Testo Integrale con note e bibliografia

Testo della sentenza

1. Il numero delle questioni risolte e la ricchezza dell'apparato argomentativo inducono ad alcune considerazioni per ora veloci e sparse su Corte cost. n.194 del 2018.
La prima concerne l'impossibilità, per il giudice civile, di praticare la cosiddetta interpretazione adeguatrice delle disposizioni sospettate d'illegittimità costituzionale ossia di evitare la rimessione alla Corte. Questione d'attualità da quando la nomofilachia costituzionale è stata in parte sempre crescente assunta dai giudici comuni grazie alla maggiore assimilazione dei valori di base così da parte della giurisdizione come da parte della società, nei rapporti pubblici e privati. L'impulso è stato dato dalla stessa Corte costituzionale in tempi meno recenti, tanto da far parlare di “crisi dell'incidentalità”, quale effetto del difficile regolamento dei confini tra le due forme di attuazione della carta fondamentale, quella del giudizio incidentale di costituzionalità e quella dell'interpretazione conforme a Costituzione da parte dei giudici comuni (G. D'AMICO, Applicazione diretta dei principi costituzionali e integrazione del contratto, in Giust. Civ. 2016, 248).
Che questa crisi sia da valutare negativamente non pare, ché anzi essa dimostra l'efficacia del magistero esercitato dalla Corte nel corso dei decenni e quindi del rafforzamento di quella “coscienza costituzionale della società e del popolo, che è il più sicuro fondamento per la longevità delle costituzioni” (L. ELIA, Il potere creativo delle corti costituzionali, in AAVV, La sentenza in Europa. Metodo, tecnica, stile, Padova 1988, 229). Rimangono comunque fuori delle possibilità di interpretazione adeguatrice, e in particolare integrativa, i casi in cui essa sia impedita da ostacoli logico-linguistici.
L'ordinanza di rimessione (Trib. Roma 26 luglio 2017, in Giur. it. 2017, 2169) esclude ogni possibilità di interpretazione della norma impugnata (art.3 d. lgs. n.23 del 2015) conforme alla costituzione ossia finalizzata ad ampliare la tutela reintegratoria piena in favore del lavoratore illegittimamente licenziato, e così pure esclude l'applicabilità al caso concreto di una norma diversa da quella posta dal legislatore ossia quella dell'art.18 l. n. 300 del 1970, “non potendo l'interpretazione conforme risolversi in un effetto abrogativo”. Una “forzatura interpretativa”, osserva il Tribunale rimettente, sarebbe consentita solo se la Corte costituzionale adita la dovesse indicare con una sentenza interpretativa di rigetto.
In questo passaggio, contenuto nel par. 3 dell'ordinanza, è ravvisabile una punta polemica: è stata la Corte costituzionale, con sue precedenti pronunce, a rifiutare di emettere il suo giudizio nel processo incidentale ed a spingere così i giudici verso forzature interpretative.

