Testo integrale con note e bibliografia

1.- Le proposte di riforma in tema di impugnazione del licenziamento e di rito applicabile alle controversie in materia di lavoro nelle cooperative.
In materia di licenziamento ed esclusione del socio lavoratore di cooperativa il disegno riformatore tuttora in cantiere si prefigge l’obiettivo generale di assoggettare le relative controversie ad un unico rito, quello di cui agli art. 409 ss. c.p.c. e, di conseguenza, a quanto sembra da una lettura approssimativa, alla competenza di un unico giudice, quello del lavoro.
Sennonché, al di là delle differenze stilistiche e lessicali tra il testo predisposto dalla «Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi», istituita presso il Ministero della Giustizia con d.m. 12 marzo 2021 e presieduta dal Prof. Luiso, e quello del successivo emendamento apportato dal Governo al d.d.l. 1662/XVII/S, una più attenta considerazione delle ipotesi astrattamente prospettabili lascia emergere spazi di persistente scissione tra forme e sedi di tutela processuale.
In particolare, la Commissione Luiso propone di modificare l’art. 7, 1° comma, d.d.l. 1662 nel modo che segue: «Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, con riferimento al processo del lavoro il decreto o i decreti legislativi sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
[…]
«c) prevedere l’unificazione dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
1) stabilire l’applicabilità della disciplina vigente a tutte le impugnazioni successive alla data di entrata in vigore del decreto legislativo medesimo, con conseguente superamento dell’applicazione della disciplina di cui all’articolo 1, commi da 47 a 66, della legge 28 giugno 2012, n. 92;
2) stabilire altresì il carattere prioritario della trattazione delle cause di licenziamento e dettare l’opportuna disciplina transitoria;
3) stabilire che alla trattazione dei giudizi nei quali si controverte sulla validità, l’efficacia o la legittimità dei licenziamenti ed ove sia proposta domanda di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro siano riservati specifici giorni nel calendario delle udienze del giudice e prevedere che i dirigenti degli uffici giudiziari vigilino sull’osservanza di tale disposizione;
4) prevedere che le azioni relative al licenziamento incidente sul rapporto di lavoro subordinato del socio di cooperativa, anche nel caso in cui venga a cessare, con il rapporto di lavoro, quello associativo, sono introdotte con ricorso ai sensi degli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile» .
Invece, l’emendamento-14 di matrice governativa provvede a sostituire l’art. 7, stabilendo che: «Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto legislativo o i decreti legislativi sono adottati nel rispetto del seguente principio e criterio direttivo: unificare e coordinare la disciplina dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, adottando le opportune norme transitorie, prevedendo che:
a) La trattazione delle cause di licenziamento in cui sia proposta domanda di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro abbia carattere prioritario;
b) Le azioni di impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative, anche ove consegua la cessazione del rapporto associativo, sono introdotte con ricorso ai sensi degli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile».
In entrambi i casi, dunque, si punta sia ad abrogare definitivamente il c.d. rito Fornero (tenuto in vita dall’art. 11 d.lgs. 23/2015 solo – si fa per dire, data la mole non indifferente di contenzioso ancora ad esso sottoposto – per l’impugnazione dei licenziamenti intimati a lavoratori assoggettati alla tutela dell’art. 18 st. lav.) sia ad estendere il rito “ordinario” delle controversie di lavoro alle azioni volte alla declaratoria di illegittimità del provvedimento terminativo del rapporto di lavoro (licenziamento) e di quello associativo (esclusione) del socio lavoratore di cooperativa.
Un pacchetto di iniziative certamente apprezzabile .
