TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLILOGRAFIA

Introduzione
Questo saggio prende le mosse da un progetto sulla pianificazione socio -economica sostenibile per sconfiggere la disoccupazione nelle regioni dell’Italia meridionale e che coinvolge in primis la P. A., le imprese ed i cittadini (associazioni), attraverso la pianificazione socio- economica locale con lo scopo di diminuire il fenomeno della disoccupazione, bisogno più urgente in questo particolare momento storico.
L’autore presenta, in maniera sintetica, ma allo stesso tempo per quanto possibile esaustiva, le principali cause di natura socio – istituzionale emerse dall’ indagine realizzata che, oltre a focalizzarsi sulle competenze degli attori locali, ha permesso di individuare anche le caratteristiche delle cause socio -istituzionali del fenomeno e le soluzioni delle stesse che potrebbero portare ad una riduzione della disoccupazione.
La ricerca si basa su due fonti principali: (i) l’analisi delle cause socio- istituzionali e i rimedi alle agli stessi attraverso una ricerca e progettazione di interventi che hanno lo scopo di ridurre le principali cause di questo fenomeno della disoccupazione che ad oggi sembra essere, nelle aree del Mezzogiorno d’ Italia di non facile soluzione.
La pianificazione dello sviluppo economico ha un’importanza strategica per la lotta alla disoccupazione, infatti la storia del diritto dell’economia ha sempre messo in evidenza che la pianificazione dello sviluppo economico sia da considerare un presupposto fondamentale per la crescita economica del territorio, in tal senso gli enti locali hanno un ruolo fondamentale nelle politiche del mercato del lavoro e, più in generale, sui percorsi di sviluppo economico.
Dopo una breve disamina dei limiti del mercato del lavoro, l’articolo cerca di individuare quali sono le cause o esternalità negative al fenomeno della disoccupazione nelle aree del meridione d’Italia e sulle possibili
soluzioni, ossia la pianificazione economica di ogni singolo territorio, soffermandosi in particolare sulla valorizzazione del VCT (Valore competitivo del territorio) e sul sostegno alle medie e piccole imprese, tutto nell’ambito del territorio comunale. La disamina della disoccupazione vista da un altro punto di vista, quello socio – istituzionale, che sono i due aspetti più importanti della sostenibilità o meglio quelli presupposti senza i quali non ci può essere né quello economico e né quello ambientale. Tenere sotto controllo questi aspetti, in particolare nelle regioni dell’Italia Meridionale, significa abbassare o quantomeno arginare il fenomeno della disoccupazione, male endemico di queste realtà. Il concetto di sostenibilità, attraverso il quale si cerca di trovare una soluzione al fenomeno, si riferisce al cambiamento dove lo sfruttamento delle risorse, gli investimenti e le nuove tecnologie ambiscono a valorizzare il potenziale attuale e futuro.
Mercato del lavoro.
Il mercato del lavoro è lo stato il in cui i lavoratori sono in grado di trovare lavoro dietro retribuzione, e i datori di lavoro cercano lavoratori disposti a lavorare in cambio di un determinato salario. Per quanto concerne la determinazione degli stessi, il “prezzo” è determinato dall’incontro tra la domanda e l’offerta, anche se non mancano elementi che rendono più complesso lo scenario: in alcuni Stati esistono ad esempio dei salari minimi al di sotto del quale gli stipendi a tempo pieno non possono scendere, mentre altri si sono astenuti dall’introduzione di un simile strumento. Secondo la loro dimensione e portata, i mercati del lavoro possono essere locali, nazionali e anche internazionali. Per quanto attiene la loro composizione, i mercati del lavoro sono costituiti da segmenti di interazione più piccoli per diverse qualifiche, competenze e posizioni. Le varie sezioni che compongono il mercato del lavoro sono a loro volta contraddistinte dallo scambio di informazioni tra i datori di lavoro e le persone in cerca di lavoro relativamente ai salari, alle condizioni di lavoro, al livello di concorrenza e così via. Ad ogni modo, quel che non cambia è la sua caratteristica fondamentale: come ogni mercato, anche quello del lavoro sarà definito dalla domanda offerta. Un altro elemento che contraddistingue in maniera significativa il mercato del lavoro (e lo fa in misura sempre più crescente) è la sua flessibilità, che riflette la capacità di un’azienda di apportare modifiche al numero dei dipendenti, al numero di ore lavorative settimanali, all’entità dei salari e all’influenza dei sindacati. In un mercato flessibile le condizioni del mercato del lavoro sono meno regolamentate e le retribuzioni sono definite da principi di mercato puri, mentre un mercato con una bassa flessibilità ci si trova generalmente a dover fare i conti con livelli salariali minimi, varie esigenze sindacali, fattori sociali supplementari, e così via. dizioni. Tra i principali indicatori del mercato del lavoro ci sono: -andamento degli occupati -tasso di disoccupazione -salario medio orario -richiesta di sussidi per la disoccupazione - Occupati L’andamento degli occupati riflette la variazione dei “libri paga”, generalmente per i settori non agricoli, l’andamento degli occupati è sicuramente un tempestivo e completo valore sullo stato attuale dell’economia. Il tasso di disoccupazione è il secondo indicatore più apprezzato per chi si occupa di analizzare l’andamento del mercato del lavoro, rappresentando la percentuale della forza lavoro ammissibile che è attualmente disoccupata, ma sta cercando attivamente un’occupazione. Viene calcolato su base mensile ed è un valore ritenuto in grande importanza, oltre che in grado di produrre ampie fluttuazioni sui mercati finanziari. Come risulta facilmente comprensibile, un tasso di disoccupazione elevato è qualcosa che ogni Paese dovrebbe cercare di evitare, poiché comporta una riduzione della spesa per i consumatori (che a sua volta rappresenta più del 70% del Prodotto Interno Lordo di un Paese), dunque un mercato del lavoro con tanti disoccupati conduce alla perdita della fiducia dei consumatori, che incide anche sulle persone attivamente occupate, generando una pericolosa spirale. Ad ogni modo, anche se un tasso di disoccupazione elevato potrebbe essere devastante per la crescita economica, anche la disoccupazione troppo bassa dovrebbe in realtà essere evitata in quanto spinge l’inflazione in maniera eccessiva, e conduce i salari sempre più su, portando l’economia a surriscaldarsi. Un tasso di disoccupazione di circa il 4-6 per cento potrebbe essere considerato una sorta di piena occupazione desiderabile. Ne deriva che una flessione delle domande significa che meno persone hanno perso il proprio posto di lavoro nel periodo in esame rispetto a prima, indicando un rafforzamento del mercato del lavoro (naturalmente, viceversa avverrà l’opposto). Si tratta di un dato molto impattante sui mercati finanziari, che può spingere movimenti a breve termine molto forti dopo il suo rilascio
Un’esternalità negativa è un impatto indesiderato su una terza parte non correlata a causa della produzione o del consumo di un bene o di un servizio. In altre parole, è una conseguenza negativa imprevista di alcune attività di mercato. Le esternalità negative si verificano quando il costo sociale è maggiore del costo privato per produrre o consumare un bene o un servizio. In parole povere, le decisioni di un gruppo di persone hanno un impatto negativo sulla società, ma queste persone non sono ritenute responsabili del costo della loro decisione. Quando si verificano esternalità negative in un mercato non regolamentato, i costi vengono trasferiti ai consumatori, abbassando così il costo marginale dei produttori. Tuttavia, poiché il processo decisionale dei consumatori tiene conto del costo marginale e del beneficio marginale, i consumatori non assorbono le esternalità negative, portando così all’inefficienza del mercato, ovvero al surplus del produttore.
