Testo Integrale con note e bibliografia

SOMMARIO:
1. Le quattro stagioni: la prima all’insegna della lunga privatizzazione. – 2. L’avvio: gli artt. 2093 e 2129 c.c. – 3. Il culmine: il decennio ‘90. – 4. La seconda stagione: gli artt. 18 e 23-bis d.l. n. 112/2008. – 5. Art. 19 d.l. n. 78/2009. – 6. La parabola dell’art. 23-bis d.l. n. 112/2008. – 7. La terza stagione: l’art. 1, co. 557 e co. 563 e ss. l. n. 147/2013 e art. 4, co.12-bis d.l. n. 66/2014. – 8. La quarta stagione: gli art. 16 e 18 l. n. 124/2015. – 9. L’impostazione privatistica: artt. 3 co. 1 e 19 comma 1, d.lgs. 175/2016. – 10. Il reclutamento del personale art. 19, co. 2-4 del d.lgs. n. 175/2016. – 11. Il contenimento dei costi del personale: art. 19, commi 5, 6 e 7 d.lgs. n. 175/2016. – 12. Diposizioni transitorie in materia del personale: l’art. 25 d.lgs. n. 175/2016. – 13. La mobilità del personale: reinternalizzazione, passaggio di personale fra società controllate, gestione delle eccedenze del personale. – 14. La revisione straordinaria delle società a partecipazioni pubbliche: l’art. 24, co. 9 d.lgs. n. 175/2016.

1. Si può ben riconoscere che proprio il regime del rapporto di lavoro sia stato un elemento caratterizzante del processo evolutivo svoltosi con riguardo alle società a partecipazione pubblica. Processo evolutivo che, secondo lo schema delineato dal dott. Pagano nel suo “programma”, è articolabile su quattro “stagioni”: la prima precedente il giugno del 2008; la seconda aperta dal d.l. 25 giugno 2008, n. 112; la terza relativa alle modifiche apportate nel 2013/14; la quarta caratterizzata dal Testo unico in materia di società partecipate, d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, seguito dal d.lgs. correttivo 16 giugno 2017, n. 100, in ragione di Corte cost. 25 novembre 2016 n. 251, che aveva riscontrato un vizio procedurale di parte della stessa legge delega, consistente nell’aver omesso la previa intesa con la Conferenza Stato Regioni su materie di competenza legislativa regionale. Ne farò una ricognizione sintetica, senza soffermarmi su tutta la copiosa dottrina e giurisprudenza in materia, anticipando nella sintesi offerta quale è stata la evoluzione lungo le diverse stagioni.

*Relazione tenuta al convegno “Il rapporto di lavoro nelle società partecipate” - Catania, 19 – 20 ottobre 2018.

Con riguardo alla prima “stagione” si deve cominciare da lontano, cioè dallo stesso periodo corporativo, che si può dire abbia compiuto una privatizzazione ante litteram. Se all’inizio il rapporto di impiego anche con enti o con organi che esercitavano un’impresa era di norma pubblico, attribuito alla giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato; al termine era di regola privato, affidato alla giurisdizione ordinaria. Parlano in tal senso gli artt. 2093 c.c. e 429, n. 3 c.p.c., che, se pure relativi agli enti pubblici inquadrati nelle associazioni professionali del tempo, finivano per avere un ampio ambito applicativo, dato il progressivo espandersi dell’inquadramento corporativo, culminato nella l. 16 giugno 1938, n. 1. 303: all’art. 1, che, da una parte, revocava il divieto di far parte di associazioni sindacali “per quanto concerne gli enti pubblici, comunque denominati, i quali operino nel campo della produzione e svolgano una attività in regime di concorrenza”; dall’altra prevedeva la possibilità di revocare tale divieto “per gli altri enti pubblici, comunque denominati, purché operanti nel campo della produzione e svolgimento di un’attività esclusivamente o prevalentemente economica”.
Certo c’era il problema se gli artt. 2093 c.c. e 429, n. 3, c.p.c. potessero considerarsi sopravvissuti al venir meno dell’ordinamento corporativo, con contrasto acceso fra Consiglio di Stato e Corte di Cassazione relativo proprio alla giurisdizione: per l’uno restituita al giudice amministrativo, per l’altra conservata a capo del giudice ordinario. Sul che, peraltro, ha detto la parola definitiva l’art. 1 della l. 4 novembre 1973, n. 533, che nel novellato art. 409, n. 4, c.p.c. si riferisce a “rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica”.

