TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

direttiva UE 1937 - 2019

d.lgs. 24/2023

*La pubblicazione in oggetto è a titolo esclusivamente personale, pertanto le opinioni ivi espresse non vincolano in alcun modo l'Autorità Nazionale Anticorruzione

PARTE I.
La Direttiva UE 2019/1937 e il Decreto Legislativo 10 marzo 2023, n. 24.

Il Decreto Legislativo 10 marzo 2023, n. 24, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 63 del 15 marzo 2023, nasce dalla necessità di dare attuazione, sulla base della legge 4 agosto 2022, n. 127 (Legge di delegazione europea 2021), alla direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante “la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali”(in G.U.U.E. L. 305, 26.11.2019, p. 17-56) (di seguito direttiva (UE) 2019/1937 ovvero la Direttiva).
Come noto, la direttiva (UE) 2019/1937 ha introdotto una serie di norme minime comuni volte a garantire un elevato livello di protezione ai whistleblowers pubblici e privati (o “informatori” nella traduzione italiana del testo) al fine di uniformare le normative adottate dagli Stati membri nella materia de qua.
È bene evidenziare che, sino al 2019, il legislatore europeo si era occupato principalmente di disciplinare un dovere di segnalazione in specifici settori del diritto unionale; dovere di segnalazione che ha storicamente preceduto il riconoscimento di un vero e proprio diritto alla segnalazione, inteso come manifestazione della libera volontà del singolo individuo di decidere se effettuare una segnalazione di illeciti .
Il cambio di prospettiva si registra proprio con la Direttiva in commento, con la quale non solo viene riconosciuto il “diritto a segnalare” ma quest’ultimo viene altresì rafforzato attraverso la previsione di un articolato sistema di tutele nonché mediante l’introduzione dell’obbligo in capo agli Stati membri di prevedere delle sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive applicabili in caso di violazioni della normativa.
Ciò si spiega in ragione del duplice ruolo che il legislatore europeo riconosce al whistleblowing.
Anzitutto, tale istituto rappresenta un importante strumento di prevenzione degli illeciti. A tal proposito, nei primi tre “considerando” della Direttiva, si legge che “chi lavora per un’organizzazione pubblica o privata o è in contatto con essa nello svolgimento della propria attività professionale è spesso la prima persona a venire a conoscenza di minacce o pregiudizi al pubblico interesse sorti in tale ambito. Nel segnalare violazioni del diritto unionale che ledono il pubblico interesse, tali persone (gli «informatori - whistleblowers») svolgono un ruolo decisivo nella denuncia e nella prevenzione di tali violazioni e nella salvaguardia del benessere della società. Tuttavia, i potenziali informatori sono spesso poco inclini a segnalare inquietudini e sospetti nel timore di ritorsioni. In tale contesto, l’importanza di garantire una protezione equilibrata ed efficace degli informatori è sempre più riconosciuta a livello sia unionale che Internazionale (considerando n.1). A livello di Unione le segnalazioni e le divulgazioni pubbliche degli informatori costituiscono uno degli elementi a monte dell’applicazione del diritto e delle politiche dell’Unione. Essi forniscono ai sistemi di contrasto nazionali e dell’Unione informazioni che portano all’indagine, all’accertamento e al perseguimento dei casi di violazione delle norme dell’Unione, rafforzando in tal modo i principi di trasparenza e responsabilità (considerando n. 2). In determinati settori, le violazioni del diritto dell’Unione, indipendentemente dal fatto che ai sensi del diritto nazionale siano qualificate quali violazioni amministrative, penali o di altro tipo, possono arrecare grave pregiudizio al pubblico interesse, creando rischi significativi per il benessere della società. Laddove siano state individuate carenze nell’applicazione del diritto in tali settori, e gli informatori si trovano di solito in una posizione privilegiata per segnalare le violazioni, è necessario rafforzare l’applicazione del diritto introducendo canali d segnalazione efficaci, riservati e sicuri e garantendo una protezione efficace degli informatori dalle ritorsioni”( considerando n.3).
In secondo luogo, il legislatore europeo riconosce il collegamento tra l’istituto in esame e il diritto alla liberà di espressione, in piena continuità con il sedimentato orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e con i principi elaborati nella raccomandazione sulla protezione degli informatori adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 30 aprile 2014.
Al riguardo, la segnalazione avente ad oggetto condotte illecite, la cui conoscenza è stata acquisita nell’ambito delle attività professionali svolte, deve essere tutelata in quanto manifestazione del “diritto alla libertà di espressione e d’informazione, sancito dall’articolo 11 della Carta e dall’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, comprende il diritto di ricevere o di comunicare informazioni nonché la libertà e il pluralismo dei media .”

In tal modo, l’istituto del whistleblowing si avvia verso una nuova stagione nella quale chi opera a vario titolo all’interno di un’organizzazione, pubblica o privata, e intende segnalare minacce o pregiudizi al pubblico interesse, sorti nel contesto lavorativo, sa di poter contare su di una disciplina uniforme a livello euro-unitario e su di un potere di accertamento, e appunto, un potere sanzionatorio esercitabile all’interno di ciascun ordinamento nazionale che gli consentono di beneficiare di efficaci tutele e di rivolgersi, quindi, alle Autorità competenti con fiducia rinnovata.

