testo integrale con note e bibliografia

1. Premessa
Come noto, whistleblower, letteralmente “soffiatore del fischietto” : è un’espressione di derivazione anglosassone che indica colui che segnala la presenza di irregolarità, la violazione di norme, la commissione di illeciti, frodi ai danni o ad opera dell’organizzazione/amministrazione privata o pubblica presso la quale il primo presta la propria attività lavorativa.
Il termine è stato in seguito mutuato dagli ordinamenti giuridici moderni per designare un apparato di norme volto a favorire la segnalazione di illeciti di cui i lavoratori siano venuti a conoscenza all’interno dell’ambiente lavorativo.
Nello specifico, il whistleblowing è volto a contrastare i fenomeni corruttivi e la perpetrazione di illeciti che possano ledere gli interessi pubblici o l’integrità dell’ente privato/amministrazione pubblica. L’istituto opera anzitutto ex post, consentendo di portare alla luce irregolarità interne alle organizzazioni datoriali pubbliche o private, laddove i sistemi di controllo non siano stati in grado di garantirne la correttezza dell’operato. Si tratta infatti di una normativa che promuove la rivelazione di informazioni che altrimenti rimarrebbero nell’ombra, con conseguente tangibile danno per la comunità. Ne è dimostrazione empirica il fatto che i più grandi scandali che hanno incendiato la cronaca mondiale negli ultimi decenni siano stati denunciati da dipendenti delle organizzazioni coinvolte: da LuxLeaks ai Panama e Paradise Papers, da WorldCom a Enron, tanto per citare alcune dei molteplici episodi che si sono verificati in passato .
Inoltre, come dimostrato da studi condotti sulla normativa americana - di cui si dirà più diffusamente nel prosieguo della presente trattazione - il whistleblowing costituisce anche un mezzo di prevenzione che opera ex ante. La presenza di un sistema di segnalazione effettivo e funzionante all’interno delle organizzazioni funge da deterrente rispetto alla futura commissione di illeciti, promuovendo in tal modo la cultura della prevenzione e della legalità negli ambienti di lavoro.
La necessità di predisporre una disciplina efficace che favorisca il rispetto della legalità e incentivi la segnalazione degli illeciti emerse già nel 2017- 2018, a seguito di alcuni sondaggi e stime condotti a livello europeo .
I dati raccolti, già allora, misero in evidenza una realtà preoccupante: l’81% dei cittadini europei, che risposero all’indagine Eurobarometro 2017, dichiarò di non aver denunciato eventi corruttivi di cui era stata/o vittima o testimone ; analogamente, l’85% di coloro che risposero alla consultazione pubblica condotta della Commissione Europea del 2017 affermò che i lavoratori denunciano raramente o molto raramente situazioni potenzialmente minacciose o dannose per l’interesse pubblico .
Tali preoccupazioni rimangono attuali: l’Eurobarometro del 2022 ha evidenziato che il 68% dei cittadini europei ritiene che la corruzione sia ancora diffusa nel proprio paese .
Come noto, l’Unione Europea ha risposto a queste istanze tramite l’adozione della Direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2019 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione . Tale normativa ha ricevuto recente attuazione anche in Italia con il D. Lgs. 10 marzo 2023, n. 24 .
Seppur meritevole nell’intenzione, il nuovo sistema normativo adottato dall’Unione Europea prima, e messo in atto dagli Stati membri poi, è, ad avviso di chi scrive, di dubbia efficacia nella pratica. Difatti, il corpus di norme che disciplina il whistleblowing ha introdotto esclusivamente meccanismi di tutela del segnalatore contro possibili atti ritorsivi adottati dal datore di lavoro, senza tuttavia predisporre quei sistemi di incentivi alla segnalazione, che hanno riscosso enorme successo applicativo negli ordinamenti giuridici esteri, come ad esempio quello americano.
Invero, come evidenziato nel prosieguo del presente scritto, proprio la presenza di incentivi economici a favore dei whistleblowers ha reso la normativa straniera efficace strumento di promozione della legalità e di lotta contro gli illeciti e i fenomeni corruttivi.
Nel contesto rappresentato, la presente analisi, lungi dal voler esaminare in maniera esaustiva la disciplina in materia di whistleblowing, si propone di indagare in un’ottica comparata le esperienze giuridiche degli Stati ove l’istituto ha trovato vasta applicazione, al fine di comprendere le ragioni che hanno condotto al successo dello stesso e valutare le principali prerogative che gli Stati dovrebbero porsi in futuro per favorire e migliorare concretamente l’efficacia della disciplina legislativa in materia.