2. Ritornando all’art. 2093 c.c., esso prevede a tutt’oggi l’applicabilità agli enti pubblici inquadrati nelle associazioni professionali dell’intero libro V (co. 1) e a quelli non inquadrati limitatamente alle imprese esercitate (co. 2). Ma, dopo il venir meno dell’inquadramento previsto dal sistema corporativo, esso è sì sopravvissuto, ma riconducendo la distinzione fra il primo e secondo comma a quella fra un ente pubblico che svolge esclusivamente o prevalentemente un’attività di impresa e un ente pubblico che svolge un’attività d’impresa in via marginale: cioè da un requisito formale (l’inquadramento) ad un requisito sostanziale (l’attività svolta).
Quelli di cui al co. 1, cioè che esercitano esclusivamente o prevalentemente un’attività economica, sono stati sinteticamente definiti sia dalla dottrina che dalla legislazione come enti pubblici economici, assoggettati al diritto del codice civile, salvo, come dice il comma terzo, che sia diversamente previsto dalla legge.
L’ente pubblico economico è stato lo strumento originario e tipico dell’intervento dello Stato nell’economia tramite un soggetto pubblico, anche in forma societaria, ma comunque sottoposto per l’esercizio della sua attività al diritto civile; per, poi, lasciar spazio ad un soggetto privato, quale la società a partecipazione pubblica, divenuta egemone nella stagione della “privatizzazione” dell’ultimo decennio del secolo scorso.
Un filone risalente di questa “privatizzazione” ha avuto come oggetto la natura del rapporto di lavoro alle dipendenze degli enti pubblici vis-à-vis del potere di auto-organizzazione esercitabile tramite provvedimenti amministrativi, condizionanti la stessa gestione del personale, nonché la giurisdizione. Non è il luogo per ricostruire qui tale filone, se non per rammentare quale ne è stato il ben noto decorso, a partire dall’art. 2129 c.c., che pur con riguardo agli enti pubblici in genere, dà per presupposto l’art. 2093 c.c.; prevedendo che le disposizioni della sezione seconda, titolo secondo, capo primo del libro quinto “si applicano ai prestatori di lavoro dipendenti da enti pubblici, salvo diversamente regolato dalla legge”. L’esito ne è stato il progressivo ridimensionamento del rilievo accordato a tale potere di auto-organizzazione, con conseguente assoggettamento al diritto comune del lavoro e al giudice ordinario.
3. Come accennato, il protagonista prioritario dell’intervento pubblico nell’economia è stato l’ente pubblico economico, ma ciò non esclude che fin dagli anni trenta avessero vista la luce delle holding pubbliche, quali l’Iri e l’Eni, con partecipazioni in società per azioni, non senza casi di dismissioni tali da provocare il passaggio da società a esclusiva o prevalente presenza pubblica (c.d. privatizzazione formale) a società controllate da privati (c.d. privatizzazione sostanziale). Ma è solo col decennio ‘80 del ventesimo secolo, ormai segnato dal vento della liberalizzazione e globalizzazione dei mercati che si è dato luogo alla politica della conversione degli enti pubblici economi in società per azioni, con conseguenti dismissioni parziali o totali. Certo non è mancato l’influsso del diritto comunitario, che nel contesto di un atteggiamento neutrale rispetto alla natura giuridica della proprietà, pubblica o privata, pur tuttavia già con la direttiva n. 2000/52/CE, sulla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le imprese pubbliche nazionali, ha finito per mettere in crisi il modello delle partecipazioni statali costruito sulla dipendenza finanziaria delle imprese pubbliche.
A partire dal successivo decennio ‘90 il processo non rimane in mano dei singoli enti, ma acquisisce carattere più generale, divenendo un programma di governo, già leggibile nella l. 10 ottobre 1990, n. 287 sull’introduzione di una disciplina a tutela della concorrenza e del mercato, comportante la separazione della politica pubblica dalla gestione privata in funzione dell’incremento di efficienza e competitività del sistema delle imprese pubbliche; ed esplicitata a chiare lettere nel d.lgs. n. 267/2000, T.U. degli enti locali, che, agli artt. 112 ss. oltre ai sistemi consolidati di gestione in economia, a mezzo di azienda speciale, in concessione, contempla quella tramite s.p.a o di s.r.l. a prevalente capitale pubblico locale o s.p.a., con partecipazione minoritaria.
C’è un’abbondante legislazione e deliberazione del Cipe e del Consiglio dei ministri che attua la privatizzazione delle imprese pubbliche attraverso uno scadenziario che, a completamento, vede l’impresa pubblica trasformata in società per azioni, prima a controllo pubblico, poi a controllo privato; e l’azienda autonoma prima in ente pubblico economico, poi in società per azioni. Di massima, l’adozione della società per azioni, anche se ancora a partecipazione pubblica, comporta l’adozione dello statuto civilistico per la sua struttura e per il suo funzionamento, nonché per la conduzione dell’impresa e per la gestione del personale.
C’è, però, da far parola di una figura inventata dalla giurisprudenza comunitaria – ma recepita dallo stesso legislatore nazionale – per permettere l’affidamento diretto dei servizi pubblici locali, cioè la in house providing, caratterizzata: da una partecipazione al 100%, dalla destinazione principale dell’attività svolta a favore dell’ente controllante, e da un controllo analogo a quello esercitato sul suo stesso apparato amministrativo, che deve sostanziarsi in un potere di controllo totale sulla società partecipata il quale consenta di esercitare un’influenza determinante sulle decisioni assunte dalla medesima. Ma questo di per sé complica la procedura decisionale, ma non muta la natura privatistica dell’attività svolta dalla società partecipata, ivi compresa la gestione del personale .
È comune il giudizio per cui sarebbe cambiato il ruolo dell’intervento dello Stato nell’economia, da imprenditore con a protagonista l’ente pubblico economico, a regolatore, con a protagonista la società per azioni, in nome di un’efficienza richiesta dalla grave crisi finanziaria del welfare State e dalla accresciuta competizione internazionale.
Tutto questo all’insegna di quella parola d’ordine, rimbalzata dall’America reganiana e dalla Gran Bretagna tachteriana all’Europa continentale, con piena rispondenza della Comunità europea, di “meno Stato e più mercato” .

