testo integrale con note e bibliografia
1. La malattia come evento impeditivo della prestazione lavorativa.
I dati elaborati delle principali organizzazioni internazionali attive negli studi sullo sviluppo economico mondiale, rilevano un elevato numero di persone affette da malattie croniche, per patologie richiedenti anche il trapianto di organi . L’ingravescenza di tali numeri è destinata ad aumentare, sia per effetto del progresso scientifico e tecnologico in ambito sanitario, sia per l’incremento delle aspettative di vita e del conseguente invecchiamento generale della popolazione . Per quanto possa sembrare antitetico, dinanzi all’aumento della longevità è correlato un peggioramento delle condizioni generali di salute .
Nel trattare il delicato tema dell’interazione delle malattie croniche con il rapporto di lavoro, può essere utile partire dalla nozione giuslavoristica di malattia ai sensi dell’art. 2110 c.c.
In particolare, è legittimo chiedersi se il concetto di malattia, che trae origine dagli artt. 2110-2094 c.c., sia ancora compatibile con lo scenario segnato di recente da nuove patologie, progressivamente manifestatesi a seguito del mutare degli stili di vita attuali, ben diversi da quelli riscontrabili nel tempo nel quale le norme sono state introdotte.
Queste hanno, comunque, assolto un’importante funzione protettiva del lavoratore subordinato, nelle situazioni di debolezza derivanti, ad esempio, dall’impossibilità di rendere la prestazione di lavoro per ragioni soggettive .
Si tratta di verificare l’esatto confine della nozione di malattia c.d. comune, rispetto a quella di malattia c.d. cronica, che non ha ricevuto una puntuale regolamentazione nell’ambito del diritto del lavoro , evidenziando una carenza che induce ad incertezza giuridica, riguardo all’individuazione dei diritti che competono ai lavoratori affetti da consimili forme patologiche.
L’art. 2110 c.c. pur annoverandola nella sua rubrica la nozione di malattia (al pari degli altri eventi sospensivi dell’obbligo di prestazione) non offre una definizione precisa del fenomeno, per cui si rende necessario ricorrere non solo all’interpretazione giurisprudenziale formatasi sulla nozione, ma anche ad altre norme dell’ordinamento in funzione di una interpretazione sistematica .
Secondo orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, per malattia si intende una alterazione dello stato psico-fisico del lavoratore tale da indurre una concreta e attuale incapacità al lavoro , ossia uno stato patologico che determina una condizione di impossibilità della prestazione specifica dovuta dal lavoratore .
Tale nozione risulta dal previgente Decreto del Presidente della Repubblica n. 3/1957 , laddove all’articolo 67 si fa riferimento ad una “malattia che impedisca temporaneamente la regolare prestazione di servizio”.
Definizione confermata, in seguito, dall’articolo 2, primo comma, della legge n. 33/1980 che, nel prescrivere le modalità di invio del certificato medico di malattia all’INPS e al datore di lavoro, fa riferimento ai casi di infermità comportanti incapacità lavorativa .
In coerenza con tale interpretazione, la stessa giurisprudenza qualifica la malattia come fatto impeditivo della prestazione, di talché definisce illegittimo “ex se” il comportamento del lavoratore che, nel periodo di assenza per malattia, devolva le “residue” capacità psico-fisiche allo svolgimento di altra attività, anche presso terzi , in violazione dei generali doveri di buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c., configurandosi tali condotte come eziologicamente idonee a ritardare, se non precludere, la piena guarigione ed il pieno recupero della capacità lavorativa .
La problematica definitoria relativa al carattere c.d. cronico della malattia è emersa all’attenzione degli interpreti giuridici in relazione al suo porsi quale ragione legittimante il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dato che “ (…) erano numerosi i casi nei quali la natura cronica della malattia (una cronicità, evidentemente invalidante) induceva i magistrati a ravvisare il g.m. obiettivo in termini di prognosi sfavorevole sull’idoneità lavorativa del dipendente, spesso a seguito di approfonditi accertamenti peritali” .
