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a) Il lavoro agile prima e dopo il Covid-19
Fino al marzo 2020, il lavoro agile in Italia era poco diffuso, utilizzato da poche aziende particolarmente strutturate in virtù di accordi aziendali di secondo livello, che andavano ad integrare le scarne disposizioni di legge.
Solo a seguito dell’emergenza pandemica, il lavoro agile ha conosciuto una vera diffusione nel nostro Paese, quando oltre sei milioni di lavoratori, dall’oggi al domani, si sono trovati a lavorare forzatamente dalla propria abitazione.
Il Covid-19 ha dato decisamente un forte impulso al lavoro agile se si pensa che prima della pandemia, secondo i dati dell’Osservatorio del politecnico di Milano, era utilizzato da appena il 13% delle imprese, oggi è invece già stato sperimentato da oltre il 95%. Dalle prime ricerche statistiche, il lavoro agile rimarrà la regola per molti lavoratori, circa un terzo della forza lavoro.
Il lavoro agile sperimentato nei mesi passati è stato uno smart work “denaturato”, molto poco “agile”, in cui i lavoratori sono stati costretti a lavorare dalla propria abitazione, senza conoscere i veri vantaggi di tale modalità di lavoro, costituiti dalla sua agilità negli orari e nella scelta dei luoghi di lavoro, “senza una postazione fissa”.

b) Il lavoro agile nella Legge n. 81/2017: sempre più sottile il confine tra lavoro subordinato e lavoro autonomo
“Conciliare, innovare e competere. Sono questi i tre diversi obiettivi apparentemente antitetici, dello smart working, che si configura come un nuovo approccio all’organizzazione aziendale, in cui le esigenze individuali del lavoratore si contemperano, in maniera complementare, con quelle dell’impresa”.
Queste le premesse alla Legge n. 81/2017 riportate nel sito ministeriale cliclavoro in commento alla normativa in concomitanza alla sua emanazione. Flessibilità ed autonomia nel lavoro per consentire, da un lato, “di incrementare la competitività” dell’azienda e dall’altro di “agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”.
La Legge n. 81/2017 (“Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”) ha introdotto nel nostro Paese la disciplina del lavoro agile o smart work, nella sua seconda parte. Nella prima parte, introduce una serie di regole in materia di lavoro autonomo, che costituiscono il c.d. Codice del lavoro autonomo.
Sicuramente singolare è che lo “smart work”, modalità di svolgimento della prestazione subordinata, sia contenuta nella stessa legge che ha introdotto il Codice del lavoro autonomo. Molti sono infatti i dubbi che tale “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato” possa consentire ancora di mantenere in vita la tradizionale distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, senza richiedere una auspicabile riformulazione delle relative definizioni, anche alla luce dell’evoluzione informatica e tecnologica del lavoro.
Basta leggere la definizione di “collaborazioni organizzate dal committente” contenuta nell’art. 2, del D.lgs. n. 81/2015, e la disciplina sulla modalità agile di esecuzione del lavoro subordinato, contenuta negli artt. 18-24 della Legge n. 81/2017, per rendersi conto del profondo cambiamento delle due categorie e dello svilupparsi di una sempre più vasta “area grigia” in cui non sarà facile qualificare la natura dell’attività lavorativa, salvo un esame specifico del caso concreto.
Molto sottile è la distinzione tra un lavoratore agile, che può scegliere sia il luogo sia gli orari in cui svolgere la sua attività, molto spesso “per obiettivi” ed all’interno di ampie fasce di reperibilità, ed un collaboratore, a cui venga richiesta la presenza presso la committente rispettando alcune regole di lavorazione.
L’ampia definizione di cui all’art. 18, comma 1, ricomprende infatti la possibilità di una prestazione organizzata anche per fasi, cicli produttivi o per obiettivi. In questi casi, il confine dell’istituto con le collaborazioni è molto sottile rendendo sovrapponibili le diverse tipologie contrattuali e quasi impossibile risalire alla reale volontà delle parti.
In virtù delle norme in commento, ad oggi solo le nozioni di eterodirezione ed eterorganizzazione ci aiutano a mantenere viva la nozione di subordinazione, essendo sempre più difficile individuare indici di subordinazione idonei a caratterizzare la natura subordinata, rispetto ai rapporti di lavoro autonomo.
Il primo (eterodirezione), tipico della subordinazione e inteso quale assoggettamento alle direttive, all’organizzazione e al potere disciplinare del datore di lavoro; il secondo (eterorganizzazione), invece, riferibile al solo potere di organizzare le modalità esecutive del lavoro del collaboratore in funzione delle esigenze del committente.
Nel lavoro agile, le direttive del datore di lavoro non sempre sono costanti e specifiche, potendo anche essere date una volta sola e ben potendo il datore di lavoro limitarsi a controllare periodicamente il risultato del lavoro assegnato. Per tali aspetti il lavoro agile ricorda il telelavoro o il lavoro a domicilio, su cui la giurisprudenza si è già più volte espressa in passato.
