TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

Immaginiamo che un’istituzione europea chieda al governo una fotografia dell’attuale assetto delle relazioni industriali italiane. Con buona probabilità, il ministero del lavoro si troverebbe a fotografare una realtà simile a quella che il CNEL, insieme con l’INPS, ben conosce, monitorando continuamente l’evoluzione della contrattazione collettiva in Italia.

I dati più recenti sono i seguenti. La percentuale di incremento dei depositi dei CCNL presso l'archivio CNEL dal 2011 (data del primo protocollo sulla misurazione della rappresentatività – giugno 2011) al 2021 è pari a circa il 170% (il numero di CCNL vigenti - settore privato depositati al CNEL il 1° gennaio 2011 era di 347; il numero di CCNL vigenti - settore privato depositati al CNEL il 19 novembre 2021 è di 933). Con riferimento alla distribuzione dei CCNL si segnalano alcuni settori che sono particolarmente colpiti da questo fenomeno di incremento incontrollato: nel terziario compare circa il 25% del totale (235 CCNL depositati al CNEL); a seguire il settore della sanità/assistenza privata (13%, con 121 CCNL depositati), dei trasporti/logistica (8%, 73 CCNL), dell’edilizia (8%, 71 CCNL), dell’agricoltura (6%, 58 CCNL), dei meccanici (5%, 42 CCNL). Il numero complessivo dei CCNL sottoscritti da CGIL, CISL, UIL a novembre 2021 è di 210. Il numero complessivo dei CCNL utilizzati dall'INPS ai fini dei minimali contributivi (l. 89/1989), nel medesimo periodo, è di 408. Il numero complessivo dei CCNL che non sono sottoscritti da CGIL, CISL, UIL, ma da organizzazioni minori è di 723.

Paradossalmente il settore del terziario, con 235 CCNL depositati, a oggi resta il settore a cui manca ancora la parte applicativa del proprio protocollo sulla misurazione della rappresentatività. Nell’industria siamo in una fase di sperimentazione della misurazione, dove ciò che attiene alla raccolta dei dati elettivi delle RSU è da costruire quasi totalmente. Si attende una forma di sostegno legislativo a tali protocolli, anche in attesa della definizione della direttiva europea sul salario minimo che chiederà all’Italia di dare dimostrazione della copertura contrattuale del 70% per evitare l’introduzione del minimo salariale legale.

In questo contesto prolifera ampiamente il lavoro povero perché c’è una sorta di indiretta “aziendalizzazione” della contrattazione nazionale. Cioè, organizzazioni minori, datoriali e sindacali, stipulano CCNL a basso contenuto protettivo e di costo del lavoro che sono applicati a pochi o a pochissimi datori di lavoro di una certa zona geografica del paese, che operano in certo settore. A voler seguire intenti elusivi, non c’è più bisogno di un contratto aziendale che deroghi in modo incontrollato il CCNL: si può costituire un’organizzazione, stipulare un CCNL al ribasso e farlo applicare a una dozzina di datori di lavoro! Tali organizzazioni sindacali e datoriali, tra l’altro, pubblicizzano senza pudore il social dumping (riduzione del costo del lavoro che si ottiene dal vincolo a quel CCNL) e iniziano a operare a danno dei lavoratori, incidendo sulla competizione al ribasso nell’ambito salariale. Ho dimostrato in una mia ricerca, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati, quale sia il significato giuridico e sociale di questo tremendo fenomeno (M. Faioli, Indagine sulla contrattazione collettiva dell’edilizia e sulle relative istituzioni paritetiche, Giappichelli, 2021).

E’ arrivato il momento di mettere ordine agli archivi pubblici della contrattazione collettiva per procedere nella risistemazione di un affastellamento di contratti collettivi spesso disorganico e senza collegamento interoperativo tra pubbliche amministrazioni e tra i tanti archivi pubblici di CCNL già esistenti. Il CNEL, nel 2019, osservando le esperienze di altri paesi occidentali, aveva lanciato l’idea di un codice unico dei CCNL, con contestuale archiviazione digitale ordinata e univoca che poteva divenire utile per tutte le pubbliche amministrazioni, e il legislatore ha colto l’occasione per attuare tale idea. L’art. 16 quater, d.l. 76/2020, l. conv. 120/2020 (cd. decreto semplificazioni), dispone che il contratto collettivo nazionale, identificato mediante un codice unico alfanumerico per tutta la PA, sia indicato nelle comunicazioni obbligatorie di cui al d.lgs. 297/2002 e nelle trasmissioni mensili di cui al d.l. 269/2003, l. conv. 326/2003. Tale codice viene attribuito dal CNEL, secondo criteri stabiliti d'intesa con il Ministero del lavoro e l'INPS. Tale norma è frutto dell’iniziativa legislativa del CNEL (si v. il DDL 1232/2019 – incardinato presso il Senato della Repubblica). Il 6 dicembre 2021 si è tenuta al CNEL la conferenza stampa di presentazione dell’operatività di tale sistema (Circ. INPS 170/2021).

