TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Premessa
La pubblicazione della Relazione ai Presidenti delle Camere, sull’attività della Commissione di garanzia nell’anno 2022, offre lo spunto per questo Focus che si propone di evidenziare le attuali problematicità del modello di regolazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, disegnato dalla legge n.146 del 1990 e successive modificazioni, nonché dell’attività della stessa Autorità di garanzia, giunta, nel luglio del 2023 alla sua settima composizione.
Un’introduzione generale cerca di porre all’attenzione i principali nodi irrisolti, soffermandosi, in particolare, sulla tenuta del sistema normativo di fronte al fenomeno della microconflittualità che caratterizza l’andamento delle relazioni industriali nel contesto dei servizi pubblici. Ma non solo, come oggetto di riflessione è proposta anche la nozione dinamica del servizio pubblico essenziale e il suo potenziale ampliamento alla luce dell’evoluzione delle esigenze di fruizione da parte dei cittadini utenti; l’avvertita necessità di una loro considerazione oltre una dimensione esclusivamente nazionale; la frammentazione di alcuni servizi essenziali attraverso esternalizzazioni, appalti e subappalti e le esigenze di una loro corretta erogazione, insieme alle esigenze di tutela dei lavoratori impiegati.
Seguono i punti di vista di un autorevole sociologo del lavoro, il Prof. Mimmo Carrieri, il quale si sofferma sulle possibilità di sviluppo della normativa e di un ruolo più espansivo della Commissione di garanzia; di un giurista del lavoro, il Prof. Domenico Mezzacapo, che si è occupato, recentemente, proprio dell’evoluzione del ruolo della Commissione di garanzia e che pone all’attenzione del lettore una riflessione sul sistema sanzionatorio e della responsabilità da sciopero, indubbiamente uno dei profili di maggiore originalità nella prima esperienza legislativa di attuazione dell’art.40 della Costituzione nel nostro Ordinamento.
Naturalmente, quanto sin qui proposto, non ha pretesa esaustiva, ben consapevoli che si tratta di un campo di indagine estremamente ampio ed articolato e che, pertanto, rimane aperto a nuovi futuri interventi/contributi.

2. Conflitto collettivo e sciopero nelle attuali trasformazioni sociali. Un breve cenno
L’accentuarsi dei fenomeni recessivi – resi più evidenti dalla crisi economica, energetica, dalla pandemia, da inattesi scenari di guerra in Europa – hanno comportato un aumento dell’inflazione e del costo della vita e, con essi, recentemente, una riacutizzazione del conflitto collettivo nelle sue varie articolazioni, ivi comprese il ricorso allo sciopero. Questa tradizionale espressione del conflitto ha, comunque, conosciuto nel nuovo secolo una certa riduzione, soprattutto nel settore industriale, rispetto al ‘900 che, per essere stato caratterizzato dalle grandi contrapposizioni tra le ragioni dell’offerta e della domanda di lavoro è stato riconosciuto come il secolo degli scioperi.
Le recenti crisi economiche hanno determinato quel fenomeno noto come la perdita di centralità della fabbrica e, insieme, una migrazione della conflittualità nel settore dei servizi (cosiddetto terziario). Nell’impresa in crisi per la quale, è a rischio la sua sopravvivenza stessa, lo sciopero diventa non tanto uno strumento di liberazione e di lotta alle disuguaglianze economiche, quanto una forma di mobilitazione alla quale ricorrere di fronte e situazioni estreme e, per lo più, collegate, appunto, alla possibilità dell’impresa di restare attiva nel mercato .
Peraltro, nella crescente globalizzazione dell’impresa multinazionale, rimane più difficile il confronto nell’ambito delle normali relazioni industriali e il ricorso ai tradizionali sistemi di autotutela collettiva. Di conseguenza, il sindacato si è trovato anche nella necessità di non disdegnare il ricorso ad istituzionali sistemi di tutela giudiziaria come mezzo di risoluzione delle controversie (si rinvia alla Relazione ai Presidenti delle Camere sull’attività della Commissione nel 2022, di O. Razzolini, pubblicata in questo Focus).

