Testo integrale con note e bibliografia

In occasione del convegno regionale AGI Toscana tenutosi a Firenze il 16 dicembre 2022, mi è stato affidato il compito di condividere con la comunità dei giuslavoristi un ricordo di Riccardo Del Punta, alla cui memoria il convegno è stato dedicato.
Essendo stato Riccardo Del Punta il mio Maestro professionale, oltre che negli anni un costante riferimento umano, culturale e personale, non è stato semplice affidare alle parole il suo ricordo. Per quanto infatti possa avere scelto le parole con cura, la cura che discende principalmente dal legame affettivo, è rimasto, e rimane, comunque in me un senso di pudore, di inadeguatezza nel provare a rendere, proprio e solo con le parole, omaggio alla sua memoria.
Per alleviare il senso di inadeguatezza e rendere il ricordo il più corale possibile, ho pensato di muovere da alcune “impronte concrete”, che io ho chiamato “Le impronte di un Maestro”, dalle quali sarà possibile per chi legge, per chi lo ha conosciuto e, a maggior ragione, per chi gli è stato amico scorgere e ripercorrere alcuni tratti di Riccardo Del Punta.
“Impronte” che, come orme impresse qua a là, aiutano a ritrovare un percorso unitario, un filo conduttore.
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La libreria.
Le librerie, si sa, dicono molto delle persone. Le raccontano, le mostrano, le mettono a nudo. E la libreria di Riccardo Del Punta - nella quale si muoveva persino a occhi chiusi, rendendo tangibile quel senso di orientamento tra i libri di cui scrive Roberto Calasso in “Come ordinare una biblioteca” - dava esattamente la misura del suo essere un intellettuale a tutto campo.
Non era una libreria fatta solo di testi sul diritto del lavoro o sul diritto in genere, ma accoglieva volumi di filosofia (con una particolare sezione, che rammento con un certo metus reverentialis, dedicata alla filosofia neoplatonica, nella quale spiccavano diversi saggi sul pensiero di Plotino di Licopoli), di sociologia, di antropologia, di letteratura; accoglieva scritti sulle scienze sociali, sull’arte, sulla musica.
Tessere per la costruzione di un sapere complesso, profondo, che poi trasudava nel contributo che Riccardo Del Punta ha dato alla comunità dei giuslavoristi, a livello scientifico e professionale. Perché quando si trasferisce la teoria anche nella pratica, la visione con cui si approda alle cose si trasforma, diventa più articolata, più completa, più sedimentata. Di questo modo di concepire l’intersezione tra saperi e di porla al centro del dibattito culturale troviamo traccia nel manuale, senz’altro un’altra impronta importante che ci ha lasciato Riccardo Del Punta.
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Il manuale.
Ormai da tanti anni (siamo arrivati alla quattordicesima edizione), il manuale di diritto del lavoro di Riccardo Del Punta contribuisce a formare studenti, appassionandoli alla materia, fornisce – affrontando in modo esaustivo tutti gli istituti del diritto del lavoro - un ausilio professionale per molti operatori quali avvocati, magistrati, consulenti del lavoro, ma rappresenta anche - vocazione, questa, nient’affatto scontata per un manuale - una lettura di ampio respiro per apprendere e comprendere come il diritto e il diritto del lavoro in particolare abbracci le cose della vita.
Chi ha letto i primi capitoli del manuale ha infatti imparato a muoversi nei “dintorni” del diritto del lavoro, ha visto trame intessute di diritto del lavoro con le scienze sociali, toccando con mano come <<il punto di vista interno al sistema giuridico si intrecci, su più linee, con quello esterno a tale sistema>>, con la conseguenza dell'<<esposizione della conoscenza giuridica a saperi non giuridici, più o meno strutturati>> .