Proprio con riferimento al telelavoro, la Suprema Corte, chiamata a qualificare la natura dell’attività svolta, ha precisato che “in tema di rapporto di lavoro, al fine della qualificazione dello stesso come rapporto di lavoro subordinato piuttosto che come di lavoro autonomo, costituisce elemento decisivo in tal senso l’essere il lavoratore inserito stabilmente ed in modo esclusivo all’interno dell’organizzazione aziendale in diretta conseguenza dell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro. Nella stessa direzione qualificativa, costituiscono, invece, indici sintomatici della subordinazione, l’assenza del rischio di impresa, la continuità della prestazione, l’obbligo di osservanza dell’orario di lavoro, la cadenza periodica e la forma della retribuzione, l’utilizzazione da parte del lavoratore di strumenti di lavoro e lo svolgimento della prestazione in ambienti messi a disposizione dal datore di lavoro” (Cass. n. 9812/2008; tra le tante anche Cass. n. 20669/2004, Cass. n. 4171/2006 e Cass. n. 21028/2006).
Secondo la Suprema Corte, l’area del lavoro autonomo, da parte di lavoratore non dotato di una propria struttura e organizzazione, rimane pertanto circoscritta a quei lavori che non presentano le caratteristiche indicate, come ad esempio nel caso che venga rimessa completamente al lavoratore la scelta delle modalità esecutive con esclusione di qualsiasi tipo di subordinazione, sia pure soltanto tecnica.
Ciò chiaramente non si configura nel lavoro agile, in cui il lavoratore e il datore di lavoro stipulano un accordo, in cui manifestano la rispettiva volontà e indicano le “modalità di esecuzione” della prestazione.
Parimenti, la contrattazione collettiva, sempre più numerosa, in materia di lavoro agile, fornisce utili indicazioni sulle caratteristiche di tale modalità di esecuzione del lavoro subordinato anche ai fini di poterlo distinguere dal lavoro autonomo.

c) La Contrattazione Collettiva e lo smart work
Negli ultimi mesi, i contratti collettivi nazionali (ad oggi tredici) hanno iniziato ad introdurre al loro interno regole sullo smart work per i periodi in cui si tornerà alla “normalità”.
I temi che vengono principalmente regolamentati sono le fasce di reperibilità, il diritto alla disconnessione, il diritto o meno ai ticket restaurant, il diritto a richiamare in azienda il lavoratore laddove il lavoro agile non stia funzionando o qualora vi siano emergenze.
Gli stessi contratti collettivi nazionali del lavoro evidenziano l’“anormalità” del lavoro agile ad oggi implementato per far fronte all’emergenza pandemica, dal momento che in molti punti rinviano agli accordi aziendali e agli accordi individuali tra azienda e lavoratore, che torneranno a disciplinare il lavoro agile allo scadere del regime semplificato introdotto dalla normativa emergenziale. Ad oggi, dal 1° agosto, lo smart working dovrebbe ritornare a regime ordinario, abbandonando le semplificazioni introdotte durante la pandemia (in primis la possibilità di accedervi senza accordo scritto).
Da tale data sarà dunque necessario il rispetto delle formalità introdotte dalla Legge n. 81/2017; ad iniziare dalla stipula di un accordo individuale con ciascuno dei lavoratori interessati.
L’accordo deve disciplinare la modalità di esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali, le giornate (ad esempio il numero massimo o i giorni precisi) in cui l’attività lavorativa si svolgerà fuori dai locali aziendali, i luoghi, alternativi all’ufficio, in cui si svolgerà il lavoro agile. Deve inoltre regolamentare l’utilizzo degli strumenti informatici, necessari per consentire il lavoro agile e per mantenere il coordinamento con l’organizzazione aziendale. Altri aspetti necessari, sono la disciplina del diritto alla disconnessione e le modalità con cui il datore di lavoro può esercitare il suo potere direttivo e di controllo.

d) Le regole negli accordi o regolamenti aziendali
Proprio per mantenere inalterate il più possibile le caratteristiche della subordinazione nasce, da parte dei soggetti coinvolti, aziende e lavoratori, l’esigenza di formulare una serie di “regole d’ingaggio” o meglio una sorta di “nuovo galateo” nei rapporti di lavoro.
Tali regole, seguendo l’evoluzione dello svolgimento dell’attività lavorativa, non posso prescindere da un nuovo e complessivo approccio organizzativo.
Pensare di gestire le risorse umane nello stesso modo esistente fino a febbraio 2020 nell’attuale realtà dilatata non è possibile e non ha senso.
La massiva introduzione del concetto stesso di risultato deve trovare una nuova collocazione all’interno di una prestazione oraria non più svolta nell’orario contrattuale rigido ma bensì nella logica di una ragionevole dilatazione dello stesso, sempre nel rispetto della durata massima legale.