3. Il conflitto regolato nei servizi pubblici essenziali
Nei servizi pubblici essenziali, ai quali, come è noto, è rivolta l’unica esperienza di regolamentazione legislativa dello sciopero dell’Italia repubblicana, in attuazione dell’art.40 della Costituzione, si può ritenere che il consolidamento dell’esperienza ormai ultratrentennale della legge 146, abbia realizzato un soddisfacente modello di conflitto civilizzato. Come si può rilevare, infatti, nella citata Relazione ai Presidente delle Camere, quasi tutti gli scioperi sono proclamati ed effettuati nel rispetto della normativa legale e derivata (accordi, codici e regolamentazioni eteronome). Quelli eventualmente indetti al di fuori delle regole sono, puntualmente, oggetto di segnalazioni preventive da parte dell’Autorità di garanzia, e tali segnalazioni hanno percentuali altissime di riscontro.
Rimangono così residuali i casi di scioperi effettuati in modo illegittimo, verso i quali l’Autorità di garanzia, preposta al controllo sul rispetto delle regole, procede con l’apertura di un procedimento di valutazione e con l’irrogazione delle apposite sanzioni previste dalla legge 146. Sul tema dell’attività sanzionatoria della Commissione di garanzia, in una lettura evolutiva, si concentra il contributo di Domenico Mezzacapo, qui pubblicato di seguito, e a questo si fa interamente rinvio.
Ciononostante, la conflittualità nei servizi pubblici essenziali si mantiene ancora su livelli importanti e con un intenso ricorso alla proclamazione di scioperi che, in tale settore, come è noto, conservano un effetto vulnerante, dal momento che, come è noto, le loro conseguenze si ripercuotono, oltre che sugli attori protagonisti della vertenza, su soggetti terzi, i cittadini utenti dei servizi (è il fenomeno della terziarizzazione del conflitto ). Non solo, tali scioperi assumono spesso un effetto ben più ridondante di quello che essi meriterebbero per importanza delle organizzazioni sindacali che li proclamano e le percentuali di adesione che in concreto realizzano (si avrà modo di tornare su tale profilo). Anzi, l’effetto vulnerante per i cittadini utenti dei servizi viene a determinarsi anche per il solo fatto che tali scioperi vengano annunciati.
Nel menzionato contesto di globalizzazione, che coinvolge anche i servizi pubblici essenziali, in alcuni di questi, quali ad esempio i trasporti (in particolare aereo e ferroviario), gli effetti dello sciopero finiscono per produrre effetti che si propagano anche in una dimensione sovranazionale, vale a dire oltre i confini del paese in cui questo viene effettuato.
Ciò ripropone, decisamente, l’esigenza di guardare al tema della regolazione del conflitto in particolari servizi anche oltre i confini normativi dell’ordinamento interno. Ampliare l’esigenza di tutela avendo come parametro una nozione generale di servizio pubblico di maggiore ispirazione internazionale-comunitaria che coincide con quella del servizio universale . In tale prospettiva, al cittadino andrebbe riconosciuto il diritto universale, tutelato dall’Ordinamento comunitario, oltre che di quello interno, di usufruire dei servizi essenziali, a tutela dei propri diritti fondamentali, di fronte scioperi che ne pregiudicano la fruizione .

4. La nozione dinamica di servizio pubblico essenziale e le sue condizioni di erogazione
La nozione di servizio pubblico essenziale va più che mai interpretata nell’ambito di quella concezione dinamica che ha consentito agli accordi collettivi ed anche alla Commissione di garanzia di ampliare il perimetro di tutele dei cittadini utenti ai fini dell’esercizio dei propri diritti costituzionali.
Come è noto, i servizi essenziali sono indicati dalla legge in modo esemplificativo e non tassativo, come avviene, invece, per l’elencazione dei diritti. Ciò sta ad indicare come, i servizi, pur nella loro essenzialità, siano suscettibili di ampliamento, o riduzione, in linea con l’evoluzione della complessità sociale . Una vasta gamma di questi, non prevedibili dal legislatore nel 1990, è entrata nel campo di applicazione della legge 146: si pensi ai Taxi, al noleggio con conducente; ai servizi resi da Sogei Spa (Società di Information Technology); a quelli del Cineca (Consorzio Interuniversitario); alla Refezione scolastica in asili nido, scuole materne ed elementari, o ancora; alla fruizione del Patrimonio artistico-culturale dei musei e luoghi d’arte.
