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In questi anni di pandemia, il lavoro agile di cui Dlgs. 81/2017 c.d. smart working, è stato, in alcuni periodi l’unica modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, quando compatibile con la mansione e il tipo di attività esercitata.
Seppure inizialmente non rispondente alla finalità primaria della norma, di conciliazione vita-lavoro, nel corso dei mesi, le aziende e i lavoratori hanno sperimentato la possibilità di articolare le attività in presenza con quelle in modalità agile, ottimizzando le esigenze di produttività e di gestione dell’emergenza.
Si è dimostrato, anche, utile misura di contenimento dei contagi, rispondendo alla necessità di limitare gli spostamenti dei lavoratori e di contingentare gli ingressi e la presenza negli luoghi di lavoro.
Si è rivelato indispensabile per la gestione della cura dei figli durante la chiusura delle scuole o nei periodi di didattica a distanza ed una ottima soluzione per garantire la produttività durante i lunghi periodi di assenza per quarantena.
Le disposizioni normative hanno aiutato la pratica esecuzione di questa modalità lavorativa, snellendo le procedure amministrative, con la comunicazione semplificata, anche in assenza degli accordi individuali.
Nell’approssimarsi della fine dello stato di emergenza le aziende si stanno organizzando con soluzioni strategiche nuove; tra queste la riduzione definitiva degli spazi con conseguente riduzione di costi e necessità di disciplinare il lavoro agile in via definitiva e a tempo indeterminato.
Ai sensi dell’articolo 19 della legge 81/2017, è obbligatorio redigere in forma scritta l’accordo relativo alla modalità di lavoro agile, ai fini della regolarità amministrativa e della prova, i cui contenuti sono disciplinati dalla norma stessa, corredato da regolamenti che ne disciplinino i limiti e le attività consentite.
Trattandosi di disciplina del lavoro al di fuori dalla normale sede di lavoro, nell’analisi stanno emergendo diverse situazioni in cui il lavoratore sceglie, per esigenze personali, di svolgere lo smart working all’estero.
La legislazione internazionale non ha ancora disciplinato il caso dello smart working, ma ci sono stati già alcuni interventi di prassi sia per gli aspetti contributivi che fiscali, in ambito comunitario.
Partiamo dal principio generale art. 11 del regolamento 883/2004 e art. 13 Regolamento n. 1408/71 che prevede che il lavoratore venga assoggettato alla legislazione previdenziale del Paese dove svolge l’attività, con conseguenti obblighi di versamento della contribuzione agli enti del luogo estero in cui svolge l’attività.
Il principio di territorialità prevede una deroga, come noto, solo in caso di distacco (art. 14. Par. 1. Lettera a) Regolamento n.1408/71), con opzione di mantenimento della contribuzione in Italia espressa con il formulario A1 (Inps) e il modello PD DA1 (Inail), per una durata massima di 24 mesi (salvo proroghe).
Lo smart working non può essere paragonato al distacco e manca al momento una pronuncia da parte degli Istituti. L’Inps si era espresso con Messaggio n.9751/2008 in merito al Telelavoro, concedendo la deroga al principio di territorialità previa richiesta di autorizzazione, con il mantenimento dell’obbligo di contribuzione in Italia.
Si potrebbe, analogamente, pur trattandosi di fattispecie giuridicamente diversa, applicare l’ipotesi di opzione da parte del lavoratore che dichiara di prestare l’attività in più stati, sempre in ambito comunitario. Si renderebbe, comunque, necessario un adeguamento dei formulari, non esistendo una società distaccataria, utilizzando la possibilità di indicazione che “ trattasi di lavoro agile, presso domicilio o altro spazio di co-working estero”.
Nel caso di paesi extracomunitari, non convenzionati o parzialmente convenzionati si renderebbe necessaria l’apertura di una posizione previdenziale ad hoc per il versamento su retribuzioni convenzionali (L. 398/87).
Altro tema delicato è la copertura infortunistica che potrebbe venire meno. Infatti, in questa situazione, gli infortuni occorsi al lavoratore in smart working all’estero potrebbero non essere coperti dal rischio in quanto il soggetto si trova all’estero per motivi personali e non connessi con esigenze del datore di lavoro come nel caso della trasferta o distacco.