1.1. L’iter legislativo di recepimento della Direttiva 2019/1937.
Nonostante l’articolo 26 della Direttiva 2019/1937 UE - rubricato recepimento e periodo transitorio – avesse previsto, al paragrafo 1, che “Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 17 dicembre 2021” e avesse aggiunto che “in deroga al paragrafo 1, per quanto riguarda i soggetti giuridici del settore privato con più di 50 e meno di 250 lavoratori, gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi all’obbligo di stabilire un canale di segnalazione interno ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3 entro il 17 dicembre 2023”, l’Italia non ha recepito il corpus normativo entro i termini prescritti.
Al riguardo, occorre rammentare che una prima delega per il recepimento della Direttiva era stata conferita al Governo dalla Legge 22 aprile 2021, n. 53, recante “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2019-2020”, tuttavia i termini di cui all’art. 31 della Legge n. 234 del 2012 erano decorsi inutilmente senza che il Governo avesse adottato la relativa normativa delegata.
A seguire, una nuova delega viene inserita nel Disegno di legge (C-308) recante “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti normativi dell’Unione europea” (c.d. Legge di delegazione europea 2021), presentato dal Governo il 13 luglio 2021, e approvato, con modificazioni, in prima lettura dalla Camera il 16 dicembre 2021 e dal Senato, con ulteriori modificazioni, il 30 giugno 2022. Successivamente, a seguito dell’esame della Commissione Politiche dell’Unione europea, la Camera ha dato il via libera al testo di legge nella seduta del 2 agosto 2022; la Legge di Delegazione europea 2021 è stata così pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 199 del 26 agosto 2022.
Nel frattempo al livello europeo, viene avviata nei confronti dell’Italia - con la lettera di messa in mora del 27 gennaio 2022 - la procedura di infrazione n. 2022/0106 per mancata attuazione della Direttiva e, il 15 luglio 2022, è stato trasmesso il parere motivato della Commissione europea. In data 15 febbraio 2023, la Commissione europea ha poi deferito l’Italia dinanzi alla Corte di Giustizia ai sensi del combinato disposto degli articoli 258 e 260, paragrafo 3 TFUE per la condanna al pagamento delle sanzioni pecuniarie.
In questo contesto, viene approvato - sulla base della citata Legge di delegazione europea 2021 - il Decreto Legislativo 10 marzo 2023, n. 24, entrato in vigore il 30 marzo, le cui disposizioni avranno effetto a partire dal 15 luglio 2023.
Fino alla data del 14 luglio 2023, le segnalazioni e le denunce all’autorità giudiziaria e/o contabile continueranno a essere disciplinate dal previgente assetto normativo ossia, per il settore pubblico, dalle disposizioni di cui all’articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 e, per il settore privato, dall’art. 6, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater del decreto legislativo n. 231 del 2001 e dall’art. 3 della legge 179 del 2017.
Una deroga espressa è prevista per i soggetti del settore privato che hanno impiegato, nell’ultimo anno, una media di lavoratori subordinati, con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato, fino a duecentoquarantanove: per questi, infatti, l’obbligo di istituzione del canale di segnalazione interna avrà effetto a decorrere dal 17 dicembre 2023. Fino a tale data, detti soggetti privati che hanno adottato il modello 231, o intendono adottarlo, continueranno a gestire i canali di segnalazione secondo quanto previsto dal d.lgs. 231/01 .
Con il nuovo decreto legislativo, adottato all’esito dell’iter particolarmente travagliato sopra riportato, il legislatore nazionale intende raccogliere in un unico testo normativo l’intera disciplina dei canali di segnalazione e delle tutele riconosciute ai segnalanti sia del settore pubblico che privato. Ne deriva una disciplina organica e uniforme finalizzata a potenziare la tutela del whistleblower, il quale è così incentivato all’effettuazione di segnalazioni di illeciti, le quali dovranno essere, però, presentate nei limiti e con le modalità indicate dal decreto.
1.2 L’ambito soggettivo di applicazione del d.lgs. 24/2023.
Il d.lgs. 24/2023 ha rappresentato un’occasione per superare la differenziazione normativa tipica della materia whistleblowing, sino ad oggi regolata, per il settore pubblico e per il settore privato, rispettivamente, dai decreti legislativi 20 marzo 2001, n. 165 (articolo 54-bis) e 8 giugno 2001, n. 231 (articolo 6, commi 2 bis e ss.), nonché dalla legge 30 Marzo 2017, n. 179 (che ha riscritto l’art. 54-bis, ha introdotto i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater nel citato art. 6 e ha previsto, all’art. 3, l’integrazione della disciplina dell’obbligo di segreto di ufficio, aziendale, professionale e industriale).
La nuova disciplina normativa, invero, si applica a tutti i soggetti del settore pubblico e del settore privato, come definiti dall’art. 2, comma 1, lett. p) e lett. q) del d.lgs. 24/2023.
Più nel dettaglio, il settore pubblico ricomprende: le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/01; le autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza o regolazione; gli enti pubblici economici, le società a controllo pubblico, anche se quotate; le società in house, anche se quotate; gli organismi di diritto pubblico ; i concessionari di pubblico servizio.
La ratio della ricomprensione degli organismi di diritto pubblico e dei concessionari di pubblico servizio all’interno del settore pubblico è probabilmente da rintracciarsi nel considerando n. 52 della Direttiva, secondo cui “per garantire, in particolare, il rispetto delle norme in materia di appalti pubblici nel settore pubblico, l’obbligo di istituire canali di segnalazione interna dovrebbe applicarsi a tutte le autorità aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori a livello locale, regionale e nazionale in funzione delle loro dimensioni”.
Per quanto concerne il settore privato, vale ricordare che, prima del decreto in esame, la tutela del whistleblower era assai limitata, riguardando esclusivamente i lavoratori e collaboratori degli enti che volontariamente avevano adottato il modello organizzativo ai sensi del d.lgs. n. 231/01 con riferimento ai soli illeciti rilevanti ai sensi di tale normativa.
Ora, con il nuovo d.lgs. 24/2023 si assiste a un significativo ampliamento della categoria degli enti privati assoggettati alla normativa de qua, i quali, peraltro, vengono individuati sulla base di molteplici criteri relativi: i) alla consistenza del personale; ii) allo svolgimento delle attività nei settori disciplinati dal diritto europeo; iii) all’adozione o meno dei modelli organizzativi e gestione previsti dal d.lgs. n. 231/01.
Segnatamente, il settore privato ricomprende i soggetti, diversi da quelli rientranti nella definizione del settore pubblico, i quali:
- hanno impiegato, nell’ultimo anno , la media di almeno cinquanta lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato;
- rientrano nell'ambito di applicazione degli atti dell'Unione di cui alle parti I.B e II dell'allegato (cd. settori sensibili), anche se nell’ultimo anno NON hanno raggiunto la media di almeno cinquanta lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato.
Si tratta degli atti che intervengono nelle materie dei servizi, prodotti e mercati finanziari, della prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, della tutela dell’ambiente e della sicurezza dei trasporti. In tali casi, dunque, a rilevare è la materia nell’ambito della quale opera l’azienda piuttosto che la soglia dell’organico aziendale mediamente occupato nell’ultimo anno;
- rientrano nell'ambito di applicazione del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 e adottano modelli di organizzazione e gestione ivi previsti, ANCHE se nell'ultimo anno non hanno raggiunto la media di cinquanta lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato.

Per poter avere un’idea dell’impatto che potrà avere la nuova disciplina sul settore privato, risultano particolarmente interessanti i dati Istat, aggiornati al 2020, riportati nella analisi tecnico normativa (A.T.N.) del decreto in parola, secondo cui “è possibile stimare il numero dei soggetti del settore privato che hanno impiegato, nell’ultimo anno, una media di almeno cinquanta lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato, in 28.018 di cui 23.831 sono le imprese attive con lavoratori dipendenti da 50 a 249 e 4.187 sono le imprese attive con lavoratori dipendenti da 250 in più. Il numero degli addetti nelle imprese attive con lavoratori da 50 a 249, secondo i dati Istat 2020, è di 3.373.192. 75, mentre il numero degli addetti nelle imprese attive con lavoratori dipendenti da 250 e più (n. 4.187), registrato nello stesso periodo è di 3.949.863. 85.
Per quanto riguarda, invece, il numero delle persone giuridiche, società, associazioni anche prive di personalità giuridica che hanno adottato i modelli di organizzazione e gestione di cui all’art.6 del d.lgs. 231/01, nel medesimo documento viene indicato che “allo stato non si dispone del [relativo]numero” .

È bene evidenziare che tutti i soggetti rientranti nell’uno o nell’altro settore saranno tenuti a garantire il sistema di protezione in favore delle persone segnalanti, che si esaminerà nel prosieguo, e a istituire al loro interno un canale di segnalazione.
1.3 La definizione di whistleblower.
Chiariti i soggetti del settore pubblico e del settore privato tenuti a rispettare normativa sub observatione, occorre ora domandarsi chi è il cd. whistleblower in conformità alla nuova disciplina normativa.
Ai sensi del combinato disposto dell’art. 1 e dell’art. 2 del d.lgs. 24/2023, il whistleblower è la persona fisica che segnala, divulga ovvero denuncia all’Autorità giudiziaria o contabile, violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, di cui è venuta a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato.
Ebbene, prendendo le mosse da tale definizione, si procederà nel prosieguo della trattazione a enucleare i singoli presupposti per assumere la qualifica di whistleblower e, conseguentemente, per beneficiare delle relative tutele.
1.4 Le persone legittimate a segnalare.
Rispetto alla normativa previgente, è stata notevolmente ampliata la platea dei soggetti legittimati a segnalare, non solo i dipendenti pubblici - ivi comprese le forze di polizia e il personale militare - ma anche tutte le persone che operano nel contesto lavorativo di un soggetto del settore pubblico o privato, in qualità di: lavoratori subordinati di soggetti del settore privato, lavoratori autonomi, collaboratori, liberi professionisti, consulenti, volontari e tirocinanti, retribuiti e non retribuiti. Sono legittimati a segnalare altresì gli azionisti e le persone con funzioni di amministrazione, direzione, controllo, vigilanza o rappresentanza, anche qualora tali funzioni siano esercitate in via di mero fatto, presso soggetti del settore pubblico o del settore privato.
1.5 Il momento della segnalazione.
In conformità al decreto de quo, è possibile segnalare, come in passato, quando il rapporto giuridico è in corso e, in modo innovativo rispetto alla normativa previgente, anche:
- quando il rapporto di lavoro/giuridico non è ancora iniziato, se le informazioni sulle violazioni sono state acquisite durante il processo di selezione o in altre fasi precontrattuali;
- durante il periodo di prova;
- successivamente allo scioglimento del rapporto giuridico, purché le informazioni sulle violazioni sono state acquisite prima dello scioglimento del rapporto stesso.