Da tempo e da più parti si auspicava il superamento del rito specialissimo di cui all’art. 1, 47° comma ss., l. 92/2012, inaccettabilmente complicato e foriero di intricate questioni interpretative . Dopo il timido e deludente intervento del c.d. Jobs Act del 2015, ci si aspettava una drastica presa di posizione da parte del legislatore in senso abrogativo. Ed è proprio questo che la Commissione Luiso e l’emendamento si propongono di realizzare.
Anche la questione relativa all’individuazione del rito applicabile e del giudice competente per le controversie relative al lavoro dei soci di cooperativa era in attesa di una netta soluzione normativa. Il succedersi di ripetuti capovolgimenti di giurisprudenza e di disordinate modifiche di legge negli ultimi vent’anni ((l. 142/2001; l. 30/2003; d.lgs. 5/2003; l. 69/2009; d.l. 1/2012, conv. con modif. in l. 27/2012) non ha contribuito di certo al raggiungimento di risultati soddisfacenti in termini di certezza del diritto.
In estrema sintesi, la l. 142/2001:
- aveva introdotto la distinzione tra rapporto associativo e rapporto di lavoro (quest’ultimo «ulteriore e distinto» rispetto al primo: v. art. 1, 3° comma, primo periodo) e la contestuale scissione della cognizione, in ordine alle rispettive controversie, tra «giudice del lavoro» e «giudice civile ordinario». Ne erano conseguiti, per un verso, l’assoggettamento della posizione del socio ad una disciplina differente, a seconda che l’attività svolta nell’ambito della cooperativa rientrasse, in concreto, nello schema negoziale societario o in quello di scambio; per un altro, l’attribuzione allo status di socio lavoratore di uno specifico regime fiscale, previdenziale, assicurativo, retributivo, sindacale;
- aveva previsto l’applicabilità della l. 20 maggio 1970, n. 300 ai soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato, con esclusione dell’art. 18 ogni volta che venisse a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo (art. 2, primo periodo).
Successivamente:
- l’art. 9 l. 30/2003 soppresse le parole «e distinto» all’art. 1, 3° comma, primo periodo e sostituito il 2° comma dell’art. 5 della l. 142 cit., nel senso che «il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli art. 2526 e 2527 del codice civile. Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario»;
- il d.lgs. 5/2003 introdusse uno specifico rito per le controversie in materia societaria, attribuendo queste ultime alla competenza del tribunale in composizione collegiale e stabilendo la regola della prevalenza di tale rito su qualsiasi altro in caso di attuazione del simultaneus processus dovuto a ragioni di connessione tra domande, in deroga ai criteri dettati dall’art. 40, 4° comma, c.p.c. (con un evidente arretramento delle ipotesi di applicabilità del rito del lavoro). Dopo altalenanti orientamenti giurisprudenziali , l’art. 1, 1° comma, d.lgs. 5/2003 fu dichiarato incostituzionale per contrasto con l’art. 76 Cost. e di lì a poco l’intero rito societario fu abrogato (v. l. 69/2009), con eliminazione in radice della questione relativa al concorso tra riti, entrambi speciali.
Il quadro complessivo, tuttavia, ha continuato a presentare elementi di ambiguità.
In particolare, l’art. 3, 2° comma, lett. a), d.l. 1/2012 cit., ha attribuito alle sezioni specializzate per l’impresa (c.d. tribunale delle imprese) la competenza «per le cause e i procedimenti: a) relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l'accertamento, la costituzione, la modificazione o l'estinzione di un rapporto societario [...]». Inoltre, il 3° comma ha stabilito che «Le sezioni specializzate sono altresì competenti per le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli di cui ai commi 1 e 2». Sicché, il problema del rito applicabile (e del concorso tra riti in caso di simultaneus processus) è tornato a porsi negli stessi termini in cui si era posto nella fase anteriore alla emanazione del d.lgs. 5/2003, quando i riti a confronto erano uno speciale (quello del lavoro) e uno ordinario, con possibile deroga all’art. 40, 3° comma, c.p.c.