Peraltro, la recente emergenza epidemiologica, oltre ad evidenziare carenze strutturali proprie del nostro Paese e far riemergere differenze esistenti non solo tra Nord e Sud, ha comportato l’adozione di provvedimenti governativi di limitazione a fondamentali diritti costituzionali. Ciò ha condotto alla previsione di un ulteriore, possibile ampliamento della nozione stessa di servizio pubblico essenziale, sotto il profilo della sua rilevanza sociale e necessaria fruibilità . Si pensi, a tal proposito, al servizio di distribuzione delle merci e generi alimentari, considerato dalla legge 146 solo per le attività di trasporto e di approvvigionamento, e non anche alla vendita nei supermercati. Ebbene, la limitazione della libertà di circolazione che, riduce drasticamente, la possibilità di fruire di servizi alternativi, ha posto il problema di una revisione di tale criterio. Analogamente, per alcune attività della logistica del servizio postale, quali la consegna dei pacchi a domicilio, attualmente ritenuto non essenziale in quanto considerato assorbito nella cosiddetta attività e-commerce
Nell’ambito del sistema di erogazione dei servizi pubblici essenziali, recentemente, la Commissione si è anche concentrata sulla problematica della frammentazione di alcuni di questi, attraverso la loro esternalizzazioni, con appalti e subappalti “al ribasso”, le cui conseguenze negative sui rapporti di lavoro, in termini di precarizzazione e incremento di lavoro povero, costituiscono una delle principali cause di insorgenza dei conflitti. In particolare l’Autorità si è adoperata per ricondurre la possibilità di valutare anche il comportamento delle Amministrazioni pubbliche che appaltano l’erogazione dei servizi a società partecipate e controllate (in house providing), al fine di accertare eventuali responsabilità di queste, quali, ad esempio, mancata richiesta di finanziamenti o concessioni di liquidità, previsti dalla legge, per poter corrispondere alle società appaltatrici i finanziamenti e scongiurare, quindi, la mancata corresponsione delle retribuzioni che, naturalmente, costituisce una delle maggiori cause di insorgenza o aggravamento del conflitto. Una prospettiva di indagine estesa anche alle amministrazioni pubbliche, al fine di accertare comportamenti che danno luogo ad eventuali responsabilità di tipo penale o erariale. In tali ipotesi la Commissione provvederà a informare gli organi giurisdizionali competenti per materia e territorio .

5. Microconflittualità ed esigenze di verifica della rappresentatività sindacale
Ma il problema centrale della regolamentazione del conflitto nei servizi pubblici essenziali rimane quello della diffusa microconflittualità, conseguenza diretta di una patologica frammentazione della rappresentanza di interessi che ha, tradizionalmente, contraddistinto tale settore. Da tale fenomeno deriva il reiterato ricorso allo sciopero, soprattutto in particolari e delicati servizi (ad esempio, i trasporti) e proclamati, per lo più, da disinvolte organizzazioni sindacali dalla dubbia rappresentatività, che vi ricorrono più per avere visibilità e accreditamento, che per la tutela degli interessi dei lavoratori. Si tratta di scioperi che, sotto il profilo dell’impatto sui servizi e sugli utenti, spesso finiscono per avere degli effetti più ampi, rispetto alla loro reale rilevanza per il numero di lavoratori aderenti. Scioperi che, peraltro, pongono il sindacato più rappresentativo e strutturato nell’oggettiva difficoltà di svolgere la sua tradizionale funzione di aggregazione .
Naturalmente ci troviamo, ancora una volta, di fronte alla ben nota questione della verifica della rappresentatività che si ripropone, in tutta la sua rilevanza e delicatezza, anche con riferimento alla governance del conflitto e che, è bene precisare, riguarda non solo le Organizzazioni sindacali, ma anche le Associazioni datoriali.
