nell’altrui interesse una prestazione d’opera o servizio con lavoro esclusivamente o prevalentemente proprio.
Il compimento a titolo oneroso di un’opera o di un servizio è riconducibile a numerose fattispecie contrattuali .
Ovviamente l’inclusione o l’esclusione di ciascuna fattispecie dal campo di applicazione delle tutele dipenderà dalle modalità di esercizio della relativa attività, e cioè in forma di impresa o di lavoro personale, esclusivo o prevalente che sia (supra).

6) La specificità dell’attività affidata

Così inquadrato il criterio escludente di portata soggettiva, va ora individuato quello oggettivo, e cioè la specificità dell’attività affidata.
L’indeterminatezza della norma in esame nei suoi risvolti attuativi presuppone una verifica in concreto che va effettuata caso per caso, lasciando ampio spazio alla discrezionalità della stazione appaltante. Come per tutte le norme di carattere generale si è resa necessaria un’attenta opera di perimetrazione da parte della giurisprudenza amministrativa, anche al fine di contrastare l’elusione dei vincoli e dei limiti (qualitativi e quantitativi) apposti dal Codice al ricorso al subappalto. Limiti, peraltro non coerenti -ed anzi in contrasto- con la normativa UE per la quale il subappalto deve avere un’applicazione generalizzata, priva di limiti quantitativi, salvo ipotesi specifiche ed eccezionali in cui sia previamente e motivatamente necessaria una particolare limitazione in relazione alla particolare natura dell’appalto .
Nella consapevolezza del pregnante valore strategico e operativo che un siffatto subcontratto può assumere nell’organizzazione delle attività di una impresa, quindi nelle dinamiche procedimentali e contrattuali inerenti gli appalti pubblici, l’intervento del giudice amministrativo ha consentito di enucleare e meglio definire un patrimonio strutturale e applicativo, alla stregua di un indirizzo consolidato.
Anzitutto, la giurisprudenza ha chiarito che la norma esclude che i lavoratori autonomi possano essere impiegati nell’esecuzione dell’oggetto dell’appalto, salvo lo svolgimento di attività accessorie o strumentali: nell’offrire una lettura inversa della norma relativa al divieto di subappalto per alcune categorie di forniture e servizi, i giudici di Palazzo Spada chiariscono che non rientrano nelle “attività specifiche”, quelle definibili come accessorie o strumentali . Sicché non sono subappaltabili attività come consulenze, direzione e coordinamento dei lavori, servizi e prestazioni, ossia prestazioni singole, o comunque circoscritte, relative all’attività professionale o autonoma. Al contrario, il ricorso al lavoro autonomo, pur se consentito, è subordinato dal codice dei contratti pubblici all’individuazione specifica del contenuto delle attività da svolgere, al fine di evitare un uso elusivo delle norme in materia di subappalto .
Per di più il giudice amministrativo ha precisato che, allorché ci si trovi a gestire una gara al di sopra della soglia comunitaria, «va data continuità all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui la norma del Codice dei contratti pubblici che pone limiti al subappalto deve essere disapplicata in quanto incompatibile con l’ordinamento euro-unitario, come affermato dalla Corte di Giustizia nelle pronunce» poco sopra richiamate . Sicché lasciare alla stazione appaltante tanta discrezionalità nel determinare i limiti del subappalto, senza apposita motivazione in ordine alla particolare natura dell’appalto, non appare punto un’operazione incensurabile.
Inoltre, muovendo dalla premessa maggiore per la quale «le prestazioni oggetto di siffatti contratti sono rivolte a favore dell’operatore economico affidatario del contratto di appalto con il soggetto pubblico e non invece direttamente a favore di quest’ultimo, come avviene nel caso del subappalto», il giudice amministrativo chiarisce che la norma di cui all’art. 105, comma 3, lett. a) non si configura come derogatoria del subappalto, poiché essa muove dalla considerazione della specificità di determinate categorie di forniture e di servizi e, sulla base della natura peculiare di dette prestazioni e della diversità del regolamento contrattuale in termini di rapporti tra le parti del contratto e con l’amministrazione appaltante, giunge alla conclusione che i contratti con i quali vengono affidate a lavoratori autonomi specifiche attività rientranti nell’appalto non sono contratti di subappalto.
La norma in questione pertanto delimita i confini rispetto alla nozione di subappalto applicabile nella disciplina sui contratti pubblici, ma non si configura come una deroga al regime che presidia il subappalto, né come una norma eccezionale . Sicché la disciplina del subappalto non è immediatamente estendibile, salvo che si dimostri che il contratto di lavoro autonomo configuri un’elusione della norma, ossia uno schermo per il contratto di subappalto.

