Testo integrale con note e bibliografia

Era un sabato pomeriggio di luglio, il 3 luglio, quando uno ad uno i 152 lavoratori della Gianetti Ruote di Ceriano Laghetto, in provincia di Monza e Brianza, ricevevano sul proprio cellulare la comunicazione da parte della Direzione aziendale che annunciava il loro licenziamento: “Con la presente si informano tutti i dipendenti addetti allo stabilimento di Ceriano Laghetto che con effetto dalla data odierna lo stabilimento rimarrà chiuso. Con lettera di pari data della presente è stato dato avvio alla procedura di licenziamento collettivo”.

Un fulmine a ciel sereno. Nessuno immaginava che quello sarebbe stato il nostro ultimo giorno di lavoro. Solo tre giorni prima il Governo aveva tolto il blocco dei licenziamenti per le grandi imprese ed a nulla è servito l’avviso comune firmato qualche giorno prima tra il Governo, Cgil, Cisl e Uil e le associazioni delle imprese nel quale le imprese si impegnavano ad utilizzare la cassa integrazione prima di licenziare. La Gianetti ha licenziato subito senza nessuna disponibilità di accedere ad alcun ammortizzatore sociale.

Lo stabilimento della Gianetti è stato costruito 108 anni fa e ha sempre prodotto ruote per veicoli pesanti. Uno stabilimento storico della Brianza che aveva tra i suoi clienti marchi importanti del mercato dei camion quali Volvo, Iveco e Man, ma anche quelli per le moto della Harley-Davidson.
Sin da subito è partita la solidarietà del territorio ed anche delle istituzioni. Dai Comuni della zona, passando per la Regione Lombardia e per finire al Governo, tutti ma proprio tutti si sono schierati accanto ai lavoratori della Gianetti. A parole, perché i fatti sono stati altri. Nei fatti si è visto come il sistema Paese non sia stato in grado di difendere il proprio sistema industriale.
Di fronte all'arroganza del Fondo di investimento Quantum, ultimo proprietario della Gianetti Ruote, anche il Governo si è eclissato non riuscendo ad imporre alcunché all'azienda che è andata dritta per la sua strada.

Quella della Gianetti Ruote non è solo la storia di 152 licenziamenti bensì è una storia simbolo del mondo produttivo italiano. Uno stabilimento che ha chiuso dopo 108 anni e dopo una storia recente fatta di continui cambi di proprietà e di forti processi di delocalizzazione portando produzioni importanti in Turchia, Russia e Romania. Tutto questo ha portato ad un indebolimento dello stabilimento italiano che si è visto privato di investimenti e di quantitativi di produzione.
Sembra di essere dentro un film già visto, delocalizzazioni verso Paesi dove il costo del lavoro è più basso, cambi di proprietà dove alla fine arriva un Fondo di investimento e fa il lavoro sporco con il sindacato che ha forti difficoltà di intervento. Infatti quella dello stabilimento di Ceriano Laghetto è stata anche una storia di relazioni con i sindacati molto complicate dovute anche ad un'assenza di strumenti normativi che stanno consentendo a Fondi di investimento e multinazionali di dare fondo a tutta la loro avidità per guadagnare e speculare ancora di più.

Durante i 75 giorni previsti per le procedure di licenziamento collettivo, con forza, i lavoratori della Gianetti con i sindacati hanno chiesto al Governo provvedimenti per salvare quei posti di lavoro ed anche il sito produttivo di Ceriano Laghetto. Ma il grido d'allarme è stato inascoltato; la politica, oltre ad una sterile solidarietà, non ha fatto nulla per quei lavoratori e non sta facendo nulla per salvaguardare il tessuto industriale del Paese. E quando la politica non guida e non protegge non fa il suo mestiere.

Ad un certo punto, a settembre, è stata paventata l'ipotesi di un decreto anti delocalizzazione nel quale si parlava dell’obbligo per un’azienda che vuole delocalizzare di trovare un advisor e cercare dei compratori. Varie bozze di testo si sono susseguite con proposte che ad ogni nuova edizione annacquavano i provvedimenti per poi arrivare ad un silenzio assordante. Nel frattempo Gianetti ha licenziato e chiuso, Gkn si avvia sulla stessa strada così come Riello e Whirlpool.

Servirebbe una legge che metta dei paletti e che consideri un monitoraggio, una regia e soprattutto che non liberi immediatamente le mani alle multinazionali.
Se un’azienda vuole chiudere e delocalizzare deve dare il tempo di aprire un tavolo e trovare un sostituto. È anche necessario che l’azienda mantenga per un periodo le sue responsabilità nei confronti dei lavoratori per garantire che i nuovi proprietari siano realmente intenzionati a preservare i loro posti di lavoro.
Il problema è che spesso ci troviamo di fronte a false reindustrializzazioni, di aziende che prendono dei soldi, fanno finta di assumere dei lavoratori, non riprendendo mai la produzione.

Il punto è trovare regole che garantiscano che imprese che hanno ricevuto incentivi pubblici di milioni di euro non se ne vadano distruggendo il patrimonio industriale italiano.

Il Governo è in grado di fare una cosa del genere? A vedere come si sta muovendo sulle tante crisi aperte verrebbe da rispondere no.

 

 

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