Testo integrale con note e bibliografia

Testo del DL 20-10-2022

Testo della Circolare INPS n.137 del 27-12-2022

Testo del DM 29-4-2022

La parità di genere è destinata a divenire sempre più strumento di compliance, competitività e sostenibilità, e perciò di business, favorendo altresì l’immagine e reputazione aziendale; basti considerare la media dei differenziali di performance - + 30% profitti e + 20% innovazione - delle aziende che adottano politiche di inclusione e pari opportunità .
Affrontare un percorso di adozione di buone prassi in materia porta già di per sé il miglioramento dell’ambiente di lavoro e maggiori capacità di attrazione di talenti; inoltre consente di aspirare alla certificazione di genere, prevista dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e introdotta dall’art. 4, Legge n. 162/2021: “A decorrere dal 1° gennaio 2022 è istituita la certificazione della parità di genere al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità̀ di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità” (nuovo art. 46 bis del Codice delle Pari Opportunità D.Lgs. 198/06).
La certificazione di genere avviene su base volontaria, è soggetta a monitoraggio (audit di sorveglianza a 12 e 24 mesi), e comporta una serie di benefici per le imprese che ne siano dotate:
a) riconoscimento di un punteggio premiale per l’accesso a finanziamenti europei (art. 5, comma 3, L. 162/2021)
b) riconoscimento di un punteggio premiale nelle gare d’appalto pubbliche (art. 95, comma 13, del D.lgs. 50/2016)
c) riduzione del 30 % della garanzia fideiussoria per la partecipazione alle gare d’appalto pubbliche (art. 93, comma 7, del D.lgs. 50/2016)
d) per i datori privati, sgravio dal versamento di contributi previdenziali dell’1% e sino a massimo 50.000 euro/anno (= euro 4.166,66/mese, in relazione alle mensilità di validità della certificazione di genere): quest’ultimo beneficio, introdotto inizialmente solo per il 2022 dall’art. 5, L. 162/2021, è stato stabilizzato con il Decreto Interministeriale 20.10.2022 pubblicato il 28.11.2022 , recante anche il dettaglio della disciplina sull’esonero, ulteriormente circostanziata dall’Inps con la Circolare n. 137 del 27.12.2022 .
L’azienda che aspira alla certificazione deve dotarsi di una politica globale di parità di genere e del relativo sistema di gestione, partendo dalla nomina di un Comitato di alto profilo (AD-Presidente o DG, il Direttore del personale, ed eventuale anche Consulente esterno), cui compete redigere il piano strategico, assumere i conseguenti provvedimenti e formalizzare un documento, da pubblicare sul proprio sito, in cui siano definiti:
– obbiettivi concernenti l’uguaglianza di genere, che siano “semplici, misurabili, raggiungibili, realistici, pianificati nel tempo ed assegnati come responsabilità̀ di attuazione»;
– strategie per realizzare detti obbiettivi;
– risorse e budget adeguati.
I passi fondamentali da realizzare sono:
– informazione e formazione: istruire il personale ad una nuova cultura aziendale, che rimuova gli stereotipi e sia improntata alla inclusione e valorizzazione della diversità, a partire dalla comunicazione;
– revisione dei modelli gestionali ed organizzativi: necessario rivedere/creare le policy per adeguarle ai requisiti quantitativi e qualitativi richiesti per l’ottenimento della certificazione di genere;
– nomina di un Referente cui inviare, anche in forma anonima, segnalazioni e reclami per situazione rilevanti ai fini della discriminazione, da coinvolgere e consultare su tematiche di inclusione e per valutare l’impatto di nuove misure aziendali;
– autovalutazione costante durante il percorso di adeguamento, per misurare i progressi e verificare le chances di ottenimento della certificazione.
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Cosa può precludere la certificazione – comportamenti da evitare
Esistono alcune ipotesi che precludono la possibilità di conseguire la certificazione di genere:
a) violazioni delle norme a tutela della genitorialità (per 2 anni dall’accertamento): es. rifiuto/opposizione all’ottenimento di congedo di paternità, congedo di maternità, congedo parentale, riposi giornalieri, permessi e riposi riconosciuti per il figlio disabile in situazione di gravità ;
b) omessa priorità alla richiesta del genitore-lavoratore di poter svolgere la propria attività anche in regime di lavoro agile, laddove adottato dall’azienda (art. 18, c. 3-ter della Legge n. 81/2017);
c) assenza di misure di conciliazione vita/lavoro;
d) presenza di comportamenti discriminatori, diretti o indiretti, nei vari aspetti dell’attività lavorativa: selezione, remunerazione, orario lavorativo, ferie, maternità, garanzia occupazionale, incarico, formazione, valutazione di performance, avanzamento di carriera e salariale, sicurezza e salute, conclusione dell’impiego;
e) omessa presentazione del rapporto sulla situazione del personale per le imprese con oltre 50 dipendenti .
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La discriminazione in ambito lavorativo
La definizione di discriminazione in ambito lavorativo è contenuta nell’art. 25 del D.Lgs. n. 198/06 (Codice delle Pari Opportunità), come modificato dalla Legge n. 162/21:
I. discriminazione diretta: è integrata da qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l’ordine di porre in essere un atto o comportamento, che produca un effetto pregiudizievole, discriminando in ragione del loro sesso le lavoratrici o i lavoratori o le candidate e i candidati in fase di selezione del personale;
II. discriminazione indiretta: è integrata da ogni disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento apparentemente neutri, compresi quelli di natura organizzativa o incidenti sull’orario di lavoro, che mettano o possano mettere i candidati in fase di selezione e i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa;
III. costituisce in ogni caso discriminazione ogni trattamento o modifica dell'organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell'età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti, ponga o possa porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni:
a. posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori
b. limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali
c. limitazione dell'accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera.
Da rilevare che affinché una condotta possa considerarsi discriminatoria non è necessario uno specifico intento discriminatorio, ma è sufficiente un oggettivo effetto discriminatorio, anche indipendentemente dalla volontà del suo autore. Di ciò occorre tenere conto anche nella gestione dei sempre più diffusi strumenti di intelligenza artificiale utilizzati nella selezione del personale: non è infrequente che determinati “pregiudizi” vengano incorporati nell’algoritmo utilizzato (l’algoritmo di recruiting, come spesso definito) e si traducano in scelte apparentemente oggettive, ma di fatto discriminatorie.
Nei procedimenti in materia di discriminazione di genere, inoltre, opera un regime di distribuzione dell’onere della prova attenuato a favore della parte che denuncia la discriminazione, a cui è richiesto di presentare elementi di fatto convergenti, in modo preciso e concordante, verso la presunzione di comportamenti discriminatori in ragione del sesso; mentre spetta alla parte convenuta dover provare che la discriminazione non sussiste. Dati statistici in tali casi possono valere come elementi presuntivi (v. infra).
È utile citare alcuni esempi pratici di discriminazione secondo la recente giurisprudenza:
Tribunale Roma decreto 23 marzo 2022
È discriminatorio assumere meno gestanti della media: posto che i dati pubblicati dall’Istat rilevano una nascita nell’anno ogni 30 donne in età fertile (15-49 anni), la circostanza che la procedura selettiva della società convenuta (nuova società aerea) si sia esaurita con l’assunzione di 343 uomini e 412 donne, di cui nessuna in gravidanza, integra un comportamento discriminatorio.