7) Il supporto ai lavoratori autonomi nell’accesso agli appalti pubblici
Per completare la riflessione sul coinvolgimento negli appalti pubblici dei lavoratori autonomi appare utile fare qualche cenno al supporto in questa direzione rinvenibile ancora una volta nella legge n. 81/2017. Vengono in rilievo le norme di cui agli art. 10, comma 3 e 12 comma 1. La prima disposizione prevede che i centri per l'impiego e gli organismi autorizzati alle attività di intermediazione in materia di lavoro siano dotati in ogni sede aperta al pubblico di un apposito sportello dedicato al lavoro autonomo, anche mediante la stipula di convenzioni non onerose con determinate associazioni di categoria e con gli ordini professionali. Gli sportelli, oltre al consueto lavoro di “collocamento” e intermediazione in ordine alle opportunità lavorative esistenti sul mercato, hanno il compito di fornire informazioni relative alle procedure per l'avvio di attività autonome e per le eventuali trasformazioni, e per l'accesso a commesse ed appalti pubblici, nonché relative alle opportunità di credito e alle agevolazioni pubbliche nazionali e locali.
Si tratta di una disposizione, virtuosa, di promozione dell’attività professionale (seppur, mi sia consentita la riflessione, a tutto vantaggio delle casse erariali, essendo i professionisti dotati di partita IVA i maggiori contributori) che, tuttavia, resta condizionata all’attivazione degli sportelli suddetti nell’ambito dei centri per l’impiego che funzionano poco e male per i lavoratori subordinati e dovrebbero adesso attrezzarsi per funzionare a pieno regime anche per quelli autonomi.
Sulla stessa scia della promozione del lavoro autonomo, si collocano le successive norme della legge n. 81: dopo aver dettato nell’art. 11 principi e criteri direttivi di delega al governo per l’adozione di decreti delegati sulla semplificazione della normativa in tema di salute e sicurezza degli studi professionali, la legge dedica una norma specifica, l’art. 12, comma 1, alla disciplina delle informazioni e dell’accesso “agli appalti pubblici e ai bandi per l'assegnazione di incarichi e appalti privati”, affidando alle amministrazioni, stazioni appaltanti, il compito di promuovere “la partecipazione dei lavoratori autonomi agli appalti pubblici per la prestazione di servizi o ai bandi per l'assegnazione di incarichi personali di consulenza o ricerca”, nonché di favorire l’accesso di costoro alle informazioni relative alle gare pubbliche, anche attraverso l’utilizzo degli sportelli dedicati al lavoro autonomo, al fine di consentire agli stessi di partecipare alle relative procedure di aggiudicazione. A tal fine, ma soprattutto a quello di consentire ai lavoratori autonomi di avere accesso ai piani operativi regionali e nazionali a valere sui fondi strutturali europei, costoro vengono equiparati giuridicamente alle figure delle piccole e medie imprese, per le quali la normativa comunitaria prevede (direttamente, o impone agli Stati membri di prevedere) forme di agevolazione e promozione dell’accesso alle gare d’appalto, specie se finanziate con fondi strutturali europei.
Per di più si consente a coloro che svolgono attività professionale una organizzazione “a rete”, avvalendosi del contributo di altri professionisti attraverso forme di aggregazione, quali consorzi stabili professionali, associazioni temporanee professionali, reti di esercenti la professione, in collaborazione con reti di imprese, con le quali si aggregano in forma di reti miste.
Queste misure di politica attiva per i lavoratori autonomi vengono riprese nel d.d.l. per la Finanziaria 2022 in fase di approvazione, nello specifico nell’art. 75, comma 2, [anche se è quasi matematico che per esigenze di approvazione si andrà al solito articolo unico con centinaia di commi], secondo cui: “ I servizi di assistenza di cui al comma 1 sono erogati dai centri per l’impiego e dagli organismi autorizzati alle attività di intermediazione in materia di lavoro ai sensi della disciplina vigente mediante lo sportello dedicato al lavoro autonomo di cui all’articolo 10 della legge 14 giugno 2017, n. 81, anche stipulando convenzioni non onerose con gli ordini e i collegi professionali e le associazioni costituite ai sensi degli articoli 4, comma 1, e 5 della legge 14 gennaio 2013, n. 4, nonché con le associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale dei lavoratori autonomi iscritti e non iscritti ad albi professionali”.
Sulla carta si tratta di misure ed iniziative molto interessanti, ma della cui effettività è lecito dubitare considerato che a distanza di 4 anni dal varo della l. n. 81/2017 ancora nulla è stato fatto.

 

 

 

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