testo integrale con note e bibliografia
1. Premessa.
L’Organizzazione Internazionale del lavoro (OIL) sottolinea che circa 800 milioni di persone disabili sono in età lavorativa e che la loro esclusione dal mondo del lavoro, e la loro posizione ai margini della società, ha un costo compreso tra il 3% ed il 7% del PIL mondiale. Anche a fronte di tali dati, l’Agenda 2030 dell’UE per lo sviluppo sostenibile rivendica tra i suoi obiettivi quello di “Garantire entro il 2030 un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per donne e uomini, compresi i giovani e le persone con disabilità, e un’equa remunerazione per lavori di equo valore” (Obiettivo 8, Target 5). L’attuale Strategia europea per i diritti delle persone con disabilità 2021 – 2030, compendiata dal Pacchetto sull’Occupazione con Disabilità, evidenzia la necessità di sviluppare competenze per nuovi lavori e ambienti di lavoro sicuri e inclusivi tenuto conto che l’occupazione è il modo migliore per garantire l’autonomia economica e l’inclusione sociale .
Appare, dunque, evidente che nel contesto lavorativo la tutela della disabilità (rectius della persona con disabilità) rappresenta un pilastro del progresso etico e sociale delle imprese e, al contempo, una doppia sfida per il legislatore sotto il profilo dell’inclusione e della protezione della salute e dignità della persona. Due sfide che trovano il medesimo punto di caduta teleologico nel valore assoluto del lavoro dignitoso - declinato secondo l’imperativo dell’art. 27 della Convenzione ONU (2006) come “diritto al lavoro delle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri” garantendo che “siano forniti accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro” – e che il diritto del lavoro affronta con strumenti giuridici diversi e complementari.
Il nostro ordinamento si occupa di inclusione attraverso una legislazione connotata dalla finalità promozionale, cioè funzionale a favorire l’entrata (e la permanenza) nel mercato del lavoro “su base di uguaglianza con gli altri”, a garantire l’accessibilità alle tecnologie digitali (art. 9, Conv. ONU) e condizioni di lavoro che impediscano il proliferare di discriminazioni, sia dirette che indirette.
Infatti, la natura promozionale della disciplina innerva, ad esempio, la legge sul collocamento obbligatorio (l. n. 68/1999), la legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate (l. n. 104/1992), la disciplina sul trasferimento (art. 33, co. 6, l. n. 104/1992), la normativa sul lavoro agile (l. n. 81/2017), le linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità (d.m. n. 43 del 11 marzo 2022), la recente disciplina in tema di definizione, condizioni, diritti della persona disabile (d.lgs. n. 62/2024).
Ma è certamente il plesso normativo antidiscriminatorio che garantisce effettività all’inclusione, sia attraverso il suo peculiare sistema sanzionatorio sia, soprattutto, grazie alle fonti sovranazionali che hanno arricchito la disciplina domestica con il meccanismo degli accomodamenti ragionevoli .
Proprio tale ultimo strumento risulta il trait d’union con la disciplina a tutela della salute e dignità della persona disabile all’interno delle organizzazioni di lavoro; disciplina che a differenza di quella dedicata all’inclusione, affronta la propria sfida attraverso una legislazione caratterizzata da un approccio di tipo prevenzionale. Come sottolineato, ferma la diversa morfologia teleologica, i due sistemi normativi condividono le misure di accomodamento ragionevole quando quest’ultime esprimono una funzione prevenzionale o quando le misure di prevenzione integrano ragionevoli accomodamenti, quando cioè si è in presenza di una misura “polifunzionale” .
Il presente contributo perimetra la propria analisi su questo ultimo profilo, indagando le misure di accomodamento ragionevole in funzione dell’adempimento dell’obbligo di sicurezza del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.
2. Gli accomodamenti ragionevoli nel prisma del modello di prevenzione europeo e nazionale
Sulla scorta di quanto sancito dal principio 17 del pilastro europeo per i diritti sociali, “Le persone con disabilità hanno diritto ….a servizi che consentano loro di partecipare al mercato del lavoro e alla società e a un ambiente di lavoro adeguato alle loro esigenze” .
Questo obiettivo viene declinato dalle istituzioni europee attraverso molteplici iniziative tra cui spicca l’attuale Strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030. La sua “messa a terra” nel settore del lavoro è demandata al Pacchetto sull’Occupazione delle Persone con Disabilità che, tra le sue cinque aree di intervento , contempla anche la corretta implementazione dei ragionevoli accomodamenti nei luoghi di lavoro secondo un approccio alla disabilità inclusivo e consapevole, cioè secondo il modello biopsicosociale di disabilità, che pone l’individuo al centro del processo, richiedendo ai datori di lavoro di adottare soluzioni personalizzate e condivise.