2. La seconda considerazione riguarda la dichiarazione di non fondatezza della questione del contrasto dell'art.3, comma 1, d. lgs. cit. col principio di eguaglianza, in quanto esso tutela i lavoratori assunti a decorrere dal 7 marzo 2015, ossia dalla data di entrata in vigore dello stesso d. lgs., in modo, secondo il Tribunale rimettente, ingiustificatamente deteriore, ossia con una minore tutela contro il licenziamento illegittimo, rispetto a quelli assunti, anche nella stessa azienda, prima di quella data.
A giudizio della Corte questa modulazione non contrasta col principio di eguaglianza, poiché essa è giustificata dallo scopo di rafforzare le opportunità d'ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca d'occupazione (così l'alinea dell'art.1 l. n.183 del 2014).. Più precisamente l'alleggerimento delle conseguenze del licenziamento illegittimo a carico dei datori di lavoro tende a favorire le nuove assunzioni. Sembra di poter osservare che l'impugnato art.3, comma 1, d. lgs. cit. resiste meglio alla censura di violazione dell'art.3 Cost. se vi si ravvisa uno scopo non tanto di differenziazione in peggio del trattamento dei nuovi assunti quanto di salvaguardia del trattamento migliore già spettante ai vecchi. Questa è l'opinione di una dottrina (P. TOSI e F. LUNARDON, Cronaca di un'ordinanza...annunciata, in Giur. it. 2017, 2177) che attribuisce all'art.18 l. n. 300 del 1970, con la sua tutela reintegratoria, una sorta di ultrattività, ossia di sopravvivenza all'entrata in vigore dell'art.3 d. lgs. n.23 del 2015, a tutela dell'affidamento riposto dai lavoratori già in servizio nel trattamento a loro attribuito dal legislatore nel tempo in cui stipularono il contratto di lavoro. In passato si parlava di divieto rafforzato di retroattività di uno ius superveniens che incideva sui rapporti di durata e che comportava la non applicabilità delle nuove disposizioni non solo a situazioni soggettive già maturate prima dell'entrata in vigore de esse, ossia ai cosiddetti diritti quesiti, ma anche alle mere aspettative, destinate a consolidarsi in diritti soggettivi dopo la detta entrata in vigore.
Il divieto rafforzato di retroattività, giustificato dall'intenzione di non alterare, neppure per effetto di ius superveniens, certi programmi, era generalmente osteggiato perché idoneo a frenare le innovazioni ossia il miglioramento del diritto oggettivo (F. C. SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale. Traduzione dall'originale tedesco di Vittorio Scialoja, Prato 1904, e poi in Scritti giuridici, Roma 1938, 289, e vedi oggi M.A. LIVI, Il principio di irretroattività della legge nel diritto dei contratti, in AAVV, Giurisprudenza costituzionale e fonti del diritto, a cura di Nicolò Lipari, Napoli 2006, 130-134). Esso può tuttavia sopravvivere nei nostri tempi, ossia non contrastare con la ragionevolezza e col principio di eguaglianza, quando il legislatore ritenga opportuno proteggere certi affidamenti, come quello nella stabilità del rapporto di lavoro. Nel settore pubblico è facile trovare lavoratori che hanno lasciato un rapporto con datore privato e con remunerazione migliore, avendo preferito il rapporto pubblico per la sua maggiore sicurezza. Sull'esigenza costituzionale di tutelare l'affidamento dei cittadini nella continuità giuridica, quando si tratti di norme sopravvenute che incidano su rapporti di durata, la Corte si pronuncia ormai da tempo (sentt. n.209 del 2010, 83 del 2013).
Questa protezione dell'affidamento pare una base d'appoggio dell'art. 3, comma 1, del D. lgs. n.23 del 2015 più solida di quella che si richiama all'alinea dell'art.1 l. n.183 del 2014. Mi sembra sinceramente un po' cinica una concezione del rapporto di lavoro secondo la quale l'imprenditore bene si avvale della collaborazione di persone più giovani, idonee verosimilmente a fornire prestazioni di qualità minore a causa dell'inesperienza, purché ne sia reso più facile il licenziamento. E ciò senza che ne sia pregiudicato “l'interesse dell'impresa e quello superiore della produzione nazionale” (art.2104, primo comma, cod. civ.). Chi di noi preferirebbe subire un intervento, piuttosto che per mano di un chirurgo anziano, di uno più inesperto solo perché più a buon mercato?

