TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

SOMMARIO. 1) Normativa. 2) Problematica. 3) Disciplina dei pareri. 4) Orientamenti giurisprudenziali. 5) Dottrina. 6) Conclusioni.

NORMATIVA. L’art. 99 della Costituzione stabilisce che il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (di seguito: CNEL): “E’ organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge” (comma 2); “(…) può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge” (comma 3).

In prima attuazione del dettato costituzionale, la L. 5 gennaio 1957, n. 33, recante “Ordinamento e attribuzioni del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro”, stabiliva all’art. 8, comma 1, che le Camere e il Governo “possono” chiedere il parere del CNEL su materie relative a indirizzi di politica economica, finanziaria e sociale come su ogni questione rientrante nell’ambito dell’economia e del lavoro.

Nell’attuazione vigente, l’art. 10 (“Retribuzioni”) della L. 30 dicembre 1986, n. 936, recante “Norme sul Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro”, stabilisce che il CNEL (per la questione che qui interessa): esprime, su richiesta del Governo, valutazioni e proposte sui più importanti documenti ed atti di politica e di programmazione economica e sociale, anche con riferimento alle politiche comunitarie (lett. a); esamina, in apposite sessioni, il Documento di economia e finanza e la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, che il Governo presenta alle Camere (lett. b); esprime proprie valutazioni sull’andamento della congiuntura economica in sessioni semestrali (lett. d); esamina, sulla base di rapporti predisposti dal Governo, le politiche comunitarie e la loro attuazione (lett. e); contribuisce alla elaborazione della legislazione che comporta indirizzi di politica economica e sociale, tra l’altro, esprimendo pareri su richiesta delle Camere o del Governo o delle regioni o delle province autonome (lett. f); può formulare osservazioni e proposte di propria iniziativa sulle materie di cui al richiamato art. 10 con le modalità dell’iniziativa legislativa (lett. g).

L’art. 11, comma 1, L. 936/86 stabilisce che nelle materie di cui all’art. 10, anche ulteriori rispetto a quelle sovra citate, ciascuna Camera (lett. a), il Governo (lett. b), le regioni e le province di Trento e Bolzano per gli ambiti di competenza, “possono richiedere pareri” al CNEL.

PROBLEMATICA. La funzione consulenziale attiene, giuridicamente, alla fase istruttoria del procedimento amministrativo e normativo e consiste in manifestazioni di giudizio (lat. consulere: chieder consiglio) quali pareri, osservazioni o apprezzamenti tecnici etc., resi da apparati con attribuzioni consultive all’autorità amministrativa, governativa o legislativa, al fine del corretto espletamento dell’attività istituzionale.

La presente problematica verte, dunque, sulla natura della funzione consulenziale prevista dall’art. 99, commi 2, Cost. Nell’apparente silenzio del costituente, si è posta la questione se la funzione sia facoltativa, perché è discrezionale ricorrervi, od obbligatoria, perché il ricorso deve intendersi imposto implicitamente dalla legge fondamentale. Nel primo caso, la legge attuativa può dare libertà nel richiedere il parere. Nel secondo caso, deve presupporre come necessaria la relativa istanza.

Ove si ritenga in ipotesi obbligatoria la funzione, va esclusa almeno a livello costituzionale la sua vincolatività, nel senso che, una volta acquisita l’attività consulenziale, il soggetto pubblico richiedente sia costretto ad uniformarvisi. Infatti, la vincolatività incide e conforma l’attività del destinatario, creando cogestione e contitolarità del procedimento, in questo caso legislativo (1), e quindi necessita di una particolare previsione, assente nell’art. 99 Cost. Per quanto si dirà, non è, però, precluso alla legge attuativa stabilire tale requisito.

L’imposizione della funzione consulenziale ricorre nella vigente legge attuativa nelle lettere b), d) ed e) (in quest’ultimo caso, ove si ritenga obbligato il Governo alla predisposizione del rapporto) del ridetto art. 10. Nelle restanti fattispecie, sono previste attribuzioni di tipo facoltativo sia nel caso che il relativo impulso origini dal soggetto pubblico destinatario del parere, nella specie Governo e Camere (art. 10, lett. a) ed f), sia nel caso che origini dallo stesso organo consultivo (artt. 10, lett. g) e 12, comma 2).