Senza voler pregiudicare a nessuno l’esercizio di un diritto costituzionale, quale quello di sciopero – sia esso inteso nella sua titolarità individuale o collettiva – appare innegabile, oramai, la necessità di collegare, comunque, tale esercizio ai principi della democrazia rappresentativa. Una prospettiva che potrebbe realizzarsi riservando la possibilità di poter proclamare lo sciopero, nei servizi pubblici essenziali, ai soggetti collettivi che, da soli o raggruppati, raggiungano di un certo livello di rappresentatività . Soggetti che, in quanto tali, possano essere considerati portatori di interessi più generali. In tal modo. avrebbe migliore attuazione l’obiettivo fondamentale della legge 146, vale a dire il bilanciamento tra diritti costituzionali. Come ha scritto, infatti, il compianto Giuseppe Santoro-Passarelli, lo sciopero nei servizi pubblici essenziali “è un atto rilevante di politica sindacale che, se usato in modo incontrollato, non contempera l’esercizio del diritto di sciopero con quello dei diritti degli utenti” .
In tale prospettiva un intervento del legislatore, naturalmente “concertato” con le parti sociali, sarebbe la soluzione migliore. Criteri selettivi della rappresentatività sindacale possono già ritrovarsi nella legislazione del lavoro: dalla nozione di sindacato maggiormente o comparativamente più rappresentativo, precedentemente accolta in varie normative (dai contratti di solidarietà, art.2 l.n.863/1984; al contratto a termine ex art.23 l.n.56/1987; fino al richiamo dell’art.52 del Jobs act (d.lgs. n.81/2015); si pensi, inoltre, all’assetto della rappresentanza sindacale nel pubblico impiego (soggetti, funzioni, meccanismi di rilevazione della rappresentatività), costruito su criteri di misurazione della rappresentatività per l’ammissione alle trattative con l’ARAN e la validità generale degli accordi collettivi .
Ma, a ben guardare, anche da parte dell’ordinamento intersindacale sono pervenuti importanti riferimenti: tra i più rilevanti, il Testo unico sulla rappresentanza sindacale, del gennaio 2014; o al Patto della fabbrica del marzo 2018. Ma non solo, anche in specifici accordi collettivi si possono trovare interessanti: ad esempio, l’accordo collettivo tra il Gruppo delle ferrovie dello Stato e le organizzazioni sindacali più rappresentative nel settore (31 luglio 2015 e tuttora vigente), per il rinnovo ed il funzionamento delle RSU. In tale accordo (punto 1 dell’Allegato 2) è stato previsto che lo sciopero debba essere proclamato congiuntamente a una o più delle organizzazioni sindacali stipulanti il Ccnl e a condizione che questa sia assunta dalla maggioranza qualificata del 50% + 1 dei componenti la Rsu.
Anche la Corte Costituzionale nella sua autorevolezza, con la nota sentenza n.231/2013, in tema di costituzione di rappresentanze sindacali in azienda, ha fatto riferimento ad un criterio di rappresentatività riferito ad organizzazioni che fossero in qualche modo legittimati in sede negoziale, con una effettiva partecipazione alla trattativa contrattuale, anche se non avessero poi sottoscritto il contratto collettivo .
Peraltro, il tema della verifica della rappresentatività è stato preso in piena considerazione nelle (non più recenti) proposte legislative di riforma della legge 146/1990, nelle quali si era ipotizzato di sottoporre la proclamazione di sciopero a referendum tra i lavoratori, al fine di valutare l’effettiva rappresentatività dei soggetti collettivi che lo proclamano e la verosimile consistenza dello stesso . Probabilmente, l’opzione del referendum ad ogni proclamazione di sciopero, potrebbe porre delle possibili difficoltà di tipo logistico, rimane, comunque, la necessità di individuare di una “soglia minima di sbarramento”.
Altro sistema di verifica della rappresentatività, in assenza di regolamentazione legislativa, potrebbe essere quello di prevedere, per il lavoratore, il dovere di comunicare preventivamente la sua volontà di partecipare allo sciopero. Tale soluzione consentirebbe di individuare il numero effettivo dei lavoratori che si astengono dal servizio e, dunque, sarebbe idonea a verificare la rilevanza dello sciopero, nonché delle organizzazioni proclamanti. Non solo, la dichiarazione preventiva di sciopero consentirebbe, altresì, alle aziende una più precisa commisurazione dei servizi da garantire, avendo esse una attendibile raffigurazione della concreta incidenza dell’astensione. Le amministrazioni e le aziende potrebbero essere chiamate a rispondere, anche di fronte alla Commissione di garanzia in termini di violazione degli obblighi previsti dalla legge per l’attuazione del bilanciamento tra diritti costituzionali, in caso di inidonea previsione dei servizi.