 

Corte di Appello di Torino 13 aprile 2022
Pone l’attenzione su possibili comportamenti discriminatori nel modulare il premio in base alle presenze dei lavoratori: la mancata equiparazione alla presenza in servizio dell’assenza dovuta a godimento del congedo obbligatorio di maternità/paternità e dei permessi ex L. 104/1992 realizza una forma di discriminazione diretta, in quanto fondata sulla genitorialità/disabilità tutelate per legge.
Corte di Cassazione sent. n. 21801/2021:
L’attribuzione di punteggio per la progressione di carriera proporzionato al regime orario (full time/part time) costituisce una forma di discriminazione indiretta se nella sua concreta applicazione colpisce solo una categoria di dipendenti (di sesso femminile).
Nel caso di specie la disposizione datoriale, pur riservando a tutti i lavoratori PT lo stesso trattamento (no discriminazione diretta), di fatto colpiva in modo assai maggiore le dipendenti donne rispetto agli uomini (si discriminazione indiretta).
Tribunale di Bologna 31 dicembre 2021
L’introduzione di un’organizzazione su due turni - 5:30/13.30 e 14:30/22:30 – determina una discriminazione indiretta nei confronti dei genitori lavoratori, e in particolare delle lavoratrici madri: “non pare infatti potersi seriamente dubitare del fatto che il passaggio da un orario di lavoro su turno unico centrale (sostanzialmente coincidente con gli orari scolastici) ad un orario su doppio turno, il primo dei quali con inizio ad ore 5:30 del mattino e il secondo con termine alle ore 22.30 impatti molto più pesantemente sui lavoratori con figli minori e in particolare sulle lavoratrici madri, tradizionalmente e usualmente maggiormente impegnate nella cura della prole, piuttosto che sui colleghi/sulle colleghe senza figli o con figli autonomi ed autosufficienti. È poi altrettanto intuitivo ed evidente che le difficoltà di gestione dei figli minori, cagionate dalla introduzione del nuovo orario di lavoro su turni, non possono essere agevolmente superate mediante il ricorso ad ausili esterni, e ciò ove si consideri che il reddito da lavoro medio delle operaie dipendenti non consente il massiccio ricorso a servizi di baby-sitting o comunque a servizi di assistenza a pagamento”.
Il Tribunale sottolinea che la società convenuta non ha adeguatamente provato che l’imposizione del doppio turno dovesse effettivamente essere rivolta all’intera platea di dipendenti, e che pertanto non fosse possibile adibire ad un turno unico centrale almeno le lavoratrici madri con figli in tenera età, senza pregiudicare la funzionalità aziendale.
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Cosa fare per adeguarsi e poter aspirare alla certificazione
La normativa in materia ma anche la recente giurisprudenza in tema di discriminazione sul lavoro fanno da faro in questo percorso, di rivoluzione culturale e organizzativa per le aziende.
Bisogna agire sugli indicatori (c.d. KPI-Key Performance Indicators) posti alla base della certificazione di genere e previsti all’interno delle prassi di riferimento Uni/pdr 125:2022, assurte a parametri per il conseguimento della certificazione in forza del Decreto del Ministro delle Pari Opportunità del 29.4.2022 .
Detti KPI ricoprono sei aree, ciascuna avente un proprio peso percentuale ai fini del raggiungimento del punteggio di congruità, come di seguito indicate:
1. Cultura e strategia (incidenza 15%):
Presenza di attività di formazione, comunicazione interna e sensibilizzazione che promuovano l’utilizzo di comportamenti e di un linguaggio in grado di garantire un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso delle diversità di genere, a partire dalla selezione ed assunzione.
2. Governance (incidenza 15%):
Istituzione di un presidio per la gestione e il monitoraggio delle tematiche legate a inclusione, parità di genere e integrazione; presenza di esponenti del sesso meno rappresentato nell'organo amministrativo e di controllo dell’organizzazione.
