testo integrale con note e bibliografia

Introduzione
La precettazione del ministro delle Infrastrutture disposta nei confronti dei lavoratori del trasporto ferroviario, che avevano proclamato lo sciopero per il 13 e 14 luglio scorsi, per sollecitare il rinnovo del contratto collettivo scaduto da sei anni, deve essere valutata sotto il profilo giuridico, in rapporto all’inquadramento dello sciopero come diritto costituzionale e, relativamente al suo esercizio, secondo la novella apportata all’istituto disciplinato dall’art. 8 della l. 146/1990, da parte dell’art. 7 della legge n.83/2000.

1. Lo sciopero quale diritto di libertà
La precettazione costituisce in materia di sciopero l’extrema ratio per garantire i cosiddetti “limiti esterni” al suo esercizio, gli altri diritti costituzionali di pari livello, ma non è controvertibile che tale istituto debba essere sempre rispettoso della corretta interpretazione che dottrina e giurisprudenza hanno assegnato all’astensione collettiva dei lavoratori, quale diritto di libertà , poiché sul riconoscimento della libertà sindacale è connesso anche quello dello sciopero rispetto all’ordinamento giuridico , quale espressione della libertà di un gruppo sociale che si riunisce per la difesa e la promozione dei comuni interessi dei lavoratori e che ha rappresentato uno degli elementi costitutivi della cultura sindacale nel nostro Paese .
In questa prospettiva è opportuno richiamare come il diritto di sciopero sia espressivo sin dalla più risalente dottrina, della tutela dell’interesse individuale dei singoli lavoratori , che nel caso della precettazione del luglio scorso era quello del rinnovo del contratto collettivo, di talché non si possono non esprimere perplessità in ordine al rispetto dell’art. 40 Cost. e della stessa previsione normativa da parte dell’intervento amministrativo del ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, che mette in questione il peculiare intreccio di fonti eteronome e autonome che ha realizzato un modello pluriordinamentale adatto “a quadrare il cerchio fra esigenze di regolazione pressioni settoriali e consenso sociopolitico” , con una disciplina integrata fra forme di autoregolazione delle parti contrattuali e interventi di una autorità pubblica indipendente, dotata per legge di poteri di conciliazione e mediazione del conflitto, anche con possibili effetti vincolanti almeno temporanei.

2. La novella dell’istituto della precettazione: l’art. 7 della l. n.83/2000
Con la riforma della legge 146 da parte della legge 11 aprile 2000, n. 83 , il legislatore ha cercato di colmare le lacune della precedente disciplina, contrastando anche il proliferare delle ordinanze di precettazione nonostante l’attribuita funzione “bidirezionale” , la cui emanazione rimane ora circoscritta ad ipotesi che dovrebbero essere residuali e non ordinarie, per evitare il rischio di generare un sistema di gestione burocratica dell'azione di autotutela sindacale, che non richiama certamente né il fenomeno sociale che sta alla base dello sciopero, né il suo concetto ontologico.
L’art. 8, comma 1, della legge 146/90 individua i due presupposti indispensabili per l’emanazione di un’ordinanza di precettazione, uno procedurale e l’altro sostanziale, quest’ultimo “il fondato pericolo di pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati di cui all’articolo 1, comma 1, che potrebbe essere cagionato dall’interruzione o dall’alterazione del funzionamento dei servizi pubblici di cui all’articolo 1” .
Dall’analisi dell’articolo viene ad evidenza come il legislatore nell’operare la riforma dell’istituto della precettazione, abbia recepito gli orientamenti giurisprudenziali emersi negli anni di applicazione della l. 146/90 ed esso è rimasto in primo luogo uno strumento coercitivo, finalizzato a intervenire su conflitti collettivi, le cui conseguenze ricadono sull’utenza, demandando alla Commissione di garanzia, quale autorità super partes, il compito di garantire la salvaguardia dei diritti fondamentali ed indispensabili della persona tutelati costituzionalmente, con la notevole restrizione del ruolo del governo, che, invece, nel caso della precettazione del ministro delle Infrastrutture sembra riprendere spazio d’intervento, mettendo in discussione la funzione fondamentale per l’ordinamento lavoristico italiano, costituito dalla legge n. 146/1990, che “incarna il cambiamento del diritto del lavoro in tutta la sua complessità» e la pone al crocevia delle «tensioni regolative dell’attuale ordinamento del lavoro” .
3. L’ipotesi dello “Sciopero virtuale”
Il tema, dunque, rimane quello del complesso equilibrio tra il diritto di sciopero e gli altri diritti di rango costituzionale , in particolare alla luce della fine del fordismo e del prevalere della società dei servizi e dell’Economia 4.0, in cui è cresciuto il peso della funzione di servizio rispetto a quella di produzione, e degli interessi diffusi rispetto alle solidarietà collettive, con la “terziarizzazione del conflitto” .
Ecco perché, la peculiarità dello sciopero nei pubblici servizi, che incide anche su soggetti terzi - gli utenti - estranei al conflitto o, addirittura, solo su di essi, ed eventualmente sugli scioperanti , deve consentire riflessioni approfondite su nuove forme di astensione collettiva dei lavoratori.
In questa prospettiva il lo “sciopero virtuale”, “di solidarietà” ovvero “di cittadinanza” appaiono coerenti con la regolazione dello sciopero nei pubblici servizi, anche (e forse soprattutto) in ragione di una diversa percezione, di un generale mutamento del ruolo dello sciopero nelle stesse relazioni sindacali italiane, rispetto a quello, sovente quasi palingenetico, che la nostra cultura sindacale e giuridica (pur sempre di matrice pluralistico-conflittuale) gli ha attribuito: basti pensare all'incidenza che, nell’era dei social, può assumere l'opinione pubblica nel condizionare gli esiti del conflitto .
Tale forma di sciopero comporta la sottoscrizione tra le parti di accordi che prevedano la rinuncia dei lavoratori aderenti all’astensione alla retribuzione e l'obbligo per il datore di corrispondere una somma, commisurata alle retribuzioni, a un apposito fondo con finalità benefiche o di interesse sociale.
In concreto lo “sciopero virtuale”, sul quale si deve citare anche un’iniziativa parlamentare nella XVI legislatura nel settore dei trasporti pubblici , si basa su di un accordo preventivo tra sindacati e imprese del settore per garantire la continuità del servizio durante gli scioperi, rinunciando i lavoratori alle loro retribuzioni corrispettive e impegnandosi l’azienda a pagare il doppio o il triplo dei relativi importi, a un fondo cogestito per opere di utilità sociale, con una parte di esso posto a disposizione di ciascuna delle parti contendenti per la realizzazione delle rispettive campagne di informazione dell’opinione pubblica, circa i motivi del conflitto .

