Testo integrale con note e bibliografia

Il tema della libertà in questa lunga pandemia è stato “brandito” in forme molte diverse. Alcune francamente molto sconcertanti per l’individualismo miope che ha accompagnato ad esempio il rifiuto di considerare l’apporto della scienza come un pilastro per sconfiggere il virus e garantire condizioni di normalità alla vita sul pianeta.
La premessa non è casuale: leggendo il libro di Bruno Trentin si coglie una riflessione sulla centralità del valore della libertà di ben altro spessore.
Attorno alla frase “la libertà viene prima” Trentin ha proposto una critica assai stimolante e profonda della contraddizione sempre più evidente che emerge da questo primo scorcio del terzo millennio: la staticità del pensiero politico e sociale nei confronti dei travolgenti mutamenti in atto. Una staticità che diventa subordinazione e che soprattutto impedisce alla sinistra di utilizzare i suoi valori per affrontare le sfide che la rivoluzione tecnologica e la globalizzazione hanno imposto.
Una sua espressione alquanto categorica spiega bene le sue convinzioni ed è per quanto mi riguarda interamente condivisibile: non ci può essere nessun progresso o modernizzazione senza il primato della libertà attraverso il percorso della conoscenza.
Una considerazione che lo porta ad affermare nella introduzione che nel conflitto distributivo che si è manifestato negli ultimi decenni “la vera posta in gioco è stata la libertà”. Ed è sottinteso a parere mio che la ricostruzione di una cultura di sinistra non possa che partire dal presupposto che sia quello il valore su cui puntare e dal quale far discendere le scelte. Non è affermazione da poco se pensiamo all’eredità comunista, ma anche a quella derivante dalla lotta di classe come è stata interpretata dalla Cgil nel passato.
Su un punto però l’analisi di Trentin merita un approfondimento: egli lega il valore della libertà e la esigenza di garantire una autentica dialettica in particolare fra le forze sociali al concetto di autonomia. Osservando la dinamica dei rapporti all’interno della sinistra nei decenni che ci sono alle spalle molto probabilmente sono stati compiuti degli errori di valutazione che andrebbero corretti. Su due piani: uno politico, l’altro sindacale ma entrambi collegati. Quello politico consiste, a mio modo di vedere, nell’enfasi che anche di recente è stata posta dal mondo post-comunista sulla scissione del 1921, quando in realtà si affrontavano visioni massimaliste all’interno dello stesso partito socialista e quelle “riformiste” erano in netta minoranza fino ad arrivare alla costituzione di un partito di cui il Segretario è stato Giacomo Matteotti e al quale avevano aderito personalità come Bruno Buozzi e Sandro Pertini. In realtà si sarebbe dovuto prestare maggiore attenzione al Pci che torna ad essere un protagonista in Italia dopo il 1943 e la cosiddetta “svolta di Salerno” con la quale Palmiro Togliatti propone un’idea di partito molto diversa tanto da contribuire alla approvazione della Costituzione nella quale quei valori di libertà, di distinzione dei ruoli, di rimozione degli ostacoli per riconoscere la dignità della persona e del lavoro, vengono espressi in modo chiaro e intangibile. Ed è da quella svolta, a mio parere, che inizia ad evidenziarsi la questione della autonomia fra forze politiche e sociali, anche se la nascita della Cgil unitaria risente ancora inevitabilmente della forte influenza dei rinascenti partiti antifascisti. Sostengo questa tesi in quanto poi alcuni dei maggiori esponenti comunisti della Cgil affrontarono con coraggio il problema dell’autonomia a cominciare da Giuseppe Di Vittorio per proseguire con Luciano Lama e Bruno Trentin, Sergio Cofferati, naturalmente senza trascurare l’impegno dei dirigenti socialisti collocati nella Cgil e nella Uil. E qui veniamo al secondo errore di valutazione: l’aver enfatizzato oltre misura il valore della “cinghia di trasmissione” esistente fra Pci e Cgil (e, riconosciamolo, con parte del Psi), quando invece proprio dalle pagine del libro di Trentin si evince una cultura della autonomia che è quanto di più lontano si può immaginare rispetto alla cinghia di trasmissione. Il valore dell’autonomia in Lama come in Trentin ed altri dirigenti sindacali comunisti era tale da permettere un dialogo e una collaborazione con le altre anime del sindacato italiano anche se scontava il fatto di avere a che fare con un contesto molto difficile. Il primato dei partiti nel secolo scorso era considerato intoccabile e non solo nel Pci. Lo era anche perché ad essi si affidava la soluzione dei problemi generali del Paese e la salvaguardia della democrazia. Ma ecco che emerge una grande novità: quella del sindacato come soggetto politico autonomo. Una visione dell’identità sindacale che è propria di Trentin come di altri esponenti della realtà sociale già negli anni ’60. Penso alle