Esternalità negative istituzionali.
L’inefficienza della Pubblica Amministrazione causa più danni dell’evasione fiscale. Le ragioni sono da ricercare negli sprechi, nella cattiva gestione e, più in generale, nell’incapacità della macchina dello Stato che ogni anno causa un danno con un peso economico non indifferente, ben superiore all’evasione fiscale. Tra le principali inefficienze del sistema pubblico ci sono la corruzione, gli sprechi del sistema sanitario, i debiti accumulati nei confronti dei fornitori, attribuiti a ritardi nei pagamenti, la lentezza della giustizia civile, il peso della burocrazia a carico delle PMI. L’inefficienza della P.A. sta causando ingenti danni ai cittadini, infatti le istituzioni hanno il compito di dare il buon esempio nel rispetto delle regole soprattutto e della comunità per cui si verifica un effetto molto negativo sull’economia del Paese. L’Italia ed in particolare il mezzogiorno d’Italia continua ad essere in fondo alla classifica europea per la qualità della pubblica amministrazione e un suo malfunzionamento provoca notevoli danni al sistema sociale che può essere limitato con una pianificazione a livello locale. L’attenzione al livello locale, nello studio dell’economia e della società, è una scoperta recente, infatti si credeva esistesse un’unica via allo sviluppo (one best way), quella delle grandi imprese occidentali della produzione di massa, e che solo la crisi delle grandi strutture industriali degli anni settanta ha messo in evidenza. Il sistema locale è un insieme, territorialmente localizzato, di diversi elementi e delle relazioni tra di essi, tali elementi sono costituiti dai soggetti, dalle risorse e dalle funzioni presenti nel territorio. Il tema delle società locali considera fondamentale il distretto industriale che può essere definito come un’entità socio – territoriale caratterizzata dalla presenza attiva di una comunità di persone e di una popolazione di imprese entro uno spazio geografico, in cui sono localizzate molte imprese di piccola dimensione verso l’esterno attraverso una strategia unificata, ciascuna delle quali si specializza in una particolare fase o componente del processo produttivo. Il ritorno al territorio, al locale, serve per far fronte al bisogno vitale di sicurezza e dunque il territorio è una condizione essenziale per lo sviluppo che non si traduca solo in crescita economica ma in benessere sociale e condiviso (produrre meglio localmente). Lo sviluppo di un sistema locale non avviene in maniera spontanea ma va progettato e deve essere condiviso da una pluralità di attori economici e dunque la pianificazione dello sviluppo economico costituisce una funzione strategica e comprende, anche la coesione sociale e la competitività ambientale. La pianificazione dello sviluppo deve essere innanzitutto un’operazione culturale e sin dagli anni novanta è stata avviata una fase feconda per nuovi strumenti a sostegno dello sviluppo locale, anche a livello europeo e tra questi i patti territoriali e i piani strategici che costituiscono le migliori opportunità per affrontare i problemi dell’occupazione, dell’arretratezza economica, del degrado sociale e ambientale. Il processo di crescita in ambito locale di un settore dell’economia urbana esercita un effetto moltiplicatore su tutto il resto ed è questo il risultato che viene fuori dagli studi dell’economia urbana, branca dell’economia di recente sviluppata. Le città sono un mercato del lavoro unitario nel senso che un alto livello di disoccupazione nelle aree interne della città potrebbe essere la creazione di incentivi e controlli simili agli strumenti delle politiche regionali per indirizzare le imprese verso quelle aree e creare movimenti pendolari alla mobilità verso altre parti delle città. Tutti gli studi di economia sottolineano l’importanza dell’intervento pubblico attraverso la pianificazione urbana dell’economia che ha come scopo primario la massimizzazione dell’efficienza economica sul territorio. Infatti come sottolineava il Prof. Paolo Guidicini ( Come studiare la città dal di dentro) è necessario programmare la città con una logica di continuità soprattutto in termini di causa/effetto, perché ogni sistema territoriale deve essere interpretato come una combinazione di istituzioni e soggetti all’interno di un certo spazio. I sociologi urbani, branca della sociologia, usano metodi come l’analisi statistica, osservazione, teoria sociale ed interviste per studiare un vasto ambito di argomenti, che comprendono migrazioni, economia, povertà e relazioni razziali.
Il concetto di sostenibilità si fonda principalmente su quattro pilastri indipendenti: sostenibilità economica, sostenibilità ambientale, sostenibilità sociale ed istituzionale.
Solo una visione integrata di queste dimensioni, in cui sono definite ed intersecate, può valorizzare i prodotti e i servizi del territorio, far aumentare il PIL e diminuire la disoccupazione.
In particolare quella sociale serve per mantenere una condizione di benessere distribuita equamente all’interno della società. Il termine benessere include i concetti di sicurezza, salute, istruzione, giustizia e democrazia.
Sotto questo aspetto, il nostro Paese purtroppo non ha una posizione di spicco. Con la crisi finanziaria del 2007/2008, l’istruzione, la sanità e la ricerca italiana hanno subito notevoli tagli. Inoltre, si notano ancora le diseguaglianze tra le varie fasce della popolazione che non permette di realizzare un modello di sviluppo sostenibile.
Esempi di iniziative di sostenibilità sociale
sono i progetti di welfare aziendale come gli asili aziendali, l’economia di quartiere per sostenere i piccoli negozi di quartiere e per incentivare lo sviluppo territoriale e la produzione locale.
Pianificazione economica.
Il piano strategico costituisce un documento formale che racchiude in sintesi i risultati concernenti il coinvolgimento preventivo di una molteplicità di attori sia interni all’ente (sindaco, giunta, consiglio, direzione generale e vari livelli della struttura organizzativa) che esterni (stakeolder) nel processo decisionale dell’amministrazione. Tale documento non è obbligatorio, nè tanto meno richiesto dai principi contabili degli enti locali. Esso costituisce il risultato di un’importante scelta politica finalizzata alla definizione delle direzioni di sviluppo verso le quali indirizzare il destino di un dato territorio. Ogni ente è pertanto libero di scegliere se redigere tale documento e di optare per una struttura rispetto a un’altra. L’importante è che il piano strategico possa costituire un momento di arrivo di un più ampio processo di pianificazione strategica, ma al contempo un momento di arrivo di un più ampio processo di pianificazione strategica e per la successiva implementazione delle decisioni e quindi delle conseguenti azioni. I contenuti del piano strategico sono ovviamente influenzati dalle priorità di intervento previste nel programma di mandato: nel caso in cui l’amministrazione non intendesse avviare un più ampio percorso di pianificazione strategica, sarà tale programma il punto di partenza per alimentare il processo di programmazione pluriennale, partendo dal piano generale di sviluppo. a sfida per il nostro Paese per tornare a crescere sicuramente passa anche nel saper riconoscere, valorizzare ed investire sui punti di forza dei territori. I sistemi locali sono centro delle questioni da affrontare (sviluppo economico, occupazione, ambiente, ecc.) e frontiera di elaborazione per cercare soluzioni che diano risposta alle esigenze delle imprese e dei cittadini.
Un territorio deve saper elaborare e se necessario reinventare, ma soprattutto lavorare a qualificare i propri asset come le infrastrutture, le aree localizzative, l’innovazione, la ricerca, le eccellenze produttive, capitale umano, qualità della vita, strumenti urbanistici, semplificazione burocratica, riduzione degli oneri amministrativi, formazione professionale, attori pubblici attenti.