2. L’assenza di sistemi premiali nella normativa europea ed italiana
La normativa europea e italiana sul whistleblowing si fondano su un duplice assunto:
(i) i whistleblowers svolgono un ruolo strategico nella prevenzione e nell’emersione dei fatti illeciti, data la vicinanza all’organizzazione pubblica o privata per la quale prestano l’attività professionale-lavorativa;
(ii) i potenziali whistleblowers sarebbero poco inclini a segnalare eventuali illeciti per il timore di essere destinatari di atti ritorsivi, tra i quali l’interruzione del rapporto di lavoro .
Sulla scorta di tali premesse, l’obbiettivo al quale tende la direttiva europea è la predisposizione di una disciplina unitaria volta a tutelare efficacemente i whistleblowers contro gli atti ritorsivi: tale protezione è il mezzo unico ed esclusivo scelto dal legislatore europeo ed italiano per garantire una effettiva e proficua segnalazione degli illeciti.
La normativa non considera tuttavia le motivazioni personali che spingono l’informatore ad effettuare la segnalazione. Ad avviso di chi scrive, tali motivazioni andrebbero prima analizzate, tenendo anche conto degli effetti ritorsivi che la segnalazione di un illecito può produrre, e poi asservite al fine di rendere maggiormente efficace la disciplina europea e nazionale.
Nel settore privato più che in quello pubblico, nonostante le tutele apprestate a favore del whistleblower, la segnalazione può comportare effetti pregiudizievoli per la carriera professionale dell’informatore e sanzioni così incisive da mettere in pericolo la stessa sopravvivenza dell’organizzazione datoriale . Conseguentemente, il whistleblower potrebbe trovarsi nella situazione di aver perso l’occupazione e di essere difficilmente ricollocabile nel mercato del lavoro .
Uno studio americano pubblicato negli anni ’90 ha portato alla luce le conseguenze che il whistleblowing può causare sul segnalatore. Lo studio evidenziava che la grande maggioranza dei whistleblowers avrebbe subito ritorsioni a seguito della segnalazione, più della metà avrebbe patito danni economici e uno su dieci avrebbe sofferto disturbi fisici o depressivi .
Appare scontato a questo punto domandarsi perché un lavoratore, venuto a conoscenza di un possibile illecito endosocietario, dovrebbe segnalarlo ed accusare l’organizzazione datoriale e/o uno o più colleghi/superiori gerarchici, essendo pienamente consapevole dei notevoli pregiudizi anche economici che potrebbe subire?
La risposta che sembra aver permeato l’impianto della normativa europea e italiana si rinviene nei concetti di morale ed etica, che dovrebbero spingere il whistleblower a fare “ciò che è giusto” . Secondo la ricostruzione operata nella normativa vigente, l’informatore dovrebbe possedere un senso morale tale da spingerlo a segnalare una eventuale situazione di illiceità di cui sia venuto a conoscenza durante lo svolgimento della propria attività professionale. Un simile sentimento di giustizia, morale ed etica, supportato da un adeguato sistema di tutele contro eventuali conseguenze pregiudizievoli causate dalla segnalazione, dovrebbe essere sufficiente a rendere efficace l’intero impianto normativo.
Altri ordinamenti giuridici, invece, ripongono meno fiducia nella morale comune e nei doveri etici propri di ogni individuo appartenente ad una comunità organizzata di cui dovrebbe voler tutelare il benessere e, pertanto, predispongono un vero e proprio sistema di incentivi che possano fungere da contrappeso rispetto agli effetti pregiudizievoli causati dalla segnalazione dell’illecito.
L’impianto classico dei sistemi incentivanti moderni si fonda sul riconoscimento di una ricompensa economica: in particolare, l’idea è che l’informatore che ha segnalato l’illecito alle autorità competenti abbia diritto a vedersi riconosciuta una parte della multa o delle somme recuperate dalle autorità giudiziarie dall’organizzazione responsabile dell’illecito.

3. L’esperienza anglosassone
Nel mondo anglosassone, le radici dei sistemi incentivanti volti a favorire il whistleblowing risalgono al XIV secolo : i privati cittadini potevano segnalare all’autorità giudiziaria - tramite lo strumento processuale delle qui tam - gli atti illeciti commessi a danno degli interessi pubblici al precipuo scopo di ottenere (i) ristoro per il danno subito dall’illecito o (ii) una ricompensa in denaro per la segnalazione effettuata (i c.d. “common informers”) .