Acli di Livio Labor, come pure al rinnovamento che viene compiuto nella Cisl e nella Uil. Penso alle forme di unità organica che alla fine degli anni ’60 si impongono in varie categorie sindacali come la Flm, impensabili senza l’affermazione dell’autonomia. In questo senso sbaglia chi considera Trentin un isolato o, più ancora un eretico. Invece si muove in uno scenario sociale nel quale i contributi all’autonomia ed all’unità sindacale giungono da più parti e da mondi che negli anni ’50 apparivano contrapposti. Questa identità autonoma del sociale verrà poi riproposta in modo sempre più evidente quando si affronteranno questioni decisive per la vita del Paese come il terrorismo o la realizzazione di un’Europa sociale. Semmai curioso è il fatto che il testimone di quella stagione ora appare ben saldo nelle mani della Chiesa di Papa Francesco, mentre quella vitalità di un tempo che nasceva dalla realtà sociale stenta ad affermarsi. Ma quelle frontiere sulle quali l’azione sindacali si attesterà con determinazione, offrendo un contributo decisivo sia per il cambiamento che per la difesa delle Istituzioni democratiche testimoniano di un movimento di idee e di azione informato all’autonomia che non permettono di considerare i suoi protagonisti, Trentin incluso, come delle… anomalie. Questa visione è presente in tutto il movimento sindacale, fatta propria anche da alcuni leader sindacali della Cgil creando a tutti, non dimentichiamolo, notevoli sofferenze e grandi ostacoli nel mantenere in piedi l’unità di azione e la possibilità di governare le tensioni sociali. Per questo motivo nelle argomentazioni di Trentin il dato dell’autonomia è di fatto sempre presente anche quando non si esplicita e questa caratteristica non è questione da poco. Essa inoltre si lega strettamente al ragionamento sui diritti che si estende ai problemi aperti della società ed alle misure da applicare per ridurre le diseguaglianze. Una visione dell’impegno nella società che ricorda molto da vicino quel sindacato dei cittadini che la Uil lanciò negli anni ’80. In entrambi i casi non c’è la rinuncia all’azienda o all’ufficio, ma il completamento di un’azione volta a ricostituire una dignità della persona che valesse ovunque. Un altro esempio dal quale si può facilmente dedurre che Trentin non era un isolato. Anche perché dietro questi termini, “eretico”, “isolato”, si nasconde un giudizio che fa dei dirigenti sindacali del tempo passato degli sconfitti. Ed invece da quel lavoro sindacale e da quelle considerazioni si possono ricavare elementi utili per il presente. Ma se dunque quelle idee non hanno perso validità nel tempo, a maggior ragione è fuori luogo parlare di… sconfitti.
Oggi la questione dell’autonomia ha perso significato soprattutto per la debolezza delle forze politiche, mentre ha preso assai più consistenza la prospettiva di un ritorno alla crescita ed alla qualità di essa. Ma proprio questa prospettiva dovrebbe recuperare il senso più proprio dell’autonomia, vale a dire quello di liberare forze, idee e proposte in grado di affrontare le emergenze come pure le tematiche di lungo periodo. Questa modo di essere “ripartenza” è molto presente in Trentin già al tempo dei suoi scritti e si esprime anche nella critica ai comportamenti della sinistra in generale. Ad esempio quando Trentin nota come la sinistra sia rimasta indifesa nei riguardi del liberismo e del nuovo conservatorismo. Una condizione, verrebbe di osservare, che ha contribuito per la sua parte a sfaldare i partiti ed a ridimensionare lo stesso ruolo del sociale.
E c’è da domandarsi se questa “resa” descritta da Trentin non abbia anche determinato un altro grave danno: quella debacle di un pensiero critico che lui annota come una delle caratteristiche più negative degli ultimi anni, incoraggiata dal prevalere dei “social” e dell’affievolimento di confronti reali nel mondo politico e sociale.
Perché mi sembra importante l’aver posto l’accento sulla crescente incapacità ad intervenire criticamente sui problemi che riguardano la società? Si può rispondere con alcune osservazioni di Trentin: intanto osserva giustamente che è mancata (e forse manca ancora) una autonomia culturale nel valutare la rivoluzione tecnologica proprio quando invece “l’informatica espropria il controllo” ed in un certo qual senso impedisce nella società del lavoro che si possa acquisire una conoscenza che vada di pari passo con l’evoluzione tecnologica.
Inoltre, ed è indubbio che ciò sia avvenuto, si afferma e si consolida una assenza di progetto che costringe tutti i soggetti , politici e sociali, a fare i conti con una quotidianità che non può avere il necessario respiro riformatore.
E questo avviene sostanzialmente perché si rischia di perdere contatto con le trasformazioni in atto. Un ragionamento che si trasferisce anche nell’analisi che Trentin compie della crisi di ruolo che l’Europa attraversa.