1.6 L’oggetto della segnalazione.
Venendo all’ambito materiale della segnalazione, occorre rammentare che - in conformità all’art. 54-bis del d.lgs. 165/01 nonché in linea con quanto previsto dalla delibera ANAC n. 469 del 9 giugno 2021 «Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblower)» (di seguito Linee Guida o anche LLGG) - sino ad oggi, potevano essere segnalate “non solo le fattispecie riconducibili all’elemento oggettivo dell’intera gamma dei delitti contro la pubblica amministrazione di cui al Titolo II, Capo I, del codice penale16, ma anche tutte le situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontrino comportamenti impropri di un funzionario pubblico che, anche al fine di curare un interesse proprio o di terzi, assuma o concorra all’adozione di una decisione che devia dalla cura imparziale dell’interesse pubblico”. D’altra parte, le Linee Guida ANAC osservavano che “lo scopo della norma consiste nel prevenire o contrastare fenomeni tra loro diversi che comprendono sia illeciti penali che civili e amministrativi, sia irregolarità nella gestione o organizzazione dell’attività di un ente nella misura in cui tali irregolarità costituiscono un indizio sintomatico di irregolarità dell’amministrazione a causa del non corretto esercizio delle funzioni pubbliche attribuite”.
Ora, a differenza della sopra riportata normativa, la nuova disciplina ha provveduto a effettuare una tipizzazione delle condotte illecite segnalabili, escludendo le mere irregolarità e prevedendo, all’art. 2, comma 1, lett. a) del d.lgs. 24/2023, che possono formare oggetto di segnalazioni i comportamenti, atti od omissioni che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, che consistono in:
a) Violazioni di disposizioni normative nazionali, così declinate:
-illeciti amministrativi, contabili, civili o penali;
-condotte illecite rilevanti ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (si tratta dei c.d. reati presupposto di cui agli artt. 24 e ss. del d.lgs. 231/01) o violazioni dei modelli di organizzazione e gestione ivi previsti.
b) Violazioni di disposizioni normative europee, così elencate:
-illeciti che rientrano nell’ambito di applicazione degli atti dell’Unione europea o nazionali indicati nell’allegato al d.lgs. 24/2023 ovvero degli atti nazionali che costituiscono attuazione degli atti dell’Unione europea relativi ai seguenti settori: appalti pubblici; servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo; sicurezza e conformità dei prodotti; sicurezza dei trasporti; tutela dell’ambiente; radioprotezione e sicurezza nucleare; sicurezza degli alimenti e dei mangimi e salute e benessere degli animali; salute pubblica; protezione dei consumatori; tutela della vita privata e protezione dei dati personali e sicurezza delle reti e dei sistemi informativi;
-atti od omissioni che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di cui all’art. 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea;
-atti od omissioni riguardanti il mercato interno di cui all’art. 26, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea;
-atti o comportamenti che vanificano l’oggetto o la finalità delle disposizioni di cui agli atti dell’Unione.
È importante evidenziare che la segnalazione può avere ad oggetto anche le informazioni relative alle condotte volte ad occultare le violazioni sopra indicate nonché le attività illecite non ancora compiute ma che il whistleblower ritenga ragionevolmente possano verificarsi in presenza di elementi concreti .
Infine, dall’art. 2, comma 1, lett. b) del d.lgs. 24/2023 si ricava che possono essere oggetto di segnalazione anche i fondati sospetti. A tale specifico riguardo preme rammentare che, nelle precedenti Linee Guida, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (di seguito ANAC) aveva chiarito che non fosse necessario, per il dipendente, essere certo dell’effettivo accadimento dei fatti denunciati e/dell’identità dell’autore degli stessi ma solo che ne fosse ragionevolmente convinto .
Si vedrà se tale interpretazione verrà confermata anche nell’ambito delle nuove Linee Guida che l’Autorità dovrà adottare ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. 24/2023.

1.7 Approfondimento: le differenze tra il settore pubblico e il settore privato relativamente all’oggetto della segnalazione e ai canali utilizzabili.
È opportuno evidenziare che il legislatore ha introdotto, all’art. 3 del d.lgs. 24/2023, mediante delle formulazioni piuttosto complesse, una diversificazione tra il settore pubblico e quello privato rispetto all’oggetto della segnalazione e all’utilizzo dei canali di segnalazione.
Specificamente, il d.lgs. 24/2023 riconosce la possibilità, all’interno del settore pubblico, di segnalare ogni tipologia di violazione (id est violazioni del diritto nazionale e violazioni del diritto europeo) attraverso tutti i canali, ossia tramite il canale interno, il canale esterno, la divulgazione pubblica nonché la denuncia all’autorità giudiziaria.
Diversamente, all’interno del settore privato è stato introdotto un quadro eterogeneo nell’ambito del quale il possibile oggetto della segnalazione nonché il canale utilizzabile è differenziato a seconda delle caratteristiche dei diversi soggetti che vengono in rilievo.
Più in dettaglio, negli enti di diritto privato che, nell’ultimo anno, hanno impiegato una media di almeno cinquanta lavoratori subordinati nonché negli enti privati che indipendentemente dalla soglia dell’organico aziendale mediamente occupato nell’ultimo anno operano nei c.d. settori sensibili, si possono segnalare le potenziali violazioni del diritto europeo, come elencate supra, attraverso il canale interno, il canale esterno, la divulgazione pubblica nonché la denuncia all’autorità giudiziaria .
Nei soggetti del settore privato che rientrano nell’ambito di applicazione del decreto legislativo 231/2001 e adottano modelli di organizzazione e gestione, ivi previsti, e che, nell’ultimo anno, non hanno raggiunto la media di almeno cinquanta lavoratori subordinati, si possono segnalare - unicamente mediante il canale interno - potenziali violazioni rilevanti ai sensi della normativa di cui al d.lgs. 231/2001 nonché le violazioni dei modelli di organizzazione e gestione ivi previsti .
Nei soggetti del settore privato che rientrano nell’ambito di applicazione del decreto legislativo 231/2001 e adottano modelli di organizzazione e gestione, ivi previsti, e che, nell’ultimo anno, hanno raggiunto la media di almeno cinquanta lavoratori subordinati, si possono segnalare solo internamente violazioni rilevanti ai sensi della normativa di cui al d.lgs. 231/2001 nonché le violazioni dei modelli di organizzazione e gestione ivi previsti e - anche esternamente e pubblicamente - le violazioni delle norme del diritto euro-unitario .
Vale la pena precisare che, nonostante l’art. 3, comma 2, lett.b) sia il risultato di una formulazione decisamente macchinosa e complessa, è evidente, a parere di chi scrive, che le condotte illecite rilevanti ai sensi del lgs. 231/2001 nonché le violazioni dei modelli di organizzazione e gestione ivi previsti possano essere segnalate solo tramite il canale interno istituito presso ciascun ente privato. A deporre per tale interpretazione, oltre il tenore letterale della norma, è la relazione illustrativa del decreto che a pag. 10 riporta quanto segue: “(…) l’articolo 3 individua i lavoratori ai quali è riconosciuta la facoltà di segnalazione (tra i quali quelli indicati nell’articolo 4, parag. 1, 2 e 3, della direttiva) nonché i soggetti che godono delle misure di protezione (articolo 4 paragr. 4 della direttiva). Aderendo alla terza osservazione riunita della 2 Commissione del Senato e a quella di cui alla lett. d) delle Commissioni riunite II e XI della Camera, con riferimento agli enti che rientrano nell’applicazione del d.lgs. 231/01 e adottano modelli di organizzazione e gestione ivi previsti, si è ristretto l’ambito di applicazione dell’art. 3 all’ipotesi di segnalazioni interne delle condotte illecite rilevanti ai sensi del d.lgs. 231/01 o delle violazioni dei modelli di organizzazione e gestione ivi previsti.
Si è tenuto fermo il regime ordinario di segnalazioni interne ed esterne di violazioni del diritto dell’Unione, previsto dalla direttiva in recepimento per gli enti del settore privato che hanno raggiunto la media di almeno 50 lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato e determinato”.
Infine, corollario logico di tale impostazione è altresì l’esclusione dall’ambito di applicazione della disciplina all’esame degli enti privati che non hanno adottato il modello di organizzazione e gestione di cui al d.lgs. 231/01 e che, nell’ultimo anno, NON hanno impiegato una media di lavoratori superiore a cinquanta e che NON operano nei c.d settori sensibili.