Questo significa più che mai dare oggi una declinazione concreta alle parole programmazione economica, pianificazione territoriale e “marketing territoriale” per rendere interessante ed appetibile un sistema locale per gli investitori nazionali e stranieri e porre le condizioni per la crescita del territorio. Nei maggiori paesi industrializzati il problema dell’inefficienza del mercato passa in secondo piano rispetto a quello dell’inefficienza dello Stato in quanto la libertà d’azione generalizzata deve essere spesso corretta ad esempio per i monopoli dei servizi pubblici (acqua, gas, elettricità) e dunque si rende necessario un controllo dell’economia attraverso una pianificazione. Il Piano Strategico Comunale, però, non sembra rispondere più efficacemente a una domanda economica e sociale che in esso non trova risposte. Negli ultimi anni i processi di pianificazione hanno ricevuta un’attenzione crescente da parte di alcuni comuni italiani, anche sulla scorta di esempi di successo sviluppati all’estero, come metodo idoneo a sviluppare nuove forme di governance urbana e territoriale. Emerge così per gli enti locali, a fianco del tradizionale ruolo di produzione dei servizi indispensabili al benessere collettivo, anche un nuovo ma più strategico ruolo di regia dei processi decisionali e programmatori, complesso ed articolato, che li obbliga ad agire attraverso lo sviluppo di disegni orientati a generare decisioni e azioni condivise e a promuovere comportamenti coerenti anche da parte degli attori non istituzionali
Esternalità negative sociali.
A differenza di quanto sostenuto dalle teorie economiche classiche, la disoccupazione non è un fenomeno esclusivamente di natura macroeconomica, ma proprio per le teorie sulla sostenibilità, non possono mancare i presupposti di natura sociale ed istituzionale, essendo un fenomeno di natura prettamente sociale. Dopo aver visto quale è l’importanza della pianificazione territoriale, attraverso la quale vengono individuati i settori in cui investire, sembra fondamentale individuare e approfondire quelli che sono le cause sociali o mali sociali che determinano un alto tasso di disoccupazione, vedi le regioni del sud Italia. La disoccupazione, dunque, è il male sociale più grande, infatti non avere lavoro significa innanzitutto essere preda delle più brutte sciagure esistenti, la criminalità, l’emigrazione e soprattutto la povertà.
Pianificazione sociale.
Negli ultimi anni è aumentato in modo considerevole il bisogno di sicurezza della collettività, che si sente sempre più insicura e minacciata di fronte al diffondersi di episodi di devianza. In questo contesto di generalizzata richiesta di prevenzione e di sicurezza, sarà qui analizzato il concetto di “nuova” prevenzione. Esso si caratterizza per la sua estraneità al sistema penale, in quanto si riferisce principalmente alle politiche sociali indirizzate a ridurre la criminalità attraverso l’intervento sulle cause che la determinano o mediante le forme di aiuto sociale finalizzate al recupero ed al reinserimento del deviante. In quest’ottica si afferma l’esigenza di coinvolgere tutte le istituzioni e la collettività stessa nelle problematiche attinenti la produzione della sicurezza e il mantenimento dell’ordine sociale. Assumono, pertanto, particolare rilevanza il concetto di sicurezza “partecipata” e la filosofia della “polizia di prossimità”. Nel primo caso elementi fondamentali sono la compartecipazione e la condivisione degli obiettivi e delle strategie di attuazione da parte di soggetti diversi: i cittadini, le istituzioni, tutti gli attori sociali ed economici che operano. sul territorio e che vivono quotidianamente il problema sicurezza. Nel secondo caso si tratta di una nuova filosofia di intervento complessivo che si pone come obiettivi prioritari la prevenzione degli eventi criminali e di disordine urbano, la conoscenza ed il radicamento nel territorio, un rinnovato legame di fiducia e collaborazione con i cittadini. .
Progetto Prevenzione precoce
Questo tipo di prevenzione considera prima di tutto la famiglia nella quale una persona vive, dal clima in cui si forma, dalle relazioni esistenti fra i suoi genitori, dal tempo che le dedicano e dal modo in cui la educano, cercando di ridurre il comportamento aggressivo del bambino con un trattamento insieme ad altri e mai in maniera isolata. I progetti volti a prevenire tali comportamenti consistono nell’effettuare terapie di gruppo in particolare con i genitori, prevedendo per gli stessi una sanzione penale in caso di rifiuto nel farsi aiutare nell’applicare tali programmi.
Progetto Prevenzione sociale.
Questo tipo di prevenzione, invece, si riferisce alla zona in cui abita, dalla situazione economica in cui tale zona si trova, dal grado di integrazione o di disorganizzazione sociale che la caratterizza. Le baby gang sono un fenomeno in netta espansione e per poter arginare è necessario utilizzare operatori specializzati di strada, altro intervento di prevenzione è quella nei quartieri di edilizia pubblica, veri 11 e propri ambienti di proliferazione della criminalità ed anche in questo caso l’unica soluzione è quella di migliorare la vita in tali quartieri. L’aspetto di particolare prevenzione rimane quella della prevenzione della violenza nella scuola che è il luogo ideale per la commissione di molti reati. L’ambiente scolastico è considerato come il terreno ideale per la prevenzione infatti le vittime del bullismo sono tantissimi ed ha assunto una gravità notevole per cui si rende necessario intervenire in tal senso, programmando numerosi interventi finalizzati a prevenire ogni tipo di violenza nella scuola. La lotta alla criminalità parte dai banchi di scuola, il fenomeno del bullismo è secondo alcuni studiosi, il germe della mafia, infatti se un compagno fa violenza, non necessariamente fisica, nei confronti di qualcuno, e voi vedete e non denunciate, nasce quella che si chiama “omertà”. Il bullismo è la prima esperienza di organizzazione mafiosa. È la scuola il luogo in cui il ragazzo trascorre la maggior parte del suo tempo. Quindi, la scuola rappresenta un Osservatorio privilegiato dei comportamenti giovanili ai fini della precoce scoperta dei segnali premonitori di disagio in un adolescente. A scuola il giovane può mettere in atto comportamenti che segnalano le sue difficoltà. Se Famiglia e Scuola falliscono nell’accogliere questa richiesta di aiuto, che il giovane esprime mettendo in atto comportamenti violenti, egli si rivolgerà alla strada per trovare ciò di cui è alla ricerca, finendo, così, con l’aggregarsi alle Bande Criminali. Il bullismo è un male sociale ed è un’altra forma di stalking. Un Progetto per il fenomeno del bullismo e la microcriminalità è necessario come valido percorso per contrastare l'insorgenza di comportamenti aggressivi o di fermare atti di bullismo al loro nascere. Questi comportamenti si ripetono nel tempo; la vittima viene presa di mira più volte e non è in grado di difendersi, in quanto si trova in una situazione di minoranza numerica (è più piccola e meno forte fisicamente dell’aggressore o meno resistente a livello psicologico). Il bullismo, spesso, trae spunto o viene giustificato dall’appartenenza della vittima a un gruppo spesso emarginato o sfavorito (si pensi alle sue specificità: trans-omofobia, discriminazione delle differenze, mobbing, stalking, cyberbullismo, prevaricazioni in genere). Nelle scuole secondarie è emerso, negli ultimi anni, il bullismo cibernetico, che ha caratteristiche particolari e diverse da ogni altra forma, in cui l’atto di “violenza” è slegato dalla presenza fisica dell’aggressore. Bisogna formare delle figure individuate nella realtà scolastica – tre docenti e due alunni – definite referenti del progetto “bullismo” sulla problematica in oggetto, i referenti, una volta venuti a conoscenza di tali vicende, hanno il compito di accogliere tale richiesta con una prima valutazione, per poi inviarla all’esperto esterno, la psicologa d’istituto, che decide e attua l’intervento più opportuno da effettuare (incontro individuale con la vittima, incontro individuale con il bullo, incontro di classe o gruppo della classe), con la finalità di promuovere il benessere nel contesto scolastico, ma soprattutto favorire, in tutti i soggetti coinvolti, lo sviluppo di quelle capacità affettivo-relazionali fondamentali per instaurare e mantenere relazioni positive con l’altro da sé.