Solo di recente l’approccio giustificatorio è mutato, essendo invalsa nella giurisprudenza una tendenza interpretativa orientata ad equiparare alla disabilità la condizione soggettiva del lavoratore colpito da malattia cronica, il quale abbia subito, a causa della medesima, una compromissione della vita professionale, che lo equipara in concreto alla condizione del disabile.
La prima conseguenza di tale equiparazione consente di qualificare come discriminatorio il relativo licenziamento per superamento del periodo di comporto , stabilito in sede collettiva in modo indifferenziato per tutti i lavoratori, qualificandolo nullo, con l’applicazione della reintegra piena ex artt. 15 e 18, 1° comma legge n. 300/1970 (modificato dalla legge n. 92/2012) nonché dall’art. 2, d.lgs. n. 23/2015.
Tale rilievo fa parte del quadro di una generale rielaborazione sul piano concettuale delle problematiche che il presente studio si propone di analizzare.
2. La definizione di malattia cronica e l’esigenza di un’apposita regolazione nel diritto del lavoro.
Va premesso che, come già accennato, sul piano sistematico non esiste una specifica definizione giuridica di “malattia cronica” . Alcune indicazioni per descrivere le caratteristiche di siffatta patologia possono essere ricavate dalle definizioni formulate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’ European Health Interview survery (EHIS) , le quali si focalizzano sulla durata di queste malattie, che, nella maggior parte dei casi, perdurano per gran parte della vita di chi ne è affetto, essendo causate da un’alterazione patologica non reversibile, o che richiedono una speciale riabilitazione, oltre a periodi di cura e osservazione prolungati .
E’ rilevante come in entrambe le definizioni si evidenzi la “lunga durata” quale requisito ricognitivo della fattispecie .
Stante la criticità del quadro definitorio, non è possibile, in questa sede, procedere oltre una enumerazione esemplificativa delle malattie croniche più rilevanti .
In alcune classificazioni queste sono distinte dalle patologie acute, ossia quelle che non presentano tendenziale continuità temporale, ma che si caratterizzano per una evoluzione a (relativamente) breve termine verso la guarigione, o verso il rapido peggioramento.
3. (Segue) La via della fragilità e disabilità come possibili incentivi di inclusione sociale.
Dal quadro sopra delineato si evince come la malattia cronica trovi solo un parziale inquadramento nelle scienze mediche, risultando carente nell’aspetto concernente la regolamentazione giuridica del fenomeno.
Conseguenza di ciò è il generico riferimento del legislatore al concetto di malattia c.d. “comune”, sicché, a fini definitori, si pone la necessità di un dialogo tra scienza medica e scienza giuridica.
In occasione dell’emergenza epidemiologica segnata dalla diffusione del virus Covid-19 , il legislatore ha tentato di assicurare adeguata protezione ai soggetti maggiormente esposti alla possibilità, se non alla probabilità di subire conseguenze dal rischio di contagio, piuttosto che risultarne indenni.
In questo contesto il riferimento al concetto di “fragilità” è parso quanto mai significativo, riflettendo, il versare del soggetto in una condizione personale, riconducibile a situazione in atto, per la quale l’esposizione al rischio è suscettibile di determinare un esito più grave, o addirittura infausto, rispetto al altri, nello scenario evolutivo prevedibile alla stregua di pregresse esperienze .
In particolare, l’art. 90, d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. Decreto “Rilancio”), convertito in legge 17 luglio 2020, n. 77, ai fini dello svolgimento del lavoro agile, fornisce un’indicazione di lavoratori più vulnerabili, c.d. fragili, ossia “quelli maggiormente esposti a rischio contagio da virus Sars-coV-2, in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o, comunque, da comorbilità che possono caratterizzare una situazione di maggiore rischiosità”.