Si fa strada quindi la conferma che, seppur continuando a prestare attività per il datore di lavoro Italiano e nel suo esclusivo interesse, prevalga il concetto di territorialità legato al luogo di effettivo svolgimento del lavoro, anche se trattatasi solo di diversa modalità di svolgimento dell’attività, in ‘lavoro agile’.
L’impatto ai fini fiscali è ancora più complesso.
Innanzi tutto, potrebbe essere messo in discussione il luogo di effettiva residenza, che può essere diverso dalla residenza anagrafica allorquando l’attività prestata all’estero risulti prevalente o quando il centro dei propri interessi risulti essere all’estero.
In base alle convenzioni contro le doppie imposizioni, generalmente il soggetto è tassato nel luogo di svolgimento della prestazione lavorativa ovvero ove è ‘fisicamente presente’, anche nel caso in cui i ‘risultati’ della prestazione lavorativa siano utilizzati in un paese diverso da quello in cui l’attività è materialmente svolta. (Risposta A.E. 296/2021).
Analogamente, deve essere tassato in Italia sulla base della retribuzione percepita, il dipendente di società estera che svolta l’attività in Smart working bloccato in Italia dalla pandemia. (Risposta A.E. 626/2021)
Pensiamo alle conseguenze in caso di applicazione di norme speciali, quali ad esempio l’art. 51 c. 8-bis – retribuzione convenzionale o l’abbattimento per gli impatriati Art. 16 Dlgs. 147/2015.
Nel caso di lavoratori distaccati all’estero, residenti in Italia che hanno svolto l’attività in Smart Working in Italia, l’Agenzia delle entrate con le risposte 345/2021, 458/2021 e 590/2021 ha negato l’applicabilità delle imposte sul reddito convenzionale (al fine di evitare le doppie imposizioni) in quanto viene meno il presupposto della prevalenza dello svolgimento dell’attività lavorativa all’estero, che non è stato prestato in via continuativa e come oggetto esclusivo dell’attività lavorativa all’estero avendo lavorato in smart working in Italia per più di 183gg.
In merito all’applicazione del Regime fiscale per gli impatriati, come noto, il presupposto di applicazione è lo svolgimento prevalente dell’attività nel territorio Italiano. Nel caso in cui in uno degli anni per i quali spetta l’agevolazione il lavoratore si trovasse a svolgere attività prevalentemente all’estero, verrebbe meno l’applicazione per quell’anno sebbene non decada dal beneficio. (circ. 17/E/2017)
L’agenzia delle Entrate con Interpello 621/2021, richiamando l’art. 16 comma 1 DLgs 147/2015, ribadisce che l’agevolazione si applichi solo sui redditi prodotti in Italia e considerando il lavoro in smart working all’estero come reddito prodotto all’estero lo esclude dall’applicazione dell’agevolazione.
A mio parere qui l’agenzia richiama impropriamente per analogia l’assunto dell’art. 23, applicabile ai non residenti, in base al quale sono assoggettati solo i redditi prodotti in Italia.
Pertanto anche nel caso in cui il soggetto restasse residente in Italia (per svolgimento dell’attività nel territorio Italiano per più di 183gg), si vedrebbe applicare l’agevolazione di abbattimento (50% o 70% in base ai requisiti), rapportata ai soli giorni di lavoro svolto in Italia, escludendo il reddito corrispondente ai giorni in smart working all’estero tassati in misura piena.
A mio avviso dovrebbe permanere il principio di cui all’art. 3 ovvero dell’imposizione fiscale sui redditi ovunque prodotti, assumendo i giorni in lavoro agile all’estero solo ai fini della verifica della sussistenza del requisito della prevalenza.
E’ auspicabile un chiarimento da parte dell’Agenzia sul punto per eliminare ogni difficoltà interpretativa da gestire in sede di conguaglio fiscale. Una soluzione possibile potrebbe essere l’ indicazione nelle note della Certificazione Unica di una specifica circa il trattamento applicato o applicabile.

 

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