1.8. I canali di segnalazione.
Il d.lgs. 24/2023 prevede che le segnalazioni possano essere trasmesse attraverso i seguenti canali:
- Canale interno. L’art. 4 del d.lgs. 24/2023 impone a tutti i soggetti del settore pubblico e ai soggetti del settore privato come definiti supra, di attivare al loro interno propri canali di segnalazione, che garantiscono, anche tramite il ricorso a strumenti di crittografia, la riservatezza dell’identità della persona segnalante, della persona coinvolta e della persona comunque menzionata nella segnalazione, nonché del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione.
La gestione del canale di segnalazione dovrà essere affidata a una persona o a un ufficio interno autonomo dedicato e con personale specificamente formato per la gestione del canale di segnalazione, ovvero è affidata a un soggetto esterno, anch’esso autonomo e con personale specificamente formato.
I soggetti del settore pubblico cui sia fatto obbligo di prevedere la figura del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT), di cui all’articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190, affidano a quest’ultimo, anche nelle ipotesi di condivisione di cui al comma 4, la gestione del canale di segnalazione interna.
Le relative attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute dai RPCT, come disciplinate e descritte dalle Linee Guida ANAC 469/2021, rimangono verosimilmente attuali, quantomeno nei loro elementi essenziali, fatta eccezione per i termini procedimentali delle attività istruttorie che dovranno necessariamente essere rettificati alla luce della nuova normativa.
Un aspetto assolutamente innovativo, introdotto in linea con l’art. 8, paragrafi 6 e 9, della Direttiva UE 1937/2019, è quello relativo alla possibilità di prevedere canali e procedure di segnalazione condivisi.
In particolare, i comuni diversi dai capoluoghi di provincia possono condividere il canale di segnalazione interna e la relativa gestione. Parimenti, i soggetti del settore privato che hanno impiegato, nell’ultimo anno, una media di lavoratori subordinati, con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato, non superiore a duecentoquarantanove, possono condividere il canale di segnalazione interna e la relativa gestione.
Occorre rilevare che il legislatore non ha, però, chiarito i criteri in base ai quali effettuare la condivisione dei canali di segnalazione e la relativa gestione; nel sostanziale silenzio della legge, quindi, i criteri potranno essere quelli di prossimità territoriale o piuttosto quelli relativi al settore industriale di appartenenza, la scelta è evidentemnete rimessa a ciascun ente con il rischio di creare un quadro confuso e caotico.
Ma vi è di più. Nessuna indicazione viene fornita dal legislatore nazionale, a differenza ad esempio di quanto accade nell’ordinamento spagnolo, in merito alla condivisione dei canali all’interno dei gruppi di imprese. In relazione a tale profilo, può risultare utile rammentare che, il 2 e il 21 giugno 2021, la Commissione europea, nel rispondere ad alcuni quesiti posti dalle multinazionali danesi, ha inviato due lettere con le quali ha fornito un’interpretazione dell’art. 8, parg. 6, della Direttiva.
Più nel dettaglio la Commissione ha ribadito che ogni impresa con più di cinquanta lavoratori - anche se appartenente a un gruppo – deve avere un proprio canale di segnalazione al quale può essere aggiunto un canale centralizzato gestito dalla capogruppo alle seguenti condizioni: 1) la società controllata sia di medie dimensioni (deve avere tra 50 e 249 lavoratori); 2) devono esistere e devono rimanere funzionali i canali di segnalazione all’interno della controllata; 3) la società controllata rimane responsabile di fornire il riscontro al segnalante; 4) la società controllata deve fornire al segnalante informazioni chiare sul fatto che la segnalazione possa essere gestita dalla capogruppo, salvo il diritto del segnalante di opporsi a ciò e di chiedere che le indagini in merito ai fatti segnalati siano svolte solo a livello della subsidiary.

- Canale esterno. In conformità all’art. 7 del d.lgs. 24/2023, L’Autorità competente a ricevere le segnalazioni esterne, sia del settore pubblico che del settore privato (seppure con le limitazioni descritte supra), è l’ANAC.
È bene però precisare che l’art. 6 prevede che la segnalazione esterna possa essere presentata all’Autorità solo laddove ricorra almeno una delle seguenti condizioni:
a) non è prevista, nell’ambito del contesto lavorativo, l’attivazione obbligatoria del canale di segnalazione interna ovvero questo, anche se obbligatorio, non è attivo o, anche se attivato, non è conforme alle previsioni normative;
b) la persona segnalante ha già effettuato una segnalazione interna e la stessa non ha avuto seguito;
c) la persona segnalante ha fondati motivi di ritenere che, se effettuasse una segnalazione interna, alla stessa non sarebbe dato efficace seguito ovvero che la stessa segnalazione possa determinare il rischio di ritorsione;
d) la persona segnalante ha fondato motivo di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse.
La normativa in parola impone all’ANAC di attivare un canale di segnalazione esterna che garantisca, anche tramite il ricorso a strumenti di crittografia, la riservatezza dell’identità della persona segnalante, della persona coinvolta e della persona menzionata nella segnalazione, nonché del contenuto della segnalazione e della relativa documentazione. La stessa riservatezza deve essere garantita anche quando la segnalazione viene effettuata attraverso canali diversi o perviene a personale diverso da quello addetto al trattamento delle segnalazioni, al quale viene in ogni caso trasmessa tempestivamente .
Previsione, quest’ultima, che sembrerebbe escludere la possibilità per l’Autorità di acquisire le segnalazioni scritte esclusivamente mediante l’applicativo informatico.
Si rammenti che, dal canto suo, l’ANAC ha messo a diposizione degli utenti, sin dal 2018, una piattaforma informatica, accessibile dal sito istituzionale , che, mediante l'utilizzo di un protocollo di crittografia, garantisce la protezione dei dati identificativi dell’identità del segnalante e, mediante il codice identificativo univoco ottenuto a seguito della segnalazione registrata sul portale, consente al segnalante di “dialogare” con l’Autorità in modo anonimo e spersonalizzato. Grazie all'utilizzo di questo protocollo, il livello di riservatezza è dunque aumentato rispetto alle pregresse modalità di trattamento della segnalazione.
Ora, è di tutta evidenza che l’ANAC provvederà a implementare tale piattaforma informatica e a effettuare quel revirement necessario per conformarla alla nuova disciplina normativa, per garantire anche una maggiore celerità di trattazione della segnalazione stessa e per assicurare una ancor più efficace tutela a garanzia di tutti i soggetti coinvolti.
Il legislatore precisa, altresì, in modo innovativo rispetto alla previgente disciplina, che le segnalazioni esterne possono essere effettuate in forma scritta tramite la piattaforma informatica oppure in forma orale attraverso linee telefoniche o sistemi di messaggistica vocale ovvero, su richiesta della persona segnalante, mediante un incontro diretto fissato entro un termine ragionevole.
In merito alle scelte che l’ANAC effettuerà per la presentazione e gestione delle segnalazioni esterne si rinvia alle Linee Guida che l’Autorità dovrà adottare, previo parere del Garante della protezione dei dati personali, ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. 24/2023.

