testo integrale con note e bibliografia

Le tecnologie digitali hanno alterato i contesti organizzativi, modificato i contenuti del lavoro e i profili professionali rendendo la dicotomia autonomia/subordinazione incapace di cogliere le differenti esigenze di protezione del mondo del lavoro post-industriale. Nell’ambito del lavoro autonomo si è infatti accentuata la contrapposizione fra prestatori con redditi medio-alti e altri in posizione di debolezza. Se, quindi, il contratto collettivo ha storicamente rappresentato lo strumento per rimuovere le diseguaglianze di fatto, si comprende la ragione per la quale nel volume recensito, “Contrattazione collettiva e gig economy. Uno strumento tradizionale per nuovi modelli di organizzazione” (Giappichelli, 2022), curato da Miranda Boto e Brameshuber e, nella versione italiana, anche da Loi e Ratti, ci si interroghi sulla possibilità di ricorrere al contratto collettivo per tutelare i lavoratori autonomi in posizione di debolezza che operino nella gig economy. Secondo Gyulavári e Kártyás (“Perché la contrattazione collettiva è una necessità per i lavoratori delle piattaforme e come ottenerla”), infatti, l’ineguaglianza nel potere contrattuale delle parti rappresenta «un deficit democratico interno al rapporto di lavoro che può essere corretto dalla contrattazione collettiva».
Il volume, conclusivo di un progetto di ricerca (“COGENS”) co-finanziato dall’Unione Europea e guidato dall’Università di Santiago di Compostela, con la partecipazione di ricercatori di 17 Paesi, non solo fa emergere in modo efficace le difficoltà sottese all’estensione del contratto collettivo al lavoro non subordinato della gig economy, ma avanza anche proposte per superare tali problematiche traendo ispirazione dalle esperienze nazionali considerate. Per quanto, infatti, i sistemi di contrattazione collettiva siano strettamente legati alle peculiarità nazionali, tanto da rendere complesso l’eventuale trapianto di regole da un ordinamento ad un altro, la natura transnazionale dei problemi posti dalla gig economy sollecita soluzioni sovranazionali.
Scorrendo l’indice è possibile isolare tre principali itinerari di ricerca strettamente intrecciati.
Nel primo si indagano “le fonti di una possibile regolazione” del lavoro su piattaforma, per evitare che in esso si annidino nuove forme di sfruttamento e di sotto tutela.
Nel saggio dedicato a “I confini tra contratti collettivi e legge nella gig economy”, Loi si interroga sulla possibilità che la legge svolga la tradizionale funzione di sostegno «intesa a creare le condizioni per un’autonoma regolamentazione da parte degli attori collettivi» (p. 30). L’Autrice non manca, tuttavia, di sottolineare che in alcuni casi tale fonte ha ostacolato lo sviluppo della contrattazione collettiva, come avvenuto, ad esempio, con riguardo al diritto euro-unitario della concorrenza. Per quest’ultimo, infatti, i contratti collettivi dei lavoratori autonomi sono accordi fra associazioni di imprese restrittivi della concorrenza. Grazie agli orientamenti della Commissione europea alcuni accordi collettivi dei lavoratori autonomi individuali che regolano le condizioni di lavoro sono stati sottratti dal campo di applicazione delle norme in materia di concorrenza (si vedano, al riguardo, i saggi di Kresal, “Contrattazione collettiva per i lavoratori delle piattaforme e Carta sociale europea” e di Gyulavári e Kártyás, “Perché la contrattazione collettiva è una necessità per i lavoratori delle piattaforme e come ottenerla”). Nel suo interessante contributo Kresal contrappone l’approccio della CSE, come interpretata dal Comitato europeo dei diritti sociali, a quello dell’Unione Europea: per la prima, infatti, il contratto collettivo «dà sostanza alla dignità umana» (p. 69) ed è, quindi, un diritto fondamentale, mentre per il secondo gli accordi collettivi degli autonomi non devono apportare restrizioni sproporzionate alle libertà del mercato. Questa soluzione mantiene una sua attualità, nonostante l’art. 28 CDFUE. Sempre con lo sguardo rivolto al livello sovranazionale, nel contributo di Ratti, “La lunga strada verso la regolamentazione del lavoro tramite piattaforma nell’UE”, si individuano gli aspetti problematici e le soluzioni convincenti della proposta di direttiva volta a disciplinare il lavoro tramite piattaforma.
