Il tema del salario minimo garantito sta transitando in questi giorni dall'ambito del dibattito fra giuristi a quello della discussione politica e sui media. L'obiettivo del "salario" è stato storicamente uno dei principali punti di impegno del movimento sindacale sin dal suo sorgere, ma ora sta assumendo una declinazione del tutto particolare, collegata alla peculiarità della difficile situazione economica e del fatto che non sempre, non più, la contrattazione collettiva riesce a garantire l'adeguatezza di quello che è entrato nel linguaggio comune come il minimo sindacale.
La diffusione del lavoro precario e di inedite forme di organizzazione del lavoro (si pensi ai riders o a settori particolari come quello della logistica) ha avuto l'effetto di far uscire la questione salariale dall'ambito squisitamente sindacale e di farla approdare a una dimensione più ampia, che riguarda la Società nel suo complesso.
Il fenomeno è accentuato anche dalla progressiva diffusione di situazioni di "lavoro povero", che riguarda un numero crescente di lavoratori contrattualizzati che, tuttavia, non riescono a ottenere per la propria prestazione lavorativa una retribuzione adeguata.
Le statistiche economiche mostrano che i salari italiani in termini reali negli ultimi 30 anni sono diminuiti del 2,9 % mentre in Francia sono cresciuti del 31,1% e in Germania del 33,7%.

Il tema del livello salariale non è più, né solo, una questione di diritti dei lavoratori ma assai più: una questione di diritti tout court. Cioè di diritti di cittadinanza.

Quella di una "esistenza libera e dignitosa" è una tutela che dev'essere garantita a tutti i cittadini, sulla base di un preciso disposto costituzionale che, come tale, si pone a fondamento di un vero e proprio diritto di cittadinanza.

Vale la pena di segnalare che il tema del lavoro povero riguarda anche, seppure con modalità e profili diversi, il variegato panorama del lavoro non subordinato, per il quale si pongono analoghi problemi di compensi adeguati. In tale contesto si segnala, con pari preoccupazione, l'esistenza di milioni di famiglie titolari di un reddito sotto la soglia di povertà.

Per tali ragioni, il dibattito sul tema del salario minimo non può essere circoscritto agli "addetti al lavoro" ma deve diventare oggetto di attenzione di tutti i soggetti (Parlamento, Governo, imprese, soggetti collettivi sindacali e datoriali, Istituti di ricerca pubblici e privati) che su questo tema sono portatori e interpreti di interessi e hanno piena legittimazione a contribuire alla individuazione delle soluzioni più adeguate.

E’ necessario l’impegno corale e convergente di tutti i soggetti che -in relazione alla propria natura, al proprio ruolo, alle loro competenze- sono direttamente coinvolti nell'opera di individuazione dei problemi, di ideazione delle soluzioni, di realizzazione di esse.

E, quindi: giuristi, parti sociali individuali e collettive, pubblica amministrazione.

Quando si parla del salario (ma anche degli altri temi legati alla prestazione di lavoro: sicurezza e salute, parità di genere, maternità...) si verte in tema di diritti che vanno garantiti per la tutela non solo degli interessi dei singoli ma anche di quelli di tutta la collettività nazionale. E ciò ben tenendo presente che si tratta di diritti che richiedono una continua ridefinizione di pari passo con il mutare delle condizioni di lavoro.

Mutamento che in questi ultimi tempi si è fatto sempre più intenso e veloce sia per i cambiamenti nella organizzazione delle attività produttive, sia per la presenza di fattori di più ampia portata come la crescente inflazione, la pandemia, il contesto bellico internazionale.

L'attenzione al tema ha ricevuto in tempi recenti una nuova spinta con il progetto di Direttiva europea sul salario minimo legale, che costituisce un ulteriore segnale della impellenza del tema del lavoro a bassa remunerazione. Impellenza accentuata dal fatto che l'Italia è uno dei pochi paesi europei che non possiede ancora una normativa regolatrice del salario minimo legale.

La scelta degli strumenti attuativi è, naturalmente, affidata alle valutazioni e alle decisioni che vanno assunte tenendo conto del nostro contesto nazionale. Occorrerà valutare, quindi, se l'obiettivo possa essere raggiunto con interventi normativi o con una diversa valorizzazione della contrattazione collettiva.

Non sfugge che sotto quest'ultimo profilo vengano in gioco ulteriori questioni di particolare rilevanza, come quella della moltiplicazione e della frammentazione dei contratti nazionali (la cosiddetta "giungla contrattuale") o quella della valutazione della rappresentatività dei soggetti stipulanti, con i connessi profili di natura costituzionale.

La peculiarità dell'argomento e i multipli profili da esso coinvolti richiedono un parallelo mutamento di approccio e di mentalità che porti a superare le resistenze e le divergenze che finora sono venute, con significativa compresenza, da parte dei sindacati dei lavoratori e delle associazioni datoriali; a entrambi tali soggetti viene richiesto uno sforzo di generosità e di creatività per il quale può essere prezioso l'apporto delle valutazioni e delle indicazioni provenienti dai cultori del diritto del lavoro.

Alla riflessione e alla ricerca sul tema LDE ha sempre dedicato attenzione e ancor più lo fa nel presente numero, con l'apporto di un cospicuo numero di interventi di qualificati studiosi e di soggetti rappresentativi dei diversi orientamenti e delle differenti posizioni.

Il dibattito e la riflessione proseguiranno con un altro Focus programmato per il numero successivo della Rivista, posto che il tema non è certo destinato ad esaurire la sua attualità in tempi brevi.

Il tema è ormai maturo e non consente ulteriori rinvii e dilazioni. Appunto: se non ora, quando?

Questo sito utilizza cookie necessari al funzionamento e per migliorarne la fruizione.
Proseguendo nella navigazione acconsenti all’uso dei cookie.