TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

L’avvento improvviso della pandemia e la necessità di trovare forme di distanziamento dei lavoratori ha portato prepotentemente alla ribalta le possibilità di esercizio dello smart working come modalità di esecuzione della prestazione.
Quello che in realtà si è osservato durante il periodo pandemico, e che sta tuttora vivendo un momento di trascinamento, almeno fino a fine 2022, non è stato un vero e proprio lavoro agile, quanto piuttosto un allontanamento fisico dal luogo di lavoro, che se nei primi tempi assomigliava più che altro ad un fuggi fuggi generale, si è via via sempre più arricchito di esperienze, in positivo ed in negativo, ed è andato consolidandosi come strumento utile, in proiezione, sia sotto il profilo organizzativo che sotto quello della conciliazione vita lavoro.
La propensione verso il lavoro agile ha diverse dimensioni, sicuramente le più importanti sono quelle che riguardano le scelte strategiche aziendali e le impostazioni di carattere organizzativo e gestionale.
Come Centro Studi Unificato Ordine-Ancl di Milano non ci siamo concentrati su tali aspetti, certamente fondanti e imprescindibili in qualsiasi dibattito sul tema, ma ci siamo chiesti se lo strumento normativo attuale (la L. 81/2017) fosse adeguato alla complessità della materia.
In questa domanda c’è già un primo indirizzo, e un risposta fra le righe, ed è quella che la contrattazione collettiva e l’azione del parti sociali, per quanto importante ed in alcuni casi veramente di guida e di sostegno allo sviluppo del lavoro agile, non appare sufficiente, da sé sola, a costituire l’azione di regolazione necessaria ad un così ampio e variegato fenomeno.
L’esperienza del telelavoro, regolato da un protocollo europeo recepito dalle Parti Sociali che ha disciplinato tale fattispecie per anni, sembrerebbe apparentemente dire il contrario: in realtà proprio l’esperienza del telelavoro, la sua ibridazione dovuta allo sviluppo della tecnologia, e tutti i dubbi e le perplessità che nascono dalle infinite possibilità della attuale remotizzazione permessa da tale sviluppo per un numero sempre più crescente di prestazioni, suggerisce un quadro regolatorio articolato e flessibile, articolato per poter dare strutturazione alla fattispecie, flessibile per consentire alle parti di colmare con tutte le personalizzazioni e le sfaccettature possibili quando è necessario adattare nella situazione singola. D’altronde, anche il Protocollo italiano sul lavoro agile del 2021 ha dimostrato di non essere particolarmente innovativo, replicando per lo più quanto già previsto dalla legge 81/2017 e dal buon senso delle esperienze concertative, senza tuttavia affrontare i nodi più importanti che la norma ha lasciato aperti.
Osserviamo inoltre che la legge attuale non solo è caratterizzata da spazi interpretativi troppo ampli, di per sé confusivi, ma paradossalmente in qualche passaggio prevede delle restrizioni che portano il lavoro agile ad avere meno flessibilità dello stesso telelavoro.
Ancora, demandare solo alla contrattazione la regolazione del lavoro agile (ma questo vale per qualsiasi altro tema lavoristico) vuol dire, salvo qualche caso eccezionale, trascurare il tessuto occupazionale tipico italiano, fatto di piccole e medie imprese refrattarie a contrattazione e relazioni industriali, certo per qualche ritardo culturale ma anche per la scarsa capacità di molto mondo sindacale a comprenderne ed accoglierne le dinamiche.
Abbiamo pertanto ritenuto urgente prospettare alcune modifiche normative per accompagnare l’evoluzione della fattispecie, anche in considerazione dei diversi progetti normativi di riforma pendenti, che tuttavia ci sembrano non cogliere il segno di alcuni punti importanti.