3. Processi HR (incidenza 10%):
definizione di processi di gestione e sviluppo delle risorse umane a favore di inclusione, parità̀ di genere e integrazione.
4. Opportunità di crescita e inclusione delle donne (incidenza 20%):
bilanciamento di genere nelle posizioni di leadership aziendale.
5. Equità remunerativa (incidenza 20%):
promozioni e remunerazione variabile a parità di condizioni; programma di welfare che consideri le esigenze delle persone di ogni genere ed età.
6. Tutela della genitorialità e conciliazione di vita e lavoro (incidenza 20%):
predisposizione di programmi specifici per i congedi di maternità o di paternità, di un piano per la gestione delle diverse fasi della maternità (prima, durante e dopo), di meccanismi di informazione finalizzati a incentivare la richiesta del congedo per paternità, di iniziative specifiche per supportare i/le dipendenti al loro rientro dal congedo genitoriale; inclusione nell’ambito del programma di welfare aziendale, ove esistente, di iniziative specifiche per supportare i/le dipendenti nelle attività genitoriali e di caregiver; offerta di servizi specifici quali asili nido aziendale, dopo scuola per i bambini o durante le vacanze scolastiche, voucher per attività̀ sportive dei figli, ecc.; garanzia che le riunioni di lavoro siano tenute in orari compatibili con la conciliazione dei tempi di vita familiare e personale.
Il raggiungimento dello score minimo di sintesi complessivo per determinare l’accesso alla certificazione da parte dell’organizzazione è pari al 60%
Peraltro, per assicurare coerenza con le dimensioni dell’organizzazione sono state identificate 4 fasce/cluster, attraverso cui classificare le organizzazioni, per le quali è prevista o meno l’applicazione di alcuni dei KPI
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Enti certificatori e risorse economiche
Al rilascio della certificazione provvedono gli organismi di certificazione – ad oggi sono 18, in continua crescita - accreditati presso Accredia, l’Ente Unico italiano di accreditamento, i quali a loro volta devono avere preventivamente conseguito la certificazione Uni/pdr 125:2022.
Ingenti fondi sono stati messi a disposizione per sostenere le organizzazioni nel conseguimento della certificazione:
 il PNRR ha destinato 10 milioni di euro per coprire le spese di certificazione, suddivisi in:
- 2 milioni per il sistema informatico di raccolta dati;
- 5.500 milioni per i costi di certificazione (max euro 12.500 ad impresa)
- 2.500 milioni per servizi di assistenza tecnica e accompagnamento (max 2.500 ad impresa);
 il DI 20.10.22, pubblicato il 28.11.2022 ha previsto lo stanziamento di 2 milioni di euro annui a favore del Fondo per il sostegno della parità saliare di genere del Ministero del Lavoro, a copertura di interventi finalizzati alla promozione della parità salariare di genere, delle pari opportunità nei luoghi di lavoro e della partecipazione delle donne al mercato del lavoro;
 alcune Regioni (es. Lombardia) hanno deliberato di riconoscere alle imprese del territorio che vogliano certificarsi ulteriori risorse sotto forma di contributi, anche in voucher, per servizi di consulenza e rimborso dei costi di certificazioni (ma per lo più sono ancora ad oggi in corso di definizione gli importi e le modalità per ottenerli).
A inizio gennaio 2023 risultano 171 imprese certificate, di diversi settori, e molte altre domande sono in corso d’esame.
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Un siffatto sistema, di recente introduzione, può fortemente agevolare il superamento del gender gap in ambito lavorativo, ancora troppo elevato nel nostro Paese, e contribuire al benessere di lavoratrici e lavoratori così come alla produttività aziendale.
Sta a tutti noi, operatori del diritto, divulgare una nuova cultura del lavoro e valorizzarla come priorità strategica, aiutando le imprese a realizzarla.

 

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