testo integrale con note e bibliografia
Il bel volume a cura di S. Buoso, D. Castronuovo e N. Murgia ospita diversi lavori dedicati al (non semplice) tema dei rischi professionali derivanti dall’esposizione a sostanze tossiche. 
L’argomento presenta, come noto, un livello di complessità tale da porre notevoli difficoltà per il giurista, che deve fare i conti con una normativa densamente tecnica e talvolta inadeguata a tutelare la salute dei soggetti che lavorano a stretto contatto con agenti chimici nocivi. 
Ebbene, l’impostazione metodologica dell’opera coglie appieno la complessità e la trasversalità del tema oggetto dello studio, mettendone in luce gli snodi più intricati. È sufficiente scorrere l’indice per rendersi conto di come il testo sia il risultato di un mix di metodi d’indagine, che unendo l’analisi giuridica a quella extragiuridica restituisce al lettore una dimensione organica del fenomeno analizzato.
La prima parte del volume offre uno studio del tema condotto attraverso le lenti del diritto del lavoro e del diritto penale.
Da una lettura complessiva degli scritti ivi contenuti emergono diversi aspetti di particolare rilievo sul piano applicativo e sistematico, i quali potrebbero essere succintamente ricondotti, per ciò che interessa in questa sede, a due concetti chiave: “multidirezionalità” del rischio e sostenibilità. 
Quando si parla di multidirezionalità si fa riferimento alla capacità di un rischio di varcare la linea di confine tra “interno” ed “esterno” tracciata dalla regolamentazione vigente, ossia di arrecare un danno non limitato al contesto aziendale ma suscettibile di estendersi anche nell’ambiente circostante. Il caso dell’ex Ilva di Taranto, richiamato diffusamente nel testo, è certamente un esempio paradigmatico della proprietà multidirezionale di alcuni rischi, i quali incidono negativamente tanto sulla salute dei lavoratori impiegati negli impianti siderurgici quanto su quella dei cittadini del capoluogo ionico.
Il concetto di sostenibilità rappresenta, invece, una soluzione virtuosa nel governo dei rischi multidirezionali, in quanto si pone quale paradigma regolativo teso ad apprestare una tutela integrata all’ambiente e agli interessi di tutti gli stakeholder. Una siffatta impostazione è oggi condivisa da un orientamento dottrinale che ritiene possa trovare fondamento sulla base di un’interpretazione estensiva dell’art. 2087 c.c., nonché da un’altra parte della dottrina lavorista, che pur non avallando le conclusioni del predetto orientamento ne condivide le premesse, proponendo de jure condendo la costruzione di una migliore sinergia tra la normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e quella posta a presidio dell’ambiente .
Nell’apertura dell’opera viene chiarito come i suddetti concetti rappresentino lo sfondo teorico entro cui si colloca lo studio condotto. Invero, viene fin da subito messa in luce l’incapacità della disciplina vigente di governare con un approccio olistico la proiezione multidirezionale di determinati rischi, come quelli chimici , nonostante la nuova conformazione degli artt. 9 e 41 Cost. consenta di ritenere espressamente (e definitivamente, aggiungerei) acquisito il valore della tutela ambientale nello statuto valoriale della nostra Carta . Sicché, il rispetto dell’integrità ambientale e del diritto alla salute si pone attualmente, e senza più alcun dubbio, come condizione di legittimità costituzionale dello svolgimento dell’iniziativa economica. Il risultato di questa innovazione è un preciso indirizzo teleologico per la produzione giuridica della contemporaneità, il quale si spera possa portare alla tanto auspicata costruzione di un sistema normativo capace di tenere insieme i pilastri della sostenibilità ambientale e sociale . Appare calzante, in tal senso, la menzione alla direttiva UE 2023/2668 in materia di rischi professionali derivanti dall’esposizione all’amianto . 