L’ispettorato nazionale del lavoro, con una serie di circolari, mettendo in rilievo ciò può derivare da una specie di shopping della contrattazione, ha cercato di definire un metodo di comparazione qualitativa e quantitativa tra istituti contrattuali per permettere, durante le verifiche aziendali, una rilevazione ragionevole delle pratiche elusive o irregolari. Ma ciò non basta in ogni caso: se non si dispone di una base di dati affidabile, qualunque lavoro ispettivo sulla corretta applicazione di CCNL è contestabile, tenendo presente che la misurazione della rappresentatività delle parti sociali è ancora in una fase di parziale applicazione. Di qui il CNEL ha chiesto e ottenuto un sistema unico, trasparente e accessibile, di deposito e codificazione dei contratti sottoscritti dalle organizzazioni. Tale sistema è un passo verso la semplificazione dell’archiviazione per fini di certezza pubblica. È in via di consolidamento una piattaforma digitale nella quale i firmatari effettuano, una tantum e secondo una procedura condivisa ai fini di certezza del diritto, il deposito dei CCNL, con un minimo di elementi conoscitivi, tra i quali l'esatta indicazione delle organizzazioni firmatarie nonché delle confederazioni di riferimento.

La necessità di introdurre un codice unico dei CCNL muove, dunque, da una esigenza pratica rilevata dalle parti sociali. L’esigenza pratica è relativa alla situazione disorganica delle relazioni industriali italiane che l'archivio nazionale dei contratti collettivi di lavoro, istituito ex l. 936/1986, fotografa da qualche anno. Il DDL del CNEL derivava da una fase sperimentale, attuata da qualche anno dal CNEL con l’INPS. Essa si è realizzata mediante la collaborazione un riordino delle rispettive informazioni per la costituzione di un primo nucleo di un'anagrafe comune dei contratti collettivi. CNEL e INPS avevano iniziato a collegare, già da qualche anno, i relativi sistemi di codifica/archiviazione dei CCNL. Ciò ha confermato l’intuizione del CNEL, la quale si è successivamente tradotta nel DDL CNEL del 2019 e nell’art. 16 quater del decreto semplificazioni.

L’archivio CNEL già permette oggi una classificazione dei CCNL in relazione alle attività economiche di cui al sistema statistico nazionale (codici ATECO). In particolare, studiando l’attuale sistema di archiviazione, frutto della sperimentazione CNEL/INPS di questi ultimi anni, si notano una serie di aspetti molto positivi (aggiornamento continuo delle schede CCNL; classificazione dei CCNL in tredici ri economici; ricostruzione storica dei testi contrattuali tempo per tempo vigenti; ricodificazione con l’allineamento ai codici contratto dell’INPS; collegamento dei CCNL ai codici ATECO-ISTAT, etc.). Già oggi l'INPS assegna un proprio codice ai CCNL per funzioni istituzionali di definizione dei minimali retributivi di contribuzione.

Facciamo qualche esempio. L'art. 1, co.1, del d.l. 338/1989, l. conv. 389/1989, stabilisce che la retribuzione da assumere come base imponibile per il calcolo dei contributi non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito dai contratti collettivi. L’art. 2, co. 25, l. 549/1995, chiarisce inoltre che, in caso di pluralità di contratti collettivi nella medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria. L’art. 44, co. 9, d.l. 269/2003, l. conv. 326/2003, ha avviato il processo che si attua nel flusso denominato UNIEMENS, raccogliendo a livello individuale per ogni lavoratore le informazioni retributive e contributive riferite ai CCNL selezionati dall’INPS. Ora, dall’introduzione del regime di cui all’art. 16 quater del decreto semplificazione, l’insieme delle comunicazioni, dei flussi obbligatori e dei relativi riferimenti ai CCNL applicati per ciascuna posizione professionale sarà determinato non più da una disordinata e plurima codificazione/archiviazione dei CCNL ma bensì da un’unica banca dati. Il che rappresenta, da una parte, il modo più pratico per risolvere una serie di incongruenze che, nei fatti, lasciano spazio a irregolarità e, dall’altra, di prendere atto degli effettivi dati sui fenomeni elusivi. Ci si troverà di fronte a uno scenario finalmente proattivo: l’attuazione delle regole sui minimali contributivi, il flusso UNIEMENS, le comunicazioni obbligatorie, etc. saranno vincolate al codice unico dei contratti collettivi, con l’effetto che da parte della pubblica amministrazione sarà rilevabile e tracciabile nel tempo, con maggiore facilità, data la digitalizzazione dell’archivio e la definizione alfanumerica, il contratto collettivo a cui si vincola il datore di lavoro e, dunque, le conseguenti tutele applicabili ai lavoratori

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