testo integrale con note e bibliografia

A inizio ottobre scorso la Prof.ssa Claudia Goldin è stata insignita per Premio Nobel per l’Economia 2023 per “aver migliorato la nostra comprensione sugli esiti del mercato del lavoro femminile”. È il primo Nobel per gli studi di genere, cui la Goldin si dedica dall’inizio della sua carriera professionale conducendo una minuziosa analisi storica del gender gap e delle sue evoluzioni negli ultimi duecento anni di storia degli Stati Uniti; arrivando alla conclusione, che le differenze di genere sono una delle più gravi cause di disuguaglianza sociale e costituiscono un tema centrale per l’economia. Affermazione la cui validità ha ottenuto un unanime internazionale riconoscimento con l’attribuzione del prestigioso premio.
La stessa al ricevimento del Nobel ha dichiarato che la sua vittoria rappresenta il “culmine” di anni di “importanti cambiamenti” verso la parità nel mondo dell’economia, tradizionalmente dominato dagli uomini.
Nata a New York nel 1946 Claudia Goldin è una rinomata accademica presso l’Università di Harvard – dove, nel 1990, è stata la prima donna a ottenere una cattedra a tempo indeterminato e pieno nel Dipartimento di Economia -, ed è codirettrice del Gruppo Gender in the Economy dell’NBER (National Bureau of Economic Research).
I suoi lavori sono caratterizzati da una prospettiva di genere della storia e dei fenomeni economici, che ha indagato con approccio originale rispetto ai canoni tradizionali. In un suo saggio ha scritto: “Ho sempre desiderato essere una detective e alla fine ce l’ho fatta”, ed in effetti i suoi studi sono stati definiti una “ricerca pionieristica”, per l’approfondita e dettagliata raccolta di dati con metodi innovativi di analisi, che ha condotto a risultati incontrovertibili e rilevanti sul piano economico e politico.
Nell’anno accademico 2013-2014, quale Presidente dell’American Economic Association, ha tenuto un famoso discorso intitolato “A Grand Gender Convergence: Its Last Chapter” (Una grande convergenza di genere: l’ultimo capitolo), teorizzando cosa servirebbe per raggiungere l’uguaglianza di genere sul lavoro; e nel suo ultimo libro (2021) “Career & Family: Women’s Century-Long Journey toward Equity” (Carriera & famiglia: il viaggio secolare delle donne verso l’uguaglianza), ha tracciato la storia della disparità di genere quale naturale conseguenza della disuguaglianza nella coppia eterosessuale (“Non avremo mai l’uguaglianza di genere finché non avremo anche l’equità di coppia”)- e ha illustrato l’impatto della pandemia sulle carriere delle donne.
Tra i suoi studi più noti c’è quello sui processi di selezione non neutrali, dal titolo “Orchestrating impartiality: The impact of “blind” auditions on female musicians” (Orchestrare l’imparzialità: l’effetto delle audizioni ‘cieche’ sulle donne musiciste). Il lavoro ha considerato l'assunzione di musicisti professionisti nelle orchestre sinfoniche americane, con variazioni nel tempo delle procedure di selezione: inizialmente le selezioni avvenivano davanti ad una giuria; a partire dagli anni ’70, sono state introdotte audizioni “al buio”, in cui candidati suonano dietro un paravento. I risultati mostrano che con la selezione “cieca” le donne hanno maggiori probabilità di essere scelte, confermando che in precedenza lo svantaggio femminile era dovuto a un atteggiamento discriminatorio. Osservazione che ha portato la studiosa a ritenere che la discriminazione di genere indica un trattamento diverso tra uomini e donne non motivato da caratteristiche legate alla loro produttività. Da qui la diffusione negli Stati Uniti e nel Regno Unito di accorgimenti per abbattere l’influenza dei pregiudizi inconsapevoli nella selezione di candidati, mediante il c.d. blind recruitement (reclutamento cieco), che comporta la presentazione di CV anonimi, senza indicazione del genere dei candidati, ma anche talora del luogo di nascita e delle scuole frequentate.
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Secondo la Prof.ssa Goldin l’aumento della partecipazione delle donne al mondo del lavoro è una delle trasformazioni principali dell’ultimo secolo, con un forte impatto sull’economia.
I suoi studi l’hanno portata ad affermare che l’evoluzione dell’occupazione femminile nel tempo ha avuto un’evoluzione a U - U-shaped curve : elevata nel periodo pre-industriale, in cui le donne erano massicciamente impegnate nel lavoro agricolo; diminuita nel periodo dell’industrializzazione, quando conciliare famiglia e lavoro fuori casa diventava difficile; cresciuto nell’epoca post-industriale per effetto della domanda nei servizi, del progresso tecnologico, del maggiore investimento delle donne nell’istruzione, ma anche dalla diffusione della pillola anticoncezionale.