4. Solo che all’interno di un sistema segnato dal susseguirsi di spinte e controspinte in ragione dell’alternanza delle maggioranze parlamentari e dell’aggravarsi delle condizioni finanziarie, finiva per emergere un mutamento di prospettiva, che – senza mettere in discussione la natura privata del rapporto di lavoro, con conseguente applicazione della disciplina sostanziale e processuale riservatagli – introduceva discipline riproducenti o, rectius, riecheggianti quelle pubblicistiche, senza peraltro mutuarne anche la natura: procedure di reclutamento del personale dipendente; contenimento dei costi e dell’efficienza in materia di spese vis-à-vis degli oneri per il personale; procedure di mobilità.
È con il d.l. n. 112/2008, convertito nella l. n. 133/2008 che veniva inaugurata la seconda “stagione”: un testo omnibus, tenuto insieme dalla sua intitolazione, che spaziava a tutto campo, riguardando “lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica, la perequazione tributaria”. Di tutto un po’, ma a leggerlo ci si accorgeva che il legislatore intendeva riportare a casa la solita stretta sui costi a carico del bilancio pubblico allargato, tant’è che l’art. 1 poneva come target, anzitutto la riduzione dell’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche e del debito pubblico: questo nell’anno horribilis, il 2008, che segnava l’inizio della crisi finanziaria ed economica a livello mondiale.
Senza alcun approccio sistematico vi erano contenuti due articoli, 18 e 23-bis, rubricati rispettivamente “Reclutamento del personale della società pubblica” e “Servizi pubblici di rilevanza economica”, che hanno fatto parlare di un ritorno alla pubblicizzazione, sincronica e sintonica rispetto ad una giurisprudenza amministrativa e contabile portata ad individuare una responsabilità a carico degli amministratori di una società a partecipazione pubblica la maggioranza delle cui risorse provenisse proprio dal soggetto pubblico.
Ora non era difficile individuare la ragione di questa coppia di articoli, come una reazione ad una eccessiva diffusione della società a partecipazione pubblica tramite di una esternalizzazione non di rado più formale che sostanziale, con a sua nota dolente una politica di assunzioni guidata più da ragioni politiche che da esigenze reali. Ed ecco, come rimedio, assumere a referente quel sistema del concorso pubblico elevato a regola per l’impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni dall’art. 97 Cost., col suo duplice profilo sostanziale e processuale.
Senza entrare nel dibattito interpretativo, che comporterebbe un lungo discorso , l’art. 18 si articolava su tre commi, di cui il primo riguardava “le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica”; il secondo concerneva “le altre società a partecipazione totale o di controllo”; il terzo escludeva l’applicazione dei primi due commi “alle società quotate sui mercati regolamentati”. Mentre l’art. 23-bis, nel prevedere la disciplina dell’affidamento e della gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica, contemplava l’emanazione di un decreto ministeriale, con una serie di obbiettivi elencati dalle lett. a-m), qui con particolare rilevanza la lett. a). Ora si può anticipare che l’art. 18, co. 1, 2, 3 verrà abrogato dall’art. 28, co. 1, lett. g), d.lgs. n. 175/2016, con commi 1 e 2, sostituiti di fatto da parte dell’art. 19, co. 2-4; e il comma terzo ricadente sotto l’art. 1, co. 5 dello stesso decreto, per cui le “disposizioni del presente decreto si applicano, solo se espressamente previsto, alle società quotate, come definite all’art. 2, comma 1, lettera p), nonché alle società da esse partecipate, salvo che queste ultime siano, non per il tramite di società quotate, controllate o partecipate da amministrazioni pubbliche”.
L’articolo lasciava dietro molte questioni ermeneutiche, circa l’individuazione delle società a partecipazione di controllo di cui al comma 1, l’estensione dell’ambito coperto, la natura e la giurisdizione dei provvedimenti, la sanzione applicabile, che poi verranno riprese e in gran parte risolte dal recente Testo Unico delle società a partecipazione pubblica. Si deve, però, tenere presente che Cass. SS. UU. 27 marzo 2017, n. 7759, decidendo sul punto della giurisdizione, quando già era vigente il d.lgs. n. 175/2016, ma con riguardo al precedente regime del 2008 e del 2009, ha considerato i contratti di assunzione non conclusi secondo le procedure previste, come irregolari, ma validi; solo che due recenti sentenze della Cassazione hanno ritenuto che già in forza della normativa previgente, cioè dell’art. 18 del d.l. n. 112/2008, senza bisogno di chiamare in causa l’art. 19 del d.lgs. n. 175/2016, tali contratti fossero da considerarsi nulli: Cass., sez. lav., 22 febbraio 2018, n. 4358 e Cass., sez. lav., 1 marzo 2018, n. 4897.

5. Che dietro l’emersione di una normativa ricalcata su quella propria dell’impiego pubblico, senza, peraltro, alcuna pubblicizzazione, ci sia stata l’esigenza di contenere i costi delle società pubbliche, è dimostrato dall’art. 19 d.l. 1° luglio 2009, n. 78, contenente provvedimenti anti-crisi, non per niente incluso nella parte II, dedicata al bilancio pubblico. Vi si prevedeva l’aggiunta all’art. 18 d.l. n. 112/2008, di un comma 2-bis, che costituiva un passo ulteriore nell’estensione alle società controllate della disciplina propria dell’amministrazione controllante in materia di divieti e limitazioni alle assunzioni di personale e di politiche finalizzate al contenimento degli oneri contrattuali, per evitare che la scelta di costituire una società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo fosse dettata dalla volontà di sottrarsi a quella disciplina, ma questa una volta mutuata, non mutava la natura privatistica sia della società che della gestione della forza lavoro occupata. Il comma 2-bis verrà modificato, prima, dall’art. 1, co. 557, della l. 27 dicembre 2013, n. 147 c.d. legge di stabilità, poi, dall’art. 4, co. 12-bis del d.l. 24 aprile 2014, n. 66.
6. Il preannunciato regolamento in tema di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, contemplato dall’art. 23-bis d.l. n. 112/2008 vedeva la luce con il D.P.R. 7 settembre 2010, n. 168.
Tutto bene, dunque, a prescindere dall’esistenza di problemi ermeneutici. Niente affatto perché ad essere messo in discussione fu proprio l’art. 23-bis, circa le modalità di affidamento dei servizi pubblici. Il referendum proposto per la sua abrogazione, con l’occhio al servizio idrico integrato, riceveva il semaforo verde, prima, da Corte cost n. 24/2011, poi dalla consultazione popolare, con conseguente caduta dell’art. 23-bis, che portava con sé anche quella del suo regolamento, D.P.R. n. 168/2010.
A riempire il vuoto, il Parlamento interveniva con l’art. 4 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, destinato, peraltro, a vita corta e sfortunata: portato di fronte al giudice delle leggi, veniva dichiarato incostituzionale, perché riproduttivo dei principi ispiratori e dei contenuti essenziali dei singoli precetti del regime travolto dal referendum abrogativo.