Nel saggio dedicato a “Il ruolo dei tribunali nazionali nella protezione dei lavoratori delle piattaforme: un’analisi comparata”, Prassl, Laulom e Vàzquez si soffermano sulle soluzioni adottate dai giudici nazionali per risolvere i problemi di qualificazione dei rapporti di lavoro resi nell’ambito della gig economy. Per quanto si siano in parte superate le difficoltà di applicare gli indici tradizionali della subordinazione a rapporti di lavoro nei quali la soggezione alla controparte si manifesta in modi diversi dal passato, rimangono lavoratori in posizione di debolezza esclusi dalla roccaforte ben protetta dai diritti del lavoro nazionali.
Infine, Brockmann (“Impegni unilaterali come strumenti alternativi per la definizione di standard di trattamento. L’esempio del Codice di condotta tedesco “Paid Crowdsourcing for the Better”) concentra la propria attenzione su un codice di condotta tedesco il quale, per quanto strumento di soft law, è un esempio virtuoso di regolamentazione che potrebbe rappresentare uno spunto di riflessione per altri sistemi nazionali.
Il secondo itinerario di ricerca individuabile riguarda la possibilità che il contratto collettivo sia uno strumento di tutela per i lavoratori non subordinati della gig economy. Esso comprende parte dei saggi della seconda sezione del volume, intitolata “attori e contenuti”, nonostante questi ragionamenti prendano le mosse già in alcuni contributi della prima parte, in particolare in quelli di Miranda Boto (“Contrattazione collettiva e gig economy: realtà e possibilità”) e di Ratti. Secondo questi ultimi, infatti, il sindacalismo nell’ambito della gig-economy è ancora in una fase embrionale. Questa affermazione è confermata dal contributo di Roşioru (“Il sindacato “smart”: nuove strategie per un mercato del lavoro digitalizzato”), secondo la quale in molti ambiti della gig economy sia le nuove sigle sindacali, sia quelle storiche, stanno ancora elaborando strategie per superare l’isolamento dei lavoratori digitali e riuscire ad aggregarli intorno ad un interesse collettivo. In aggiunta a ciò, in molti casi il movimento sindacale ha difficoltà a identificare una controparte contrattuale, a dimostrazione della mancanza di un elemento fondamentale per poter negoziare collettivamente le condizioni di lavoro: la presenza di un gruppo antagonistico, quale è chi organizza il fattore lavoro.
Vi sono poi contributi con un taglio nazionale incentrati, da un lato, sulle difficoltà che alcuni sistemi, quali quello polacco e turco, stanno incontrando dinanzi al lavoro digitale: nel primo, ai problemi legati alla debolezza dei lavoratori su piattaforma si sommano quelli relativi al collasso del contratto collettivo come strumento di regolamentazione delle condizioni di lavoro (si veda il contributo di Kozak-Maśnicka e Pisarczyk, “L’estensione della portata soggettiva della contrattazione collettiva: un’opportunità per i lavoratori della gig-economy?”); nel secondo, il sistema di contrattazione collettiva decentrato si dimostra incapace di proteggere i lavoratori della gig economy (Yenisey, “Le carenze del modello di contrattazione collettiva nordamericano in relazione ai lavoratori delle piattaforme: la prospettiva turca”). Dall’altra, sulle peculiarità degli accordi collettivi dei lavoratori autonomi in posizione di dipendenza economica del più maturo e meglio funzionante sistema spagnolo indagato da Pérez del Prado (“La dimensione soggettiva della contrattazione collettiva nella gig economy: la prospettiva spagnola”).
L’ultimo itinerario di ricerca si compone di alcuni saggi della seconda parte del volume dedicati al rapporto individuale di lavoro, che ben si coniugano con un ragionamento sulla contrattazione collettiva. Coelho Moreira e Tomšei, infatti, si occupano, rispettivamente, della tutela antidiscriminatoria e delle protezioni contro i “licenziamenti”. Se il riconoscimento della possibilità di astenersi collettivamente rappresenta uno strumento di pressione nei confronti della controparte contrattuale, affinché accetti le condizioni rivendicate dai lavoratori, la tutela antidiscriminatoria per ragioni sindacali e quella contro recessi ingiustificati possono rappresentare anche uno strumento di sostegno all’attività sindacale nella misura in cui impediscono alle piattaforme di trattare in modo deteriore, di escludere o di negare occasioni di lavoro ai prestatori che rivendichino condizioni di lavoro più eque.
Per concludere con una considerazione d’insieme, il volume “Contrattazione collettiva e gig economy. Uno strumento tradizionale per nuovi modelli di organizzazione” può essere paragonato ad un quadro ricco di particolari nel quale passato, presente e futuro si intrecciano per restituire al lettore una visione consapevole delle sollecitazioni alle quali il lavoro è sottoposto a causa dei processi di digitalizzazione.

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