- Divulgazione pubblica. Ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 24/2023, si può ricorrere, inoltre, alla divulgazione pubblica se:
a) la persona segnalante ha previamente effettuato una segnalazione interna ed esterna ovvero ha effettuato direttamente una segnalazione esterna e non è stato dato riscontro entro i termini stabiliti in merito alle misure previste o adottate per dare seguito alle segnalazioni;
b) la persona segnalante ha fondato motivo di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse;
c) la persona segnalante ha fondato motivo di ritenere che la segnalazione esterna possa comportare il rischio di ritorsioni o possa non avere efficace seguito in ragione delle specifiche circostanze del caso concreto, come quelle in cui possano essere occultate o distrutte prove oppure in cui vi sia fondato timore che chi ha ricevuto la segnalazione possa essere colluso con l'autore della violazione o coinvolto nella violazione stessa.
- Denuncia all’Autorità giudiziaria ordinaria o contabile. Un ulteriore autonomo canale di segnalazione è rappresentato dalla denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile.
In particolare, in conformità alla previgente normativa, il decreto de quo riconosce la possibilità di sottoporre all’attenzione dell’autorità giudiziaria e contabile le violazioni che sono state apprese nel contesto lavorativo pubblico o privato.
Vale considerare che, nelle precedenti Linee Guida, l’ANAC aveva già chiarito che “per i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio che hanno un obbligo di denuncia, in virtù di quanto previsto dal combinato disposto dell’art. 331 c.p.p. e degli artt. 361 e 362 c.p., la segnalazione di cui all’art. 54-bis indirizzata al RPCT o ad ANAC non sostituisce, laddove ne ricorrano i presupposti, quella all’Autorità giudiziaria.
Si rammenta che l’ambito oggettivo degli artt. 361 e 362 c.p., disponendo l’obbligo di denunciare soltanto reati (procedibili d’ufficio), è più ristretto di quello delle segnalazioni effettuabili dal whistleblower che può segnalare anche illeciti di altra natura.
Resta fermo che, laddove il dipendente pubblico denunci un reato all’Autorità giudiziaria ai sensi degli artt. 361 o 362 c.p. e poi venga discriminato per via della segnalazione, potrà beneficiare delle tutele dalle misure ritorsive ex art. 54-bis” .
Precisazioni, queste, che verosimilmente verranno riproposte nel nuovo testo delle Linee Guida in quanto assolutamente attuali e in linea con la nuova normativa.

Descritti in tal modo i canali di segnalazione, si dovrebbe concludere che, rispetto alla previgente normativa, la scelta del canale di segnalazione non è più rimessa alla discrezione del segnalante in quanto, in conformità alla Direttiva europea , il legislatore nazionale favorisce in via prioritaria l’utilizzo del canale interno e, solo al ricorrere di una delle condizioni sopra previste, è possibile effettuare una segnalazione esterna o una divulgazione pubblica. In presenza di illeciti penali o contabili è, invece, sempre possibile la presentazione della denuncia all’Autorità giudiziaria o contabile.
1.9 Il ragionevole convincimento di riferire informazioni vere.
Per ricondurre la segnalazione/denuncia/divulgazione pubblica alla normativa whistleblowing e, conseguentemente, per il riconoscimento delle misure di protezione, oltre ai requisiti sopra descritti, è necessario che - al momento della segnalazione/denuncia/divulgazione pubblica - la persona segnalante avesse fondato motivo di ritenere che le informazioni sulle violazioni segnalate fossero vere e rientrassero nell’ambito oggettivo di cui all’art. 1 del d.lgs. 24/2023 .
Ciò che conta è, dunque, che la convinzione del whistleblower in ordine al fatto che un illecito sia stato commesso o stia per verificarsi sia caratterizzata da oggettivi elementi tali da far sorgere nel segnalante il ragionevole convincimento che i fatti rappresentati siano veri e non siano il risultato di mere voci di corridoio ovvero di notizie manifestamente false nonché di notizie di pubblico dominio.
I motivi, anche personali, che hanno indotto la persona a segnalare/ denunciare/divulgare non saranno, invece, rilevanti ai fini della protezione.
Con tali previsioni, il legislatore nazionale recepisce correttamente il considerando 32 della Direttiva, secondo cui “Per beneficiare della protezione della presente direttiva, le persone segnalanti dovrebbero avere ragionevoli motivi, alla luce delle circostanze e delle informazioni di cui dispongono al momento della segnalazione, che i fatti che segnalano sono veri. Tale requisito è una garanzia essenziale contro le segnalazioni dolose e futili o infondate, in modo da garantire che le persone che, al momento della segnalazione, hanno fornito deliberatamente e scientemente informazioni errate o fuorvianti, siano escluse dalla protezione. Al tempo stesso, tale requisito assicura che la persona segnalante continui a beneficiare della protezione laddove abbia effettuato una segnalazione imprecisa in buona fede. Analogamente, le persone segnalanti dovrebbero poter beneficiare della protezione prevista dalla presente direttiva se hanno fondati motivi per ritenere che le informazioni segnalate rientrino nel suo ambito di applicazione. I motivi che hanno indotto le persone segnalanti a effettuare la segnalazione dovrebbero essere irrilevanti al fine di decidere sulla concessione della protezione”.
Si determina così un definitivo spostamento dal polo della dimensione soggettiva e personale del segnalante alla dimensione oggettiva di ciò che viene segnalato.
In tal modo si registra un vero e proprio cambio di rotta con un definitivo superamento delle indagini sulle motivazioni individuali del whistleblower, che apparivano, in molti casi, una strategia utilizzata per deflettere l’attenzione dai problemi segnalati e delegittimare, allo stesso tempo, chi segnalava.
A ben vedere lo spostamento dalla dimensione soggettiva a quella oggettiva costituisce senz’altro una novità sotto il profilo legislativo ma, al contempo, rappresenta un continuum dei principi pioneristici e all’avanguardia espressi sul punto dall’ANAC nella materia sub observatione.
Al riguardo occorre rammentare che, nella delibera, ex multis, n. 311 del 21.06.2022 e nelle Linee Guida 469/2021, l’Autorità aveva già affermato il principio secondo cui, ai fini dell’applicabilità del regime di tutela avverso gli atti ritorsivi previsto dalla normativa de qua, l’elemento necessario è dato dalla sussistenza dell’interesse all’integrità della pubblica amministrazione, a nulla rilevando che vi possa essere, in capo al segnalante, anche un interesse personale coincidente e/o concorrente con quello pubblico. Ciò in quanto la ratio sottesa alla legislazione in materia di prevenzione della corruzione non consente di escludere de plano, dall’ambito di applicazione dell’art. 54-bis, le segnalazioni nelle quali un interesse personale concorra con quello alla salvaguardia dell’integrità della pubblica amministrazione.
Aveva affermato, infine, l’ANAC che il giusto punto di equilibrio è rappresentato dalla dichiarata necessità di verificare, sempre e in ogni caso, che l’oggetto della segnalazione del dipendente pubblico sia tale da far emergere la sussistenza nell’animo del segnalante di un interesse a tutelare l’integrità della p.a. Tale interesse, però, non deve essere unico o esclusivo, ben potendo accompagnarsi ad un interesse anche personale del segnalante che, attraverso la tutela di quello pubblico, troverebbe soddisfazione.