7. Dopo di che si apriva la terza stagione, con la prevista prima modifica dell’art. 18, co. 2 bis d.l. 112/2008 da parte dell’art. 1, co. 557 della l. 27 dicembre 2013 n. 147, c.d. legge di stabilità, peraltro destinata a vita breve, in forza della ugualmente prevista seconda modifica effettuata dall’art. 4, co. 12-bis del d.l. 24 aprile 2014, n. 66.
Non è tutto, perché, la l. n. 147/2013 all’art. 1 co. 563 ss. prevedeva particolari procedure di mobilità per le società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 o dai loro enti strumentali.
a) Passaggio di personale fra società controllate
La prima procedura regolata dai commi 563-564 prevedeva che le società in parola, sulla base di un accordo tra di esse, potevano realizzare, senza necessità di consenso del lavoratore, processi di mobilità di personale dall’una all’altra, previa informativa sindacale, tramite l’applicazione dell’art. 2112 c.c., co. 1 e 3; peraltro con esplicita esclusione di tale mobilità tra dette società e le pubbliche amministrazioni. La mobilità doveva aver luogo prima di avviare nuove procedure di reclutamento di risorse umane, in forza di atti di indirizzo emanati dalle amministrazioni controllanti, secondo appositi piani industriali.
b) Gestione delle eccedenze di personale.
A loro volta i commi 565 ss. prevedevano che società di cui al comma 563, che rilevassero eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o ai casi di cui al comma 564, nonché nell’ipotesi in cui l’incidenza delle spese di personale fosse pari o superiore al 50 per cento delle spese correnti, inviavano alle rappresentanze sindacali operanti presso la società e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo dalla stessa applicato una informativa preventiva in cui erano individuati il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale in eccedenza. Tali informazioni erano comunicate anche alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento della funzione pubblica. Le posizioni dichiarate eccedentarie non potevano essere ripristinate nella dotazione di personale neanche mediante nuove assunzioni. La particolare disciplina continuava coi commi 566, 567, 568.
Ora i commi da 563 a 568 e da 568-ter a 569-bis sono stati abrogati dall’art. 28, lett. t) d.lgs. n. 175/2016, creando un vuoto che a’ sensi dell’art. 19, co. 1, sull’applicazione della disciplina dettata dal codice civile e dalla legislazione lavoristica laddove non ve ne sia una diversa di cui allo stesso decreto, deve essere risolto facendo riferimento a tale disciplina.
Così, per il passaggio di personale fra società controllate, si dovrà far ricorso all’art. 2112 c.c., fermo restando che è ora possibile effettuarlo anche da società controllata ad amministrazione controllata a’ sensi del co. 8 dell’art. 19 d.lgs. 175/2016, sulla c.d. reinternalizzazione, secondo la procedura ivi prevista.
Così, ancora, per la gestione dell’eccedenze di personale vale la stessa conclusione, visto che l’art. 25 d.lgs. 175/2016, contempla solo un regime transitorio, per cui al suo superamento, dovrà farsi ricorso alla l. n. 223/1991.
Interveniva, poi, l’art. 4, co. 12-bis del d.l. 24 aprile 2014, n. 66, contenente misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale.
I destinatari erano solo “le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo”, che rispettavano il principio di riduzione dei costi del personale, tramite il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni del personale, attraverso un procedura che prevedeva: 1) l’atto di indirizzo dell’ente controllante, adottato tramite un proprio provvedimento, per ciascuno dei soggetti sopra menzionati, tenuto conto delle disposizioni che stabiliscono a suo carico divieti e limitazioni alle assunzioni di personale, con a contenuto specifici criteri e modalità di attuazione del principio, riferiti al settore in cui ciascun soggetto opera; 2) l’adozione di propri provvedimenti conformi da parte dei soggetti controllati; 3) la ricezione del contenimento degli oneri contrattuali in sede di contrattazione di secondo livello.
Ora il tema oggetto dell’art. 18, co. 2-bis è sopravvissuto a’ sensi dell’art. 27, comma 1 del d.lgs. n. 175/2016, solo per le aziende speciali e per le istituzioni; mentre per le società a controllo pubblico è venuto a trovare un nuovo regime nei commi 5, 6 ,7 dell’art. 19 del d.lgs. n. 175/2016.