Sul legame tra la pillola contraccettiva e l’aumento del livello di istruzione e di occupazione femminile la Goldin insiste molto, a causa dell’impatto della nascita dei figli sulla differenza di retribuzione tra i sessi: uno dei suoi studi empirici dimostra che le carriere degli studenti MBA di sesso maschile e femminile di una prestigiosa università americana sono simili sino a quando i laureati diventano genitori; alla nascita del primo figlio, tuttavia, le traiettorie di guadagno iniziano a divergere ("child penalty"), e con l’aumento del numero dei figli il divario cresce in modo esponenziale .
Secondo la Goldin, gli oneri di cura familiare spiegano quasi interamente le differenze salariali tra uomini e donne nei Paesi ad alto reddito, poiché determinano le donne a lavorare part-time e ad avere interruzioni di carriera, il che incide negativamente sul loro percorso professionale e sulla loro capacità reddituale.
Quanto alle difficoltà e lentezze nel superamento della diseguaglianza di genere, dipendono dal fatto che “le aspettative delle giovani donne sono basate sulle esperienze delle generazioni precedenti - per esempio, su quelle delle loro madri, che non sono tornate a lavorare finché i figli non sono cresciuti” -, determinandole ad assumere decisioni lavorative “secondarie”, adattate alle scelte del partner, considerato il lavoratore per eccellenza e la principale fonte di reddito familiare. Da qui la necessità di una “rivoluzione silenziosa” (“The Quiet Revolution”) , che faccia saltare i vecchi modelli sociali e culturali e imponga un nuovo ruolo femminile, sdoganato dai tradizionali compiti di cura, nei quali la dimensione lavorativa faccia parte del patrimonio identitario delle donne così come degli uomini.
Orizzonte, identità, decisione, sono i tre concetti che per il premio Nobel esprimono la relazione tra lavoro e genere e la sua evoluzione nel tempo: più le prospettive di uomo e donna si avvicinano, più si riduce il gap. In sostanza, le donne più investono in istruzione assumendo un orizzonte di carriera a lungo termine, più assumono la professionalità e il lavoro come parte della loro identità e del loro patrimonio personale ineliminabile, e non alternativo alla formazione di una famiglia - come da sempre fanno gli uomini -, più assumono un ruolo di primo piano nell’economia e nella politica.
Altro suo tema degno di nota è quello del “fattore tempo e lavoro avido”: c’è uno stretto nesso tra ore lavorate e divario retributivo tra i sessi. Il lavoro oggi è sempre più assorbente, richiede disponibilità e reperibilità continua, e secondo la Goldin le aziende sovente premiano in modo sproporzionato i dipendenti con orari di lavoro prolungati. In un siffatto contesto per le donne, che a causa dei compiti di cura familiare hanno meno tempo e maggiore esigenza di prevedibilità degli orari di lavoro rispetto agli uomini, è molto più complicato fare carriera e avere guadagni elevati.
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Nell’ultimo secolo la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è dunque cresciuta in modo rilevante e rappresenta una dei principali nuovi fenomeni sociali. Tuttavia, ancora oggi nel mondo a fronte di un’occupazione maschile dell’80%, solo il 50% delle donne lavorano; inoltre, quelle che lavorano sono pagate meno degli uomini – di media il 13% in meno nei Paesi Ocse – e raramente arrivano ad assumere posizioni apicali.
La sensibilità su questa problematica e le sue concrete implicazioni in tema di giustizia sociale, diritti umani, prosperità economica, è molto cresciuta, tanto che il raggiungimento dell’uguaglianza di genere è l’obiettivo (“goal”) n. 5 dell’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Tale contesto ha certamente favorito l’attribuzione del Nobel a Claudia Goldin, da intendersi non solo come riconoscimento del suo lavoro di studiosa, ma anche del fatto che il gender gap è un tema centrale – così nobilitandone lo studio, sinora considerato di nicchia e riservato alle donne - sia per comprendere le trasformazioni sociali e combattere le disuguaglianze, sia per l’economia: secondo l’ILO ridurre del 25% entro il 2025 il divario occupazionale uomo-donna farebbe crescere di 5.300 miliardi di dollari il PIL mondiale.
Non è, dunque, solo una questione di equità, ma anche di prosperità, progresso ed efficienza, perché se le donne non partecipano al mercato del lavoro si perdono talenti e competenze, ma anche una sensibilità e prospettiva di genere che presta attenzione alla conciliazione vita-lavoro e favorisce l’adozione di misure che incentivano il lavoro femminile. Non per nulla è stata una donna, appunto la Goldin, che ha condotto per la prima volta un’analisi storica ed economica “al femminile”, e, come recita il comunicato ufficiale sull’assegnazione del Nobel, ha “fornito il primo resoconto completo sui guadagni e sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro nel corso dei secoli e ha svelato le cause del cambiamento e le principali fonti del divario di genere che ancora esiste”.
Istruzione e formazione, condivisione dei ruoli e dei compiti di cura all’interno della coppia, flessibilità, misure di welfare e buone prassi sul posto di lavoro , sono le ricette su cui fare leva per consentire il superamento del gap, a vantaggio dell’economia, della società, e del singolo individuo.
Equità, benessere e prosperità possono coincidere, basta volerlo.

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