Progetto scuole efficienti.
All’interno del suddetto intervento per il bullismo si rende necessario per ogni istituto scolastico di dotarsi, in maniera obbligatoria, di un regolamento disciplinare, la ratio della disciplina sui procedimenti disciplinari, dunque, è quella di offrire alla scuola strumenti concreti, di carattere sia educativo (prioritariamente) che sanzionatorio, per far comprendere ai giovani il profondo disvalore sociale di atti o comportamenti aggressivi, violenti o di sopraffazione e considerato infine che l’inasprimento delle sanzioni per fatti gravi o gravissimi si inserisce in un quadro più generale di educazione alla cultura della legalità, intesa come rispetto della persona e delle regole poste a fondamento della convivenza sociale. Il regolamento degli Studenti e delle Studentesse, introduce novità in materia di disciplina per i discenti, con specifico riferimento alle infrazioni disciplinari, alle sanzioni e alla loro impugnazione. I regolamenti d’istituto in materia di disciplina dovranno avere i contenuti risultanti dal combinato disposto delle norme vecchie e nuove. A tal fine le istituzioni scolastiche si ispireranno al principio fondamentale della finalità educativa e “costruttiva” e non solo punitiva della sanzione ed alla non interferenza tra sanzione disciplinare e valutazione del profitto. Non deve mai comunque essere dimenticata la funzione educativa della sanzione disciplinare: occorre dunque rafforzare la possibilità di recupero dello studente attraverso attività di natura sociale, culturale ed in generale a vantaggio della comunità scolastica.
L’alternanza scuola-lavoro (PCTO).
Sempre da parte degli Istituti scolastici si rende obbligatorio, alfine dell’esperienze nel mondo del lavoro, applicare l’alternanza scuola-lavoro, introdotta inizialmente nel 2003, che permette agli studenti di affiancare alla formazione scolastica, prettamente teorica, un periodo di esperienza pratica presso un ente pubblico o privato. Nel 2015 l’alternanza scuola-lavoro è stata resa obbligatoria, con la riforma della Buona Scuola, per tutti gli studenti del secondo biennio e dell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado alla è stata attribuita la denominazione “Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO)”, al fine di favorire l’orientamento dei giovani per valorizzarne le aspirazioni personali, gli interessi e gli stili di apprendimento, nonché per aiutarli a sviluppare la capacità di scegliere autonomamente e consapevolmente integrare la formazione acquisita durante il percorso scolastico con l’acquisizione di competenze più pratiche, che favoriscano un avvicinamento al mercato del lavoro offrire agli studenti opportunità di crescita personale, attraverso un’esperienza extrascolastica che contribuisca a svilupparne il senso di responsabilità favorire una comunicazione intergenerazionale, gettando le basi per un mutuo scambio di esperienze e una crescita reciproca. L’alternanza scuola lavoro permette innanzitutto di ridurre il divario tra il sistema scolastico e il mondo del lavoro, avvicinando la formazione alle competenze e ai requisiti professionali richiesti dalla realtà economico-produttiva. Favorendo la creazione di relazioni stabili tra scuola e impresa, consente alle aziende di reperire più facilmente le figure professionali che stanno cercando. La pratica sistematica dell’alternanza scuola-lavoro garantisce infatti un più rapido inserimento delle nuove generazioni nel mondo del lavoro, agevolando le imprese anche nell’individuazione di risorse con competenze già formate e già abituate a interfacciarsi con una realtà aziendale. Inoltre, l’alternanza scuola-lavoro permette alle aziende di acquisire una maggiore riconoscibilità sul territorio, promuovendo il proprio ruolo sociale e il proprio impegno nella formazione delle nuove generazioni.
Progetto Prevenzione situazionale.
Riguarda le occasioni esistenti, la facilità con cui si possono svolgere attività illecite e la loro remuneratività. Caratteristiche comuni delle nuove forme di prevenzione è di procedere seguendo i canoni del metodo scientifico e dal paradigma del fattore di rischio. L’interesse di un bersaglio dipende da 4 elementi che sono la visibilità, l’inerzia, il valore e 13 l’accessibilità e proprio per questo motivo vengono elaborate alcune strategie di prevenzione situazionale che possono far parte di un progetto specifico che prevede in primis l’installazione a tappeto di telecamere su tutto il territorio o l’attività di controllo della polizia nelle ore serali. Un progetto che preveda delle tecniche per la riduzione delle opportunità tra i quali quello di rendere gli obiettivi meno vulnerabili (casseforti, serrature, schermi difensivi),controllare gli accessi, sviare gli autori, controllare gli accessi, controllare gli strumenti che facilitano i reati, sorveglianza formale (polizia, guardie di sicurezza e detective nei negozi), sorveglianza da parte degli impiegati, sorveglianza naturale ( illuminazione delle strade, ronde di quartiere), facilitare l’identificazione dei beni, rimuovere le tentazioni ( non indossare collane, non lasciare auto attraenti parcheggiate), regolamentare le attività negli spazi collettivi, stimolare le coscienze es. cartelli che il fumo è vietato, controllare i fattori che rimuovono le inibizioni ( alcol, droghe), facilitare i comportamenti conformi ( contrassegni sui marciapiedi).
Progetto accountability per prevenire l’eccesso di potere e la violazione delle regole di buona condotta nelle amministrazioni locali
In considerazione della inefficienza della Pubblica Amministrazione in Italia, che causa danni alla società ma soprattutto al sistema economico, sono state introdotti degli istituti che cercano di limitare i vizi di legittimità, spesso di natura discrezionale degli Enti Locali. Tra questi si annovera l’ “accountability” che viene spesso usato come sinonimo di trasparenza, apertura o buon governo. In realtà, si tratta di qualcosa di più. In generale, accountability significa rendere conto della propria condotta nei confronti di un altro soggetto. Questo implica essere messi sotto scrutinio, essere disposti a rispondere a domande scomode e, ultimamente, affrontare concretamente le conseguenze del giudizio altrui. Infine, si parla di accountability sociale quando le amministrazioni rispondono a gruppi di interesse, società senza fini di lucro e altri stakeholder, cruciali nel processo di pianificazione. Infine, l’accountability può servire a migliorare l’efficacia e l'efficienza dell'azione pubblica. Innanzitutto, la paura di sanzioni e altre conseguenze negative possono spingere le amministrazioni a migliorare i propri processi, favorendo meccanismi di apprendimento e di correzione. Poi, l'accesso alle informazioni da parte di una platea sempre più ampia di persone - ad esempio attraverso la diffusione degli Open data - può consentire un cambiamento delle dinamiche di potere, fornendo ai cittadini gli strumenti per poter partecipare in modo attivo alla gestione della macchina pubblica e far presente i propri bisogni - il cosiddetto empowerment. Una vera accountability dell'operato della pubblica amministrazione consente quindi un controllo diffuso dell’operato della PA e la creazione di nuove opportunità per esercitare una pressione consapevole e documentata sui soggetti che prendono decisioni che incidono sull'operato della pubblica amministrazione. Ma non solo: apre anche opportunità di collaborazione tra amministrazioni e cittadini esperti in determinati campi e profondi conoscitori dei loro territori. Questa collaborazione si può applicare ad esempio alle decisioni strategiche su come allocare risorse dei bilanci pubblici, alla valutazione e co-produzione dei servizi pubblici, alla co-progettazione di politiche territoriali. Ad assicurare l’esecuzione del progetto potrebbe essere nominato un Difensore civico che è un’autorità pubblica autonoma e indipendente incaricata di tutelare i diritti e gli interessi dei cittadini nei confronti delle pubbliche amministrazioni per favorire il rispetto del principio di legalità, imparzialità, buona amministrazione, trasparenza, equità. In generale, è incaricato di promuovere il buon andamento della Pubblica amministrazione, rilevando inefficienze e disfunzioni nell’operato degli enti pubblici e proponendo agli organi competenti i miglioramenti necessari. E’ un soggetto, insomma, al quale potersi rivolgere per ottenere una qualche forma di tutela nel confronti del potere pubblico. Compito del difensore civico è innanzitutto garantire il buon andamento dell’amministrazione controllando la regolarità della sua azione amministrativa, riferendo al Consiglio a proposito di ritardi, irregolarità e disfunzioni eventualmente rilevate su segnalazione degli interessati. Esso infatti può costituirsi parte civile nei processi penali per alcuni reati, qualora la parte offesa sia una persona con disabilità. Si tratta di una competenza poco utilizzata anche se recentemente sono stati sperimentati interventi interessanti.
