La scena del diritto del lavoro in questi ultimi mesi si è affollata più che mai: molti sono stati i protagonisti, molti sono stati gli argomenti "allestiti" contemporaneamente sullo stesso palcoscenico.

Del resto, i multipli e profondi mutamenti determinati dall'emergenza pandemica e l'accelerazione che questa ha impresso alle modifiche nell'organizzazione del lavoro e al sorgere di nuove e pressanti esigenze necessariamente hanno prodotto effetti sull'attività contrattuale collettiva, sulla riflessione teoretica, sulla progettualità legislativa.

Basti pensare a quanto è avvenuto in materia di smart working, di riders, di salario minimo, di obbligo di vaccinazione per i lavoratori.

Significativo, e rivelatore, è quel che in breve volgere di tempo è accaduto in materia di riders: stipulazione di contratti nazionali, tavoli ministeriali, provvedimenti giudiziali, circolari ministeriali, protocolli locali: eventi di segno diverso e suscettibili di valutazioni divergenti, ma pur sempre dotati di grande rilevanza.

Analogo discorso si può fare per le mutazioni e le novità che sono intervenute in materia di smart working, talvolta con il contorno di notizie e valutazioni fuorvianti.

Gli eventi si susseguono, le novità si accumulano l'una sull'altra; e vien da pensare che non si riesce a seguirne il ritmo, anzi: che è pressoché impossibile stare dietro a tutti i fenomeni.

Una congiuntura che provoca al tempo stesso smarrimento ed esaltazione ,con  la percezione di stare vivendo una fase di nuova vitalità di quello che un Maestro chiama "il diritto che dal lavoro prende il nome".

Con buona pace di quanti hanno profetizzato, in anni recenti, la morte del diritto del lavoro.

Quel che è certo è che tutti i protagonisti del mondo del lavoro sono posti di fronte a una sfida che li costringe a reagire con la tempestività che l'emergenza richiede e impone.

Una emergenza che ha reso improvvisamente obsoleti e inadeguati molti degli schemi teorici del passato, delle vecchie modalità organizzative e associative, degli strumenti di intervento usuali.

Per essere all'altezza di tale sfida tutti devono sentirsi spronati a cambiare mentalità, ad adottare un approccio culturale nuovo e diverso.

Occorre passare dalla logica dell'intervento congiunturale a quella della soluzione strutturale, tendenzialmente duratura.

Dopo i necessari interventi realizzati sull'onda dell'emergenza, si deve passare alla progettazione e alla realizzazione di un assetto idoneo a stabilmente regolare le nuove realtà create, proposte, imposte dai tempi nuovi.

In questa prospettiva LDE fornisce, anche in questo numero, il proprio contributo alla riflessione mediante i dossier dedicati allo smart working, ai riflessi dell'emergenza pandemica sui rapporti di lavoro, al tema  (di permanente attualità) dei riders.

Si tratta di un parziale contributo a quello che si auspica divenga uno sforzo corale e condiviso.

La vastità e la dimensione dei problemi che i protagonisti del mondo del lavoro si trovano ad affrontare richiede e impone che azioni comuni, coordinate e convergenti vengano adottate da tutti: imprese, lavoratori, Legislatore, istituzioni previdenziali e assistenziali.

Convergenza non significa, ovviamente, ignorare la pluralità di analisi e la diversità di interessi; ma non esclude che la comune consapevolezza dei problemi da fronteggiare, porti a privilegiare gli elementi di coesione su quelli di divisione.

Anche questa è una forma di vaccino.

 

 

Ogni anno l'Ordine dei consulenti del lavoro di Milano bandisce un concorso
"Il lavoro tra le righe" con una sezione dedicata alle pubblicazioni periodiche in materia di lavoro.

Per l'anno 2020 il premio è stato assegnato a LavoroDirittiEuropa.
Il riconoscimento costituisce motivo di soddisfazione che LDE condivide con la redazione e con i lettori.
Un sentito ringraziamento va alla Commissione giudicatrice e all'Ordine, che ha, sin dalla nascita, sostenuto l'avventura di questa Rivista.
La motivazione del premio

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