La previsione di un dovere di comunicare l’adesione, o meno, all’astensione proclamata, non inciderebbe sulla titolarità del diritto di sciopero, ma sul quomodo, vale a dire sull’esercizio di esso da parte del lavoratore. Si tratta di una prospettiva che, allo stato, riscontra una sorta di (incomprensibile) contrarietà da parte anche delle maggiori organizzazioni sindacali .

6. Segue. I criteri di previsione delle soglie minime di servizio
E in effetti, una quanto più rispondente commisurazione delle soglie minime di servizio da erogare, alla reale importanza e consistenza di quest’ultimo, si rivela un profilo di estrema rilevanza, proprio con riferimento all’obiettivo fondamentale della legge 146, vale a dire il richiamato bilanciamento tra il diritto di sciopero e i diritti dei cittadini utenti.
Come è noto, la legge prevede una soglia minima di servizio commisurata al 50% del servizio erogato in condizioni normali; oppure ad un terzo dei lavoratori normalmente in servizio. Si tratta di percentuali che erano state concepite dal legislatore con riferimento a scioperi di una certa rilevanza, comunque in grado di mettere a repentaglio la fruizione dei servizi pubblici. Di fronte a tali scioperi la soglia minima di servizi da garantire, indicativa del contemperamento tra diritto di sciopero e diritti dei cittadini utenti, non sarebbe, dovuta scendere al di sotto del 50%. Così, a tal proposito, la tecnica di contemperamento consolidata nel delicato settore dei trasporti si realizza con la previsione di due fasce orarie, generalmente di tre ore ciascuna e coincidenti con il periodo di maggior fruizione degli utenti, nelle quali il servizio viene erogato interamente. Tali fasce sono ritenute idonee ad integrare quella percentuale di servizio del 50%.
L’indicazione della legge di una soglia minima invalicabile di servizio minimo non può, tuttavia, significare che questa non possa essere rimodulata al rialzo per scioperi che per essere proclamati da sindacati non rappresentativi sono, inesorabilmente destinati ad avere adesioni risibili. In tali circostanze, la riduzione del servizio calcolata sulla percentuale minima indicata dalla legge appare del tutto ingiustificata. Assai spesso, infatti, si è assistito, specie nel delicato settore del trasporto pubblico locale, che, anche a seguito di azioni di sciopero con adesioni inferiori al 10%, le aziende abbiano adottato la soluzione più semplice (e a volte anche più conveniente economicamente), di garantire solo il servizio nella misura del 50%, come stabilito dalla disciplina di riferimento (le fasce orarie), senza tener conto dell’effettiva rilevanza dello sciopero e del soggetto collettivo che lo ha proclamato.
Un obiettivo fondamentale per una futura migliore attuazione della legge non può che essere, dunque, quello di commisurare i servizi da garantire alla effettiva consistenza dello sciopero; invertire la tendenza che vede un’applicazione tout court delle percentuali previste dalla legge e dalle discipline dei vari settori. Cò è indispensabile per evitare l’iniquo risultato che uno sciopero di per sé irrilevante, se non per un mero effetto annuncio, spesso ingigantito dalla stampa, finisca per avere gli stessi effetti di un’astensione proclamata da organizzazioni sindacali rappresentative e strutturate nel settore, nell’ambito di una rilevante vertenza. È necessario che le aziende, anche sulla base della consapevolezza dell’andamento del conflitto al proprio interno e i dati oggettivi di adesione registrati nel corso di precedenti scioperi effettuati da quel dato soggetto sindacale, determinino soglie di servizi adeguate alla rilevanza dello sciopero.