I common informers erano esclusivamente motivati dalla prospettiva di guadagno e non dalla necessità di ottenere un risarcimento per il danno subito .
Per tale ragione venivano considerati quali “bounty hunters”, e proprio poiché mossi da finalità lucrative venivano giudicati con disprezzo e sfiducia dalla società del tempo.
L’accezione negativa attribuita ai whistleblowers risale ai tempi dell’antica Grecia e dei sicofanti, accusatori di professione, e a distanza di millenni non risulta ancora del tutto superata .
In ogni caso, appare chiaro come, sin dalle origini dell’istituto in esame, l’ordinamento inglese avesse conferito un ruolo centrale all’interesse personale che muove il whistleblower, attribuendogli un vero e proprio riconoscimento giuridico.
Il modello delle qui tam è stato ereditato da tutti gli stati dell’Unione a seguito della guerra di indipendenza dal Regno Unito, e ha trovato nel territorio americano il suo più ampio sviluppo ed utilizzo, al punto che il modello è ad oggi presente esclusivamente nell’ordinamento giuridico statunitense e non più in quello inglese .
Nell’era moderna, la disciplina anglosassone del whistleblowing ha trovato la propria sistematica e strutturale collocazione nel Public Interest Disclosure Act del 1998 (“PIDA”) .
L’impianto normativo è completato dall’Employment Rights Act del 1996 (“ERA”), che incorpora le norme in tema di whistleblowing e raccoglie le principali disposizioni in materia di lavoro nell’ordinamento inglese .
Ad oggi, nel Regno Unito non esiste più un sistema di remunerazione vero e proprio del segnalante. Il PIDA attribuisce agli informatori il diritto di chiedere la reintegra nel posto di lavoro o un indennizzo per il licenziamento ingiustificato come conseguenza diretta delle rivelazioni fatte. Il risarcimento non è soggetto a nessun limite legale altrimenti applicabile al caso di unfair dismissal . Inoltre, il whistleblower può adire il Tribunale del Lavoro competente al fine di ottenere una compensation per i danni alla carriera o il disagio mentale o emotivo nell’aver effettuato la segnalazione .
Nel 2014, la Financial Conduct Authority (“FCA”) e la Prudential Regulation Authority (“PRA”) hanno pubblicato una nota per il Treasury Select Committee nella quale dichiararono di ritenersi contrari all’introduzione di incentivi finanziari per gli informatori che lavorano nei settori da loro regolamentati . In tale nota, la PRA ha sottolineato come l’introduzione di incentivi sia stata accompagnata dall’implementazione di strutture governative complesse e costose e da ingenti spese legali. Inoltre, secondo la FCA e la PRA non esisterebbero prove empiriche che dimostrino che gli incentivi economici portino a un aumento del numero e della qualità delle segnalazioni fatte alle autorità regolamentari .
Benché anche il Governo inglese si fosse dichiarato contrario all’introduzione di sistemi premiali a favore dei whistleblowers nel 2014, in tempi più recenti sembra che l’orientamento stia mutando. Infatti, dal 2017 abbiamo potuto constatare l’introduzione di nuovi sistemi di incentivazione economica a favore degli informatori.
Nel 2017, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato inglese (Competition and Markets Authority “CMA”) ha introdotto, nell’ambito della campagna “Cracking Down on Cartels” , un sistema premiale per i whistleblowers. In particolare, per incentivare le segnalazioni, è previsto che gli informatori possano ricevere fino a un massimo di 100.000 sterline di ricompensa per aver denunciato un’attività di cartello illegale.
Negli anni 2020/2021, l’HMRC ha versato quasi 400.000 sterline di ricompense per i privati che abbiano segnalato frodi fiscali, comprese le frodi relative ai regimi di sgravio COVID-19 .

4. L’esperienza statunitense
Nell’ordinamento statunitense non esiste una normativa organica in tema di whisteblowing.
Vige al contrario, un sistema di tutele frammentato a livello statale e federale, e disomogeneo tra i diversi settori dell’ordinamento. I sistemi legislativi presentano tuttavia un filo conduttore, un vero e proprio trait d’union nella maggior parte dei settori di competenza, rappresentato dagli incentivi economici a favore del whistleblower, che viene generalmente “ricompensato” per la segnalazione con una parte delle multe inflitte al suo ex datore di lavoro. 