PARTE II

LE TUTELE.
Se la segnalazione soddisfa tutti i requisiti e le condizioni di cui sopra, opererà il sistema di protezione contemplato dal decreto, che si articola in quattro forme di tutela :

1. Tutela della riservatezza;
2. Tutela da misure ritorsive;
3. Limitazione della responsabilità;
4. Misure di sostegno.

È importante rilevare che dette misure di protezione non vengono garantite ai soli segnalanti ma si applicano anche:
- ai facilitatori. È opportuno rammentare che il facilitatore, figura assolutamente innovativa introdotta dalla Direttiva UE 1937/2019, viene definito dall’art. 2, comma 1, lett. h) come “la persona fisica che assiste il segnalante nel processo di segnalazione, operante nel medesimo contesto lavorativo e la cui assistenza deve essere mantenuta riservata”;
-alle persone che operano nel medesimo contesto lavorativo delle persone segnalanti e che sono legate ad essi da uno stabile legame affettivo o di parentela entro il quarto grado;
- ai colleghi di lavoro delle persone segnalanti che lavorano nel medesimo contesto lavorativo delle stesse e che hanno con detta persona un rapporto abituale e corrente;
- agli enti di proprietà della persona segnalante e agli enti che operano nel medesimo contesto di tali persone o per le quali queste persone lavorano.

Ciò premesso, nelle pagine seguenti si svolgerà, senza alcuna pretesa di esaustività, una illustrazione delle misure di protezione disciplinate dal decreto all’esame con alcune considerazioni in ordine agli aspetti di particolare interesse e rilevanza.

2.1 La tutela della riservatezza.
Si ritiene qui di prendere le mosse dalla tutela della riservatezza che, come in passato, assume una duplice declinazione:
- sottrazione della segnalazione e della documentazione allegata all’esercizio del diritto di accesso documentale previsto dagli artt. 22 e ss della legge 7 agosto 1990, n. 241 nonché all’esercizio del diritto di accesso civico generalizzato di cui agli artt. 5 e ss. del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33;
- divieto di rivelare l’identità del segnalante.

In merito al divieto di rivelare l’identità del segnalante, è previsto, in primo luogo, un principio generale innovativo secondo cui le informazioni sulle violazioni non possano essere utilizzate o divulgate, se non per dare seguito alle stesse, ove necessario.
Si conferma poi la necessità di garantire la riservatezza dell’identità del segnalante e, quindi, di non rivelare l’identità a persone diverse da quelle competenti a ricevere o a dare seguito alle segnalazioni, espressamente autorizzate a trattare tali dati. Il legislatore precisa che a dover essere tutelato non è soltanto il nominativo del segnalante ma anche ogni altra informazione da cui può evincersi, direttamente o indirettamente, l’identificazione dell’autore della segnalazione .
Questa soluzione era stata, peraltro, già sostenuta dall’ANAC nelle Linee Guida 469/2021, il cui testo, per chiarezza espositiva, è utile qui riprodurre: “Il co. 3 dell’art. 54-bis impone all’amministrazione, che riceve e tratta le segnalazioni, di garantire la riservatezza dell’identità del segnalante. Ciò anche al fine di evitare l’esposizione dello stesso a misure ritorsive che potrebbero essere adottate a seguito della segnalazione all’interno dell’ente. Il divieto di rilevare l’identità del segnalante è da riferirsi non solo al nominativo del segnalante ma anche a tutti gli elementi della segnalazione, inclusa la documentazione ad essa allegata, nella misura in cui il loro disvelamento, anche indirettamente, possa consentire l’identificazione del segnalante. Il trattamento di tali elementi va quindi improntato alla massima cautela, a cominciare dall’oscuramento dei dati personali, specie quelli relativi al segnalante, qualora, per ragioni istruttorie, altri soggetti debbano essere messi a conoscenza del contenuto della segnalazione e/o della documentazione ad essa allegata. Tale interpretazione, peraltro, è in linea con la previsione di cui al co. 5, ultimo periodo, art. 54-bis, secondo cui le procedure per la gestione delle segnalazioni, anche informatiche, devono garantire tale riservatezza” .

Dopo aver previsto il divieto di rivelare l’identità del segnalante, l’art. 12 disciplina la tutela della riservatezza dell’identità del segnalante nei procedimenti giudiziari e disciplinari, dettando una specifica disciplina che sostanzialmente ricalca quella già contemplata dall’art. 54-bis .
In via ulteriore, in modo innovativo rispetto alla previgente normativa, il decreto prevede espressamente che la tutela dell’identità sia garantita anche alla persona fisica o giuridica segnalata (rectius coinvolta) nonché alle persone menzionate nella segnalazione fino alla conclusione dei procedimenti avviati sulla base della segnalazione .
È di tutta evidenza che tale previsione imporrà agli enti di implementare le piattaforme informatiche di ricezione e gestione delle segnalazioni per assicurare la tutela anzidetta anche a tali ulteriori soggetti.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 12, ultimo comma, deve essere sempre garantito il diritto di difesa della persona segnalata nei procedimenti avviati a suo carico a seguito della segnalazione.
Infine, si osserva che, per garantire la protezione dei dati personali, il decreto in parola ha previsto che l’acquisizione e gestione delle segnalazioni, denunce, divulgazioni pubbliche debba avvenire sempre nel pieno rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali .

2.2. La tutela da ritorsioni.
Il nuovo decreto conferma il principio secondo cui è vietata ogni forma di ritorsione adottata in conseguenza della segnalazione in quanto il segnalante non può essere sottoposto a misure che abbiano effetti negativi sul rapporto di lavoro e sulla sua persona. Si pensi che è vietata ogni forma di ritorsione anche solo tentata o minacciata.
A tale riguardo, il legislatore nazionale ha accolto una nozione ampia di ritorsione, per essa si intende ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. m): «qualsiasi comportamento, atto od omissione, anche solo tentato o minacciato, posto in essere in ragione della segnalazione, della denuncia all’autorità giudiziaria o contabile o della divulgazione pubblica e che provoca o può provocare alla persona segnalante o alla persona che ha sporto la denuncia, in via diretta o indiretta, un danno ingiusto».
L’art. 17, comma 4, del d.lgs. 24/2023 fornisce, poi, un elenco esemplificativo e non tassativo di ciò che può costituire costituire una ritorsione:
“a) il licenziamento, la sospensione o misure equivalenti;
b) la retrocessione di grado o la mancata promozione;
c) il mutamento di funzioni, il cambiamento del luogo di lavoro, la riduzione dello stipendio, la modifica dell'orario di lavoro;
d) la sospensione della formazione o qualsiasi restrizione dell'accesso alla stessa;
e) le note di merito negative o le referenze negative;
f) l'adozione di misure disciplinari o di altra sanzione, anche pecuniaria;
g) la coercizione, l'intimidazione, le molestie o l'ostracismo;
h) la discriminazione o comunque il trattamento sfavorevole;
i) la mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, laddove il lavoratore avesse una legittima aspettativa a detta conversione;
l) il mancato rinnovo o la risoluzione anticipata di un contratto di lavoro a termine;
m) i danni, anche alla reputazione della persona, in particolare sui social media, o i pregiudizi economici o finanziari, comprese la perdita di opportunità economiche e la perdita di redditi;
n) l'inserimento in elenchi impropri sulla base di un accordo settoriale o industriale formale o informale, che può comportare l'impossibilità per la persona di trovare un'occupazione nel settore o nell'industria in futuro;
o) la conclusione anticipata o l'annullamento del contratto di fornitura di beni o servizi;
p) l'annullamento di una licenza o di un permesso;
q) la richiesta di sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici”