8. La quarta ed ultima stagione è aperta dalla L. 7 agosto 2015, n. 124, c.d. legge Madia, che, come detto, ha delegato il Governo ad emanare un decreto legislativo di semplificazione del settore delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche, elencando negli artt. 16 e 18, i principi ed i criteri direttivi, con la precisa finalità di ridurre il numero delle società partecipate, l’estensione delle partecipazioni, promuovere la reinternalizzazione .
L’art. 16, “Procedure e criteri comuni per l’esercizio delle deleghe legislative di semplificazione”, da applicarsi ai decreti legislativi relativi ai settori sotto indicati, contempla, al co. 1, lett. b) le “partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche”; e al co. 2, lett. a) - e) elenca i “principi e criteri direttivi generali”, di cui merita di essere qui menzionato quello sotto la lett. a): “elaborazione di un testo unico delle disposizioni in ciascuna materia, con le modifiche strettamente necessarie per il coordinamento delle disposizioni stesse, salvo quanto previsto nelle lettere successive”.
A sua volta, l’art. 18, “Riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche”, riguarda il decreto legislativo per il riordino della disciplina in materia di partecipazioni societarie delle amministrazioni, da adottarsi “al fine prioritario di assicurare la chiarezza della disciplina, la semplificazione normativa e la tutela e promozione della concorrenza, con particolare riferimento al superamento dei regimi transitori nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi, che si aggiungono a quelli di cui all’art. 16”. Seguono i criteri e principi direttivi dalla lett. a) alla lett. m), di cui sembra opportuno menzionare l’incipit di quelli di cui alla lett. e): “razionalizzazione dei criteri pubblicistici per gli acquisti e il reclutamento del personale, per i vincoli alle assunzioni e le politiche retributive, finalizzate al contenimento dei costi …”.
9. Sembrerebbe una conferma della natura pubblicistica delle norme relative alle assunzioni e alle politiche retributive, ma occorre tenere presente il d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, nella versione correttiva del d.lgs. 16 giugno 2017, n. 100 . Ora, il decreto in parola, dopo aver previsto al comma 3 dell’ art. 1 (“Oggetto”), che “Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni di questo decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato”; stabilisce al comma 1 dell’art. 19 (“Gestione del personale”) che “Salvo quanto previsto dal presente decreto, ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico si applicano le disposizioni del capo I, titolo II , del libro V del codice civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente”.
Quest’ultima formula suona analoga a quella contemplata dal comma 2 dell’art. 2 (“Fonti”) del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, dove la prevista deroga alla disciplina privatistica, non ha affatto significato che tutta la parte derogata dal Testo unico sul pubblico impiego fosse di matrice pubblica, ma solo che desse vita ad un diritto del lavoro privato speciale, eccezion fatta per l’esplicita previsione contraria, come appunto per il reclutamento del personale, disciplinato dall’art. 35 e assoggettato dall’art. 63, co. 4 alla giurisdizione amministrativa.
La disposizione ha valore eccezionale, sì da richiedere un’interpretazione restrittiva con riguardo alle norme che prevedono deroghe alla disciplina comune; eccezioni che, peraltro, pur riecheggiando norme di diritto pubblico, restano di diritto privato speciale.
Se nella disamina delle tre stagioni precedenti si è proceduto in ordine cronologico, sì da trattare separatamente il reclutamento del personale (art. 18 co. 1 e 2 d. l. 112/2008), il contenimento dei costi del personale (art. 18, co. 2 bis), la mobilità (art. 1, co. 563 ss. l. 147/2013, c.d. legge di stabilità); ora affronterò in sequenza questi tre temi, confrontando il vecchio con quello nuovo introdotto dall’art. 19 (“Gestione del personale”) del Testo unico del pubblico impiego.
Premettendo, peraltro, quello che è il destinatario comune dell’art. 19, con un effetto unificante in senso estensivo rispetto al passato, cioè le “società a controllo pubblico: le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo (art. 2, co. 1, lett. m), d.lgs. n. 175/2016), con conseguente richiamo delle definizioni di: I. “controllo: la situazione descritta dall’art. 2359 del codice civile. Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le definizioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo” (art. 2, co. 1 d.lgs. n. 175/2016”; nonché di: II. “le amministrazioni pubbliche: le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto n. 165, i loro consorzi o associazioni per qualsiasi fine istituiti gli enti pubblici economici e le autorità di sistema portuale” (2, co. 1, lett. a) d.lgs. n. 175/2016). Come si vede la definizione di amministrazioni pubbliche diviene comprensiva degli enti pubblici economici, con la contraddizione che mentre questi hanno oggi una disciplina del tutto comune, le società da loro controllate sono soggette alla normativa speciale di cui al Testo unico.