Piano socio – economico di sviluppo territoriale.
L’ente locale deve decidere volontariamente di giocare un ruolo attivo nella rigenerazione economica e sociale del territorio, assumendo il ruolo di leadership del processo di mobilitazione e coordinamento degli attori locali, nella costruzione e realizzazione di una visione di sviluppo condiviso. L’amministrazione locale ha dunque il compito di regia del sistema locale, in altri termini garantisce l’attuazione di un diverso modello di governance del territorio. Un processo di pianificazione strategica può essere avviato per più ragioni. In generale l’avvio è generato da una situazione socio-economica negativa nei confronti della quale un soggetto istituzionale decide di agire per mitigarne gli effetti, coinvolgendo i principali soggetti pubblici e privati dell’area. Non sempre una grave situazione socioeconomica è percepita come tale dai soggetti che hanno compiti istituzionali di sviluppo di quel dato territorio. Così come non sempre la decisione di avviare un piano significa che la situazione di una data area sia oggettivamente più seria di quella di città comparabili. La differenza non è tanto nella gravità oggettiva di una situazione urbanistica e socio-economica, quanto nel ruolo che l’amministrazione locale ritiene di dover svolgere per sostenere la crescita della comunità locale. Se finora la pianificazione strategica urbana è stata un’attività esclusivamente volontaria degli enti locali, il quadro è cambiato parzialmente nel corso del 2005 quando sono stati resi disponibili dei finanziamenti pubblici per la preparazione di piani strategici nelle città delle regioni Obiettivo 1, cioè dell’Italia meridionale e insulare. Il Comitato Interministeriale Programmazione Economica (Cipe) ha stabilito, nell’ambito della ripartizione delle risorse degli interventi nelle aree sottoutilizzate (Fondo Aree Sottoutilizzate o Fas) per il periodo 2004- 20072, una Riserva aree urbane di oltre 200 milioni di euro, destinata a finanziare interventi nelle città e nelle aree metropolitane del Sud, in attuazione del Programma di accelerazione previsto dalla legge finanziaria 2004 (art. 4, comma 130). La leadership del processo di pianificazione strategica è svolta dal soggetto pubblico che ha il mandato istituzionale di promuovere il bene comune nell’interesse della comunità intera. Nella realtà italiana emerge in modo netto come l’attuazione del piano strategico è la finalità principale del processo di pianificazione strategica. Ogni piano strategico è un prodotto complesso la cui attuazione non può essere posta a carico di una sola categoria di attori (per esempio, gli enti locali), ma richiede l’apporto costante nel tempo dell’insieme dei soggetti pubblici e privati che lo hanno messo a punto. Il piano strategico costituisce un documento formale che racchiude in sintesi i risultati concernenti il coinvolgimento preventivo di una molteplicità di attori sia interni all’ente (sindaco, giunta, consiglio, direzione generale e vari livelli della struttura organizzativa) che esterni (stakeolder) nel processo decisionale dell’amministrazione. Tale documento non è obbligatorio, nè tanto meno richiesto dai principi contabili degli enti locali. Esso costituisce il risultato di un’importante scelta politica finalizzata alla definizione delle direzioni di sviluppo verso le quali indirizzare il destino di un dato territorio. Ogni ente è pertanto libero di scegliere se redigere tale documento e di optare per una struttura rispetto a un’altra. L’importante è che il piano strategico possa costituire un momento di arrivo di un più ampio processo di pianificazione strategica, ma al contempo una fase di partenza per la successiva implementazione delle decisioni e quindi delle conseguenti azioni. I contenuti del piano strategico sono ovviamente influenzati dalle priorità di intervento previste nel programma di mandato: nel caso in cui l’amministrazione non intendesse avviare un più ampio percorso di pianificazione strategica, sarà tale programma il punto di partenza per alimentare il processo di programmazione pluriennale, partendo dal piano generale di sviluppo. La sfida per il nostro Paese per tornare a crescere sicuramente passa anche nel saper riconoscere, valorizzare ed investire sui punti di forza dei territori. Nella relazione globale-locale i sistemi territoriali sono allo stesso tempo “nodi della rete” e riferimento di rappresentanza ed elaborazione delle esigenze ed istanze di sviluppo e benessere per le popolazioni locali. I sistemi locali sono al centro delle questioni da affrontare (sviluppo economico, occupazione, ambiente, ecc.) e frontiera di elaborazione per cercare soluzioni che diano risposta alle esigenze delle imprese e dei cittadini. Un territorio deve saper elaborare e se necessario reinventare, ma soprattutto lavorare a qualificare i propri asset come le infrastrutture, le aree localizzative, l’innovazione, la ricerca, le eccellenze produttive, capitale umano, qualità della vita, strumenti urbanistici, semplificazione burocratica, riduzione degli oneri amministrativi, formazione professionale, attori pubblici attenti. Questo significa più che mai dare oggi una declinazione concreta alle parole programmazione economica, pianificazione territoriale e “marketing territoriale” per rendere interessante ed appetibile un sistema locale per gli investitori nazionali e stranieri e porre le condizioni per la crescita del territorio.
Dagli ani novanta il nostro paese ha avviato una fase particolarmente feconda dal punto di vista della messa a punto di nuovi strumenti a sostegno dello sviluppo locale, tutto questo anche a livello europeo, tra questi si annoverano i patti territoriali, i piani strategici di sviluppo locale, che costituiscono le migliori opportunità per affrontare i problemi dell’occupazione, dell’arretratezza economica, del degrado sociale e ambientale. Il processo di crescita in ambito locale di un settore dell’economia urbana esercita un effetto moltiplicatore su tutto il resto ed è questo il risultato che viene fuori dagli studi dell’economia urbana, branca dell’economia di recente sviluppata, attraverso la quale si è giunti anche allo studio del mercato urbano del lavoro, oggetto specifica della presente indagine. Le città sono un mercato del lavoro unitario nel senso un alto livello di disoccupazione nelle aree interne della città potrebbe essere la creazione di incentivi e controlli simili agli strumenti delle politiche regionali per indirizzare le imprese verso quelle aree e creare dei movimenti pendolari alla mobilità verso altre parti della città. Tutti gli studi di economia urbana sottolineano l’importanza dell’intervento pubblico attraverso la pianificazione urbana dell’economia che ha come scopo primario la massimizzazione dell’efficienza economica sul territorio.