Il successivo decreto del Ministero della Salute (D.M.S. ) emesso il 4 febbraio 2022 individua un’elencazione non tassativa di lavoratori affetti da alcune “patologie croniche”, con scarso compenso clinico e con particolare connotazione di “gravità”, “attestate da una certificazione” del medico di medicina generale, qualora evidenzi una condizione di rischio derivante da immunodepressione, o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, ivi inclusi i lavoratori in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
La nozione legale di “fragilità”, o “vulnerabilità”, ha ricompreso le persone con forme di disabilità grave e i malati cronici , accomunati tra loro dalla stessa disciplina, attraverso l’applicazione di una tecnica legislativa caratterizzata dalla costruzione di una fattispecie aperta ed intenzionalmente indeterminata, utilizzata al fine di adeguare la disposizione alla realtà articolata e mutevole, a seconda del decorso del tempo e dell’evolversi delle situazioni tratte ad oggetto di regolamentazione .
La tendenza all’inclusione delle malattie croniche nel concetto di disabilità è, ormai da tempo, al centro del dibattito eurounitario.
Potrebbe affermarsi che, mentre nella disabilità la riduzione della capacità lavorativa resta stabile nel tempo e, al più, tende al peggioramento, nel caso della malattia cronica, invece, la riduzione della capacità lavorativa non è stabile, in quanto, come si è detto, si riscontrano alternativamente fasi in cui il malato cronico si assenta dal lavoro e fasi diverse di ripresa, nelle quali costui è in grado di lavorare.
Innanzitutto una tendenziale omologazione tra le malattie croniche e disabilità si desume nella stessa nozione di quest’ultima offerta dall’art. 1 della Convenzione ONU sui diritti con le persone con disabilità , secondo la quale questa è “una limitazione risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, in interazione con barriere di diversa natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori”.
La tendenza all’inclusione delle malattie croniche nel concetto di disabilità è proseguita nella giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea e nazionale ove, utilizzando una definizione ampia di disabilità, ispirandosi nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, si stabilisce che, nel caso in cui la malattia del lavoratore comporti una limitazione di lunga durata che possa ostacolare la sua piena ed effettiva partecipazione alla vita professionale, questo limite rientra nella nozione di disabilità prevista ai sensi della Direttiva 2000/78, in materia di parità di trattamento .
La Corte ha, quindi, mutato il proprio orientamento, passando dall’adozione di un modello biomedico-individuale di disabilità, nel quale la disabilità è distinta dalla malattia e l’handicap si basa sul concetto di menomazione, ad un approccio bio-psico-sociale , nel quale la condizione patologica di lunga durata rileva in relazione alla limitazione della vita socio-professionale.
4. La tutela nel reinserimento lavorativo del malato cronico: brevi riflessioni alla luce del d.lgs. n. 62/2024.
Nel nostro ordinamento, fino all’emanazione del d.lgs. 3 maggio 2024, n. 62 , di attuazione della legge 22 dicembre 2021 n. 227, nota anche come legge delega sulla disabilità, la relativa nozione legale di disabilità aveva costituito oggetto di discussione .
Il d. lgs. 3 maggio 2024, n. 62 , ha adottato in attuazione dei criteri direttivi della l. n. 227/2021 (c.d. “legge delega sulla disabilità”) , una definizione unitaria di disabilità coerente con l’art. 1, paragrafo 2, della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità .
Il provvedimento ha previsto una procedura valutativa di base unica per la certificazione della disabilità , affidata dal 1° gennaio 2026 in via esclusiva all’INPS ; nonché l’istituzione di un successivo “procedimento di valutazione multidimensionale” basato su un modello bio-psico-sociale , in collaborazione con la stessa persona con disabilità, per l’elaborazione di un progetto di vita individuale personalizzato e partecipato .
Le innovazioni previste dalla normativa in parola segnano un cambio di metedologia e di approccio al tema , contraddistinto da un differente percorso giuridico-culturale, che il legislatore evidenzia attraverso l’uso di un diverso linguaggio definitorio: l’espressione “portatore di handicap” è sostituita dalla espressione “persona con disabilità” e la “condizione di gravità” con la locuzione “persona con disabilità avente necessità di sostegno intensivo”, con conseguente abrogazione di tutte le altre precedenti denominazioni.