10. Come anticipato, l’art. 28 (“Abrogazioni”), co. 1, lett. g) abroga “l’art. 18 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, commi 1, 2”, sostituito dall’art. 19, co. 2-4. Ma va ricordato in premessa quanto già detto a proposito.
Anzitutto non si può tralasciare il già citato comma 1 dell’art. 19, per cui ci si trova di fronte a una disciplina, riecheggiata dal diritto pubblico, ma di diritto privato speciale, formalmente innovativa rispetto allo stesso art. 18, d.l. 112/2008.
Poi, rileva sia il comma 2, per cui “Le società a controllo pubblico stabiliscono con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza pubblicità e imparzialità e i principi di cui all’art. 35, comma terzo, del decreto legislativo. In caso di mancata adozione dei suddetti provvedimenti, trova diretta applicazione il suddetto art. 35, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001”; sia il comma 4, per cui “Salvo quanto previsto dall’art. 2126 del codice civile, ai fini retributivi, i contratti di lavoro stipulati in assenza di provvedimenti o delle procedure di cui al comma 2, sono nulli. Resta ferma la giurisdizione ordinaria sulla validità dei provvedimenti e delle procedure di reclutamento del personale.”
Ora, come si è visto, la società a controllo pubblico deve adottare propri provvedimenti, senza bisogno di alcun input da parte della amministrazione controllante, sicché non è necessario né comunque vincolante l’atto di indirizzo eventualmente emanato, nel senso che non può essere assunto a scusante nel caso non sia rispettoso dei principi elencati dall’art. 19, co. 2 d.lgs. n. 175/2016. I quali principi sono previsti, recuperando la formula più rigida dell’art. 18, co. 1, d.l. n. 112/2008, se pur con una aggiunta: copresenza cumulativa di principi di derivazione europea, principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità, principi di cui all’art. 35, co. 3 d.lgs. n. 165/2001.
La natura privatistica delle procedure ha come conseguenza esplicita a) l’attribuzione delle procedure alla giurisdizione ordinaria, con la conseguenza: a) della sottoposizione all’art. 409, co. 1 c.p.c.; b) della conversione di quelli che innanzi alla giurisdizione amministrativa sarebbero considerati interessi legittimi in diritti veri e propri; c) della disciplina esplicitamente prevista della nullità, la cui azione dichiarativa è promovibile “da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice” (art. 1421 c.c.) ed è imprescrittibile (art. 1422 c.c.), sì da poter far scattare una responsabilità a carico della stessa società per non averla esercitata. La nullità fa sempre salvo l’applicazione dell’art. 2126, co. 1 sulla prestazione di fatto per cui la “nullità … del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui rapporto ha avuto esecuzione”, nonché precostituisce a suo favore un diritto al risarcimento del danno in termini di perdita di chance lavorative nel tempo di esecuzione del contratto, peraltro con l’onere probatorio a suo carico.
Restano molte questioni interpretative, peraltro non poche affrontate dalla dottrina e dalla giurisprudenza maturata sull’art. 18 d.l. n. 112/2008.
a) Ambito di applicazione
Anzitutto per l’ambito di applicazione, ci si è chiesti se la disciplina sul reclutamento valga anche per il conferimento degli incarichi di lavoro autonomo, come precedentemente previsto dall’art. 18, co. 1, d.l. n. 112/2008, ma pare doversi rispondere negativamente, data la puntuale omissione, rilevante a’ sensi dell’art. 19, co. 1 del decreto in commento.
Poi, tornando ai contratti di lavoro subordinato, ci si è domandati, altresì, se tale disciplina sul reclutamento abbia valore non solo per i contratti a tempo indeterminato, ma anche per quelli a tempo determinato . Per il rapporto di lavoro determinato ci sarebbe da tener presente che appare forzante l’adozione della disciplina prevista dall’art. 19, co. 2, nonché inspiegabile un regime della reinternalizzazione di cui all’art. 19, co. 8, riservato al personale a tempo indeterminato e un divieto di convertibilità del contratto a termine illegittimo, pur in presenza del rispetto della procedura, se non in forza del criterio della stabilità dell’organico a tempo indeterminato, con a referente il principio di economicità, quale coniugazione del principio di buon andamento.
Solo che l’art. 19, co. 2 parla di “reclutamento del personale” senza distinguere, sì da far sospettare vi sia compreso tanto quello a tempo a tempo indeterminato quanto quello a tempo determinato. Sintonica suona l’esclusione a) della convertibilità con rispetto al contratto a tempo determinato, confermata da due recenti sentenze della Corte di Cassazione ; b) dell’assunzione senza procedure in materia di somministrazione, di distacco, di lavoro autonomo anche coordinato; c) dell’assunzione di personale mediante un trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c.
Non c’è alcun accenno alle promozioni, sicché il silenzio dovrebbe far pensare, a’ sensi dell’art. 19, co. 1 del nostro decreto all’applicazione della disciplina comune, in gran parte di origine collettiva. Ma a proposito dell’applicabilità delle procedure di reclutamento per le promozioni, sembrerebbe doverla escludere almeno stando alla lettera dell’art. 19, ma va tenuto conto del fatto che in vigenza dell’art. 18 d.l. 112/2018, la giurisprudenza contabile ha riscontrato una responsabilità erariale in assenza delle procedure selettive (C. Conti Sicilia, giurisdiz., 13 marzo 2015, n. 244 e C. Conti Sicilia, App., 1° giugno 2017, n. 69).
b) Formula adottata
A monte c’è il problema dei problemi, costituito dalla formula meticcia adottata dal legislatore, cioè che il reclutamento deve avvenire “nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all’articolo 35, comma 3, del decreto legislativo 35 comma 3, n. 165 del 2001”. Trattasi di una formula meticcia che rispetto all’art. 18 d.l. n. 112/2008 contempla anche i principi di derivazione europea e cumula i principi di cui al comma 2 (di trasparenza, pubblicità, imparzialità) con quelli di cui al comma 1 (dell’art. 35, co. 3) non prendendo atto di una certa sovrapposizione, perché i primi di cui al co. 2 dell’art. 18 presiedono anche i secondi più dettagliati di cui al comma 2.
È una mistura di difficile combinazione, ma certo non tale da imporre una ricezione completa del co. 3 dell’art. 35 appena citato tanto è vero che l’art. 19, co. 2, secondo capoverso contempla una applicazione non diretta, ma interposta dell’art. 97, co. 3 Cost., (ora co. 4), facendo scattare la “diretta applicazione” solo in mancanza dei suddetti provvedimenti, da intendersi come vera e propria mancanza o come presenza inadeguata.
D’altronde l’art. 35, co. 3 non predetermina la sequenza procedurale, che è, invece puntualmente e dettagliatamente regolata dall’art. 35, co. 3-bis seguenti, sicché il mero rinvio al criterio dei principi di cui a quel comma sostanzialmente equivale all’altro ricordato cumulativamente dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità.
Qui un qualche aiuto ce lo dà la giurisprudenza fiorita in vigenza dell’art. 18, co. d.l. n. 112/2008 per cui la formula ivi adottata conformava ma non eliminava la discrezionalità della società controllata, perché poteva non solo discostarsi dalle modalità di assunzione proprie dell’ente controllante, pubbliche ad eccezione degli enti economici (Trib. Milano 30 luglio 2010), ma addirittura escludere che dovesse adottare modalità di assunzione consistenti in una comparazione fra i candidati (Cass., SS. UU., ord. 26 gennaio 2011, n. 1778).
Si potrebbe pensare ad una graduazione delle procedure che tenga conto della diversità del contratto di assunzione, con riguardo alla durata, a tempo indeterminato e determinato, e alla categoria, dirigenti ed impiegati, nonché alla differenza fra assunzione e promozione, per cui, sempre nell’osservanza dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità, si possa passare da una mera motivazione della scelta effettuata come per gli incarichi dirigenziali ex art. 19, co. 1, d.lgs. n. 165/2001 fino ad una valutazione comparativa.
Ma a quanto mi è dato dedurre da alcuni testi sul reclutamento di società a controllo pubblico, prevale l’atteggiamento prudenziale di adeguamento quanto più prossimo al modello pubblico.
Da ultimo vale la pena di ricordare il comma 3 del nostro art. 19, per cui i “provvedimenti” di cui al comma 2 sono pubblicati sul sito istituzionale della società. In caso di mancata o incompleta pubblicazione si applicano le sanzioni di cui agli articoli 22, comma 4, 46 e 47, comma 2, del decreto legislativo 4 marzo 2013, n. 33.”