Progettazione sociale di quartiere.
Il manuale delle strategie di sviluppo urbano sostenibile mira ad apportare un contributo a livello metodologico per ampliare le conoscenze su come attuare strategie urbane integrate e incentrate sul territorio nel quadro della politica di coesione. In particolare, fa riferimento allo sviluppo urbano sostenibile (SUS) nel quadro dei finanziamenti erogati dal Fondo europeo di sviluppo regionale nell'attuale periodo di programmazione (2014-2020) e in quello futuro (2021-2027). Infatti, è concepito come uno strumento di “policy learning”, che deve essere flessibile e in grado di adattarsi alle esigenze derivanti dai diversi contesti territoriali e amministrativi. Il manuale definisce le strategie SUS come un ponte in grado di mettere in relazione, da una parte, la politica di coesione (con la sua logica, le sue norme e i suoi attori) e, dall'altra, i sistemi locali di governance territoriale. In seguito a tale Strategie di Sviluppo Urbano Sostenibile si rende necessario un aggiornamento sui progetti territoriali, come ha fatto appunto la Regione Piemonte, favorendo lo Sviluppo Urbano Sostenibile di 7 capoluoghi di provincia, con lo scopo di renderli luoghi maggiormente innovativi, efficienti e competitivi. I comuni coinvolti hanno elaborato un apposito documento di Strategia Urbana, che definisce il quadro complessivo degli interventi da sostenere nell’ambito delle azioni finanziate dalla misura, un processo in cui è stato svolto un ruolo di impulso e accompagnamento, sia nella fase di impostazione strategica degli interventi di sviluppo sia nella selezione e attuazione degli interventi. La strategia per lo sviluppo sostenibile introduce un aspetto fondamentale quello della pianificazione dei quartieri. La promozione di strategie nelle aree urbane avverrà tramite un approccio allo sviluppo integrato e place-based, laddove per integrazione si intenderà una politica multi- settoriale, una governance a più livelli con la partecipazione di una pluralità di portatori di interessi, e una strategia di tipo partecipativo che riguarderà molteplici territori. I quartieri si possono pianificare attraverso la Strategia di sviluppo locale di tipo partecipativo che è un insieme coerente di operazioni rispondenti a obiettivi e bisogni locali e che contribuisce alla realizzazione della strategia dell’Unione per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Lo sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD) è uno strumento per coinvolgere i cittadini a livello locale nello sviluppo di risposte alle sfide sociali, ambientali ed economiche. Nel nostro contesto la pianificazione dei quartieri si rende necessaria nella pianificazione sociale in quanto le problematiche e i bisogni si possono studiare e pianificare solo se vicini alla popolazione, mentre la pianificazione economica deve essere fatta a livello territoriale o ambito comunale. La pianificazione e la progettazione di quartieri ad uso misto sono in aumento ed infatti molti dei luoghi che frequentiamo di più presentano una varietà di programmi, che riuniscono molte delle comodità quotidiane della vita in un unico posto. Ma gli spazi a uso misto non si limitano a creare una gamma diversificata di esperienze nelle città: potrebbero anche contribuire a ridurre i tassi di criminalità. Invece di città che hanno alloggi e alcuni servizi in periferia e un quartiere centrale degli affari nel centro della città, gli sviluppi sarebbero pianificati in modo più coerente e avrebbero un progetto per la futura espansione urbana incontrollata. I quartieri con caffè, bar, uffici e aree residenziali locali abbiano maggiori probabilità di avere più “occhi per strada” a più ore del giorno. La sorveglianza pubblica collettiva può scoraggiare i criminali tra cui le aree in cui gli uffici commerciali erano fortemente concentrati hanno subito oltre il 40% in più di criminalità rispetto ad altri quartieri, in particolare quelli che includevano residenze. Considerando che la maggior parte di queste aree è stata ampiamente utilizzata solo durante il giorno quando la maggior parte delle persone è negli uffici, ha senso che lo studio abbia visto un aumento della criminalità durante le ore serali. Inoltre, le aree caratterizzate da una zonizzazione che ha aggiunto edifici residenziali ad aree commerciali hanno registrato un calo del 7% della criminalità, in gran parte guidato da un calo degli incidenti automobilistici. Ciò che questo dice agli urbanisti e agli architetti è che le leggi sulla zonizzazione possono essere un fattore che contribuisce e uno strumento importante per aiutare a prevenire la criminalità nelle città. Quando pensiamo ai modi di progettare per questo, in genere, creiamo più marciapiedi, una migliore illuminazione stradale e una tecnologia di sorveglianza pubblica, ma possiamo anche utilizzare una densità di sviluppi a uso misto. Al contrario, questi sviluppi spesso significano che sono necessarie più infrastrutture e stabilità economica per sostenerli. Diversi tipi di edifici significano un aumento della raccolta dei rifiuti, della manutenzione delle acque reflue e della conservazione delle strade e dei marciapiedi, ad esempio. Naturalmente, la moderna pianificazione delle città è solo un fattore che contribuisce ai tassi di criminalità nelle città e gli altri aspetti non devono essere trascurati.
Il monitoraggio
In generale, l’attività di monitoraggio si riferisce all’analisi di base delle informazioni acquisite nel monitoraggio, l’attività di rendicontazione consiste nella produzione di descrizioni, analisi e soluzioni alternative di intervento da indirizzare ai decisori pubblici e privati che hanno commissionato il piano strategico. Per questioni di ordinaria amministrazione una attività di monitoraggio dovrebbe essere più che sufficiente a governare il regolare processo di attuazione del piano. Tutto dovrebbe essere preso in esame, ma la gran parte delle questioni relative all’attuazione delle azioni non dovrebbe superare il filtro ordinario del monitoraggio e degli eventuali interventi correttivi che rientrano tra i doveri e poteri dei responsabili di ogni singola azione. Invece, è necessario che siano prontamente segnalati i problemi.
La valutazione
La valutazione, invece, punta sulla misurazione di fenomeni più complessi, spesso legati agli obiettivi definiti ex-ante per i processi e le azioni del piano strategico, senza tralasciare gli effetti, impatti e risultati conseguiti, anche se inattesi. La valutazione cerca di misurare il raggiungimento degli obiettivi strategici sia di contenuto (per esempio la realizzazione della visione per il territorio definita nel piano) sia di processo (per esempio la promozione del partenariato o i miglioramenti del sistema del governance locale). Oltre la misurazione dei fenomeni rilevanti (spesso difficile a causa della complessità dei fenomeni e dei tempi lunghi necessari alla realizzazione di cambiamenti significativi), la valutazione cerca di identificare e spiegare i fattori che hanno inciso sui fenomeni misurati.
Potenziare la struttura organizzativa di supporto alla pianificazione strategica.
Il problema di fondo è che nelle amministrazioni pubbliche il ruolo e la funzione della dirigenza è ancora prevalentemente basata sulla specificità tecnica. Per esempio, chi lavora sui piani urbanistici in gran parte degli enti locali è ancora solo l’ufficio urbanistica o il settore urbanistica dell’ente. Con l’avvio di un processo di pianificazione strategica emerge l’esigenza di un approccio diverso che permetta di ragionare in termini di sistema, per affrontare problematiche complesse e multidimensionali. Il Piano costituisce un atto volontario, e, non essendo dotato di un suo bilancio finanziario, dovrà attivare risorse sulla base della qualità progettuale delle azioni individuate. E la volontarietà dell’azione di piano significa anche responsabilizzazione degli attori coinvolti, perché attraverso questo piano si intende mettere in campo la progettualità diffusa, gli imprenditori, il settore non profit.