Il moderno concetto di disabilità assume, infatti, una dimensione socio-relazionale riferendosi all’interazione tra le condizioni di salute e i fattori contestuali sui quali è prioritario agire affinchè essi si trasformino da barriere a “facilitatori” di inclusione . D’altra parte la ricerca della miglior interazione tra uomo-macchina-ambiente, figlia del principio ergonomico, non risponde solo a ragioni di sicurezza e di miglioramento delle condizioni lavorative ma è anche funzionale all’accessibilità al mercato del lavoro da parte della persona disabile.
Orbene, tale compito è stato affidato alle “soluzioni ragionevoli” che i datori di lavoro devono individuare, condividere e attuare nelle proprie organizzazioni di lavoro. Come ben noto, la definizione di accomodamento ragionevole si rinviene nell’art. 5 della Direttiva UE 2000/78 e nell’art. 2 della Convenzione ONU del 2006, riferendosi la prima a provvedimenti appropriati che il datore di lavoro deve prendere “in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato”, e la seconda alle “modifiche e adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo (…) per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e le libertà fondamentali”.
Appare evidente che entrambe le definizioni si presentano come polifunzionali, cioè rivolte sia all’inclusione che alla tutela della salute, ma soprattutto assai ampie e generiche , lasciando ai datori di lavoro il difficile onere di individuare le misure da adottare e alla giurisprudenza la valutazione sull’adeguatezza e sulla natura dell’accomodamento impiegato in ragione del coordinamento tra la disciplina prevenzionistica e quella antidiscriminatoria. Va subito precisato che la Corte di Giustizia si presenta monolitica nel ritenere che le misure di prevenzione, se specificamente rivolte al lavoratore con disabilità, costituiscono ragionevoli accomodamenti con la conseguenza che in caso di mancata adozione (o di rifiuto) della misura i due plessi normativi si sovrappongono, e il lavoratore disabile vedrà rafforzata la tutela prevenzionistica grazie la disciplina antidiscriminatoria.
L’approccio della legislazione domestica si presenta in modo speculare a quello sovranazionale. Infatti, il recepimento della categoria degli accomodamenti ragionevoli avviene con una definizione generica che sostanzialmente ricalca quella europea, sia nell’art. 3, co. 3-bis del d.lgs n. 216/2003 (misure e adattamenti necessari ed appropriati, purchè non sproporzionati rispetto allo stato di salute dell’impresa), sia nel recente art. 5-bis della l. n. 104/1992 introdotto dall’art. 17 del d.lgs n. 62/2024 che rinvia alla nozione contenuta nell’art. 2 della Conv. ONU 2006. Una delle novità dell’art. 5-bis (peraltro assai rilevante) riguarda la sottolineatura della partecipazione attiva della persona con disabilità alla individuazione della misura di accomodamento ragionevole (commi 3 e 6, art. 5-bis), su cui si tornerà nel prossimo paragrafo.
Pur nell’economia di questo scritto non si può non soffermarsi brevemente sull’operatività del limite economico, collegato alla ragionevolezza e proporzionalità dell’onere finanziario, nell’ottica prevenzionistica. Infatti, quando l’accomodamento ragionevole si sostanzia in una misura di prevenzione quel limite endogeno alla fattispecie trova un forte ridimensionamento, se non addirittura una completa recessione dinnanzi al prevalente diritto alla salute .
Ciò accade certamente quando il carattere di indispensabilità della misura discende della prescrizione del medico competente, ma è altresì presente qualora l’accomodamento ragionevole sia l’unico possibile per garantire la salute della persona disabile. La giurisprudenza nazionale sembra consolidarsi su questi approdi affermando che “qualsiasi attività lavorativa che non si possa svolgere senza porre in serio pericolo la vita dei lavoratori, semplicemente non deve essere svolta o deve essere svolta in modo radicalmente differente” .
In altri termini, dal momento che l’accomodamento ragionevole integra l’obbligazione dell’art. 2087 c.c., tali misure al pari delle altre misure di prevenzione non possono essere sottoposte a valutazioni “di carattere puramente economico” (considerando 14, Dir. CEE 89/391).
Forse, gli unici profili di contemperamento potrebbero rinvenirsi da un lato nell’ipotesi di possibile alternatività della misura di accomodamento ragionevole che permetterebbe al datore di lavoro di scegliere quella meno onerosa; dall’altro nel caso di bilanciamento con situazioni di diritto soggettivo altrui che non possono essere sacrificate oltre la “tollerabilità considerata accettabile secondo la comune valutazione sociale” .
Si può, dunque, osservare che, in presenza di lavoratori disabili, l’obbligazione di sicurezza ex art. 2087 c.c. dilata il perimetro dei comportamenti esigibili da parte del datore di lavoro per consentire l’adattamento del lavoro alla persona disabile . E, a ben vedere, l’ampliamento riguarda l’integrazione degli accomodamenti ragionevoli all’interno del modello di prevenzione aziendale, a partire dal pilastro su cui si fonda tale modello, cioè la valutazione dei rischi.