In tali ultime fattispecie, l’apporto consulenziale è facoltativo, quindi non obbligatorio (2), perché tanto il soggetto pubblico cui spetta la prerogativa di richiederlo quanto l’organo consultivo cui spetta quella di esprimerlo sua sponte, non vi sono costretti dalla legge. La pretermissione non produce, quindi, alcun effetto incidente sulla sovra citata attività istituzionale, legislativa o amministrativa.

Come riferito, l’art. 11, comma 1, L. 936/86 stabilisce che nelle materie di cui all’art. 10  ciascuna Camera (lett. a), il Governo (lett. b), le regioni e le province di Trento e Bolzano, per gli ambiti di competenza, possono chiedere pareri al CNEL, che risultano perciò opzionali.

DISCIPLINA DEI PARERI. Secondo i principi generali, le conseguenze della opzione tra facoltatività ed obbligatorietà sono significative. Nel caso di facoltatività, valgono le considerazioni che precedono. Nel caso di obbligatorietà, il risultato è duplice. Per un verso, la pretermissione del parere contamina per violazione di legge l’attività pubblica sottesa al parere stesso (3): in ambito costituzionale, sarebbe violata la previsione di legge rinforzata il cui procedimento di formazione sia etero-integrato dal parere (4).

Per altro verso, l’obbligatorietà del parere impone, di regola, al destinatario, che lo disattenda, di esternare puntualmente, in motivazione, le ragioni giuridiche e fattuali per cui se ne discosti, pena l’invalidità dell’attività conseguente per eccesso di potere (5). Se detta imposizione non valesse in ambito costituzionale, relegandosi così l’attività consultiva acquisita al limbo dell’indifferenza giuridica, la legge fondamentale non avrebbe certo previsto espressamente uno strumento tipico del diritto come il parere (obbligatorio), necessario e determinante ai fini della corretta formazione della volontà deliberante, quanto della sua eventuale integrazione (6).

Perciò, l’assenza di motivazione (esternata in delibera parlamentare o, quanto meno, ritraibile dal verbale di discussione assembleare del parere) può profilare l’eccesso di potere legislativo, insito nel difetto di ragionevolezza per sviamento in concreto dalla funzione o fine istituzionale (7), sanciti in senso teleologico dalla specifica previsione costituzionale del parere. Nel caso del CNEL, si aggiungerebbero anche eventuali aspetti di responsabilità politica, attesa l’apicalità dei destinatari della funzione consulenziale (8).

Al riguardo, la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto il vincolo di adeguata ponderazione del parere obbligatorio di cui all’art. 132, comma 1, Cost. (9), circoscrivendo però l’eccezione di incostituzionalità al caso che la regione contesti per irrazionalità la legge che ne comprima le attribuzioni.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI. La giurisprudenza di merito (10) ha sollevato una prima questione di legittimità costituzionale sull’art. 8 della L. 33/57 “nella parte in cui genericamente, senza criteri e principi direttivi, affida alle Camere e al Governo il compito di precisare se e quando deve essere consultato il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, in chiaro contrasto con l’art. 99, comma secondo Costituzione, che riserva tale compito alla legge”.

