Testo integrale con note e bibliografia

La Loi Florance costituisce una misura emblematica del Diritto del lavoro francese, in quanto espressione dell’idea fondamentale secondo la quale il licenziamento per motivo economico non può che rappresentare l’extrema ratio. Essa si inserisce nel più ampio contesto delle disposizioni sulle ristrutturazioni aziendali, imponendo in ipotesi di chiusura di un sito la ricerca di un acquirente, contribuendo per questa via nei casi di licenziamenti per motivi economici numericamente rilevanti (almeno 10 licenziamenti in un contesto aziendale di almeno 50 dipendenti) al piano di protezione dell’occupazione che già prevede un programma complesso di ricollocamento sia interno (ricollocazione del lavoratore all’interno del medesimo contesto aziendale ovvero del gruppo) sia esterno (supporto alla ricollocazione al di fuori dell’azienda e del gruppo anche attraverso eventualmente gli incentivi all’autoimprenditorialità).
In vigore dal 1° aprile 2014, la Loi Florange mira ad incoraggiare il recupero di siti redditizi attraverso l’obbligo per il datore di lavoro che prevede di chiudere uno stabilimento - e che conseguentemente causerebbe licenziamenti collettivi - di notificare per tempo la decisione ai rappresentanti del personale, alle amministrazioni e alle autorità locali, al fine di facilitare la ricerca e l’individuazione di un nuovo acquirente. L’ambito di applicazione della legge è limitato, giacchè ne sono interessate solo imprese che contano almeno 1.000 dipendenti e ne sono invece escluse le imprese sottoposte ad amministrazione controllata o liquidazione giudiziaria.

La procedura.
La procedura cui sono tenute le aziende interessate si suddivide in fasi consecutive.
Nella prima fase, il datore di lavoro è tenuto a convocare il Comitato sociale ed economico (Comité social et économique, CSE) per un momento di condivisione del progetto di chiusura entro, al più tardi, l’apertura della procedura di informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori prevista in ipotesi di licenziamenti collettivi. Il datore deve trasmettere ai membri del Comitato tutte le informazioni utili ad avere piena contezza del progetto di chiusura, in particolare quelle relative alle ragioni economiche, finanziarie e tecniche, alle azioni previste per l’individuazione di un acquirente, nonchè, eventualmente con il supporto di un consulente ingaggiato dall’azienda, alle possibilità per i dipendenti stessi di presentare un’offerta d’acquisto. Contestualmente, l’azienda è tenuta ad inviare il progetto di chiusura alle autorità amministrative, al sindaco della città in cui l’azienda si trova e al prefetto.
Una volta che il datore ha debitamente informato il Comitato sociale ed economico e le autorità amministrative sul progetto di chiusura, può prendere avvio la seconda fase nella quale, attraverso l’invio di documentazione relativa allo stabilimento da rilevare, il datore ricerca i potenziali acquirenti informandoli della sua intenzione di cedere il sito, dando loro accesso a tutte le informazioni necessarie (compreso, a richiesta degli interessati, un rapporto ambientale).
Anche il Comitato sociale ed economico può partecipare attivamente alla ricerca di un acquirente, sottoponendo al datore proprie proposte, anche coinvolgendo esperti pagati dall’azienda. Il datore, inoltre, benchè a differenza di quanto previsto dal diritto tedesco, non sia in linea di principio obbligato ad attenersi ai pareri espressi dal Comitato, è comunque tenuto ad informarlo entro otto giorni dalla ricezione di una offerta d’acquisto, per permettere al Comitato di esprimere in merito un parere.
Nella terza fase, l’azienda invece invia ad ogni candidato acquirente una risposta motivata in relazione alla proposta d’acquisto.