In quei capitoli, con un linguaggio sempre chiaro, accessibile a tutti, ma frutto di un pensiero estremamente sofisticato, ci si misura col rapporto stretto, e inevitabile, tra il diritto del lavoro e la politica, con un monito però al giurista a non smarrire il senso della differenza tra il diritto e la politica specie con riguardo al dovere di controllo da parte del giurista al fine di preservare l'attendibilità e l’affidabilità del metodo giuridico; ci si confronta ancora sul legame tra il diritto del lavoro e l’economia, analizzato con schiettezza, senza pregiudizi ideologici e su quello tra il diritto del lavoro e la sociologia, o meglio sullo studio del diritto come modalità d'azione sociale.
Infine ci si muove tra il diritto del lavoro e la filosofia sociale, essendo un’idea costante di Riccardo Del Punta quella secondo cui la cultura giuslavoristica avrebbe dovuto includere tra i propri riferimenti privilegiati <<quelle correnti del liberalismo sociale, che, a partire dall'opera di John Rawls, si sono impegnate nello sforzo di riconciliare una visione del mondo, che pure continua ad assegnare un rango prioritario al principio di libertà - inteso però non in senso esclusivamente “negativo”, cioè come principio di non interferenza dello Stato e più in generale degli altri nelle sfere di ciascun individuo -, con l'idea che debba essere non soltanto sopportata, ma promossa, un'azione pubblica finalizzata al perseguimento di obiettivi sociali. Un'azione, quindi - per stare alla versione oggi più citata di tale liberalismo, quella di Amartya K. Sen e Martha C. Nussbaum, che punta a una nuova teoria della giustizia sociale, per diversi aspetti differenziata dalla teoria della giustizia come equità di J. Rawls -, rivolta a fornire a ciascuna persona quelle “capabilities” (cioè le capacità di conseguire i “funzionamenti” desiderati, e di realizzare, così, il massimo possibile delle proprie aspirazioni di vita) che le restituiscano un'effettiva sovranità, ma con essa anche la piena responsabilità, sulla propria vita, e dunque capace di conferire uno spessore “sostanziale” (come nell'eguaglianza ex art. 3, c. 2, Cost.) ad un principio di libertà ormai saldato, concettualmente e politicamente, con quello di eguaglianza di opportunità>> .
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La musica: Bach e Gaber.
Riccardo Del Punta aveva anche una grande passione per la musica, per quella classica in particolare.
Ricordo in maniera molto nitida che, tanto negli anni in cui ero praticante, quanto in quelli successivi in cui ero già avvocata, in alcune giornate nelle quali si stava tutto il giorno in studio a scrivere o ad approfondire casi, temi e questioni, i ritmi venissero scanditi dalle note di Bach, e in particolare da quelle della “Passione secondo Matteo”, note che provenivano dalla stanza del “professore”.
Una volta, quando ero ancora poco più che una ragazzina, dovendo far rivedere un mio atto al “professore”, chiesi se fosse stato possibile “intanto spegnere quella musica” perché io non riuscivo diversamente a concentrarmi, distratta appunto dal sottofondo musicale.
In quell’occasione, con fare mite e prodigo nella trasmissione del sapere, Riccardo Del Punta, lasciando per un momento da parte l’atto processuale al quale stavo lavorando (una memoria di costituzione con appello incidentale), mi spiegò il significato di quell’opera di Bach. Così ebbi ad apprendere del ruolo centrale della Parola nella “Passione secondo Matteo”, del fatto che quell’opera mirasse a essere, e soprattutto fosse riuscita a essere, accessibile a chiunque e non soltanto agli ecclesiastici, della circostanza che chiunque insomma potesse partecipare in modo attivo a una vicenda corale comprendendone il senso più profondo.
Fu talmente generosa quella spiegazione che, per tanto tempo e ancora oggi, associo a Bach l’idea degli atti processuali scritti bene.
E poi, cambiando completamente registro, Gaber.
Il Gaber musicista, ma anche il Gaber teatrale.
Una passione, quella per Gaber, che ha ispirato anche uno scritto colto e raffinato di Riccardo Del Punta. In quello scritto - apparso nel 2009 su Lavoro e Diritto - la caratura intellettuale di Riccardo Del Punta emerge in modo particolarmente evidente allorché si interroga sulle domande che Gaber avrebbe voluto o potuto porsi nella stagione dell’homme situé, ricercando nelle canzoni e nei testi teatrali le tracce del Gaber sociale, tra il sarcasmo delle sue opere e la critica all’ingenuità delle ideologie come gioco immaturo di auto-legittimazione .