In tale prospettiva la Commissione di garanzia ha svolto una certa opera di sensibilizzazione verso amministrazioni e aziende erogatrici, la cui responsabilità potrebbe anche essere non valutata con particolare rigore, in caso di errore per uno sciopero che dovesse raccogliere più adesioni del previsto.

7. Il problema degli scioperi generali e le possibili deroghe alle discipline di settore
Le esigenze di verifica della rappresentatività sindacale si ripropongono interamente con riferimento ai cosiddetti scioperi generali nazionali che, in quanto tali, non coinvolgono solo i servizi pubblici essenziali, ma sono rivolti a tutte le categorie dei lavoratori dei settori economici pubblici e privati.
Naturalmente, il ricorso allo sciopero generale dovrebbe configurarsi come un evento raro e di grande importanza, al quale ricorrere in circostanze di estrema gravità, proprio per il forte impatto sociale e le possibili conseguenze per il Paese, sul piano socio-economico. Si consideri, ad esempio, che la CGIL ha sottoposto ad un referendum tra tutti i lavoratori la proclamazione di uno sciopero generale nazionale per il mese di ottobre 2023.
E invece, anche tale forma di astensione, nella recente prassi, è stata svilita nella sua “dignità”, per il fatto di essere proclamata con una imbarazzante frequenza e con motivazioni generiche (al 31 luglio, sono già 9 gli scioperi generali proclamati nel 2023; sono stati ben 20 nel 2022), soprattutto da sindacati dalla dubbia rappresentatività, qualche volta, per loro stessa definizione statutaria, non presenti in tutte le categorie, ma operanti, ad esempio, solo “nell’impiego privato”. Praticamente, lo sciopero generale finisce per rappresentare una sorta di ampio contenitore di motivazioni economico-politiche, raccogliendo, quasi sempre, percentuali di adesione risibili e senza riuscire effettivamente a canalizzare le insoddisfazioni delle varie categorie sociali .
La Commissione di garanzia, per consentire la concreta effettuazione dello sciopero generale aveva previsto delle deroghe alle regole generali che disciplinano lo sciopero nei vari servizi pubblici (deroghe, è bene precisare, che non sono previste dalla legge, ma, appunto, adottate praeter legem dell’Autorità) . La più importante di queste – proprio perché si tratta di sciopero generale – consiste nell’esonero dal divieto di concomitanza, vale a dire, si consente la possibilità di effettuare l’astensione coinvolgendo, contestualmente, servizi “concomitanti” nello stesso bacino d’utenza: ad esempio, trasporto ferroviario, aereo e marittimo. Ma non solo, altri esoneri riguardano l’esonero dalle procedure di raffreddamento e conciliazione previste dalla legge come obbligatorie per poter proclamare scioperi; la possibilità di non osservare i limiti di durata generalmente previsti, nei vari servizi, per la prima azione di sciopero.
Naturalmente, tali deroghe erano state adottate dalla Commissione sul presupposto dell’eccezionalità dello sciopero generale, presupposto che, come si è anzidetto, vista la frequenza di ricorso a tale astensione, è destinato a venir meno. Di conseguenza, l’Autorità ha dovuto riconsiderare l’opportunità di mantenere tale regime di immunità e introdurre dei correttivi. Tra questi, ad esempio, il divieto di concentrazione nel settore dei trasporti tra più scioperi generali e/o tra scioperi generali e scioperi di categoria. Una soluzione pensata in una prospettiva di misurazione dell’effettiva consistenza di ciascuno sciopero e del relativo sindacato proclamante .
In tale contesto, inoltre, la Commissione guidata dal compianto Giuseppe Santoro-Passarelli aveva formulato delle linee guida, finalizzate a verificare degli indici di riconoscimento delle organizzazioni sindacali che proclamano lo sciopero generale, quali la sottoscrizione degli accordi e contratti collettivi nei settori di riferimento, al fine di applicare, o meno, le suddette deroghe . La prospettiva sarebbe quella di poter “bollinare” gli scioperi attribuendo ad essi una colorazione (ad esempio, da giallo a rosso, secondo la presunta rilevanza). È una prospettiva che andrebbe ulteriormente sviluppata e, magari, allargata anche oltre lo sciopero generale, con riferimento ad alcuni servizi particolarmente sensibili.