E’ utile riprodurre, di seguito, alla lettera gli sviluppi motivazionali della questione. “Come ben si vede, questo articolo della Costituzione al comma secondo, che si occupa della funzione consultiva del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, contiene una riserva di legge, sul cui significato occorre soffermarsi brevemente”. Perciò, “Quando la Costituzione pone una riserva di legge, con ciò stesso esige che “il legislatore intervenga o per applicare egli stesso e direttamente - con provvedimento legislativo singolare - la limitazione costituzionalmente prevista (cosicchè l’organo esecutivo può svolgere soltanto un’attività di mera esecuzione materiale) o  per predisporre nel merito i modi e i criteri in base ai quali l’organo esecutivo potrà concretamente applicare la suddetta limitazione”. Tale ragionamento “significa che secondo la Corte Costituzionale il potere-dovere di precisare la materia e la funzione di consulenza del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro spetta alla legge ordinaria. La quale non può rinunciare a porsi come mezzo di precisazione della materia e della funzione di consulenza del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, senza incorrere nella violazione dell’art. 99 Costituzione. Violazione che si avrebbe anche se la legge ordinaria genericamente ritenesse che “le Camere e il Governo possono chiedere il parere del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro”. In tal caso, infatti, la legge ordinaria non conterrebbe neanche quei necessari principi e criteri idonei (di cui si è detto sopra), atti a vincolare e delimitare la discrezionalità delle Camere e del Governo nell’atto in cui, con provvedimento diverso dalla legge, decidano se chiedere o non chiedere il parere del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro”. Quando la legge attuativa qualifica come facoltativo il parere, ricorre perciò “un esempio di frode della Costituzione perché la legge ordinaria, a cui è riservato il compito di precisare se e quando opera la funzione di consulenza del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, in realtà rinuncia al potere-dovere riservatole dalla norma costituzionale. Sotto l’apparenza di una disciplina della cosa, in realtà si ha una “non disciplina” perchè la legge ordinaria non solo non è essa a precisare minutamente se e quando il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro deve essere consultato, ma non offre neanche i criteri i quali, generici fin che si voglia, possano tuttavia guidare Camere e Governo in tema di consulenza del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro”. Per effetto di siffatta carenza della legge attuativa “si ha la conseguenza che di volta in volta, la richiesta o la mancata richiesta del parere del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro sono dichiarate dalle Camere o dal Governo, liberamente, senza alcun criterio che ne delimiti la discrezionalità (rectius: la libertà): chiara violazione dell’art. 99, comma secondo della Costituzione, che, con la riserva di legge in esso posta, ha voluto che la legge, quanto meno contenga “criteri idonei a delimitare la discrezionalità” delle Camere o del Governo”.

La medesima giurisprudenza ha sollevato una seconda questione di legittimità in ordine al D.P.R. n. 1105/1958 “considerato come atto amministrativo, in relazione all’art. 99, comma secondo, perché, dato il silenzio delle leggi di “autorizzazione” in relazione alla funzione di consulenza del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro sulla tariffa doganale, la mancata richiesta di consulenza si fonderebbe su un atto amministrativo. In tal caso, evidentemente, incostituzionale non potrebbe essere dichiarato l’atto amministrativo (decreto del Presidente della Repubblica 1958, n. 1105) ma le leggi di autorizzazione, che non hanno fatto cenno alla cosa”. La declaratoria di inammissibilità della suddetta questione di legittimità costituzionale (v. nota 10) ha precluso la confutazione nel merito dei suddetti argomenti da parte del Giudice delle leggi.

Altra giurisprudenza di merito (11) ha ritenuto rilevante ai fini del giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa a specifico procedimento di formazione legislativa perché adottato “senza il parere del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, pur concernendo “materia ed indirizzo di politica finanziaria ed economica”, materia che l’art. 8 della legge 5 gennaio 1957, n. 33  - in attuazione dell’art. 99 della Costituzione – espressamente riferisce alla competenza consultiva del Consiglio nazionale”. Prosegue, in termini cristallini, tale giurisprudenza: “lo stesso articolo 8 della legge n. 33 del 1957 però, in contrasto con l’art. 99 della Costituzione, il quale al secondo comma sancisce che il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è “organo di consulenza delle Camere per la materia e secondo le funzioni che sono attribuite dalla legge”, assumendo e qualificando quindi quali  obbligatori i relativi pareri, configura come meramente facoltativi i pareri del Consiglio nazionale. Al contrario, dal secondo comma dell’articolo 99 della Costituzione deriva la qualificazione come pareri obbligatori del Consiglio nazionale, essendo riservata alla legge ordinaria solo la indicazione delle materie e delle funzioni, ed essendo evidente alla stregua del contesto letterale dell’art. 99, oltre che dalla sua interpretazione logico-sistematica, che la determinazione delle funzioni rimessa dalla legge non concerne la configurazione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro quale organo di consulenza, direttamente affermata e risultante dalla norma costituzionale, la quale altrimenti non avrebbe più alcun significato (…)”.