In continuità con la previgente normativa, viene confermato il meccanismo dell’inversione dell’onere della prova, vero caposaldo della normativa sub observatione, in forza del quale si presume che gli atti pregiudizievoli adottati nei confronti del segnalante siano stati posti in essere a causa della segnalazione. L’onere di provare che tali condotte o atti sono motivati da ragioni estranee alla segnalazione è a carico di colui che li ha posti in essere. Ciò vale nell’ambito dei procedimenti giudiziari, amministrativi e nelle controversie stragiudiziali. Inoltre, anche in caso di domanda risarcitoria all’autorità giudiziaria la persona deve solo dimostrare di aver effettuato una segnalazione e di aver subito un danno, a questo punto, salvo prova contraria, il danno si presume derivato dalla segnalazione.
Va però evidenziato che il legislatore ha voluto espressamente escludere dal meccanismo dell’inversione dell’onere della prova i seguenti soggetti: i facilitatori; le persone del medesimo contesto lavorativo della persona segnalante legate ad essa da uno stabile legame affettivo o di parentela entro il quarto grado; i colleghi di lavoro della persona segnalante che lavorano nel medesimo contesto lavorativo della stessa e che hanno con detta persona un rapporto abituale e corrente nonché gli enti di proprietà della persona segnalante per i quali la stessa persona lavora nonché gli enti che operano nel medesimo contesto lavorativo della predetta persone.
Ne deriva, quindi, che spetterà ai suddetti soggetti fornire la prova di aver subito ritorsione a causa della segnalazione presentata dalla persona alla quale, a vario titolo, essi sono legati .

Per quanto concerne, poi, la gestione delle comunicazioni di ritorsioni, il nuovo decreto all’art. 19, co. 1, rubricato “Protezione dalle ritorsioni” conferma e amplia il ruolo dell’ANAC quale soggetto deputato a ricevere le comunicazioni di ritorsioni, non solo dei soggetti pubblici ma anche dei soggetti privati.
In merito agli accertamenti di competenza, è previsto che, al fine di acquisire elementi istruttori indispensabili all'accertamento delle ritorsioni, l'ANAC possa avvalersi della collaborazione dell'Ispettorato della funzione pubblica e dell'Ispettorato nazionale del lavoro, ferma restando l'esclusiva competenza dell'Autorità in ordine alla valutazione degli elementi acquisiti e all'eventuale applicazione delle sanzioni amministrative di cui all'articolo 21.
Al fine di regolare tale collaborazione, l'ANAC dovrà concludere specifici accordi, ai sensi dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, con l'Ispettorato della funzione pubblica e con l'Ispettorato nazionale del lavoro.
Occorre inoltre considerare che il decreto all’esame introduce, rispetto alla previgente normativa, alcune novità in merito all’attività informativa cui è tenuta l’ANAC in caso di ritorsioni.
Al riguardo, l’art. 19, comma 1, del d.lgs. 24/2023, statuisce che:
a) in caso di ritorsioni commesse nel contesto lavorativo di un soggetto del settore pubblico, l'ANAC informa immediatamente il Dipartimento della funzione pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e gli eventuali organismi di garanzia o di disciplina, per i provvedimenti di loro competenza;
b) in caso di ritorsioni commesse nel contesto lavorativo di un soggetto del settore privato l'ANAC informa l'Ispettorato nazionale del lavoro, per i provvedimenti di propria competenza.

Quanto alle conseguenze dell’adozione di una ritorsione, il nuovo decreto statuisce che compete all’autorità giudiziaria adottare tutte le misure, anche provvisorie, necessarie ad assicurare la tutela alla situazione giuridica azionata, ivi compresi il risarcimento del danno, la reintegrazione nel posto di lavoro, l’ordine ci cessazione della condotta posta in essere in violazione del divieto di ritorsioni e la dichiarazione di nullità degli atti adottati .
In via ulteriore, nel caso in cui sia accertata una ritorsione, il nuovo decreto conferma l’applicazione da parte di ANAC - già prevista dall’art. 54-bis del d.lgs. 165/01- di una sanzione amministrativa, elevata rispetto alla previgente normativa nel minimo e nel massimo edittale da 10.000 a 50.000 euro, nei confronti della persona fisica che ha adottato il provvedimento/atto ritorsivo (es. firmatario del provvedimento) o comunque al soggetto a cui è imputabile il comportamento e/o l’omissione nonché nei confronti di colui che ha suggerito o proposto l’adozione di una qualsiasi forma di ritorsione nei confronti del whistleblower, così producendo un effetto negativo indiretto sulla sua posizione (ad es. proposta di sanzione disciplinare ).
Ai fini dell’accertamento di una ritorsione determinata da una precedente segnalazione di illeciti, vale, infine, rammentare che l’ANAC, nella vigenza dell’art. 54-bis, ha già chiarito che il citato articolo vieta l’irrogazione di sanzioni disciplinari o di provvedimenti pregiudizievoli che siano “determinati dalla segnalazione” ma non impedisce di sanzionare e/o adottare provvedimenti nei confronti del whistleblower per comportamenti diversi, ulteriori ed estranei al fatto della segnalazione. Diversamente, si attribuirebbe al segnalante la licenza di violare, senza alcuna ripercussione, il codice di comportamento adottato da ogni amministrazione e si impedirebbe all’Ente di esercitare legittimamente i propri poteri organizzativi .
2.3. La limitazione della responsabilità.
Senza entrare eccessivamente in dettaglio si richiama l’attenzione del lettore sul fatto che l’articolo 20 del d.lgs. 24/2023 prevede la limitazione di responsabilità del segnalante, introducendo una scriminante in materia penale più ampia di quella contenuta nell’articolo 3, della legge 30 novembre 2017, n. 179.
E’, infatti, previsto che il soggetto che effettua la segnalazione o denuncia o divulgazione pubblica non è punibile, non solo in caso di violazione del segreto di cui agli articoli 326, 622 e 623 del codice penale e 2015 del codice civile, ma anche nel caso di violazione delle disposizioni relative alla tutela del diritto d’autore o alla protezione dei dati personali, nonché nell’ipotesi in cui la stessa persona riveli o diffonda informazioni sulle violazioni che offendono la reputazione della persona coinvolta. La condizione posta ai fini dell’operatività della scriminante è che al momento della rivelazione o diffusione, vi fossero fondati motivi per ritenere che la rivelazione o diffusione delle stesse informazioni fosse necessaria per svelare la violazione e quando la segnalazione o la divulgazione pubblica o la denuncia è stata effettuata ai sensi dell’articolo 16. In tal caso, viene esclusa altresì ogni ulteriore responsabilità, anche di natura civile o amministrativa.
Parimenti, è esclusa la responsabilità civile o amministrativa per l’acquisizione o l’accesso alle informazioni sulle violazioni, salva l’ipotesi in cui la condotta costituisca reato.
In merito a tale profilo, non risulta ultroneo richiamare quella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, formulata nella vigenza dell’art. 54-bis del d.lgs. 165/01, che ha sancito il principio secondo cui la protezione posta dalla legge 179/2017 non opera nei casi in cui il lavoratore si improvvisi investigatore violando le norme per raccogliere prove di illeciti volte ad integrare la segnalazione. La normativa in materia di whistleblowing, infatti, non fonda alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni e non autorizza improprie attività investigative, in violazione dei limiti posti dalla legge .

È prevista, infine, una clausola di chiusura nella quale è fatta salva la responsabilità penale e ogni altra responsabilità, anche di natura civile o amministrativa, “per i comportamenti, gli atti o le omissioni non collegati alla segnalazione o alla denuncia o alla divulgazione pubblica o che non sono strettamente necessari a rivelare la violazione”.