Il nostro lavoro - che si è poi tradotto in una bozza di articolato normativo, non tanto per un’ambizione di scrittura ma per la traduzione di concetti di fondo dentro l’esemplificazione pratica di ciò che si potrebbe fare e come - si basa su alcuni punti cardine che lo contraddistinguono.

a) Unificazione della normativa di telelavoro e lavoro agile, nonchè di altre fattispecie assimilabili, nel concetto di lavoro da remoto.
Ci chiediamo infatti se, nella crescente evoluzione tecnologica, la possibilità per determinati lavori di essere fatti “altrove “non possa tradursi in una normativa unitaria, indifferente al concetto di postazione fissa o liberamente scelta dal lavoratore.
A questa impostazione consegue l’affronto di problemi che comunque anche in precedenza non parevano particolarmente risolti , quali: l’individuazione dei posti di lavoro e della loro salubrità, anche rispetto all’ergonomia, il possesso dei mezzi di lavoro, i costi connessi all’esercizio del lavoro da remoto, la sicurezza sul lavoro in genere.
Spingendo più oltre questo concetto, abbiamo ipotizzato anche la possibilità di una completa remotizzazione del lavoro, senza la necessità normativa di dover necessariamente avere un’alternanza (scelta che molti operatori ritengono strategica, è vero, ma che in questo momento pare imposta dalla legge, senza alcuna flessibilità). Si stanno, ad esempio, espandendo start-up che in diversi settori cominciano a non avere più l’esigenza di una sede (se non per motivi legali, amministrativi e fiscali, ma non una sede lavorativa vera e propria). Questa evoluzione può piacere o meno ma è reale e va considerata.
Non ultimo, l’importanza sempre crescente del lavoro da remoto in termini di sostenibilità (a 360 gradi) impone una considerazione puntuale dello stesso come modalità a sé stante, con tutte le sfaccettature possibili (senza ibridazione con il lavoro per obiettivi).

b) Separazione concettuale del lavoro da remoto dal lavoro per obiettivi (il vero lavoro agile, “smart”) infatti destinatario, nella nostra proposta, di una specifica individuazione a parte.
Crediamo che l’unificazione dei due concetti, peraltro possibile, qualora sia – come ora – imposta (anzi, nei fatti data solo per presupposta) per legge possa portare più confusione.
Infatti, se un possibile punto di arrivo del lavoro agile o remoto è il fatto che una persona organizzi il proprio lavoro in (relativa) autonomia, non è detto che ciò si traduca automaticamente nella sola individuazione di target lavorativi da realizzare. L’assenza di controllo puntuale di modi e tempi di lavoro, che a ben vedere caratterizza anche la maggior parte del lavoro attuale, e la fiducia nella persona che lavora ben si possono coniugare anche con un lavoro calibrato con modalità più tradizionali. Di converso, il lavoro per obiettivi può benissimo essere esercitato anche in una situazione di lavoro stanziale e non remoto, come alcune contrattazioni aziendali hanno introdotto.
Il lavoro per obiettivi, in buona sostanza, cambia la misurazione della prestazione del lavoratore, che non è più, come nell’impostazione lavoristica attuale, legata indissolubilmente al tempo della prestazione, quanto piuttosto ad un programma o ad un piano di lavoro, senza che sia inficiata la caratteristica fondamentale della subordinazione, ovverosia senza pervenire ad una prestazione di risultato. La scelta che abbiamo perciò operato vuole portare alla distinzione di regole che riguardano, completamente distinguendosi dalla remotizzazione o meno della prestazione, un’autonomia di lavoro per obiettivi, ove pertanto il tempo non sia la misurazione (o l’unica misurazione) della locatio operarum: una scelta che – ci rendiamo conto – potrebbe allargare i confini dell’’art 2094 non tanto sotto il profilo definitorio, quanto sotto l’aspetto delle ricadute concrete. Potrebbe essere anche l’opportunità di superamento di aree della parasubordinazione, che per la maggior parte altro non sembrano che forme di lavoro subordinato evoluto (nella loro realizzazione più nobile e genuina, in certi altri casi si dovrebbe parlare di pura elusione): senza rischio, senza impiego di mezzi propri, in una dimensione di rapporto unitario (così è tuttora definito dalla norma fiscale) e vincolante, in una prestazione che, proprio per l’assenza di rischio effettivo, appare ancora una prestazione di mezzi, la cui sola valutazione in termini di adempimento contrattuale subordinato sia legata alla misurazione di risultati (rectius, obiettivi) e non (o non solo) del tempo impiegato per realizzarli.
Ovviamente, si è già detto, nulla vieta che queste due modalità della prestazione, da remoto e per obiettivi, (perché mere modalità restano, non si tratta di individuare nuove fattispecie) si fondino in un unicum virtuoso.
Per la specificità del lavoro agile (inteso, nella nostra accezione di riforma, come mero lavoro per obiettivi) a differenza di quanto previsto per il lavoro da remoto (vedi punto c successivo) è imprescindibile la volontarietà delle parti, ovviamente nella definizione ed accettazione degli obiettivi.