I concetti di multidirezionalità e sostenibilità sono declinati – sempre con particolare riguardo ai rischi da esposizione a sostanze chimiche – anche sul piano della gestione partecipata della sicurezza. Essi vengono in particolare rilievo mediante il richiamo alla figura di creazione pattizia del RLSSA , le cui attribuzioni in materia si estendono fino a perseguire gli interessi generali della salute collettiva e dell’integrità dell’ambiente. Si potrebbe affermare, in sostanza, che l’auspicata integrazione tra le politiche di tutela dell’ambiente interno ed esterno, tuttora trascurata dal legislatore, trovi un più ampio riscontro nell’autonomia collettiva. Un approccio siffatto, sebbene possa apparire meritorio, non sembra tuttavia soddisfacente. Invero, l’efficienza di un modello partecipato alla gestione dei rischi per la salute, sicurezza e ambiente presuppone un elevato livello di conoscenza degli attori interessati, specialmente in settori, come quello chimico, ove sono imprescindibili a tal fine delle competenze altamente specialistiche. Le conclusioni proposte riguardo alla necessità di implementare i diritti formativi del RLSSA previsti dalla contrattazione collettiva, anche mediante il ricorso alle più innovative strumentazioni tecnologiche, risultano, pertanto, pienamente condivisibili .
Nella prima parte del testo sono passate in rassegna, inoltre, le criticità operative più rilevanti in materia di tutela previdenziale e risarcitoria di chi contragga una malattia professionale cagionata dall’esposizione a sostanze tossiche. Vengono lucidamente messi in risalto diversi aspetti di particolare interesse, tra i quali: 1) la portata circoscritta della tutela previdenziale apprestata dall’INAIL (sui versanti soggettivo , oggettivo e dell’adeguatezza dell’indennità ); 2) il complesso accertamento del nesso di causalità, accentuato dal carattere multifattoriale di determinate patologie ; 3) il peculiare onere della prova dell’esposizione a sostanze nocive, talvolta divergente rispetto ai criteri tipici della responsabilità contrattuale ; 4) la decorrenza della prescrizione, tra orientamenti giurisprudenziali che propendono nell’individuare il dies a quo nella semplice insorgenza della malattia e altri che, più correttamente ad avviso dell’autore, valorizzano il momento in cui il lavoratore viene a conoscenza della natura professionale della stessa . 
Tale rapsodia di questioni operative restituisce chiaramente il grado di difficoltà che le vittime di tecnopatie incontrano azionando ex post la tutela previdenziale o/e risarcitoria. Un dato interpretabile come una conferma ulteriore – secondo quanto precisato in premessa – della centralità della prevenzione quale unico presidio realmente efficace nel campo della tutela della salute dei lavoratori e della collettività; un modello di tutela che, con particolare riguardo alle peculiarità dei rischi analizzati dal volume , andrebbe ripensato con un approccio olistico, calando nella disciplina di dettaglio la rinnovata composizione tra la tutela dell’ambiente, della salute e del lavoro espressa dalla Carta costituzionale . 
Chiudono la prima parte del volume due scritti che mettono in luce le criticità ravvisabili nell’accertamento della responsabilità penale. Entrambi gli autori evidenziano, in tal senso, una particolare tendenza della giurisprudenza a smarcarsi dai classici criteri di imputazione della responsabilità per soddisfare le istanze di repressione.
Il primo dei due si sofferma, in particolare, sulla giurisprudenza in materia di amianto, nella quale si profilano diversi aspetti problematici sui piani della causalità , dell’individuazione dei soggetti responsabili e dell’accertamento dell’elemento soggettivo . Risulta di particolare interesse quanto rilevato circa l’indebito sconfinamento della giurisprudenza nel campo della logica precauzionale, che determina spesso un’ingiustificata anticipazione dell’intervento penale . 