2.- I profili di criticità.
Orbene, proprio con riferimento a tale ultima questione il tenore letterale delle iniziative riformatrici appena richiamate sembra presentare due profili di criticità.
Nel caso dell’emendamento governativo, poi, non si tratta di semplici sfumature, ma di una imprecisione che meriterebbe una decisa rimeditazione.

3.- I persistenti spazi applicativi del rito ordinario di cognizione.
Sotto un primo profilo, le proposte di riforma non sembrano in grado di rimediare del tutto alla situazione d’incertezza interpretativa.
Attualmente, il quadro delle ipotesi applicative è alquanto variegato .
I punti che possono tenersi fermi sono i seguenti:
a) nonostante le modifiche di cui all'art. 9 l. 30/2003, il socio stipula con la cooperativa due contratti, uno attinente al rapporto associativo, uno attinente al rapporto di lavoro;
b) la relazione tra i due rapporti si atteggia in termini di pregiudizialità-dipendenza, dal momento che la cessazione del rapporto associativo determina l’estinzione automatica del rapporto di lavoro, mentre quest’ultima non influisce sulle sorti del rapporto associativo, che potrebbe anche proseguire;
c) le «gravi inadempienze», di cui all'art. 2533, 1° comma, n. 2, c.c., che determinano l'esclusione, possono integrare la causa di licenziamento; in altri termini, le ragioni dell’esclusione e quelle del licenziamento possono anche coincidere;
d) l’esclusione e il licenziamento possono comunque essere disposti e comunicati con atti distinti.
e) l’opposizione alla delibera di esclusione del socio va proposta nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione, ai sensi dell’art. 2533, 3° comma, c.c., secondo il rito ordinario (art. 163 ss. c.p.c.), innanzi al tribunale delle imprese;
f) il licenziamento va impugnato nel duplice termine decadenziale (v. art. 6 l. 604/1966) introdotto dal c.d. collegato lavoro (l. 183/2010) e successivamente confermato, anche se modificato nella misura (v. art. 1, comma 38, l. 92/12), innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro: f1) secondo il c.d. rito Fornero, in caso di licenziamento intimato a lavoratore assunto prima del 7 marzo 2015 (e comunque non convertito in contratto “a tutela crescenti”) ovvero f2) secondo il rito «ordinario» del lavoro (art. 414 ss. c.p.c.), in caso di licenziamento intimato a lavoratore assunto dopo il 7 marzo 2015 (v. art. 1 e 11 d.lgs. 23/2015) ;
g) l’accoglimento dell’opposizione alla delibera di esclusione comporta la riammissione del socio nella compagine associativa ex tunc;
h) l’accoglimento dell’impugnazione del licenziamento di per sé può comportare la reintegrazione del socio nel posto di lavoro, ma solo ove sia applicabile l'art. 18 St. lav. e sempre che il licenziamento non costituisca una conseguenza dell’esclusione, poiché in quest’ultimo caso, per espressa previsione normativa (art. 2, 1° comma, primo periodo, l. 142/2001), al rapporto di lavoro del socio di cooperativa l’art. 18 non si applica.
Ciò premesso, la proposta di applicare il solo rito del lavoro alle controversie in materia anche quando venga meno il rapporto associativo (oltre a quello di lavoro) non sembra tenere in debito conto ciò che può accadere nell’ipotesi in cui siano disposti espressamente tanto l’esclusione quanto il licenziamento con un’unica delibera. In tale ipotesi, infatti, dovrebbe essere possibile impugnare la delibera stessa innanzi al tribunale delle imprese anche soltanto invocando l’illegittimità dell’esclusione, senza dedurre, perché inutile, anche quella del licenziamento. Di conseguenza, il rito applicabile dovrebbe essere quello ordinario di cognizione e la competenza quella del tribunale delle imprese.

4.- La grave svista (?) in ordine alla relazione tra rapporto di lavoro e rapporto associativo.
Il secondo profilo di criticità, più grave, attiene alla configurazione della relazione tra rapporto di lavoro e rapporto associativo risultante dalle proposte.
Invero, mentre quella della Commissione Luiso, con leggera imprecisione, stabilisce che «le azioni relative al licenziamento incidente sul rapporto di lavoro subordinato del socio di cooperativa» sono introdotte ai sensi degli art. 409 ss. c.p.c., «anche nel caso in cui venga a cessare, con il rapporto di lavoro, quello associativo», quella dell’emendamento di matrice governativa, con svista molto più grave, prevede che le azioni di impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative seguano il rito speciale «anche ove consegua la cessazione del rapporto associativo».
Come innanzi detto, alla cessazione del rapporto di lavoro non “consegue” la cessazione di quello associativo, poiché, infatti, può avvenire solo l’esatto contrario. Sarebbe auspicabile, quindi, che si prendesse atto di questa svista e che si provvedesse alla sua correzione, onde evitare di aprire nuovi e odiosi capitoli di una vicenda che ha senz’altro necessità di trovare un definitivo epilogo. A tal fine, sarebbe sufficiente sostituire l’articolo “la” con la preposizione articolata “alla”.

 

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