3. La valutazione dei rischi e gli accomodamenti ragionevoli a “geometria variabile”
La declinazione degli accomodamenti ragionevoli in chiave prevenzionistica necessariamente si colloca all’interno del fondamentale (e indelegabile) obbligo del datore di lavoro di effettuare la valutazione dei rischi, secondo le modalità previste dall’art. 28, d.lgs n. 81/2008 e, dunque, considerando “tutti i rischi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari”, in ragione di una peculiare condizione soggettiva .
In primo luogo, va sottolineato l’intento del legislatore di voler considerare la dimensione collettiva della disabilità all’intero della valutazione dei rischi, affrancandola da una gestione esclusivamente episodica e individuale per inserirla nel cuore del modello di prevenzione aziendale, al fine di considerare l’eventualità di misure di accomodamenti ragionevoli trasversali. In tal senso si possono interpretate le misure che garantiscono l’accessibilità del lavoro per i lavoratori disabili, sia riferita all’ambiente fisico (art. 63, co. 2, d.lgs n. 81/20028), sia alla semplicità di utilizzo in autonomia delle attrezzature (Dir. CE 2009/104), oggi anche digitali, sia, infine, all’impiego del lavoro da remoto, riservato in via prioritaria alle persone con disabilità che ne facciano richiesta (art. 18, co. 3-bis, l. n. 81/2017) .
In particolare gli ambienti di lavoro devono essere ispirati al moderno approccio del Design for all/Universal Design secondo i requisiti funzionali di accessibilità e fruibilità indicati dalle norme standardizzate . Quest’ultime impongono un nuovo metodo di progettazione ove l’uomo, le sue abilità, le sue diversità e i suoi bisogni sono al centro del progetto, in adesione ai principi dell’art. 9 Conv. ONU 2006. Nella realizzazione dell’ambiente di lavoro, questo si traduce nell’incentrare la progettazione dello stesso sulle diverse tipologie di disabilità e della progettazio¬ne senza barriere, affinché siano utilizzabili da tutte le persone, nella misura più estesa possibile, senza il bi¬sogno di adattamenti o di progettazioni specializzate.
Sul piano individuale i lavoratori disabili hanno necessità di una prevenzione rafforzata e adeguata al tipo di disabilità fisica, sensoriale, intellettiva o psicosociale che li riguarda. In presenza di lavoratori disabili, dunque, il datore di lavoro sarà chiamato ad integrare gli accomodamenti ragionevoli collettivi, definiti nella valutazione dei rischi, con misure di accomodamento ragionevole personalizzate, in funzione delle differenti tipologie di disabilità, dei contesti lavorativi, degli strumenti di lavoro e delle mansioni .
Come già evidenziato, non esistendo una tassonomia degli accomodamenti ragionevoli, spetta al datore di lavoro individuare le singole misure, anche tenendo in considerazione alcune utili indicazioni metodologiche rinvenibili nella guida della Direzione Generale per l’Impiego della Commissione europea sulle possibili soluzioni ragionevoli da adottare nei luoghi di lavoro . In tale documento vengono illustrati cinque ambiti di intervento per i datori di lavoro riferiti alle tecnologie assistive , alle figure di assistenza personale (Disability manager), all’adeguamento dello spazio di lavoro, alla flessibità dell’orario e alla riorganizzazione dei compiti.
Tuttavia, al di là delle indicazioni metodologiche, risulta evidente che la personalizzazione delle misure di prevenzione deve avvenire all’interno di ciascuna organizzazione attraverso la valutazione dei rischi (meglio se effettuata con l’ausilio di sistemi di Intelligenza Artificiale predittiva). A tal proposito, la sinergia tra datore di lavoro e medico competente assume una rilevanza strategica posto che, per quanto attiene al profilo della sorveglianza sanitaria (art. 41 e ss, d.lgs. 81/2008), quest’ultimo riveste un’autonoma posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori. Pertanto, il processo di individuazione dell’accomodamento ragionevole risulta quantomeno incardinato sulle due figure aziendali di riferimento: datore di lavoro e medico competente. E, a ben vedere, quando il medico competente rileva che la compatibilità dello stato di salute della persona disabile con le mansioni ammette un’unica soluzione di accomodamento ragionevole, il datore di lavoro deve necessariamente adottarla.
Ma il lavoratore disabile non può rimanere estraneo alla concreta individuazione delle misure a lui dedicate, sia per ragioni di opportunità, sia, ora, per espressa indicazione legislativa. Ragioni di opportunità emergono a garanzia della effettività degli accomodamenti, dato che spesso è il lavoratore che “può dar conto di tutte le esigenze da accomodare, specie se non immediatamente percepibili dall’esterno” ; viceversa la previsione normativa si riferisce alla recente introduzione dell’art. 5-bis alla l. n. 104/1992, ove al comma 3 si riconosce al lavoratore la “facoltà” di richiedere un accomodamento “anche formulando una proposta” (art. 17, d. lgs. n. 62/2024).