11. Questo tema viene affrontato dai commi 5, 6 e 7 dell’art. 19 d.lgs. n. 175/2016. Resta sempre la copresenza di atti di indirizzo delle amministrazioni controllanti e delle società controllate, ma con un ampliamento della materia.
In forza del comma 5, “Le amministrazioni pubbliche socie fissano, con propri provvedimenti, obbiettivi specifici, annuali e pluriennali, sul complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il personale delle società controllate, anche attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale e tenuto conto di quanto stabilito all’art. 25, ovvero delle eventuali disposizioni che stabiliscono a loro carico, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, tenendo conto del settore in cui ciascun soggetto opera”. Poi, in forza del comma 6, “Le società a controllo pubblico garantiscono il concreto perseguimento degli obbiettivi di cui al comma 5 tramite propri provvedimenti da recepire, ove possibile, nel caso di contenimento degli oneri contrattuali, in sede di contrattazione di secondo livello”.
Non è difficile vedere i cambiamenti rispetto all’art. 18, co. 2-bis, d.l. n. 112/2008, che, peraltro, è stato salvato solo con riguardo alle aziende speciali e alle istituzioni. Cambiano: a) i soggetti destinatari, qui le società a controllo pubblico; b) l’oggetto degli atti di indirizzo delle amministrazioni socie, che investono “obbiettivi specifici, annuali e pluriennali, sul complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il personale delle società controllate, anche attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale”, con l’opportuna precisazione di dover tener conto “del settore in cui ciascun soggetto opera”; c) il contenuto dei provvedimenti assunti dalle società a controllo pubblico, che si atteggia ad un generico “garantiscono il concreto perseguimento degli obbiettivi” come predeterminati, sì da lasciare aperto un ampio spazio discrezionale.
Risulta interessante l’inserzione ex novo dell’inciso, “ove possibile”, con riguardo alla ricezione dei provvedimenti delle società a controllo pubblico, comportanti “il contenimento degli oneri contrattuali, in sede di contrattazione di secondo livello”. Si è capito che la contrattazione di secondo livello coinvolge comunque una controparte e che deve muoversi nell’ambito fissato dalla contrattazione nazionale sì da escludere una ricezione automatica, in difformità della detta contrattazione nazionale. Ma che cosa se ne deve dedurre, che, in assenza di una adesione al contenuto dei provvedimenti delle società controllate, questi restano sterilizzati oppure entrano, comunque, in vigore?
Infine anche qui c’è un obbligo di pubblicazione, come previsto dal co. 7: Infine, in forza del comma 7 “I provvedimenti e i contratti di cui ai commi 5 e 6 sono pubblicati sul sito istituzionale della società e delle pubbliche amministrazioni socie. In caso di mancata o incompleta pubblicazione si applicano l’articolo 22, comma 4, 46 e 47, comma 2, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.”

12. L’art. 25 del d.lgs. n. 175/2016, prevede un regime transitorio in materia di personale, che comporta da parte delle società a controllo pubblico di effettuare entro il 30 settembre 2017, una ricognizione del personale in servizio, nonché la trasmissione dell’elenco di quello eccedentario alla regione in cui hanno sede legale, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro del lavoro, previa intesa in Conferenza unificata. A loro volta le regioni formano e gestiscono l’elenco dei lavoratori dichiarati eccedenti e agevolano processi di mobilità in ambito regionale, con modalità definite dal decreto ministeriale di cui sopra; e, entro sei mesi dal 30 settembre 2017, comunicano all’Agenzia nazionale per le politiche del lavoro “l’elenco dei lavoratori dichiarati eccedenti e non ricollocati”.
Ne segue che fino al 30 giugno 2018, a decorrere dall’emanazione dalla data di pubblicazione del decreto ministeriale. “Le società a controllo pubblico non possono procedere a nuove assunzioni a tempo indeterminato, se non attingendo, con le modalità definite dal decreto di cui al comma 1, agli elenchi di cui ai commi 2 e 3”.
È prevista una norma ad hoc nell’ipotesi che “sia indispensabile personale con profilo infungibile inerente a specifiche competenze e lo stesso non sia disponibile negli elenchi di cui ai commi 2 e 3”, rispetto a cui resta possibile ottenere una autorizzazione per “l’avvio delle procedure di assunzione ai sensi dell’art. 19”:
a) da parte delle regioni entro il termine di sei mesi dal 30 settembre 2017;
b) da parte dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro prima del 30 giugno 2018;
c) da parte del Ministero delle finanze, per le società controllate dallo Stato, prima e dopo la scadenza del termine del 30 giugno 2018.
Non manca l’usuale sanzione, per cui “I rapporti di lavoro stipulati in violazione delle disposizioni del presente articolo sono nulli e i relativi provvedimenti costituiscono gravi irregolarità ai sensi dell’articolo 2409 del codice civile”, comportante la “Denunzia al Tribunale”.
“Sono escluse dall’applicazione del presente articolo le società a prevalente capitale privato di cui all’art. 17 che producono servizi di interesse generale e che nei tre esercizi precedenti abbiano prodotto un risultato positivo”.
È poi intervenuto il D.M. 9 novembre 2017, contenente Disposizioni di attuazione dell’art. 25 in parola. Ma ormai, trascorso il termine del 30 giugno 2018, l’unica disposizione ancora in deroga alla disciplina definitiva è quella che prevede la possibilità che l’autorizzazione derogatoria di cui sopra sia concessa dal Ministero delle finanze.
Sempre in termini di disposizioni transitorie si deve ricordare che a’ sensi dell’art. 24, co. 9 d.lgs. n. 175/2016, “in occasione della prima gara successiva alla cessazione dell’affidamento in favore della società a controllo pubblico interessata” dai processi di revisione straordinaria delle partecipazioni “il rapporto di lavoro del personale già impiegato nell’ appalto o nella concessione continua ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile”.