Disoccupazione e pianificazione Sostenibile.
La politica economica si riferisce all’attività dei policy makers che, mediante decisioni appunto politiche differenti mettono a punto un sistema di welfare volto ad affrontare le distorsioni del mercato, tra cui la disoccupazione che è la condizione di mancanza di lavoro per una persona in età attiva ( dai 15 ai 64 anni) che lo cerchi attivamente. I governi ( i policy makers) tramite la politica economica hanno a disposizione diversi provvedimenti che possono utilizzare per contrastare la riduzione del tasso di disoccupazione. La disoccupazione è un fenomeno della realtà che evidenzia l’instabilità macroeconomica del mercato con effetti devastanti sulla microeconomia. In genere un’elevata disoccupazione è soprattutto una conseguenza di una bassa crescita economica ed è dunque indispensabile creare da parte delle istituzioni degli incentivi, attraverso regole e politiche macro e microeconomiche che rafforzino il circolo virtuoso di un’elevata crescita ed è quello appunto che dovrebbe avvenire (riforma delle regole e delle leggi che governano il mercato del lavoro) nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia. I tassi di disoccupazione in queste regioni sono tra i punti alti d’Europa proprio perché vi è una strutturale debolezza che causa una crescita molto modesta e tra le altre cause vi è quella di accrescere l’apertura ai mercati internazionali e l’incapacità delle amministrazioni locali di attirare un flusso crescente di investimenti anche esteri, nonché quella di porre particolare attenzione nel garantire maggiore sicurezza e migliori condizioni di vita. La disoccupazione provoca alcune conseguenze di natura sociale ed in particolare la perdita di produzione corrente, la perdita di qualificazione e danni di lungo periodo, la perdita di reddito e disuguaglianza, la perdita di libertà ed esclusione sociale, un danno psicologico e povertà, una cattiva salute e mortalità, una perdita di relazioni umane e di vita familiare, una perdita di motivazione e lavoro futuro, una disuguaglianza tra i sessi e le razze, un indebolimento dei valori sociali, Inflessibilità tecnica e organizzativa. Non mancano, inoltre, per chi viene ritenuto semplicemente senza lavoro ma in esubero, ossia scartato dal circolo economico e sociale, danni psicologici, in special modo tra coloro che si appronterebbero ad entrare nel mercato del lavoro, cioè i giovani. Negli ultimi tempi il tema all’ordine del giorno è la disoccupazione, sicuramente il problema più inquietante, tuttavia è in Italia che la situazione versa in condizioni disastrose. Un giovane italiano su tre è senza lavoro dei quali uno su due è disoccupato. Tale situazione influenzerà negativamente una serie di fattori, come le condizioni sociali, la crescita economica, i consumi, e inevitabilmente crescerà il numero dei delinquenti. Le cause potrebbero essere sia la troppa istruzione: i giovani non vogliono svolgere gli umili lavori di un tempo e pretendo nodi svolgere lavori quali avvocati, ingegneri ecc, che poco tempo fa erano più richiesti, ma oggi no. Il problema risiede essenzialmente nel sistema produttivo italiano, che è arretrato infatti le imprese che in passato hanno contribuito alla nostra crescita economica, oggi sono in declino. Vi è pochissima predisposizione ad assumere, non esistono risorse da destinare alle assunzioni, i contratti di lavoro sono irregolari, spesso si lavora a nero e parecchi consistono in stage, collaborazioni occasionali e contratti a tempo determinato rinnovati continuamente. Di conseguenza, la crescita è pari a zero e la richiesta di personale qualificato è scarsa. L’immenso capitale umano di giovani istruiti viene sprecato e la crescita si arresta, ed essi sono costretti ad intraprendere mestieri sotto qualificati o andare all’estero, contribuendo alla crescita economica di altri Paesi. Altre cause possono essere collegate all’inefficiente mercato del lavoro, alla rigidità dei salari di chi ha la fortuna di avere un buon posto, allo sfruttamento lavorativo, inoltre manca una burocrazia in grado di creare nuovi posti di lavoro, e a causa delle tasse alte molti rinunciano a creare nuove aziende che potrebbero incrementare i posti e quindi si sta partecipando ad un elevato calo di imprenditori giovani. Esiste poi un esile collegamento tra scuola e lavoro e di conseguenza l’ingresso nel mercato ritarda e diventa sempre più difficile. Nessuno ha mai pensato di programmare bene la formazione dei futuri lavoratori, di analizzare indirizzi, aggiornare competenze, di effettuare un valido orientamento. Un altro modo per sconfiggere la disoccupazione è riuscire ad aprire una propria attività e cercare di proporre nuove idee che stuzzichino la curiosità della gente. Oggi, infatti l’unico modo per puntare all’occupazione è quello di crearsi il lavoro, usufruendo di fonti di finanziamenti europei per lo sviluppo regionale e quindi creare opportunità di lavoro per se stessi e per terzi. Purtroppo in Italia non è facile realizzare un progetto del genere, per motivi legislativi, fiscali e soprattutto di carattere di sicurezza, e mettersi in proprio significa rimetterci di tasca propria e non guadagnare niente. Dunque, per rimediare a questa situazione, occorrerebbe innanzitutto diminuire gli anni di università e i tempi dei corsi post laurea. L'origine delle differenze economiche e sociali tra le regioni italiane è da tempo controversa, anche a causa delle relative implicazioni ideologiche, politiche e di emigrazione, nei primi anni del novecento si dotò il sud di amministrazioni pubbliche analoghe a quelle del nord, cosa che portò all'assunzione di un certo numero di impiegati statali. Nella seconda metà dell'Ottocento, emersero federazioni di famiglie organizzate su base regionale, che sarebbero poi diventate: Cosa Nostra in Sicilia, la Camorra in Campania, e la 'Ndrangheta in Calabria. La presenza di tali organizzazioni criminali incide fortemente in modo negativo sullo sviluppo socioeconomico del territorio meridionale. Spesso i giovani cercano questi arrampicatori sociali (se così possiamo definirli) per sfuggire alla ricerca del lavoro, pensando di trovare in quest’ultime un paradiso sociale, dimenticandosi la realtà della vita. L'emigrazione meridionale, tutt’oggi, è un fenomeno che segue diverse ondate storiche: è un fenomeno che non si arresta nelle statistiche nemmeno nell'attualità quando l'emigrazione si caratterizza per un notevole flusso di spostamento geografico di laureati e professionisti meridionali, qualificandosi come emigrazione intellettuale, al di là dei normali flussi di mobilità della forza lavoro, che impoverisce ulteriormente il substrato sociale e culturale delle regioni meridionali. La situazione economica del meridione è indubbiamente migliorata negli ultimi sessant'anni; in termini relativi, però, il divario con il nord è drasticamente aumentato a partire dagli anni '70 del '900[42]. Anche inglobato nell'Unione Europea, difficilmente il Mezzogiorno potrà conoscere un forte sviluppo economico in tempi brevi. Ancora oggi vari problemi strutturali ipotecano le sue possibilità di progresso economico: la carenza d'infrastrutture, la presenza di un sistema bancario poco attento alle esigenze del territorio, i ritardi di una pubblica amministrazione spesso pletorica, l'emigrazione di tanti giovani che a causa della limitata crescita economica non trovano un lavoro, e soprattutto l'infiltrazione della malavita organizzata nella vita politica ed economica del sud, fattore questo che rappresenta il principale freno alla crescita economica meridionale. Un recente dossier del CENSIS ha infatti stabilito che senza l'influenza della criminalità organizzata, l’alto tasso di disoccupazione e l’emigrazione, l'economia meridionale sarebbe capace in un paio di decenni di raggiungere quella del nord Italia. In coda alla classifica troviamo Calabria (17,3), Sicilia (17,9), Puglia e Campania (entrambe 18,9). Il problema della disoccupazione è un problema antico ed infatti già nel 1949 La Pira capì che era necessario progettare con piani e non con interventi sporadici questo fenomeno facendo un elenco dei bisogni elementari, quali il lavoro, la scuola, la casa e soprattutto la sicurezza. (I cattolici e la piena occupazione. Le politiche per ridurre la disoccupazione possono essere di tre tipi, dirette ad espandere la domanda di lavoro, ad incidere sul funzionamento del mercato del lavoro e alla riduzione dell’orario di lavoro e dell’offerta di lavoro, però non è oggetto della presente indagini soffermarsi su tali aspetti ma è necessario capire e risolvere quelle che sono gli aspetti sociali che producono tale fenomeno.
