TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
La relazione svolta al XXI Congresso Aidlass, ospitato dall’Università di Messina nel maggio 2024, è stata occasione propizia per Luisa Corazza per sviluppare le riflessioni contenute nel recente volume, edito da Franco Angeli e con prefazione di Silvana Sciarra, direttrice assieme a Franco Liso e Luca Nogler della Collana che lo accoglie.
Il volume si inserisce nel dibattito sul tema del lavoro delle donne, che negli ultimi tempi giuslavoristi e giuslavoriste hanno affrontato per lo più in modo particolare, prestando attenzione - certo non senza aperture sistematiche e sforzi di tessere connessioni - a istituti e tecniche messi in campo dal diritto del lavoro: il diritto antidiscriminatorio e le misure promozionali delle pari opportunità prima di tutto, gli istituti finalizzati all’equilibrio delle responsabilità professionali e familiari e alla protezione della maternità, le misure di incentivo all’occupazione e quelle di sostegno alla genitorialità. 
Corazza attraversa tutti questi aspetti, facendo un bilancio della efficacia delle misure adottate, aprendo piste di indagine, evidenziando la necessità di un approccio multidisciplinare e segnalando l’urgenza di strategie integrate.
Il titolo del volume riassume la tesi sostenuta da Corazza: l’esclusione delle donne dal lavoro e la scarsa qualità delle condizioni del loro lavoro non sono riducibili (solo o soprattutto) a una questione di disparità di trattamento e di opportunità nella relazione individuale di lavoro; esse sono piuttosto le propaggini di un sistema ancestrale patriarcale-colonialista fondato su diseguaglianze sociali e messo in discussione da troppo poco tempo perché le sue radici siano ancora scalfite, con la conseguenza che la partecipazione delle donne al mondo del lavoro e la qualità del loro lavoro finiscono per dipendere prima di tutto da come sono redistribuite le risorse. Occorre perciò «ricucire la cesura tra sfera pubblica e privata» perché possa compiersi quel salto di qualità nella disciplina del rapporto di lavoro che consenta alle donne di recuperare terreno sul piano dell’affermazione di una piena cittadinanza che presuppone la libertà di contribuire al progresso sociale anche con il proprio lavoro.
L’A. giunge alla sua conclusione attraverso una rilettura critica degli istituti che il nostro sistema ha introdotto per contrastare le diverse forme di segregazione delle lavoratrici. 
I primi due capitoli sono dedicati a ripercorrere le vicende del diritto antidiscriminatorio in una prospettiva diacronica e multilivello, per giungere a considerare le più recenti politiche adottate dall’UE per superare il divario retributivo. 
Corazza mette in evidenza i limiti del diritto antidiscriminatorio nel contrasto alla esclusione delle donne dal lavoro: «l’impianto teorico utilizzato per affrontare il tema del lavoro delle donne [è] stato mutuato da un corpo normativo – quello statunitense – pensato per contrastare la race discrimination», ma – prosegue – «il tema del lavoro delle donne [ha] caratteristiche peculiari rispetto a quello della segregazione razziale» che riguarda una minoranza, mentre le donne non sono una minoranza e non sono un gruppo omogeneo per la diversità «delle loro posizioni, idee, aspirazioni, culture». Anche interpretando il concetto di minoranza nella prospettiva del “potere”, il diritto antidiscriminatorio mostra i suoi limiti nel risolvere la questione femminile, che «presenta problematiche del tutto proprie, che coinvolgono più profondi interrogativi culturali». Il tema deve essere affrontato, pertanto, nel più ampio contesto del problema antropologico che sta alla base della società sessuata: «come distribuire, tra i sessi, l’equilibrio tra sfera pubblica e privata, tra lavoro e cura, tra denaro e dono».