Esprimendosi solo sulla previgente L. 33/57, all’esito della suddetta questione di costituzionalità, la giurisprudenza costituzionale (12) ha stabilito che: “ (…) dalla definizione del Consiglio come “organo di consulenza delle Camere”, contenuta nell’art. 99 della Costituzione, non si desume che la Costituzione abbia voluto la obbligatorietà dei suoi pareri” perché “l’attribuzione al Consiglio di funzioni incidenti sul procedimento legislativo e sulle funzioni del Parlamento avrebbe richiesto una espressa previsione della Costituzione, in mancanza della quale ai suoi pareri non può attribuirsi altro carattere che facoltativo” (13).

Cionondimeno, la stessa giurisprudenza costituzionale ha significativamente precisato che: “E’ vero che nel vigente ordinamento il Consiglio dell’economia e del lavoro ha una rilevanza costituzionale, ed è palese l’opportunità che sia sentito il suo parere nelle questioni di particolare rilevanza economica e sociale”. Si tratta di sentenza di non fondatezza con monito al legislatore e al governo (14) quanto meno di osservanza del principio di buona legislazione (15), ove la funzione consultiva inerisca a procedimenti normativi, e di buona amministrazione (art. 97 Cost.), ove inerisca a procedimenti gestionali. Il legislatore ha sostanzialmente recepito, nei termini che si vedranno, il monito attraverso i richiamati artt. 10, lett. g) e 12, comma 2, della vigente L. 936/86.

DOTTRINA. In merito alla facoltatività od obbligatorietà dei pareri, le posizioni dottrinali sono diversificate. Al riguardo, va considerato anche il contenuto ancipite della riferita giurisprudenza costituzionale. Quelle avverse all’obbligatorietà sembrano, però, accomunate da argomenti metagiuridici, anche tratti dalle discussioni parlamentari, quali “non vincolare proceduralmente, condizionando e talvolta rallentando, l’attività degli organi legislativi ed esecutivi” (16), anteponendo le prerogative politiche all’interpretazione formale.

Sotto quest’ultimo profilo, si ritiene che “Quanto invece alla consulenza legislativa, la previsione di pareri obbligatori importerebbe una limitazione dei poteri del Parlamento e del potere di iniziativa del Governo. Implicherebbe, perciò, una modifica costituzionale per la quale sarebbe insufficiente la legge ordinaria, e che si riallaccerebbe a problemi relativi alla forma di Governo (…)” (17). Tale orientamento qualifica, peraltro, il CNEL come organo costituzionale, indefettibile per intrinseca inerenza alla costituzione materiale (18). Quando poi lo stesso ammette l’obbligatorietà consultiva per gli atti amministrativi del Governo, la riconduce non già direttamente al precetto costituzionale bensì al favore della legge attuativa. (19). Ma l’effetto è lo stesso: la legge non potrebbe che trovare titolo sempre e soltanto nel precetto, il quale, non escludendo l’obbligatorietà, la ricomprenderebbe.

Le posizioni favorevoli all’obbligatorietà si basano su profili eminentemente tecnico-giuridici. Sul piano teorico, si premette che il giudizio derivante dal parere obbligatorio (e vincolante) incide esclusivamente la sfera intellettiva, non quella volitiva del destinatario. A quest’ultima, perciò, spetta soltanto, alternativamente: o l’esecuzione del parere, “quale impegno a non giudicare diversamente”; o la sua inattuazione, astenendosi dall’adottare alcun provvedimento. Ne deriva che gli effetti dei pareri  amministrativi vanno equiparati agli effetti di quelli legislativi di cui all’art. 99 Cost. A tale risultato si arriva, per un verso, “non riuscendo a vedere le ragioni di una diversa soluzione solo in seguito alla diversa natura dell’organo che riceve il parere”; per altro verso, “partendo dal riconoscimento dell’esistenza di limiti per la legislazione (…) non solo etici e politici ma anche giuridici”(20).