Conclusioni
Un progetto che serva a disciplinare il territorio dal punto di vista sociale ed economico potrebbe essere la chiave di volta per il problema del lavoro. La disoccupazione è senza dubbio il male sociale più grande, in particolare nelle regioni del Sud Italia, non avere lavoro significa innanzitutto essere preda delle più brutte sciagure esistenti, la criminalità, l’emigrazione e soprattutto la povertà. Lo studio di tale fenomeno è stato al centro dell’attenzione da parte di svariati studiosi e da diversi anni senza essere riusciti a trovare una soluzione del caso. I motivi di tale fallimento sono stati e sono quelli di natura economica o meglio di natura macroeconomica e globale senza mai considerare e soffermarsi minimamente su quelli che potrebbero veramente essere le cause, cioè quelli di natura sociale e quelli di natura istituzionale, nonché legati allo sviluppo locale. Il presente progetto cerca di sperimentare un nuovo approccio allo studio di tale fenomeno, cioè quello di natura sociale, cercare di risolvere tali problematiche potrebbero in questa fase di sperimentazione creare in automatico uno sviluppo economico del territorio, chiaramente pianificato. La disoccupazione dunque potrebbe essere combattuta in questo modo ed infatti se non si risolvono le anarchie sociali che regnano nelle varie microrganizzazioni (quartiere, scuola, istituzioni) non si avrà mai una risoluzione di tale grave fenomeno. Il lavoro rimane il fondamento della nostra società, tenuto conto che una parte non piccola della popolazione non ha e difficilmente avrà in futuro un lavoro. La prospettiva non è rosea se si cerca di trovare le soluzioni con una politica di incentivi e della formazione, l’introduzione di un Reddito di Cittadinanza non ha consentito di separare il problema della produttività da quello della sicurezza, di evitare la condanna a lavorare, per vedere invece il lavoro come una scelta, motivata dal guadagno o dall’utilità diretta, di produrre più liberamente per i bisogni collettivi, di porre un limite all’arbitraggio politico, e di aumentare le libertà offerte ai cittadini. Infatti questa è una delle strategie per risollevare le sorti economiche dell’Italia e sintetizzata come rilancio dei consumi ma in un clima di forte incertezza appare tutt’altro che scontato che una disponibilità aggiuntiva di liquidità si trasformi in un parallelo aumento della spesa da parte delle famiglie, quanto detto sopra in termini di relazione tra spesa per consumi e attività produttiva vale in sistemi economici chiusi o con scarse interazioni con l’estero. Condizione che non è certo quella che caratterizza attualmente l’Italia che necessita di investimenti e non di consumi. Infatti durante la crisi Covid si è registrato un aumento del tasso di risparmio e i consumi sono stati più colpiti e l’inflazione ha portato un calo del potere di acquisto delle famiglie. L’’introduzione di politiche pubbliche che non si limitino ad arginare o nascondere la disoccupazione, ma affrontino alle radici il problema del lavoro nelle società postindustriali. Ridare al settore pubblico un ruolo di peso nell’economia, ripensando le privatizzazioni dei servizi pubblici, rimettendo al centro l’interesse collettivo. La lotta alla disoccupazione non è solo un problema di risorse economiche ma soprattutto di volontà politica. Lo Stato inizi ad alleggerire le aziende di tutti quei costi generati da una burocrazia ottusa quanto inutile che di fatto deprimo gli investimenti e l’innovazione. Burocrazia, corruzione ed illegalità varie costano in un anno circa 230 miliardi di prodotto interno lordo. Un ulteriore abbattimento di un paio di punti al costo del lavoro, senza oneri a carico della collettività si potrebbe immediatamente ottenere se venissero eliminate tutte quelle “sovrattasse” poste a carico dei lavoratori e dei datori di lavoro per finanziare surrettiziamente sindacati ed associazioni professionali di categoria come i vari contributi per gli enti bilaterali, contributi per assistenza contrattuale ecc. Campagne di propaganda quasi terroristiche con scarsa chiarezza sui reali pericoli – pur nel rispetto delle regole – hanno creato un generale senso di paura e incertezza tale per cui, nel dubbio, i consumatori preferiscono restare a casa, con il rischio che troppi locali finiscano per chiudere e non riaprire più. Sicuramente le imprese in grave difficoltà per la carenza generale di liquidità e per la pesantezza degli stock non venduti vanno sostenute, in primis con ammortizzatori puntuali ed energici di carattere fiscale per ridare un po’ di ossigeno sia al circolante sia agli investimenti. Ma per la lentezza e l’inefficienza della burocrazia italiana, gli operatori stanno cercando di trovare in autonomia delle meccaniche operative e promozionali per attirare la clientela, considerando che i principali criteri di scelta di un locale post lockdown – la presenza di uno spazio all’aperto, la distanza tra le sedute e l’igiene garantita – impattano tutti negativamente sugli elementi chiave di sviluppo del fatturato: la capacità di accoglienza, la rotazione delle sedute e la consumazione media. Il progetto Educazione al consumo e all’investimento intende appunto approfondire ma soprattutto istruire i cittadini su alcuni temi come la pianificazione delle risorse finanziarie, il budget, il risparmio e la gestione delle tasse, illustrare i nuovi parametri per la misurazione del benessere collettivo, far conoscere gli strumenti di pagamento online, dalle carte ai bonifici, e spiegarne l’uso secondo le diverse esigenze, insegnare a investire con consapevolezza, sia per aumentare le proprie risorse sia per portare vantaggi alla società e all’ambiente, introdurre al concetto di diversificazione degli investimenti: obbligazioni, azioni e/o strumenti di finanza sostenibile. E fondamentale far capire ed educare in tal senso i risparmiatori che accumulare per poter investire successivamente è una scelta sbagliata, invece è necessario trovare l’alternativa al mancato o al rinvio del consumo e questa scelta richiede la necessità, di solito, dell’intermediario finanziario, che orienta alla scelta all’investimento. Purtroppo quando aumenta il risparmio non crescono gli investimenti: l’economia non cresce o, in ogni caso, non cresce grazie al risparmio, perché prevale una componente di istinto di conservazione molto vicina alla paura dell’ignoto. La propensione al risparmio è la tendenza collettiva dei consumatori a risparmiare denaro invece di spenderlo. In questo contesto, la propensione al risparmio è strettamente correlata alla propensione al consumo. Quando i consumatori hanno un reddito più alto, dopo un certo punto di spesa, iniziano a risparmiare. All’aumentare del livello di reddito, i consumatori spendono meno e iniziano a risparmiare.

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