c) La dimensione organizzativo-strutturale del lavoro da remoto.
Abbiamo ragionato su un possibile superamento della necessità della volontà delle parti, oggi assolutamente libera ed imprescindibile, rispetto alla remotizzazione del lavoro.
Aziende che oggi si stanno strutturando in questa direzione (ci sono interi spazi strutturalmente ridotti) non possono essere soggette a rivoluzioni improvvise dettate unicamente da scelte unilaterali dei lavoratori.
Anche al contrario, lavoratori che organizzano la propria esistenza contando sul lavoro da remoto e le possibilità di conciliazione che offre, in caso di successivo revirement aziendale unilaterale vedrebbero radicalmente cambiate le condizioni del proprio lavoro, con i medesimi effetti di un vero e proprio trasferimento e delle conseguenze che comporta sulla persona ed i suoi interessi.
Superata una fase di sperimentazione, ci sembrano maturi i tempi per ragionare su una dimensione in cui il lavoro remoto possa essere una dimensione strutturale dell’azienda, e perciò anche imposta unilateralmente come condizione lavorativa, e che al contrario, ovviamente in caso di possibilità effettiva di esercizio, il lavoro remoto conquistato dal lavoratore diventi una sorta di diritto, le cui condizioni possono essere modificate dall’azienda con i medesimi limiti attuali dello ius variandi.
Chiaro che, soprattutto per parte aziendale, a tale rigida impostazione (a differenza di quanto potrebbe accadere in una soluzione concordata) consegue l’assunzione e la presa in carico di ogni e qualsiasi onere legato alla realizzazione pratica della struttura remota.
Abbiamo al contempo ipotizzato dei correttivi a questa impostazione e privilegiato, in un punto specifico della proposta di riforma, la realizzazione di accordi individuali collettivi ed individuali (questi ultimi rafforzati e messi sul medesimo piano di quelli collettivi attraverso l’istituto della certificazione del contratto a cui agganciare anche maggiori flessibilità ed incentivi).
Unilateralità e stabilità come esigenze obiettive ed imprescindibili, quindi, ma incentivazione all’accordo e all’armonia fra le parti; mantenendo , da ultimo, una linea preferenziale (nel senso di diritto di precedenza) per lavoratori colpiti da criticità sanitarie o familiari.

d) La centralità della sorveglianza sanitaria e della riflessione organizzativa in ambito di igiene e sicurezza sul lavoro sia del lavoro da remoto che del lavoro agile.
Abbiamo pensato strategico, per queste modalità di lavoro, cambiare l’impostazione ancora un po’ statica, ma soprattutto stanziale, della sicurezza, verso una prospettiva dinamica.
Il lavoratore da remoto (e in certa misura il lavoratore agile, cioè che lavora per obiettivi) sono soggetti a rischi (tecno-stress, burnout, problemi fisici posturali o visivi, isolamento, porosità del lavoro ed invasione del tempo libero, etc.) che non possono essere risolti con un semplicistico (e non ben definito) diritto di disconnessione ma che richiedono una formazione specifica (che supplisce anche l’assunzione innegabile di responsabilità che si assume il lavoratore da remoto quando può “lavorare dove vuole”), una programmazione organizzativa preventiva obbligatoria (che rispetti e verifichi carichi di lavoro, in termini anche di specificità di valutazione del rischio) ed una sorveglianza sanitaria che verifichi nel concreto l’efficacia e la ricaduta su questi aspetti, che presentano rischi maggiori di quelli di un semplice lavoratore al terminale.

e) La semplificazione
Intendiamo qui con “semplificazione” non solo la sburocratizzazione di alcuni passaggi, a cui a poco a poco pare arrivare, con fatica e lentezza, anche il legislatore (almeno nella parte emergenziale) ma anche la razionalizzazione intera della disciplina, ad esempio ipotizzando semplificazioni per la parte di eventuale rimborso (anche forfetario) delle spese sostenute dal lavoratore remoto.
Il tutto per conferire maggiore flessibilità ed evitare le faticose rincorse a sistemi di incentivazione che sono attualmente usati in modo anomalo ed inadeguato per sopperire alle falle della normativa al riguardo.

 

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