3. Sempre a proposito dell'efficacia temporale della disposizione impugnata, la Corte dice spettare alla discrezionalità del legislatore la delimitazione della sfera temporale di applicazione delle norme, richiamando nel par.6 della motivazione numerosi precedenti. Altri richiami alla discrezionalità del legislatore sono contenuti nel par.9. All' insindacabilità da parte della Corte è posto però il limite della ragionevolezza. L'art.28 l. 11 marzo 1953 n.87, sul funzionamento della Corte costituzionale, vieta a questo giudice, nell'esercizio del controllo di costituzionalità delle leggi, “ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull'uso del potere discrezionale del Parlamento”. Come ognun sa, la limitazione del controllo giudiziale su atti di soggetti, pubblici o privati, nei soli confini della legittimità e la correlativa interdizione di ogni sindacato di merito, accompagnano la formazione dello Stato moderno e generano incertezze e dispute interminabili. L'editto di Saint Germain-en-Laye, del 1641, servì a sottrarre alla giustizia ordinaria (dé léguée) non solo gli affari di alta politica ma anche gli atti amministrativi emessi dagli intendenti, senza che esso riuscisse a sciogliere l'intrico (enchevêtrement) plurisecolare tra le funzioni giudiziaria e amministrativa (J. KYNEN, L'emprise contemporaine des juges, Parigi 2012, 226).
Nè questo tipo di problemi è confinato nel diritto pubblico. Nel diritto privato il rafforzamento del principio di legalità, anche costituzionale, porta alla progressiva scomparsa delle situazioni di mera soggezione all'altrui potestà, che vengono sostituite da posizioni di interesse legittimo, vale a dire di assoggettamento alle situazioni potestative al controllo del giudice. Nel diritto del lavoro l'art.30 l. 4 novembre 2010 n.183 concepisce l'imprenditore come autorità privata, le cui scelte di merito nella gestione dell'impresa non possono sottostare al controllo del giudice. Ma ciò non elimina il problema delle garanzie spettanti ai soggetti sottoposti. La supremazia di una persona su altre è funzionale a, e connaturata con, qualsiasi forma di organizzazione e tuttavia la condizione di rispetto dei princìpi costituzionali di eguaglianza e di ragionevolezza è che essa non ecceda quel limite di funzionalità, oltrechè svolgersi nel rispetto delle regole del diritto oggettivo (rinvio a Sull'imprenditore come autorità privata nei rapporti di lavoro, in AAVV, Liber amicorum Pietro Rescigno, Napoli 2018, 1779).
Questa evoluzione spiega l'attuale recesso dell'art.28 l. n.87 del 1953 nella giurisprudenza della Corte costituzionale, che tende ultimamente ad evitare le pronunce di inammissibilità “perché nessun potere discrezionale [ e quindi neppure il potere legislativo] è senza limiti” (S. CASSESE, Dentro la Corte. Diario di un giudice costituzionale, Bologna 2015, 185, e vedi ultimamente, sempre in materia di sindacato sulla discrezionalità legislativa, C. cost. n.33 del 2019, par.6.3.1.).
Nel par.6, ultimo capoverso, della motivazione si legge: “non spetta a questa Corte di addentrarsi in valutazioni sui risultati che la politica occupazionale [scilicet, del legislatore] può aver conseguito”. Certo. Ma alla stregua del criterio di ragionevolezza la Corte può valutare la pertinenza del mezzo legislativo rispetto al fine perseguito. Essa può così ritenere insufficiente una certa tutela indennitaria rispetto ai fini risarcitori e dissuasivi necessari per contrastare certi atti illeciti, considerato il principio di proporzionalità come specificazione della ragionevolezza.

4. Sempre più di frequente la Corte dichiara l'illegittimità di disposizioni concernenti “automatismi legislativi”, in particolare quando esse sono formulate in modo tale da non permettere al giudice (o eventualmente alla pubblica amministrazione) di tenere conto della peculiarità del caso concreto e di modulare gli effetti della regola in relazione alle peculiarità della specifica situazione (così M. CARTABIA, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, portoghese e spagnola, in Atti della Conferenza trilaterale delle Corti costituzionali italiana, portoghese e spagnola, Roma 24-26 ottobre 2013, 12).
Nella sentenza qui commentata la Corte supera i rilievi di P. TOSI e F. LUNARDON (op. cit., 2176), secondo cui “la predeterminazione del quantum di un'indennità risarcitoria, specie nel diritto processuale del lavoro, è infatti espressiva del 'valore' che solo il legislatore può assegnare ad un bene all'esito di un dinamico, e perciò mutevole a seconda del momento storico-economico, bilanciamento tra i diversi principi costituzionali”.
Da tempo la Corte sostiene che la garanzia del diritto al lavoro apprestata dagli artt.4 e 35 Cost. è affidata alla discrezionalità del legislatore (ex multis sentt. nn. 46 del 2000, 419 del 1993 e 152 del 1975) ma ciò non significa che la disciplina dei licenziamenti cada in un'area di assoluta indifferenza per la Costituzione (FONTANA, op. cit., 5) mentre all'eguaglianza dei trattamenti può derogarsi solo per giustificate ragioni (Corte cost., sent. n.176 del 1986, seguìta ultimamente dalla sentenza qui commentata , con la citazione di altri e numerosi precedenti).

