testo integrale con note e bibliografia

In Italia esiste una questione salariale. È un problema atavico, per la verità, notevolmente accentuatosi in questi ultimi anni, caratterizzati da un’inflazione a due cifre che ha eroso il potere d’acquisto di lavoratori e pensionati riducendolo di circa il 20%. Inflazione che non è stata certamente generata da un incremento della domanda, ma che ha le sue radici in altre dinamiche, a partire dall’aumento dei prezzi dell’energia, causati dalla guerra, e anche dai mega profitti ottenuti da multinazionali di alcuni settori che hanno tratto vantaggi proprio dall’evento bellico e, prima ancora, dalla pandemia. Peraltro, se questo è lo scenario, è del tutto evidente che la cura messa in atto dalla Bce, a suon di rialzo dei tassi, rischia di essere inefficace, da un lato, ma sicuramente deleteria per la ripresa economica, dall’altro, oltreché ingiusta perché, ancora una volta, scarica sulle spalle di quelle stesse categorie più deboli il peso di una situazione la cui responsabilità sarebbe da cercare altrove. E per avere un’idea dei danni di quella scelta, basti pensare all’effetto sui mutui per l’acquisto delle case che grava sulle famiglie e sui giovani in modo davvero inaccettabile.
A impoverirsi, dunque, è stata quella parte del Paese che ha un reddito fisso e che non ha la possibilità di condividere con altri il fardello di questa tassa surrettizia qual è, per l’appunto, l’inflazione.
Come fare, dunque, per ristorare di tale perdita lavoratori dipendenti e pensionati? Le leve su cui agire sono due: quella contrattuale e quella fiscale. Con riferimento a quest’ultima, il ragionamento è semplice. In attesa di una riforma strutturale e complessiva che risolva il problema dell’evasione e che riduca le inaccettabili diseguaglianze tra le diverse categorie di contribuenti, la Uil ha chiesto di consolidare la riduzione del cuneo fiscale e di detassare gli aumenti contrattuali non solo di primo, ma anche di secondo livello per favorire, così, allo stesso tempo, un incremento della produttività e della competitività.
Ovviamente, in questo quadro, il rinnovo dei contratti resta lo strumento prioritario da attivare; anzi, è il diritto fondamentale la cui effettività deve essere garantita alle lavoratrici e ai lavoratori affinché possano ottenere il giusto salario e tutte le tutele necessarie ad assicurare condizioni dignitose complessive. Oggi, sono circa otto milioni coloro che attendono i rinnovi, di cui oltre 3 milioni operano nel Pubblico impiego e il cui datore di lavoro, dunque, è uno Stato, incapace di onorare l’impegno nei tempi stabiliti.
Questi sono i due fronti sui quali bisogna combattere la battaglia per risolvere la questione salariale nel nostro Paese e per dare valore al lavoro di milioni di persone.
Perché, allora, porsi anche il problema del salario minimo per legge? La risposta è semplice: perché la realtà del mondo del lavoro è, notoriamente, molto più articolata e complessa di quanto si desidererebbe. In primo luogo, ci sono alcuni imprenditori che fuggono dalle loro responsabilità e non vogliono rinnovare i contratti e molti altri che, pur rinnovando, lo fanno a cifre del tutto irrisorie, grazie al malcostume dei contratti pirata firmati da compiacenti sindacati gialli. Poi, c’è il problema del precariato, ancora troppo diffuso e, per definizione, emblema di una condizione salariale inadeguata e ingiusta. Insomma, c’è una zona grigia, se non nera, nella quale, allo stato attuale, non è possibile esercitare e rendere disponibili diritti e tutele altrove codificati.
In questo ambito, l’applicazione di un salario minimo per legge rappresenterebbe uno stimolo importante non solo per l’erogazione di cifre dignitose, ma anche per far emergere situazioni socialmente inaccettabili ed economicamente insostenibili. Ovviamente, per essere efficace, questo valore andrebbe identificato con i minimi contrattuali dei contratti maggiormente rappresentativi.
È questa la condizione per rendere efficace e praticabile un salario minimo per legge, per evitare che un istituto siffatto possa diventare un alibi per il livellamento verso il basso degli attuali redditi che, al contrario, dovrebbero beneficiare di incrementi idonei a contrastare l’attuale svalutazione del lavoro dipendente, oltreché delle pensioni.
Definito il principio di base, il passaggio più delicato è l’individuazione di una cifra che risponda a quei criteri, anche perché non c’è un parametro di riferimento univoco, ma esistono i cosiddetti TEM (il trattamento economico minimo) e TEC (il trattamento economico complessivo) che sono diversi tra loro e sui quali occorre ragionare per trovare un’adeguata soluzione.
In questo quadro, un ruolo fondamentale è stato attribuito al Cnel che ha messo a punto una proposta sulla quale, al momento in cui si scrive, non è stato trovato un consenso unanime e che, proprio per questa ragione, ha visto l’astensione del rappresentante della Uil. Sul tema, infatti, è fondamentale che ci sia unità tra le parti sociali e, in particolare, tra Cgil, Cisl, Uil, poiché su questo terreno si può giocare il futuro del Sindacato confederale e la sua capacità di salvaguardare, nel modo più efficace possibile, i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.
Il compito principale del Sindacato, infatti, peraltro prevista dall’articolo 39 della Costituzione, è quello di sottoscrivere contratti. Ed è proprio questa funzione di autorità salariale, esercitata nel corso dei decenni, che ha consentito di porre almeno un argine a derive iperliberiste nella maggior parte del tessuto produttivo. Con il passare degli anni la pressione a svalutare il lavoro è diventata sempre più forte e oggi se ne vedono i risultati negativi. Ma se non ci fosse stato il Sindacato a rinnovare i contratti, la situazione sarebbe stata davvero insostenibile.
Ecco perché estensione e rispetto delle tempistiche della contrattazione, riduzione delle tasse per le lavoratrici e lavoratori dipendenti, introduzione del salario minimo rappresentano, ciascuna per la propria parte, le tre leve da azionare per affrontare e risolvere la questione salariale nel nostro Paese.
La Uil, scevra da ogni impostazione ideologica ed estranea alle controversie partitiche che hanno caratterizzato il dibattito sul tema, proseguirà questa battaglia identitaria nella convinzione che la salvaguardia della vita, il rispetto delle persone e il valore del lavoro sono le basi su cui si fonda una società civile che sappia coniugare il progresso e lo sviluppo con la riduzione delle diseguaglianze e la difesa dei più deboli e svantaggiati.

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