13.I. Reinternalizzazione Il comma 8 dell’art. 19 d.lgs. n. 175/2016 disciplina la c.d. re-internalizzazione nelle amministrazioni pubbliche delle funzioni e dei servizi che erano stati precedentemente esternalizzati, con una netta inversione rispetto alla politica di esternalizzazioni in auge nel decennio ‘90.
Così se l’art. 1, co. 563 l. 147/2013, ultimo periodo poneva il divieto assoluto alla mobilità diretta effettuata dalle società controllate alle pubbliche amministrazioni controllanti, ora il comma 8, prevede che “Le pubbliche amministrazioni titolari di partecipazione di controllo in società, in caso di reinternalizzazione di funzioni e servizi esternalizzati, affidati alle società stesse, procedono, prima di effettuare nuove assunzioni, al riassorbimento delle unità di personale già dipendenti a tempo indeterminato da amministrazioni pubbliche e transitate alle dipendenze della società interessata dal processo di reinternalizzazione, mediante l’utilizzo delle procedure di mobilità di cui all’art. 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e nel rispetto dei vincoli in materia di finanza pubblica e contenimento delle spese di personale”.
Tale riassorbimento “può essere disposto solo nei limiti nelle dotazioni organiche dell’amministrazione interessata e nell’ambito delle facoltà assunzionali disponibili.” Peraltro non senza una importante eccezione, in forza della quale: “La spesa per il riassorbimento del personale già in precedenza dipendente dalle stesse amministrazioni con rapporto di lavoro indeterminato non rileva nell’ambito delle facoltà assunzionali disponibili e, per gli enti territoriali, anche del parametro di cui all’art. 1, co. 557 quater l. n. 296/2006”, secondo cui “ai fini dell’applicazione del comma 557, a decorrere dall’anno 2014 gli enti assicurano, nell’ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, il contenimento delle spese di personale con riferimento al valore medio del triennio precedente alla data di entrata in vigore della presente disposizione”.
Peraltro tale eccezione vale a condizione che venga fornita dimostrazione, certificata dal parere dell’organo di revisione economico-finanziaria, che le esternalizzazioni siano state effettuate nel rispetto degli adempimenti previsti dall’ art. 6-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a condizione che:
a) in corrispondenza del trasferimento alla società della funzione sia stato trasferito anche il personale corrispondente alla funzione medesima, con le correlate risorse stipendiali;
b) la dotazione organica dell’ente sia stata corrispondentemente ridotta e tale contingente di personale non sia stato sostituito;
c) siano state adottate le necessarie misure di riduzione dei fondi destinati alla contrattazione collettiva;
d) l’aggregato di spesa complessiva del personale soggetto ai vincoli del contenimento sia stato ridotto in misura corrispondente alla spesa del personale trasferito alla società.
13.II. Passaggio di personale fra società controllate. I commi 563 e 564 dell’art. 1 l. n. 147/2013 sono stati abrogati dall’art. 28, lett. t), d.lgs. n. 175/2016. Ne deriva che in mancanza di una specifica norma derogatoria, si applica l’art. 2112 c.c.
13.III. Gestione delle eccedenze di personale. Gli artt. 565-568 ter sono stati abrogati dall’art. 28, lett. t) d.lgs. n. 175/2016. Salvo quanto previsto dal comma 9 dell’art. 19 d.lgs. n. 175/2016, per cui “Le disposizioni di cui all’art. 1, commi da 565 a 568 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, continuano ad applicarsi fino alla data di pubblicazione del decreto di cui all’art. 25, comma 1, e comunque non oltre il 31 dicembre 2017”.
Ne deriva che in mancanza di una specifica norma derogatoria, per il tempo successivo all’emanazione del decreto ministeriale di cui all’art. 25 d.lgs. n. 175/2016 si è applicata la disciplina della l. 223/1991.

14. Da ultimo merita di essere ricordato il comma 9 dell’art. 24 del testo unico delle società a partecipazione pubblica, rubricato Revisione straordinaria delle partecipazioni pubbliche, per il quale “All’esclusivo fine di favorire i processi di cui al presente articolo, in occasione della prima gara successiva alla cessazione dell’affidamento in favore della società a controllo pubblico interessata da tali processi, il rapporto di lavoro del personale già impiegato nell’appalto o nella concessione continua con il subentrante nell’appalto o nella concessione ai sensi dell’art. 2112 del codice civile”.

 

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