5. Le teorie economicistiche anglosassoni del diritto hanno indotto una nostra dottrina a impostare i problemi del licenziamento in termini di costi-benefici patrimoniali.
Il rapporto di lavoro avrebbe un “contenuto assicurativo” in base al quale il datore dovrebbe sopportare, fino ad un “massimale” determinabile discrezionalmente dal giudice, la perdita a lui derivante dal non licenziamento del lavoratore, quand'anche la prestazione di questo risulti, per motivi oggettivi sopravvenuti, non più utile, mentre i lavoratori pagherebbero un “premio” in termini di minori retribuzioni (P. ICHINO, Il contratto di lavoro, III, Milano 2003, 438-439; idem, Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento e il contenuto assicurativo del contratto di lavoro, Riv. it. dir. lav. 2018, I, 545. Lo stesso Autore imposta ancora la questione in termini soltanto economici, soprattutto di “fluidità del tessuto produttivo”, in Il rapporto tra il danno prodotto dal licenziamento e l'indennizzo nella sentenza della Consulta, in Riv. it. dir. lav. 2018, II, 1049).
In base a questa concezione l'applicazione della disciplina legislativa del 2015 ai lavoratori “vecchi” (vedi sopra, par.2) altererebbe l'equilibrio tra copertura assicurativa e “premio” implicito pagato dai lavoratori (P. ICHINO, Commento all'ordinanza di rimessione cit., par.6). Inoltre l'indennizzo fissato solo in base all'anzianità di servizio sarebbe giustificato dalla detta funzione assicurativa, limitata ad un massimale, con esclusione di ogni finalità dissuasivo-punitiva.
La Corte costituzionale non è di questo parere poiché, considera il licenziamento “pur sempre come atto illecito” (par.12.2., 13.,e 14. della motivazione) e perciò attribuisce all'atto illecito anche una ”funzione dissuasiva” o di “adeguata dissuasione”, in coerenza con le acquisizioni raggiunte dalla giurisprudenza civile (Cass. Sez. un. 5 luglio 2017 n.16601 e 2015 n.9100). Così osserva anche V. SPEZIALE, Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti tra Costituzione e diritto europeo, Riv. it. dir. lav. 2016, I, 131 e segg.,vedi anche M.T. CARINCI, La Corte costituzionale ridisegna le tutele del licenziamento ingiustificato nel Jobs act: una pronuncia destinata ad avere un impatto di sistema, in Riv. it. dir. lav. 2018, II, 1059).
Ma più in generale la sottomissione di ogni questione di diritto a considerazioni di carattere economico, mettendo in ombra ogni aspetto non patrimoniale, sembra un fenomeno del tempo attuale ma forse è sempre esistito ed è denunciato da tempo. Montesquieu (De l'Esprit des Lois [1767], libro III, cap.III, ed. Folio 2018, 117) affida alla vertu, ossia all'amore dell'eguaglianza e delle leggi (noi diremmo del diritto fondato su un insieme di scelte di valore) la stabilità del governo popolare ossia della democrazia, ed aggiunge: “I politici di oggi non ci parlano che di manifatture, di commerci, di finanze e perfino di lusso. La frugalità diventa avarizia e l'erario pubblico diventa patrimonio dei privati. Quando ciò avviene cambia tutto: si era liberi grazie alle leggi, si vuole essere liberi contro le leggi; ogni cittadino è come uno schiavo scappato dalla casa del padrone; ciò che era principio lo si chiama rigore; ciò che era regola lo si chiama fastidio; ciò che era rispetto lo si chiama timore. La repubblica è divenuta una spoglia e la sua forza si è trasformata nel potere di alcuni e nella licenza di tutti”.
Il richiamo ai valori costituzionali non economici permette alla Corte di tener conto del pregiudizio effettivamente sofferto dal lavoratore illegittimamente licenziato, pregiudizio certamente non identificabile soltanto con riferimento all'anzianità di servizio, e di restituire al giudice la naturale discrezionalità valutativa.