Condizioni restrittive
Tale procedura risulta essere in pratica meno ambiziosa di quello che vorrebbe essere sulla carta, da un lato perchè il datore di lavoro è vincolato entro il perimetro di un’obbligazione di mezzi (cioè a dire la ricerca di un acquirente, che non comporta necessariamente anche la conclusione di un accordo per la compravendita), dall’altro perchè il datore è costretto entro scadenze predefinite. Al fine di apprestare maggiori garanzie alle aziende, il legislatore ha infatti imprigionato l’attività di informazione e consultazione del Comitato sociale ed economico entro maglie temporali molto strette che, di massima, non potrebbero essere ampliate. Tanto che, scaduti i termini, il parere del Comitato si ritiene comunque rilasciato anche se realmente non sia stato reso.
Salvo la conclusione di accordi differenti, il termine applicabile per la riapertura del sito aziendale è lo stesso che si applica all’attività di informazione e consultazione in ipotesi di licenziamenti per motivi economici, vale a dire due mesi per le chiusure che comporterebbero meno di 100 licenziamenti, tre mesi per quelle che ne comporterebbero tra i 100 e i 250, quattro mesi infine per le chiusure che produrrebbero un numero di licenziamenti superiore ai 250.
Allo scadere di questo termine prestabilito, qualora non abbia ricevuto alcuna offerta d’acquisto ovvero, pur avendola ricevuta, non abbia voluto darvi seguito, il datore deve convocare nuovamente il Comitato presentando un resoconto ; laddove invece il datore intenda accettare un’offerta tra quelle pervenute, deve in ogni caso documentare al Comitato le ragioni della sua scelta - in particolare in relazione alla capacità dell’offerente di garantire continuità dell’attività e dei livelli di occupazione del sito - affinchè il Comitato medesimo possa produrre a sua volta un parere. Positivo o negativo che sia, il parere rilasciato dal Comitato sociale ed economico segna la chiusura della fase di ricerca e individuazione di un acquirente.
Poichè i programmi per la tutela dei livelli di occupazione sono soggetti all’omologazione o validazione dell’autorità amministrativa, l’inottemperanza all’obbligo di individuare un nuovo acquirente si tradurrà nel rifiuto da parte dell’amministrazione di convalidare il programma, inibendo all’azienda la facoltà di procedere ai licenziamenti. Alla medesima conseguenza si perviene qualora l’autorità amministrativa non dovesse ritenere gli sforzi esercitati dal datore sufficientemente adeguati al raggiungimento dell’obiettivo. Non di meno, nel caso in cui non dovesse procedere alla convalida del programma, l’amministrazione potrebbe anche richiedere all’impresa il rimborso degli aiuti pubblici concessi eventualmente in precedenza.
Il sistema tratteggiato dalla Loi Florange trova il suo completamento attraverso le disposizioni della Loi Hamon e della Loi Macron, le quali si pongono l’obiettivo di facilitare l’acquisizione dell’azienda da parte dei dipendenti, implementando due diversi obblighi di informazione. In primo luogo, prevedono un obbligo generale di informare i dipendenti sulla loro possibilità di rilevare l’azienda - i connessi vantaggi o criticità, le condizioni giuridiche e le eventuali misure di supporto di cui possono beneficiare - che grava sulle imprese commerciali con meno di 250 dipendenti, almeno una volta ogni tre anni. In seconda battuta, un obbligo specifico di informare i dipendenti ogniqualvolta venga pianificata la vendita totale o di una quota di maggioranza, laddove si tratti di una società per azioni ovvero una società a responsabilità limitata, al fine di consentire ai dipendenti della stessa di presentare un’offerta d’acquisto.