L’altro scritto, partendo dalle fattispecie criminose di disastro innominato e di disastro ambientale, giunge a meditare sulla tenuta dei principi che orientano la configurazione della responsabilità penale colposa rispetto al carattere multidirezionale di determinate fonti di rischio . Estendere il perimetro delle norme cautelari per intercettare la proiezione verso l’esterno dei rischi conseguenti all’attività d’impresa dilaterebbe oltremodo, secondo l’autore, l’area della responsabilità penale, in aperto contrasto con il principio di personalità. Un approccio siffatto potrebbe chiamare a rispondere, infatti, alcuni soggetti per fatti non propri o comunque non realmente colpevoli . Tali criticità sarebbero ancor più rilevanti nelle organizzazioni complesse, nell’ambito delle quali la distribuzione delle responsabilità tra i diversi attori della compagine aziendale potrebbe complicare ulteriormente l’individuazione del soggetto agente. Secondo l’autore, una soluzione prospettabile per ovviare a tali criticità sarebbe quella di arricchire il novero dei reati presupposto della responsabilità amministrativa dell’ente ex d.lgs. 231/2001 con i reati contro l’incolumità pubblica; tale strategia solleciterebbe altresì l’adozione di modelli di organizzazione e di gestione in grado di responsabilizzare l’ente rispetto alle molteplici sfaccettature dei rischi multidirezionali .
La seconda parte dell’opera, come accennato in premessa, è quella connotata da un maggior grado di multidisciplinarità. Il trait d’union dei vari studi – che conferisce un indubbio valore aggiunto al testo – si ravvisa nell’approfondimento sui rischi chimici nel contesto dei laboratori universitari, arricchito da un’indagine empirica effettuata mediante la somministrazione di un questionario al quale hanno risposto 167 operatori dei laboratori dell’Università di Ferrara.
I risultati del questionario appaiono confortanti rispetto al grado di consapevolezza del personale circa l’esposizione ai rischi chimici, alla ridotta frequenza di verificazione di infortuni, alla soddisfazione per la formazione e le informazioni ricevute nonché sull’adeguatezza dei dispositivi di protezione adottati . 
Ciò nonostante, emergono comunque alcuni profili problematici. Invero, le percentuali dei lavoratori intervistati che hanno riferito di non considerare l’ambiente di lavoro sufficientemente sicuro, di non ritenersi esposti a rischi chimici e di utilizzare i dispositivi di protezione esclusivamente nei casi in cui impieghino sostanze percepite come particolarmente pericolose restituiscono, comunque, la necessità di implementare ulteriormente la cultura della sicurezza nel contesto dei laboratori dell’Università di Ferrara . Analogamente, la percentuale di coloro che hanno manifestato effetti avversi utilizzando solventi chimici, sebbene molto contenuta, indica l’opportunità di elevare la qualità delle misure di prevenzione e protezione adottate .
Gli altri studi confluiti nella seconda parte dell’opera indagano, da diverse angolazioni, il ruolo svolto dalle numerose figure professionali che intervengono nella gestione del rischio chimico nei laboratori universitari.
Grazie a un prezioso intervento dei componenti del SPP dell’Azienda ospedaliero Universitaria e della AUSL di Ferrara, vengono approfondite le particolari metodologie utilizzate dal Servizio di Prevenzione e Protezione per la valutazione dei rischi chimici nel suddetto contesto . 
Allo stesso modo, viene dato risalto ai compiti e alle attribuzioni del medico competente, quale «necessario collaboratore (grazie alle sue conoscenze in ambito tossicologico, clinico ed epidemiologico) del datore di lavoro alla valutazione del rischio chimico prima ancora che come garante della sorveglianza sanitaria…» .