4. La titolarità del diritto di sciopero.
Un’ultima considerazione sui principi e, in specie, su quelli che dottrina e giurisprudenza hanno elaborato dopo l’approvazione della nostra Carta costituzionale, in materia di titolarità del diritto di sciopero.
Come è ampiamente noto, si tratta di un argomento su chi esiste un significativo pluralismo di posizioni, che in questa sede non è possibile riprendere considerata la sua vastità, ricordando che a partire dalla c.d. “sentenza Mortati” della Consulta , il diritto di sciopero venne qualificato come diritto della persona perché l’immediata precettività era riconosciuta alle sole norme costituzionali che potevano essere qualificate in tal modo .
Tale pronunzia, secondo cui “lo sciopero consiste nell’astensione dal lavoro da parte di più lavoratori subordinati al fine della difesa dei loro interessi economici”, ha illustrato i presupposti giuridici affinché il diritto di sciopero sia stato qualificato come un “diritto individuale ad esercizio collettivo” , non senza critiche sull’esistenza stessa del problema e contestazioni, comunque, nei confronti della sua qualificazione quale diritto assoluto della persona .
Ma il dibattito sulla titolarità del diritto di sciopero e la valenza (anche) normativa della clausola esplicita di pace sindacale può e deve servire pure ad “omogeneizzare la situazione italiana a quella della più parte degli altri Paesi occidentali” e si può aggiungere con specifico riguardo all’esperienza eurounitaria. E’ doveroso però, evidenziare, che le “storie” nazionali del diritto di sciopero insegnano come esso sia connesso alla specificità dei singoli ordinamenti, in relazione alla titolarità dello stesso, ai suoi elementi teleologici, alla sua più o meno funzionalizzazione alla contrattazione collettiva, alle modalità con le quali viene esercitato, ai diritti ed interessi che chi lo esercita è comunque tenuto a garantire .
Pur senza individuare un modello di diritto di sciopero in relazione alla sua titolarità, l’Unione Europea guarda con più attenzione – si veda l’art. 28 della Carta di Nizza - ai sistemi nei quali esso è gestito da soggetti considerati “rappresentativi” e, quindi, ritenuti più “responsabili” , anche se essa indica in modo generico ed irrisolto la dialettica fra individuale e collettivo, operando una legittimazione dell’azione collettiva in funzione di diritti individuali affermati quali diritti fondamentali .
La titolarità individuale del diritto di sciopero ha indubbiamente rappresentato storicamente per il diritto sindacale nel nostro ordinamento, uno strumento di libertà, in quanto contrappeso al monopolio di fatto assunto dai sindacati qualificati come maggiormente rappresentativi nella contrattazione collettiva, anche se la stessa legge n. 146/1990 è apparsa ad ampi settori dottrinali come un chiaro orientamento del legislatore ad assumere un modello di gestione del conflitto demandato al soggetto collettivo sindacale .
Nella legge di regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici, infatti, il sindacato è il soggetto di riferimento delle procedure e del suo concreto funzionamento, con la conseguenza che la regolamentazione collettiva delle modalità di esercizio del diritto di sciopero si ripercuote inevitabilmente nella sfera individuale del lavoratore, non tanto “rimpicciolendo la portata giuridica della titolarità individuale del diritto” , ma invertendo il tradizionale assunto dello sciopero come diritto a titolarità individuale ed esercizio collettivo, in diritto a titolarità collettiva ed esercizio individuale .
Si può, quindi, valutare che la titolarità individuale non costituisca un “dogma” e neppure una prescrizione imposta dalla nostra Costituzione, contribuendo per questa via a rimuovere un ostacolo notevole, per elaborare soluzioni innovative, quantomeno nel settore dei servizi pubblici essenziali – come lo “sciopero virtuale” - per un esercizio del diritto di sciopero consapevole, richiesto dai cittadini-utenti .

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