2.4 Misure di sostegno
Una delle principali novità introdotte dal decreto de quo è rappresentata poi dalla introduzione di apposite misure di sostegno a favore degli informatori, disciplinate dall’art. 18.
Segnatamente, è istituto presso l’ANAC l’elenco degli enti del Terzo settore che forniscono alle persone segnalanti misure di sostegno consistenti in informazioni, assistenza e consulenze a titolo gratuito sulle modalità di segnalazione e sulla protezione dalle ritorsioni offerta dalle disposizioni normative nazionali e da quelle dell’Unione europea, sui diritti della persona coinvolta, nonché sulle modalità e condizioni di accesso al patrocinio a spese dello Stato.
Per ottenere l’iscrizione in tale elenco, pubblicato nel sito dell’ANAC, gli enti del Terzo Settore che esercitano, secondo le previsioni dei rispettivi statuti, le attività di promozione della legalità, della trasparenza e tutela dei diritti umani, civili, sociali e politici nonché dei diritti dei consumatori sia nel settore pubblico che privato, dovranno previamente stipulare apposite convenzioni con ANAC.

2.5 La perdita delle tutele.
Merita uno specifico approfondimento l’art. 16, comma 3 del d.lgs. 24/2023, che riprendendo quanto contemplato dall’art 54-bis, comma 9, del d.lgs. 165/01 , disciplina la perdita delle tutele riconosciuta al segnalante.
Più in dettaglio, in continuità con quanto previsto dall’art. 54-bis, la norma citata statuisce che le tutele sopra descritte non sono garantite e, quindi, vengono meno “quando è accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale della persona segnalante per i reati di diffamazione o di calunnia o comunque per i medesimi reati commessi con la denuncia all’autorità giudiziaria o contabile ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave”.
Rispetto alla previgente normativa, è ora altresì previsto che, nell’ipotesi anzidetta, venga irrogata anche una sanzione disciplinare nei confronti del segnalante/denunciante. La mens legis di tale ultima previsione è senz’altro da rintracciare nell’esigenza di dissuadere il segnalante dall’effettuare, con dolo o colpa grave, segnalazioni che si rivelino manifestamente infondate e false, presentate con intento diffamatorio e calunnioso.
In accoglimento dell’osservazione di cui alla lett. i) delle Commissioni riunite II e XI della Camera, sempre nella medesima ottica, si spiega anche la previsione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 500,00 a 2.500,00 euro che l’ANAC potrà irrogare nei confronti della persona segnalante nel caso in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità civile di quest’ultima per diffamazione o calunnia nei casi di dolo o colpa grave, salvo che la medesima sia stata già condannata, anche in primo grado, per i reati di diffamazione o calunnia commessi con la segnalazione/denuncia . Tale ultima precisazione trova la sua ratio nel fatto che il concorrere della condanna penale con l’imposizione della sanzione amministrativa potrebbe comportare una duplicazione di sanzioni per il medesimo fatto .

Ciò chiarito, la maquillage normativa apportata dal legislatore con il d.lgs. 24/2023 non sembra scalfire le elaborazioni fornite dall’ANAC nella vigenza della previgente disposizione legale.
In particolare, per comprendere il regime della perdita di tutele, risulta utile qui richiamare i principi espressi dall’Autorità in merito al comma 9 dell’art. 54-bis del d.lgs. 165/01, principi che verosimilmente non subiranno sostanziali modifiche non essendo mutata, dal punto di vista sostanziale, la relativa disciplina.
Segnatamente, l’ANAC ha affermato che, in primis, il comma 9 dell’art. 54-bis, come del resto il nuovo art. 16, comma 3, del d.lgs. 24/2023, richiede espressamente che la responsabilità penale o civile del whistleblower sia stata “accertata”.
Tale condizione non ricorre nel caso in cui il procedimento instauratosi a seguito della segnalazione/ denuncia, presentata dal whistleblower, venga archiviato giacché detta archiviazione non comporta alcun accertamento della responsabilità penale del segnalante e, quindi, non ha alcuna rilevanza ai sensi del citato comma 9.
D’altronde, tale interpretazione è pienamente coerente con la ratio della norma che, volendo incentivare la collaborazione dei dipendenti all’interno delle pubbliche amministrazioni per l’emersione di fenomeni corruttivi o di mala administration, non richiede, come già detto precedentemente, che il dipendente sia certo dell’effettivo accadimento dei fatti denunciati e/o dell’identità dell’autore degli stessi ma che ne dia ragionevole e circostanziata evidenza nella denuncia, a nulla rilevando che, poi, successivamente detta denuncia venga archiviata.
In secundis, vale ricordare che l’ANAC nelle Linee Guida 469/2021 ha altresì chiarito che, dal tenore letterale delle norme, si ricava che, per la perdita delle tutele, sia sufficiente una sentenza di condanna di primo grado e non il passaggio in giudicato della stessa. L’Autorità ha però chiarito che, laddove la sentenza di condanna in primo grado dovesse essere riformata in senso favorevole al segnalante nei successivi gradi di giudizio, quest’ultimo potrà ottenere nuovamente la tutela prevista dall’art. 54-bis solo a seguito del passaggio in giudicato della pronuncia che accerta l’assenza della sua responsabilità penale per i reati di calunnia e/o diffamazione e/o commessi con la segnalazione . Si vedrà se tale interpretazione verrà confermata dall’ANAC anche alla luce della nuova normativa.
In tertiis, in merito ai rapporti tra il potere disciplinare di cui è titolare l’Amministrazione e i principi espressi dal comma 9 dell’art. 54-bis, si riporta l’orientamento seguito dell’ANAC secondo cui il provvedimento disciplinare irrogato al dipendente che ha presentato una segnalazione di illeciti può dirsi conforme al comma 9 dell’art 54-bis d.lgs. 165/2001 solo se adottato successivamente a una pronuncia di un giudice terzo e imparziale che ritenga il segnalante responsabile civilmente o penalmente per una condotta diffamatoria o calunniosa (o comunque delittuosa) posta in essere attraverso la segnalazione presentata. In altre parole, il provvedimento disciplinare adottato nei confronti del whistleblower, per ragioni connesse alla segnalazione, sarà ritorsivo se adottato prima che sia avvenuto il suddetto accertamento giudiziale.
A tal proposito, l’Autorità ha chiarito che, per evitare una violazione dell’art. 54-bis, l’Amministrazione, laddove ritenga che whistleblower, attraverso la segnalazione, abbia posto in essere una condotta calunniosa, diffamatoria o, in generale, penalmente rilevante, non potrà sanzionare autonomamente il dipendente senza aver prima atteso l’accertamento giurisdizionale. Se, infatti, la PA agisse autonomamente e sanzionasse il dipendente, senza una pronuncia giudiziale che ne abbia previamente dichiarato la responsabilità civile o penale, finirebbe per sostituirsi all’accertamento giurisdizionale, disapplicando arbitrariamente il comma 9 dell’art 54-bis d.lgs. 165/2001 e, più in generale, le tutele previste da tale norma .

2.6. Considerazioni finali
Così ricostruita (senza alcuna pretesa di esaustività) la nuova disciplina in materia whistleblowing contenente disposizioni necessarie ad adeguare l’ordinamento interno alle linee di intervento imposte dalla Direttiva, non può che auspicarsi, anzitutto, che da essa derivino benefici per l’intera collettività che potrà, ora, fare affidamento su un quadro normativo rinnovato e omogeneo e su rimedi assai simili nei vari Paesi dell’Unione Europea, e, in secondo luogo, che tale intervento normativo, anche con il contributo dell’ANAC, la cui attività diviene il core business della normativa de qua, possa finalmente determinare il passaggio da una cultura che stigmatizza i segnalanti a una cultura che li incoraggia e li sostiene concretamente .

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