Per poi concludere con una sorta di elogio del dubbio, antidoto metodologico contro l’arrogante pretesa, talvolta tipica della cultura occidentale, <<di portare certezza e dominio ove non può regnare, oltre certi limiti, che il dubbio, se non il mistero>>.
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I lavori scientifici.
Ricordare Riccardo Del Punta attraverso i suoi scritti richiederebbe intere giornate di studio e pagine e pagine di trattazione .
Mi piace evocare tuttavia, operando una scelta che giocoforza sacrifica altro, il recente lavoro, pubblicato il 20 maggio 2020, a cinquant’anni esatti dallo statuto dei lavoratori, “Manifesto per un diritto del lavoro sostenibile” [https://csdle.lex.unict.it/sites/default/files/Documenti/OurUsers/Manifesto_Caruso_Del_Punta_Treu.pdf], scritto con Bruno Caruso e Tiziano Treu. Un testo che guarda al futuro del diritto del lavoro in una prospettiva attuale e dinamica, nella consapevolezza che i valori tradizionali necessitino di adattamento e modernizzazione.
<<Preservare cambiando>>, così si legge testualmente nello scritto che appare, oggi a maggior ragione, un vero e proprio faro guida per le nuove sfide del diritto del lavoro: <<Non c’è dubbio, anzitutto, che il diritto del lavoro del futuro dovrà continuare a tutelare il lavoratore - in particolare subordinato, ma non solo ormai - dalla disparità di potere contrattuale inerente alla relazione di lavoro e dai rischi della mercificazione e dello sfruttamento. Di questa protezione, fatta di divieti e limiti imperativi, il lavoratore continua ad aver bisogno a fini di contenimento del dominio datoriale e di salvaguardia dei suoi beni fondamentali. Nel contempo, ma in questo caso anche nell’accezione più ampia di diritto del welfare (comprensivo del reddito di cittadinanza o forme equipollenti), il diritto del lavoro deve assolvere una funzione di sostegno economico e possibilmente di redistribuzione, che faccia da contrappeso alle tendenze globali che registrano, soprattutto nei paesi più sviluppati un incremento esponenziale delle diseguaglianze>>.
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L’avvocato, il maestro, l’uomo.
Ricordare infine l’avvocato, il maestro e l’uomo richiamando questo o quell’episodio sarebbe ingeneroso, perché si peccherebbe per difetto o per incompletezza.
Coloro che però frequentano, come avvocati, come magistrati, come praticanti, le aule di giustizia hanno avuto occasione di conoscere la statura dell’avvocato Riccardo Del Punta e dunque sono ben consapevoli di che professionista sia stato.
Corretto, rispettoso, umile, rigoroso, preciso, cordiale con le persone e gentile anche con le controparti processuali.
Avvocato capace, di una bravura davvero disarmante, in grado di trasformare un atto giudiziario in un testo “bello da leggere”, in uno scritto appassionante, pulito e incisivo.
E questi suoi tratti li sapeva trasmettere agli altri, senza mai impartire lezioni dall’alto verso il basso, ma solo basandosi sul potere della mitezza, sull’efficacia trainante dell’esempio e del fare per primo le cose che intendeva insegnare.
Così, pur avendo le giornate sempre piene di impegni professionali, scientifici, accademici, e in alcuni periodi anche istituzionali, trovava tempo per dare indicazioni, per spiegare, per ragionare delle pratiche coi propri collaboratori, ascoltandone anche i punti di vista.
Ma Riccardo Del Punta era innanzi tutto e prima di tutto un uomo perbene, nell’accezione più ampia che si possa dare a questa espressione.
Un maestro di una fattezza inarrivabile che ha mantenuto nel tempo il tratto distintivo della brava persona.

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