In questo senso gli sforzi più importanti sono proprio quelli diretti alla creazione di nuovi percorsi organizzativi legati alle performance e basati su strumenti di rilevazione che non sconfinino nel puro controllo a distanza ma responsabilizzino le due parti del rapporto creando la consapevolezza della necessità di trovare un nuovo punto di equilibrio.
Le aziende e le controparti sindacali, da tempo, si sono messe all’opera nella ricerca di questo equilibrio formulando nuove regole organizzative ed operative, elaborando una serie di indicazioni trasfuse in accordi o regolamenti aziendali, adattandoli alle peculiari esigenze.
Le aree di maggior intervento possono essere ricondotte a:
L’orario di lavoro
I temi che vengono regolamentati all’interno dei contratti aziendali sono innanzitutto le fasce di reperibilità, che spesso coincidono con l’orario di lavoro.
La legge non dice molto in merito all’orario di lavoro, limitandosi a rilevare, da un lato, che non ci sono precisi vincoli e, dall’altro, ricorda che deve essere comunque rispettata la normativa in tema di orari di lavoro.
Il legislatore ha evidenziato l’importanza dell’agilità anche nell’orario, a patto che vengano rispettati gli spazi personali, stabiliti nella legge.
Talvolta, vengono organizzati, tramite piattaforma, sia le giornate di lavoro a distanza sia quelle in presenza, sia gli orari giornalieri e settimanali di ricorso allo smart working.
Generalmente vengono previste fasce orarie più o meno ampie, entro cui il lavoratore può organizzare il suo tempo.
Il diritto alla disconnessione
Ulteriore tema che viene disciplinato è il diritto alla disconnessione dagli strumenti di lavoro. Molti contratti bloccano l’accesso a email e account aziendale nei fine settimana o dopo un certo orario.
Alcuni contratti aziendali vietano la convocazione di riunioni o conference call durante le ore della pausa pranzo o dopo le 18.
Diritto ai devices e attrezzature
Molti contratti prevedono la messa a disposizione delle apparecchiature informatiche (devices) arrivando, in qualche caso a prevedere, obbligatoriamente, la fornitura anche degli arredi ergonomici (sedie o scrivanie).
Riconoscimento della corresponsione del ticket restaurant
La questione ticket vede le aziende esporsi in modo non uniforme. Alcune hanno deciso di mantenere in essere il riconoscimento del benefit anche per le giornate di lavoro non prestate in azienda altre hanno preferito attenersi a criteri diversi riducendo proporzionalmente l’erogazione ai soli giorni di presenza.
Sviluppo della formazione
Questo è un argomento che tutti gli accordi o regolamenti prevedono quale passo fondamentale per la riuscita del progetto. In effetti l’aspetto formazione non deve rivolgersi esclusivamente alla spiegazione delle nuove modalità organizzative e a coprire le eventuali lacune di digital transformation, deve andare ad incidere profondamente sulle persone per sviluppare le capacità di autoorganizzazione che, in una situazione preorganizzata sono demandate totalmente al datore di lavoro mentre nella nuova modalità sono trasferite in capo al lavoratore. Questo diventa un punto importante perché se, molte persone accettano la sfida, e tramite la formazione o con risorse personali riescono ad evolvere, altre, invece non trovano il percorso o non hanno le risorse interiori per affrontare questo passaggio, pervenendo a risultati lavorativi non più all’altezza. Il pericolo che si possano rendere evidenti differenti performance è reale. Tutti si trovano a nudo di fronte ai risultati individuali.
Inclusione
Altro tema fondamentale è quello della inclusione sociale. Per moltissime persone il luogo di lavoro “esterno” era un momento di convivenza, scambio e crescita. L’attività “in solitario” rappresenta una sfida che per alcuni può rappresentare una accelerazione di un processo di isolamento con pesanti ripercussioni sullo sviluppo psicologico e di socialità dell’individuo stesso.
Per questo motivo molti professionisti della materia, da tempo, lanciano allarmi circa le conseguenze negative dell’isolamento (dai colleghi - dalle attività - dal mondo esterno), non compensabili solo dalla maggior presenza all’interno della vita familiare.
Le aziende, negli accordi, cercano di introdurre misure di compensazione, soprattutto volontarie, circa la scelta del dove e del come svolgere l’attività, lasciando aperta la possibilità per i lavoratori di valutare il numero dei rientri in azienda proprio per mantenere vivo il cordone ombelicale tra i lavoratori. Oppure aumentano l’offerta di tools attraverso i quali creare aree virtuali d’incontri e di scambi non solo lavorativi.
Tutti questi elementi ed altri ancora, maggiormente specifici per ogni singola realtà, sono rinvenibili negli accordi aziendali delle maggiori aziende (quali Enel, Eni, Vodafone, Sanofi, Barilla, Luxottica, Axa, accordo Ania, Maire Tecnimont, Fastweb, Lavazza, Accenture, Bayer, Ing Direct e Asstel) e contribuiranno a creare una nuova definizione di subordinazione.

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