6. Nell'ordinanza di rimessione il Tribunale imputa al legislatore del 2015 di aver ripristinato di fatto la libertà assoluta di licenziamento.
Non molti anni or sono si è osservato che “les cascades de sous-traitance et la recherche du moindre 'cout du travail' peuvent transformer le rêve liberal du 'doux commerce' en un véritable cauchemar de servitude” (N. CHAIGNOT, La servitude volontaire aujourd'hui. Esclavage et modernité, PUF 2012, 229, e vedi più recentem. L. CANFORA, La scopa di don Abbondio. Il moto violento della storia, Laterza 2018, 29 e segg.).
All'economista spetta di indicare gli strumenti per ridurre i costi ed aumentare i benefici. Alla discrezionalità politica spetta di scegliere fra i diversi strumenti. A chi si occupa di diritto tocca di seguire l'ammonimento, espresso in temi remoti ma sempre attuale, di Cesare Vivante, che parlava di “spese irriducibili” per l'impresa, fra le quali quelle per soddisfare i bisogni essenziali dei lavoratori , “pena la scomparsa della stessa dal mercato” ( La penetrazione dell'ordinamento corporativo nel diritto privato, in Dir.lav. 1931, I, 437). “La tutela della persona...non potrà mai riserrarsi in una razionalità fredda ed impietosa, e nemmeno nella frigidità sociale di valutazioni puramente economicistiche” (P. GROSSI, La grande avventura giuslavoristica, in Riv. it. dir. lav. 2009, I, 30).
La Corte costituzionale, con la sentenza che qui si esamina, ha voluto attenersi a questo criterio, come risulta esplicitamente dalla motivazione e precisamente dall'ultimo capoverso del par. 13.
Essa provvede così ad una sorta di manutenzione dell'ordinamento costituzionale. Il d. lgs. n.23 del 2015 si è inserito infatti, insieme ad atti legislativi coevi o anteriori di pochi anni, in quella che è stata definita la crisi della fase garantistica del diritto del lavoro (R. SCOGNAMIGLIO, Manuale del diritto del lavoro, Jovene 2003, 7 e segg.), caratterizzata dall'allentamento dei vincoli protettivi dei lavoratori e dall'affievolimento delle scelte si valore che ne erano alla base. Espressione di queste scelte è, tra l'altro, la tutela del lavoratore licenziato, di regola reintegratoria ed eccezionalmente risarcitoria. La sostituzione nella maggior parte dei casi della tutela per equivalente a quella specifica ha costituito secondo alcuni una vera e propria espropriazione a carico del titolare del diritto al lavoro, inseribile tra i diritti inviolabili dell'uomo di cui all'art.2 Cost. (A. PROTO PISANI, Note sulla tutela civile dei diritti, in M. Barbieri, F. Macario, G. Trisorio Liuzzi, La tutela in forma specifica dei diritti nel rapporto di lavoro, Atti del convegno di Foggia, 14-15 novembre 2003, Giuffrè 2004, 40). La riduzione quantitativa degli indennizzi ad opera delle norme ora dichiarate incostituzionali accresceva la divaricazione tra Carta e “ordinamento” costituzionale, nel quale la più recente dottrina comprende, oltre al testo originario con le successive revisioni, il contesto normativo anche di livello inferiore nonché l'ambiente politico-sociale e politico-culturale entro cui si produce il riconoscimento dei diritti fondamentali (A. BARBERA, Costituzione della Repubblica italiana, in Enc. dir., Annali, VIII, Giuffrè 2015, 265).

7. Al giudice civile spetta ora di fornire in concreto, contro il licenziamento illegittimo, una riparazione patrimoniale di carattere risarcitorio più che indennitario.
Si tratta di una valutazione secondo equità (cfr. art.1226 cod. civ.), da motivare con parametri diversi dalla sola anzianità di servizio, osservando il criterio di ripartizione dell'onere della prova fornito dall'art.2697 cod. civ. ed eventualmente ricorrendo al notorio o anche all'art.8, prima parte, della l. 15 luglio 1966 n.604.

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