Sarebbe indispensabile, oggi più che mai, costruire le condizioni per un’unione politica dell’Europa, quanto mai però lontana. Ed a questo proposito la constatazione di Trentin è illuminante quando sostiene che la sinistra è stata (ed è) incapace di fare dell’unione politica europea una “battaglia popolare”.
In realtà poi tutto si riconduce a quell’asse fondamentale costituito dalla considerazione che non c’è libertà senza conoscenza e, diremmo noi, viceversa. Una convinzione che viene da lontano se ricordiamo che Bruno Trentin fu fra gli artefici di una delle maggiori e migliori conquiste contrattuali della Flm, vale a dire le 150 ore. Il connubio libertà-conoscenza del resto affonda le sue radici nelle origini del movimento socialista ed il tempo non ne ha scalfito la validità che ovviamente va aggiornata ad un mondo profondamente diverso da quello del secolo scorso.
Senza la barra nelle mani della libertà e della conoscenza come si potrebbe mai attuare quella strategia che emerge dalle pagine del libro: “prevedere, prevenire, guidare. In questo consiste il governo del cambiamento”. Una indicazione di marcia preziosa che introduce anche un altro elemento tipico della comune esperienza sindacale, ovvero l’affermazione nel concreto del valore della solidarietà.
Secondo Trentin, altro passaggio condivisibile, dignità del lavoratore e libertà della persona non sono mai state, come oggi, la ragione fondamentale di una solidarietà fra diversi. In questa affermazione emerge l’altro termine diffusamente utilizzato nella sua riflessione da Trentin: la persona. Attorno ad essa ruota però una visione dinamica dell’impegno politico e sociale. Il contrario insomma di stagioni all’insegna del trasformismo e delle mode. In primo luogo è forte in Trentin il richiamo ad una azione autonoma del sindacato ma non solo in grado di ridurre la precarietà in quanto vi è un grande sforzo di garantire ai lavoratori, specie ai più giovani, l’uguaglianza delle opportunità. Non essere, cioè, costretti senza speranza di migliorare a lavori ripetitivi, sempre più defatiganti, esclusi in definitiva dalla possibilità di progredire, di cresce professionalmente, di assumere responsabilità ma sempre riconosciute. In questo senso Trentin ritorna ad insistere su un tema che ha avuto una sua storia positiva: l’importanza dei diritti di informazione, quanto mai necessari in tempi incessanti di evoluzione tecnologica. Su questo terreno si capisce che influiscono sul suo pensiero delle resistenze non più ideologiche che impediscono di approdare ad un modello compiuto di partecipazione. La ragione la illustra lui stesso quando descrive l’impresa come un mondo chiuso in se stesso, che ha recuperato potere interno utilizzando flessibilità e precarietà in modo da precludere una reale dialettica nei luoghi di lavoro ed esportare all’esterno i problemi umani e sociali che ne derivano. Il valore di impresa cui guarda Trentin non è allora quello di un mondo autoreferenziale, ma “parte integrante del patto Costituzionale con norme sue proprie” e, aggiunge , lasciando l’ultima parola in fatto di decisioni al management. Semmai c’è da osservare che la centralità dell’impresa oggi risente, fino talvolta ad esserne schiacciata, di una più possente e decisiva centralità del mondo finanziario e delle multinazionali tecnologiche. Ma come si risponde a questo nuovo scenario che si complica, come ben sappiamo, dalla lotta per l’egemonia mondiale fra le grandi potenze, Cina Ed Usa in particolare?
Una suggestione che non va trascurata può venire dagli accenni che Trentin avanza sulla attualità del socialismo. Non lo considera più un modello spendibile, dopo i tanti fallimenti storici, ma può continuare ad essere utile proprio nell’esplorare le migliori soluzioni da dare ai temi della libertà, della dignità del lavoro, della intangibilità della persona. Utilizzando, questo sì, elementi di socialismo già presenti nella vita politica e sociale: pari opportunità, welfare rivisitato ma non abbandonato, il controllo sulla organizzazione del lavoro, la diffusione della conoscenza, solo per citare alcuni capitoli delle sue considerazioni.
Ciò che colpisce di questa ricognizione sui problemi di fondo del mondo del lavoro e della società, è comunque un atteggiamento propositivo, lucido nell’individuare errori e mancanze, ma assai più attratto dalla ricerca di ritrovare un cammino che restituisca equilibro, equità e dignità all’economia ed al vivere civile. Un messaggio prezioso che non andrebbe disperso perché offre a sua volta ampi campi di investigazione e di proposta.

 

Questo sito utilizza cookie necessari al funzionamento e per migliorarne la fruizione.
Proseguendo nella navigazione acconsenti all’uso dei cookie.