testo integrale con note e bibliografia

Riflessioni dal presente
A distanza di qualche anno, ho deciso di tornare a riflettere su come noi esseri umani percepiamo il mondo del lavoro, specialmente quello degli altri.

Ogni volta che succede qualcosa di importante, o quando qualche politico ha bisogno di mostrare successi (o sottolineare fallimenti altrui), si riapre il dibattito sul lavoro, i contratti, gli infortuni. Poi, come sempre, si richiude. E tutto torna al silenzio, finché non si ricomincia.

La verità è che, anche se si parla sempre di “Noi”, nella vita reale vince l’“Io”. È così da sempre.
La dicotomia tra lavoratore e utente

Siamo tutti, ogni giorno,in modo alternato, lavoratori addetti ad attività o clienti che ricevono assistenza da lavoratori ma non esiste una equivalenza nelle relazioni. Quando siamo lavoratori pensiamo in un modo e ci comportiamo di conseguenza mentre quando siamo “utenti” abbiamo aspettative molto più elevate.
Questo squilibrio ci porta a ignorare chi abbiamo davanti come persona, concentrandoci solo sul servizio che ci aspettiamo, sul risultato e, soprattutto, su quanto ci costa. Poco importa in che condizioni lavora quella persona.

Un esempio su tutti? Il rider che ci consegna il cibo sotto la pioggia battente.
Quando il dibattito dimentica l’uomo
Il focus del dibattito, nel Parlamento degli eletti e nel Parlamento dei social, si sposta sempre sui diritti lesi, su nuove misure di protezione, su nuove sanzioni dimenticando sempre la variabile uomo.
Allora ho provato a cambiare prospettiva. Ho immaginato una visione laterale, come se osservassi questo puzzle impazzito non nei suoi singoli pezzi, ma nel suo disegno complessivo. E ho iniziato a fantasticare.
Un viaggiatore dal futuro
Immaginate una persona che arrivi dal 2150, viaggiando nel tempo attraverso un varco spazio temporale. Cosa vedrebbe, nel nostro presente?

Scoprirebbe che, in famiglia, a scuola, all’università, nessuno insegna davvero cos’è un rapporto di lavoro. Nessuno spiega i diritti e i doveri, come ci si relaziona con colleghi e superiori, quale linguaggio usare, quale approccio avere.

Non insegniamo a rispettare il lavoro degli altri. Vogliamo solo risultati rapidi e a basso costo. Poi ci indigniamo se scopriamo che quei prodotti sono frutto di sfruttamento, magari minorile. Ma l’unica cosa che ci interessa è il prezzo.
Il suo messaggio immaginario
«Dalla decadenza morale del vostro tempo – frutto dell’individualismo e del bombardamento visivo che vi ha trasformati in consumatori – alla società in cui vivo io, il cambiamento è stato lungo.

Il primo passo? Prendere coscienza della realtà, in modo critico, non ideologico. Smettere di fare proclami e iniziare a trovare soluzioni vere.

Poi, abbiamo lavorato sulle coscienze. Non solo sul diritto al lavoro, ma sul riconoscere l’altro come persona, con un ruolo e una dignità da rispettare.

Abbiamo reintrodotto l’educazione al lavoro nelle scuole, semplificato i contratti, creato un sistema informativo trasparente, e valorizzato il rapporto tra lavoratore e utente.

E abbiamo fatto un gesto semplice ma potente: ogni lavoratore è riconoscibile, con nome, ruolo, azienda. Un modo per restituire dignità, per dire “dietro questo servizio c’è una persona come te”.»
Il senso di tutto
Prima di inondare la società con nuove leggi, dobbiamo partire dall’educazione. Dobbiamo formare le persone, dare loro gli strumenti per capire davvero cosa significhi vivere e lavorare insieme.

Forse questa visione laterale mi ha portato lontano, oltre la realtà quotidiana, che da anni sembra bloccata. Ma a volte serve guardare più in là, smettere di inseguire soluzioni “facili” e iniziare a cercare strade nuove.

Forse quel viaggiatore dal futuro ci ha lasciato una traccia. Una traccia che arriva dal passato, ha poca forza nel presente, ma potrebbe diventare concreta nel futuro.

Perché, in fondo, lo sappiamo tutti: il presente che viviamo è già ieri. E il futuro, in parte, è già qui.

 

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