Sul piano dell’interpretazione formale, la funzione consulenziale è ritenuta obbligatoria perché l’art. 99, comma 2, Cost. rappresenta uno dei “capisaldi che furono costituzionalizzati” (21). Infatti la disciplina del CNEL “non è rinviata puramente e semplicemente ad una legge, ma si pongono limiti alla normazione della legge ordinaria, entro i quali essa può codificare”, talchè “la normazione della legge trova una direttiva nell’art. 99 della costituzione”. Si è osservato, poi, come l’art. 8 L. 33/57 abbia riconosciuto, per un verso, che Camere e Governo “possono chiedere pareri” al CNEL in specifiche materie (comma 1); per altro verso, abbia escluso dalla “competenza consultiva del Consiglio i progetti di legge costituzionale e quelli relativi agli stati di previsione dell’entrata e della spesa dei Ministeri e ai conti consuntivi” (comma 5). Perciò, secondo tale dottrina, in generale, “il parere deve essere quindi richiesto”. Peraltro, l’espressione tecnica “competenza consultiva”, contemplata anche dal vigente art. 11, comma 4, L. 936/1986 (sebbene preceduta dall’avverbio “comunque”), prospetta un concetto tendenzialmente dinamico difficilmente compatibile con la qualificazione di inerzia strutturale, determinata dalla facoltatività del parere.

In tale prospettiva, sembrano rivelatrici della necessarietà ex lege della funzione consulenziale di cui all’art. 99, comma 2, Cost. (22): a) la collocazione sistematica del CNEL nella Sez. III , “Gli organi ausiliari”, del Tit. III, “Il Governo”, Cost.; b) l’attribuzione imperativa e non abdicabile (“Eorgano di consulenza”), comune all’art. 100, comma 1, Cost.; c) la specialità dei destinatari (“delle Camere e del Governo”); d) la riserva di legge limitata a “materie” e “funzioni”, esulanti, ut infra, dall’attribuzione consultiva in sè. Ed anche ove si assuma che l’art. 99, comma 2, Cost. non abbia enunciato espressamente l’obbligatorietà, per converso non vi è nemmeno una previsione equivalente di facoltatività. Tale assenza dipende dalla neutralità procedimentale del parere facoltativo, per cui è proprio una sua legittimazione costituzionale a risultare superflua. Infatti, se lo si vuole contemplare magari per materie ulteriori rispetto a quelle ascritte al parere obbligatorio, basta la legge ordinaria, soprattutto ove la funzione consultiva sia immanente come nel caso degli organi ausiliari (cfr. art. 7, comma 8, L. 5 giugno 2003, n. 131 in rapporto agli artt. 100, comma 2, e 103, comma 2, Cost.) (23).

Se, poi, la vigente legge attuativa ha previsto tre fattispecie in cui la funzione consulenziale è imposta (art. 10, lett. b), d) ed e), cit.), la stessa legge ha ritenuto tale imposizione ricompresa evidentemente dall’art. 99 Cost. (24). Infatti, i precetti dell’art. 10, inclusi quelli testè citati, operano secondo l’esordio di tale disposizione “In conformità a quanto previsto dall’art. 99, secondo e terzo comma, della Costituzione”. Sarebbe, del resto, illogico che una norma addirittura di rango costituzionale preveda espressamente, perché connaturato al sistema (cfr. artt. 1, comma 1, 2, 4, 18, comma 1, 35 e ss. Cost.), un organo di alta consulenza, valorizzandolo così in termini di suprema operatività; e, al tempo stesso, ne favorisca l’inerzia dando libertà di investirlo o meno. In tal modo, si profilerebbe una valenza costituzionale di fatto, non di diritto (25). Parimenti illogico sarebbe che la consultazione di un organo ausiliario, perciò consustanziale all’integrità dell’assetto ordinamentale, sia rimessa a una condizione meramente potestativa data dall’impulso unilaterale dell’ausiliato.