Se, dunque, la partecipazione attiva del lavoratore disabile è necessaria per permettere il corretto adempimento dell’obbligo di sicurezza del datore di lavoro, purtuttavia, la vigente legislazione non impone espressamente un dovere di rendere nota la propria disabilità, nemmeno al medico competente. E in assenza di indicazioni circa il tipo di disabilità, il datore di lavoro potrebbe anche “incolpevolmente”, non accogliere la proposta di una determinata misura, preferendone un'altra, o non adottare alcuna misura.
Orbene, volendo brevemente ragionare su questa circostanza da cui, peraltro, in caso di rifiuto o di mancata introduzione delle misure, deriva l’automatica applicazione della tutela antidiscriminatoria anche nei casi di una disabilità occulta, sembra ragionevole collocare l’obbligo di rendere nota la propria condizione di salute nel precipitato normativo di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 81/2008 , seppur con delle precisazioni.
Infatti per permettere al datore di lavoro di adempiere con diligenza alla propria obbligazione di sicurezza, individuando accomodamenti ragionevoli effettivamente pertinenti, appropriati e adeguati (art. 5-bis, l. n. 104/1992), si potrebbero interpretare in modo più stringente gli obblighi di cooperazione e informazione posti in capo al lavoratore dalla disciplina prevenzionistica, con l’ulteriore accortezza di circoscrivere il dovere di informazione sulle condizioni di salute alle sole ipotesi di disabilità non evidente e ai soli accomodamenti ragionevoli che integrano una misura di prevenzione.
4. Conclusioni
Nel conseguire l’obiettivo dell’adeguamento del lavoro all’uomo, la moderna concezione dell’obbligo di sicurezza si riferisce non solo alla salute del singolo ma al c.d. benessere organizzativo; concetto che esprime il suo più elevato contenuto etico nella ricerca di rendere il lavoro più accessibile e inclusivo per una forza lavoro diversificata, consentendo al maggior numero possibile di persone di entrare e di rimanere nel mercato, attraverso sistemazioni ragionevoli.
Gli accomodamenti ragionevoli, nella loro dimensione polifunzionale, da un lato integrano il contenuto dell’art. 2087 c.c. e, dall’altro, coniugano perfettamente il paradigma della prevenzione con quello della effettività del diritto delle persone disabili ad un lavoro dignitoso. Il conseguente, e necessario, inserimento degli accomodamenti ragionevoli nel modello di prevenzione aziendale implica una gestione coordinata e condivisa delle misure di prevenzione, sia a livello collettivo che individuale, a testimonianza che la partecipazione attiva di tutti i soggetti dell’organizzazione aziendale consolida, ancora una volta, la propria fondamentale funzione in chiave prevenzionistica.
Peraltro, con riferimento al diritto alla personalizzazione delle misure di prevenzione (accomodamenti ragionevoli) la partecipazione del lavoratore si colora di una doppia sfumatura, dovendosi intendere sia nel senso “passivo” di attendere il coinvolgimento da parte del datore di lavoro anche per il tramite del medico competente, sia nel senso “attivo” di poter inoltrare proposte per conformare al meglio l’accomodamento alle proprie esigenze.
Tuttavia, se è pacifico che le misure di accomodamento ragionevole con funzione prevenzionale ampliano la pletora dei comportamenti esigibili dal datore di lavoro nell’adempimento dell’obbligo di sicurezza, la mancata previsione legislativa di un obbligo di informazione sulla propria condizione di disabilità crea un’asimmetria tra la posizione di garanzia del datore di lavoro e quella del lavoratore disabile beneficiario della protezione, rischiando di inficiare sin dall’origine l’effettività della tutela. Per neutralizzare questa distorsione, e permettere ai ragionevoli accomodamenti di svolgere la loro funzione, forse, si potrebbe ripensare all’ampiezza degli obblighi di cooperazione e informazione posti in capo al lavoratore dalla legislazione prevenzionistica, nell’ottica di un suo coinvolgimento sempre più proattivo.
L’arricchimento del modello di prevenzione con le misure collettive e personalizzate, dedicate alla tutela della salute e sicurezza delle persone disabili, non deve essere motivo di rifiuto e di esclusione di questa parte della forza lavoro, ma, al con¬trario, una spinta al raggiungimento della migliore con¬dizione di lavoro per l’intera comunità dei lavoratori. Dopotutto un luogo di lavoro accessibile alle persone con disabilità è a maggior ragio¬ne più sicuro e accessibile per tutti.