Suscita particolare interesse anche il percorso d’indagine relativo alle peculiarità della normativa che declina l’obbligo di sicurezza nel contesto universitario (d.m. 363/1998) e, in particolare, al Responsabile dell’attività didattica o di ricerca in laboratorio, attore della prevenzione previsto esclusivamente dalla predetta disciplina . Proprio riguardo a tale figura emergono delle importanti difficoltà di raccordo con il d.lgs. 81/08. In particolare, il Responsabile è chiamato a: 1) concorrere alla valutazione espletata dal datore di lavoro circa i rischi delle attività specificamente connesse con la libertà di insegnamento o di ricerca ; 2) collaborare con il datore alla redazione del documento di valutazione dei rischi nonché con il SPP e il medico competente ; 3) identificare tutti i soggetti esposti a rischio all’inizio dell’anno accademico, di una nuova attività o contestualmente a cambiamenti rilevanti dell’organizzazione della didattica o della ricerca . Al Responsabile vengono riconosciuti altresì degli ulteriori obblighi di prevenzione, protezione, informazione, vigilanza e formazione, da adempiere entro il limite delle proprie competenze e attribuzioni . 
Ebbene, alla luce del fitto quadro di obblighi di prevenzione di cui il Responsabile dell’attività didattica o di ricerca in laboratorio è titolare, non sembra affatto agevole determinare se questi possa essere qualificato come dirigente, preposto o addirittura datore di lavoro ai sensi del d.lgs. 81/08 . Pare doveroso, pertanto, un intervento del legislatore teso a chiarire tali dubbi interpretativi, allineando la risalente disciplina adottata con il d.m. 363/1998 al sistema di prevenzione e protezione delineato dal d.lgs. 81/08 . Tale obiettivo potrebbe essere accompagnato anche da una valorizzazione della prassi virtuosa dei sistemi di gestione della sicurezza, come auspicato da autorevole dottrina . 
Da ultimo, viene posta l’attenzione sul ruolo svolto dal medico legale, chiamato a intervenire solo in seguito alla verificazione di un evento dannoso. Gli agenti chimici adoperati nell’ambito dei laboratori universitari sono connotati da un basso livello di tossicità, di talché la casistica di infortuni o decessi è piuttosto circoscritta e di difficile sistematizzazione . Per tale ragione sembra particolarmente opportuno il protocollo medico-legale riportato nell’opera , la cui corretta osservanza potrebbe produrre ricadute positive anche sulla ricostruzione degli antecedenti causali dell’evento e, dunque, sull’accertamento di eventuali responsabilità per la violazione della disciplina in materia di sicurezza .
In definitiva, il percorso d’indagine che si dipana tra le pagine del volume ci consegna una fotografia della complessità del fenomeno analizzato che, non sempre, la regolazione giuridica riesce a intercettare in modo adeguato. Tali aspetti vengono colti lucidamente nelle dense conclusioni di Viscomi, il quale evoca il concetto di sostenibilità quale paradigma regolativo necessario per ovviare a tali criticità, restituendo una posizione centrale al principio personalista sancito dalla Costituzione. In un contesto segnato da profonde crisi e interessato dalle trasformazioni sollecitate dalle transizioni gemelle, l’auspicata adesione al principio dello sviluppo sostenibile renderebbe doveroso un rinnovamento del modo di fare impresa, coniugando le esigenze di competitività con la tutela della persona che lavora, dell’ambiente e della collettività .
Un simile espediente dovrebbe puntare altresì a scongiurare il problema della distorsione dei criteri d’imputazione della responsabilità penale, posti a presidio delle garanzie costituzionali in materia, per soddisfare le istanze di repressione. La sussistenza di tali criticità viene ribadita da Castronuovo, il quale sottolinea come il carattere multidirezionale dei rischi sprigionati dalle sostanze tossiche abbia frammentato le unità aristoteliche di tempo, spazio e azione sulle quali si fonda l’imputazione della responsabilità penale, generando ricadute preoccupanti sul piano delle 
garanzie costituzionali . Sebbene il paradigma regolativo della sostenibilità imponga una significativa riduzione del rilascio di sostanze nocive per l’ambiente e la salute della collettività, tale obiettivo non merita certamente di essere perseguito solo con l’estensione dell’intervento punitivo dello Stato o, peggio, sovvertendo i paradigmi tradizionali del diritto penale, strategia dalla quale non deriverebbero risultati apprezzabili per la tutela delle vittime e della salute collettiva .