Pertanto, secondo l’A.: il diritto antidiscriminatorio deve rimanere saldo nella sua funzione di contrasto alle diseguaglianze che le donne patiscono sul lavoro, prestando attenzione a non disperdere le energie necessarie per perseguire l’obiettivo spostando l’attenzione dalle donne alle identità sessuali multiple o spingendo troppo oltre la natura bidirezionale del divieto di discriminazione fino a giungere a dare protezione agli appartenenti al gruppo sociale dominante o, ancora, privando la nozione di discriminazione dell’elemento comparativo.
L’intreccio della riflessione sul diritto antidiscriminatorio con il pensiero del femminismo intersezionale conduce Corazza a saldare il ragionamento sul diritto antidiscriminatorio con il ragionamento sulle diseguaglianze sociali, mettendo in luce la complessità della questione femminile che oggi include anche la questione dello sfruttamento fra donne, prodotto del capitalismo imperialista che domina le società occidentali e di un certo femminismo neoliberale così ben spiegato da Catherine Rottemberg. 
Il pensiero di Nancy Fraser e quello di Claudia Goldin sono pertanto al centro del III capitolo, che affronta la questione femminile valorizzando la dimensione redistributiva e quella delle politiche pubbliche per uno sviluppo economico sostenibile, misure che poi sono individuate e passate in rassegna nei due capitoli conclusivi: le misure per l’equilibrio fra le responsabilità lavorative e quelle familiari, le misure di sostegno alla genitorialità, le misure di welfare pubblico e quelle allestite dal secondo welfare, la trasparenza come tecnica per contrastare il divario retributivo.
A fronte del quadro normativo così ricostruito, che conduce Corazza alla conclusione che occorre una sinergia di misure di diversa natura per un efficace contrasto alle forme di segregazione delle donne lavoratrici, l’A. non rinuncia, da giuslavorista, a formulare la propria proposta sul piano del diritto del lavoro, individuando due vie da seguire. 
«La prima riguarda la dimensione del rapporto individuale e attiene al nesso tra lavoro e vita privata». Essa presuppone di «leggere i problemi del lavoro con lenti femminili» per «aprire il lavoro alle esigenze della vita», attraverso la rivisitazione di istituti classici come l’orario di lavoro e il potenziamento di istituti più nuovi come il lavoro agile.
La seconda attiene ai «rapporti collettivi» e sfida il sindacato sul piano dei confini della sua azione. Secondo l’A., infatti, essa deve estendersi oltre «i confini della fabbrica e degli uffici (…) per entrare nel più ampio contesto della comunità», dove si annidano le ragioni profonde della segregazione, per incidere sia nella dimensione “macro” (per esempio orientando le politiche industriali del territorio), sia nella dimensione “micro” (per esempio affermando il valore di lavori “scontati” affidati alle donne a fronte di scarse remunerazioni se non a titolo gratuito).
Nelle pagine finali affiora, invero, una domanda cruciale, che un po’ si intuisce fra le righe del testo e che interpella nel profondo il giuslavorista: sono sempre validi i presupposti classici di un diritto del lavoro costruito per un archetipo di lavoratore (maschio, bianco, breadwinner) che è venuto meno?
Dice Corazza: non è solo la «portata trasformativa di una presenza delle donne nel mercato del lavoro che ormai non può più essere considerata accessoria», ma la «profonda trasformazione che il tipo sociale di lavoratore ha subito se osservato in una prospettiva di genere» a mettere in discussione il soggetto del diritto del lavoro. E prosegue: «L’edificazione del diritto del lavoro si è riferita – fin dalle sue origini – ad un modello di lavoratore che non solo era uomo, ma era anche un uomo in grado di contare su una donna cui era delegata la sfera del lavoro non retribuito (…). Orbene, se questo modello non esiste più – perché non ci sono più quell’uomo e quella donna – siamo sicuri che le fondazioni del diritto del lavoro (…) non abbiano subìto incrinature?».
È questo, in fondo, il tema di cui farsi carico per il suo grande potenziale trasformativo, ed è questo il testimone che Corazza consegna con la sua riflessione a lettrici e lettori.