La Loi Florange nella pratica
La Loi Florange, benchè nella pratica abbia raggiunto alcuni risultati ragguardevoli - ad esempio l’acquisizione dello stabilimento Panavi nell’Alta Vienne, in cui viene prodotta alta pasticceria surgelata - in generale viene additata come fallimentare, tanto che il legislatore, nel 2016, ha inserito una deroga rispetto all’originario obbligo che imponeva il trasferimento di tutti i dipendenti della vecchia alla nuova gestione. La deroga, nello specifico, consente alle imprese con più di 1.000 dipendenti, che si trovano ad affrontare la chiusura programmata di uno o più stabilimenti ai sensi della Loi Florange, di avviare, prima ancora che gli stabilimenti vengano trasferiti, un piano di gestione degli esuberi se ciò si renda necessario per salvaguardare i livelli di occupazione. E in tal caso verranno mantenuti in essere solamente i contratti di lavoro contemplati dal Piano di tutela dell’occupazione (Plan de sauvegarde de l’emploi). Non sono mancati casi di aggiramento della legge in esame, come quello ad opera del produttore di zucchero tedesco Südzucker che pur avendo fermato la produzione in due dei suoi stabilimenti, li ha mantenuti allo stesso tempo aperti con un livello minimo di attività e un solo dipendente su dieci. Questa riorganizzazione aziendale è stata denunciata da un bieticoltore francese che avrebbe voluto rilevare uno degli stabilimenti in quanto manifestazione della volontà del gruppo tedesco di ostacolare qualunque acquisizione da parte di terzi: «Abbiamo chiesto loro, per riuscire a mantenere l’attività di produzione di barbabietole e di zucchero, di mettersi nelle condizioni di vendere gli stabilimenti. Ma ci sentiamo rispondere che non possono, perchè non stanno chiudendo il sito, dato che hanno bisogno di stoccare lo sciroppo. E mantendendo questa attività, sfuggono alla legge Florange» si legge.
Se questo primo esempio ha evidenziato il rischio che la Loi Florange possa essere aggirata, il prossimo sottolinea i limiti di un sistema che impone la ricerca di un acquirente, ma non invece di accettarne l’offerta. Per uno stabilimento della Ford che produceva cambi di velocità per le automobili, i sindacati erano riusciti ad individuare un acquirente affidabile, il quale aveva anche ricevuto il sostegno delle amministrazioni statali, regionali e della metropoli di Bordeaux. Ma ciò non ha impedito alla Ford di rifiutare l’offerta di acquisto che avrebbe permesso di tutelare il posto di lavoro di 400 dipendenti sugli 860 totali dello stabilimento.
Dovremmo forse arrivare alla previsione dell’obbligo di vendere lo stabilimento al miglior offerente?

La Loi Florange e le misure alternative alla legge sui licenziamenti per motivi economici
La Loi Florange rientra in un sistema regolativo - la legge sui licenziamenti per motivi economici - ormai in declino da tempo. Evitare l’applicazione delle disposizioni relative al licenziamento per motivi economici, considerate costose in termini di dispendio di tempo e denaro, rappresenta una vera e propria strategia aziendale per le imprese che vogliano ristrutturare, che dal 2017 è stata incoraggiata anche dal legislatore. Due misure, rappresentative di questo approccio, consentono alle imprese di abbassare i salari, aumentare l’orario di lavoro, organizzare la mobilità dei dipendenti in un’area geografica alquanto estesa (l’intero territorio nazionale francese) o di risolvere i contratti di lavoro su base volontaria.
La prima di queste misure si basa sulla conclusione di accordi cd. di performance collettiva, che in nome della salvaguardia dell’occupazione o del buon funzionamento dell’impresa, conferiscono al datore il potere di modificare unilateralmente l’orario, la retribuzione e il luogo di lavoro del lavoratore che, qualora rifiutasse tali variazioni, potrebbe essere licenziato senza che il datore debba fornire una giustificazione e senza che sia eventualmente esperita la procedura per il licenziamento per motivi economici. Si tratta dunque di una tecnica per aggirare l’applicazione della procedura per il licenziamento per motivi economici che, timidamente comparsa nel corso del 2017, si sta ora diffondendo. La seconda misura trova invece la sua fonte nella conclusione di accordi collettivi di risoluzione consensuale: che l’impresa riesca o meno a giustificare reali difficoltà economiche, qualora concluda un accordo collettivo di questo tipo, può risolvere i contratti di lavoro su base volontaria evitando l’applicazione delle disposizioni previste in caso di licenziamento per motivi economici, anche laddove la ragione del licenziamento risieda in un motivo effettivamente economico.
In più occasioni si è fatto ricorso ad accordi di performance collettiva o di risoluzione consensuale per conseguire l’obiettivo di una chiusura aziendale evitando contestualmente l’applicazione della disciplina sui licenziamenti economici. L’autorità amministrativa, utilizzando una nuova «fonte» del diritto denominata «domande/risposte» si dimostra alquanto scettica ad accettare che tali strumenti vengano impiegati per chiudere stabilimenti .
La disciplina del licenziamento per motivo economico ha pertanto una naturale vocazione ad essere applicata in queste ipotesi e, la medesima vocazione, allorchè le soglie vengano superate, caratterizza anche il meccanismo di acquisizione dello stabilimento aziendale di cui alla Loi Florange.

 

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