TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

A dicembre 2023 è stato pubblicato il Rapporto INAPP 2023: lavoro, formazione, welfare. Un percorso di crescita accidentato che presenta lo stato del l’occupazione e del lavoro in Italia.

Il rapporto adotta una prospettiva di genere, mettendo in evidenza di ogni aspetto affrontato le differenze che intercorrono fra lavoratori e lavoratrici, e restituisce un quadro ancora critico del lavoro delle donne

Con riguardo alle nuove attivazioni, il rapporto evidenzia un gap di 8 punti percentuali a vantaggio degli uomini, con una prevalenza di assunzioni delle lavoratrici nel settore dei servizi (86% contro il 63% di quelle di lavoratori, che invece sono presenti in modo preponderante nei settori industriale e agricolo).

Altrettanto critico è l’aspetto della qualità del lavoro, che vede le donne assestarsi su un livello più basso dal punto di vista economico, di autonomia e di partecipazione alla vita dell’impresa, con un forte divario fra il nord e il sud del nostro paese. In particolare, benché le lavoratrici si dichiarino più soddisfatte degli uomini rispetto ad alcune condizioni di lavoro (orari, carichi, mansioni, clima), lamentano invece il persistere di condizioni retributive inadeguate e di scarse opportunità di crescita professionale.

Ugualmente distribuita, invece, è la percentuale di uomini e donne che dichiarano di svolgere un lavoro conforme alle proprie aspirazioni e di condividere i valori sposati dell’organizzazione in cui sono inseriti, mentre sono percentualmente di più le donne che dichiarano di sentirsi poco valorizzate professionalmente e che lamentano scarsa motivazione rispetto al lavoro svolto.

Rimane ancora significativo il divario u/d nelle assunzioni con contratti di lavoro non standard.

Il rapporto, tuttavia, commenta il dato di genere con riguardo al solo contratto a tempo parziale, mostrando una progressiva (ma pur sempre lenta) diminuzione dello scarto fra donne assunte a tempo pieno e donne assunte a tempo parziale (scarto che comunque rimane molto più alto di quello maschile), verosimilmente per la progressiva sempre maggiore diffusione di modalità flessibili di svolgimento della prestazione, fra cui sicuramente l’assegnazione al lavoro agile.

È interessante la rilevazione relativa alla capacità (o incapacità) degli incentivi all’occupazione di incrementare il tasso di occupazione femminile.

La valutazione di sintesi è del tutto negativa, sia con riferimento agli incentivi rivolti indifferentemente a uomini e donne, sia con riferimento a quelli specifici riservati alle donne, a conferma di divari sostanzialmente impermeabili a misure di tipo congiunturale.

Appaiono scarsi, infatti, i risultati ottenuti sia dal Bonus donne (che ha inciso per il 2,9% sul totale delle assunzioni) che dall’Incentivo donne (nelle due forme ex l. n. 92/2012 e l. n. 178/2020, che ha inciso per l’1,9% sul totale delle assunzioni).

Inoltre, entrambe le forme di incentivo presentano una bassa quota di lavoro stabile. Le forme contrattuali prevalenti sono quelle a termine e discontinue: nel caso di Incentivo donne, L. n. 92/2012, il 60% circa dell’occupazione creata è in somministrazione, con oltre il 57% di questa quota in part time. L’incentivo donne ex l. n. 178/2020 predilige per il 43,4 % il lavoro a termine, con una quota di part time che supera il 78%.

Più in generale, i dati evidenziano che il 43% di tutte le assunzioni agevolate è a tempo parziale, ma con una netta connotazione di genere: 58,5% delle donne contro 32,2% degli uomini. Il ricorso agli incentivi, quindi, riproduce lo scenario noto di un’occupazione femminile minore per quantità (le donne sono pari al 40,9% del totale) e con minori ore lavorate. Il dato del 43% di assunzioni agevolate a tempo parziale è superiore alle assunzioni part time avvenute in assenza di incentivo, sia per uomini (il 32,2% contro il 24,7%) che per donne (58,5% contro 47%). Il part time, inoltre, si conferma in prevalenza involontario.

Critico è anche il connubio tra contratto di somministrazione e part time, che determina una ulteriore fragilità reddituale. Questa situazione interessa il 16% delle donne assunte con Esonero giovani l. n. 205/17 contro il 7,6% di uomini e il 20,8% delle donne assunte con Esonero giovani l. n. 178/2020 contro il 7,1 % maschile.

Tra l’opzione di contratto a tempo indeterminato e contratto a termine, quest’ultimo è stato prevalente sia per uomini che per donne (55,5% e 53,2%); tuttavia fra le assunzioni a termine il 77,1% a tempo parziale riguarda le lavoratrici. La quota di assunzioni a tempo indeterminato è inferiore a quella degli uomini (12,2% contro 17,9%), mentre si registra una presenza femminile superiore nelle forme più discontinue: lavoro stagionale e contratto intermittente.

Risulta vincente dal punto di vista dell’inserimento nel mercato del lavoro il contratto di apprendistato, che però non è in grado di incidere in modo significativo sul gap occupazionale femminile. Inoltre, anch’esso si connota per uno squilibrio di genere nei contratti a tempo parziale (43,6% donne contro il 21,9% degli uomini) e per il ricorso al lavoro stagionale (14,7% di donne contro 10,5% di uomini).

In conclusione, il rapporto evidenzia che «l’incentivo scelto specificatamente per il miglioramento della partecipazione femminile ha riprodotto le stesse criticità del mercato del lavoro. Resta prevalente il ricorso a contratti non stabili e la percentuale di part-time su tutte le forme contrattuali si attesta in media al 65%. Lo scenario offerto dai dati Inps fotografa per le donne una consolidata crescita del lavoro a termine e discontinuo, la cristallizzazione della nota specificità femminile del tempo parziale. Il combinato disposto di queste due caratteristiche determina una maggiore difficoltà di permanenza nel mercato e una ridotta autonomia economica potenzialmente a supporto di percorsi individuali di lungo periodo veramente liberi, ivi compresa quello legato alla maternità. In mancanza di correzioni, il modello a partecipazione ‘fragile’, discontinua e con bassi redditi condurrà a costruire pensioni ‘fragili’ e a trasformare l’attuale gender pay gap in un gender pension gap».

 

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