8. Considerazioni conclusive
In considerazione di quanto sopra rappresentato, una ulteriore e conclusiva riflessione si rende opportuna in merito alla definizione stessa della nozione di conflitto collettivo nei servizi essenziali. In particolare, se e quanto il reiterato ricorso alle azioni di sciopero possa essere considerato un indice rivelatore del conflitto collettivo in tale settore.
A ben guardare, si può dire che, anche nel settore dei servizi pubblici essenziali, il vero conflitto collettivo – quello che vede protagoniste le maggiori organizzazioni sindacali, rappresentative degli interessi dei lavoratori e strutturate nei vari comparti dei servizi – si manifesta, nella sua articolazione, indipendentemente dal ricorso all’azione di sciopero. Esso si sviluppa, infatti e soprattutto, nell’ambito di quello che Gino Giugni definiva il conflitto palese, vale a dire sul piano del confronto negoziale che vede contrapposte le ragioni dei lavoratori, per il tramite delle loro rappresentanze sindacali, e quelle delle controparti datoriali. Su tale piano, infatti, a seguito di serrati confronti, sono stati, tradizionalmente, conclusi importanti accordi collettivi, pur senza ricorso allo sciopero. Tanto per riportare qualche esempio più recente: il rinnovo unificato del CCNL per i servizi di igiene ambientale nel 2022, il rinnovo del CCNL Pulizie e Multiservizi (che ha comportato un aumento delle retribuzioni dei lavoratori), dell’Accordo collettivo Telecomunicazioni 2019, dell’Accordo relativo a Quadri, impiegati ed operai dipendenti di Rai del 9 marzo 2022, di tutti gli Accordi collettivi del Pubblico impiego relativi al triennio 2019-2021.
Tutto ciò dimostra come il conflitto collettivo, quello che conta in quanto, appunto, istituzionalmente finalizzato alla conclusione di accordi negoziali, sia vivo ed intenso, e non si manifesti (perlomeno non solo) attraverso la forma estrema dell’astensione collettiva. Allora, se è vero, come rivelano i dati statistici riportati nelle Relazioni annuali dell’Autorità di garanzia, che gli scioperi proclamati rasentano il migliaio l’anno (dei quali, solo una metà vengono poi effettuati), è anche vero che tale moltitudine di scioperi sono proclamati, per lo più, da soggetti collettivi che poi non firmano gli accordi, non hanno oggettivamente un tangibile seguito tra i lavoratori e sono privi di effettiva rappresentatività. Come si avuto modo di ribadire, si tratta di scioperi effettuati, per lo più, in funzione di visibilità o accreditamento che raccolgono percentuali di adesione irrisorie e che, in quanto tali, non possono considerarsi indicativi dell’effettiva realtà del conflitto collettivo.
Le organizzazioni sindacali, che per rappresentatività e radicamento sono i veri protagonisti delle relazioni industriali nel settore, ricorrono allo sciopero raramente e solo nell’ambito di grandi vertenze collettive, dopo che sono state esaurite, infruttuosamente, tutte le possibili fasi negoziali; oppure, al di fuori delle vertenze aziendali, per rilevanti vicende politiche-economiche.
Va, dunque, ridimensionata, in concreto, quella concezione che tende a rimarcare un divario tra gli scenari conflittuali del settore industriale, nei quali si sciopera poco; e quella dei servizi pubblici essenziali, nei quali, invece, si sciopera tanto. Questa effettiva differenza è la conseguenza di una situazione patologica di pluralismo sindacale e di frammentazione della rappresentanza che caratterizza il settore dei servizi. In tale settore, è vero che si è in presenza di un maggior ricorso alle azioni di sciopero, ma è anche vero che la maggior parte di queste è senza importanza e riconducibile a soggetti collettivi che, in realtà, non sono i veri protagonisti del sistema di relazioni industriali.
Questo significa che l’elevato numero degli scioperi nei servizi pubblici essenziali non può ritenersi un indice rappresentativo del conflitto collettivo nel settore perché, se non ci fosse quella patologica frammentazione della rappresentanza sindacale, l’andamento degli scioperi in tale settore sarebbe, più o meno, simile a quello del settore industriale.

 

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