Il d.lgs. 62/2024 abbandona, quindi, la correlazione fra disabilità e gravità della menomazione, che connotava negativamente la persona, per introdurre una nuova correlazione fra la disabilità e l’intensità dei sostegni necessari ad assicurare la partecipazione delle persone in un contesto di “uguali” .
Ci si discosta nettamente dalla risalente concezione di servizio standardizzato, passando ad un modello “cucito” sulla persona.
L’art. 11 del decreto prevede che dal 1° gennaio 2025 nella valutazione di base è utilizzata la Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (“International Classification of Functioning, Disability and Health”) (ICF ), approvata dalla 54ª Assemblea mondiale della sanità il 22 maggio 2001, e sue successive modifiche, congiuntamente alla versione adottata in Italia della Classificazione internazionale delle malattie (ICD) dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e di ogni altra eventuale scala di valutazione disponibile e consolidata nella letteratura scientifica e nella pratica clinica.
L’uso combinato dei suddetti indici vale a ricomprendere gran parte delle malattie croniche all’interno della definizione di disabilità.
Ebbene, alla luce di quanto sopra esposto, sebbene l’applicazione di alcune norme del d.lgs. n. 62/2024 risulti condizionata all’emanazione di un decreto ministeriale attuativo ed al contempo, dall’esito della fase sperimentale (prevista entro la fine del 2025), si può, comunque, osservare che la disciplina in parola assume già allo stato degli atti una significativa importanza anche per i malati cronici, oltre che sul piano generale, per tutte le persone con disabilità.
La concreta attuazione della normativa è funzionale a definire un più chiaro ed ampio statuto protettivo per i malati cronici, agevolando la loro inclusione personale e sociale nel novero dei soggetti con disabilità, nell’ottica, quindi, del superamento delle più evidenti carenze dell’attuale quadro regolatorio offerto dal nostro ordinamento .
Scendendo sul piano operativo, allo scopo di approntare un’adeguata tutela lavoristica a favore della persona del malato cronico, al fine di favorire la piena espressione delle sue potenzialità professionali nell’impresa e nella società in generale, conformemente al dettato degli artt. 2 e 4 della Costituzione, sarebbe opportuno, comunque, rafforzare le nuove figure professionali del disability manager , il diversity manager, il mobility manager, ecc.
Un altro percorso che merita riflessione è dato dal sostegno dell’impresa nel processo di valorizzazione ed inclusione del malato cronico, attraverso la costituzione di un sistema di incentivazione fiscale ed economica e/o normativa da parte del legislatore.
L’agevolazione contributiva, anche se non in percentuale così importante, come potrebbe essere per il contratto di apprendistato, potrebbe comunque fungere da significativa leva di interesse per implementare scelte datoriali, che, al momento, sono rimesse alla discrezionalità delle politiche aziendali.
Infine, una terza linea di intervento, legata ad un’esigenza del diritto del lavoro in generale, attiene al modello di regolazione da applicare per un adeguato assetto degli interessi.
Auspicabile sarebbe l’implementazione di modelli di regolazione che perseguano la sostenibilità del lavoro del malato cronico, mirati alla condizione della singola persona, in quanto “la tensione alla individualizzazione e soggettivazione regolativa è crescente” nel diritto del lavoro e dunque, “c’è da chiedersi a quali condizioni possa trovare oggi spazio l'accomodamento delle norme alle istanze dei singoli, per assecondare i cambiamenti del paradigma sociale, economico, organizzativo improntati sempre più alla singolarità, mediante la differenziazione delle regole a livello micro senza rinnegare l'impianto e lo spirito protettivo del diritto del lavoro” .
In altre parole, si tratta di porre al centro dell’attenzione la singola persona, con le sue esigenze e potenzialità, da valorizzare all’interno di un percorso regolativo personalizzato.