Le medesime conclusioni possono trarsi per la fattispecie di cui all’art. 99, comma 3, Cost.  (gli artt. 10, lett. f, e 12 L. 936/86 sono norme attuative), ove la prerogativa di partecipazione in ambito legislativo ivi prevista può ragionevolmente trovare pieno riscontro in un apporto consulenziale non certo eventuale. In tale prospettiva, le leggi attuative succedutesi si equivalgono. Infatti, per un verso, l’art. 8, comma 4, L. 33/57 rimetteva direttamente al CNEL la potestà di elaborare pareri. Per altro verso, l’attuale art. 10, lett. f, L. 396/86 specifica come doverosa la partecipazione in ambito legislativo economico e sociale e conferma la suddetta potestà (art. 12, comma 2).

Si è detto che l’art. 99, comma 2, Cost., mentre implica direttamente obbligatorietà consulenziale sotto il profilo dell’an, non richiede vincolatività sotto quello del quomodo. Si noti bene: non la richiede; ma neppure la esclude vietandola alla riserva di legge (ved., a contrariis, artt. 25, comma 2, e 32, comma 2, Cost.) (26). Infatti, il 2 comma stabilisce che l’attività (da intendersi di per sé obbligatoria) del CNEL opera, tra l’altro, “secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge”. Quest’ultima può, così, disporre che il parere, necessario ex lege, sia anche vincolante, parzialmente vincolante o conforme (27).

CONCLUSIONI. L’obbligatorietà della funzione consulenziale di che trattasi sembra, più in generale, ritraibile dal principio di ragionevolezza, riferito al complesso delle “ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore (…) rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti” (28).

Come si è detto, la funzione consultiva risponde all’esigenza di supportare di adeguati strumenti di cognizione tecnico-specialistica (pareri, valutazioni, osservazioni etc.) soggetti pubblici che, dovendo adottare attività implicanti difficoltosi profili scientifici, non dispongano comprensibilmente delle necessarie cognizioni. Tale funzione è volta ad illuminare e quindi adiuvare l’autorità ricevente, etero-integrandone la volontà, con finalità di espletamento di un più corretto e appropriato agire pubblico (29). Nel caso degli organi ausiliari, a tali connotati si aggiunge anche il perseguimento del principio di legalità quale vincolo di conformità all’ordinamento dell’attività legislativa e gestionale, nel rispetto vicendevole dell’autonomia tra distinti poteri dello Stato (CNEL da un lato; Camere/Governo, dall’altro) (30).

Risponde perciò ad evidenti canoni di logicità e ragionevolezza che l’acquisizione dell’apporto consultivo di cui all’art. 99 Cost. sia connotata da parametri di necessarietà, con ricadute conseguenti sulla legislazione attuativa.

Sotto tale profilo, al netto delle previsioni di obbligatorietà (art. 10, lett. b), d) ed e), la fattispecie del richiamato art. 10, comma 1, lett. g), della L. 936/86, non contemplata dall’art. 8 della previgente L. 33/57, supplisce sapientemente all’opzionalità dei pareri prevedendo, come già riferito, che il CNEL (comunque sia) può formulare osservazioni e proposte di propria iniziativa sulle materie di cui al richiamato art. 10 con le modalità dell’iniziativa legislativa. Se non di obbligatorietà, può parlarsi in tal caso più appropriatamente di doverosità (31). Le stesse conclusioni valgono con riguardo ai contributi che il CNEL può autonomamente offrire alla legislazione economica e sociale ai sensi del richiamato art. 12, comma 2, L. 936/86.

Tale responsabilizzazione dell’organo ausiliario agevola, allora, l’effettivo espletamento trasversale della funzione consulenziale a dispetto della sua opzionalità, ove l’organo si predisponga a renderla in ogni caso, anche per un principio di etica pubblica. Per quanto detto in premessa, sul piano formale tale fattispecie non coincide con l’obbligatorietà della funzione consultiva perché implica autonomia d’impulso, sebbene a parti invertite. Infatti, la legge non impone all’organo l’intervento ma lo favorisce, conferendone piena licenza.

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