La parcellizzazione della normativa ha radici prettamente storico-economiche. In particolare, lo sviluppo della normativa in materia è stato il risultato di un repentino e progressivo emergere di noti casi di frode e illeciti, che hanno danneggiato nel corso di numerosi decenni le istituzioni e l’economia statunitense. Per tale ragione, la disciplina è stata di volta in volta estesa a un numero crescente di settori ed è stata oggetto di molteplici modifiche.
Nel prosieguo della trattazione, attesa l’impossibilità di esaminare tutte le singole legislazioni statali, verranno illustrate le caratteristiche della legislazione federale in materia, comune per tutti gli stati.
Il primo provvedimento legislativo che ha disciplinato il whistleblowing a livello federale risale al 1863: il False Claims Act (“FCA”) noto anche come Lincon Law, dal nome Presidente americano che ne fu un convinto sostenitore .
Il FCA fu adottato allo scopo di osteggiare le frodi attuate ai danni del Governo dell’Unione negli anni della guerra civile. La normativa prevedeva la possibilità per il segnalatore di avviare un’azione giudiziaria direttamente contro l’ente o la persona ritenuta responsabile della frode, seguendo il modello delle qui tam action . L’azione veniva promossa dal whistleblower - definito “relator” - in nome e per conto del Governo federale contro il presunto responsabile e quest’ultimo poteva essere condannato alla reclusione o ad una sanzione pecuniaria e al ristoro integrale dei danni causati per effetto dell’illecito . Il soggetto legittimato attivo della norma in esame era il relator, che poteva essere un qualunque cittadino americano, cui sarebbe staro riconosciuto fino al 50% delle somme recuperate tramite l’azione giudiziaria, oltre al rimborso integrale delle spese legali sostenute.
A seguito dalla sua entrata in vigore, il FCA subì molteplici modifiche, tra le quali spicca l’emendamento del 1986, che incrementò la misura del compenso da corrispondere al segnalatore. In particolare, il FCA prevede in favore degli informatori il pagamento di una percentuale compresa tra il 15% e il 30% delle somme complessivamente recuperate dal Governo a seguito della condanna o dell’eventuale settlement (i.e. accordo transattivo) raggiunto con il colpevole .
Il FCA si è dimostrato uno strumento più che efficace per contrastare la commissione di frodi e illeciti : basta analizzare qualche dato per comprenderne appieno la portata.
Secondo quanto annunciato il 7 febbraio 2023 dal Dipartimento di Giustizia a partire dal 1986 - anno in cui il Congresso ha rafforzato in modo sostanziale il FCA incrementando gli incentivi per i whistleblowers - le somme recuperate ammonterebbero oggi a oltre 72 miliardi di dollari complessivi, con soglie annuali che attualmente superano i 2 miliardi . In base ai dati riportati dal Dipartimento di Giustizia, dei 2,2 miliardi di dollari di risarcimenti e condanne riscossi dal Governo nell’anno fiscale 2022, oltre 1,9 miliardi di dollari derivano dalle 652 cause (qui tam) intentate da whistleblowers. Nello stesso periodo, il Governo ha versato oltre 488 milioni di dollari ai segnalatori che hanno smascherato frodi e illeciti .
Nel periodo 2000-2011 la tutela del Whistleblowing si è rafforzata in svariati settori dell’ordinamento, come dimostrano le ben quattordici normative federali approvate a protezione ed incentivo dei segnalatori .
A titolo esemplificativo, nel 2002 fu adottato a livello federale il Sarbanes-Oxley Act (“SOX”) , che rientra nelle disposizioni normative che regolano i mercati finanziari. Tale legge è stata adottata in risposta ai notori scandali di WorldCom ed Enron , che hanno avuto effetti devastanti sui mercati finanziari statunitensi, creando ostilità e sfiducia nei confronti delle grandi aziende e del Governo . Il SOX tutela i whistleblowers che segnalano le violazioni di norme o regolamenti sottoposti alla giurisdizione della Securities and Exchange Commission (“SEC”) , o qualsiasi disposizione di legge federale relativa alle frodi ai danni degli azionisti.
Il SOX non prevedeva ab origine previsioni specifiche in tema di incentivi per gli informatori, ma si limitava a fornire protezione sul posto di lavoro ai whistleblowers colpiti da atti ritorsivi in ragione della denuncia effettuata . La normativa attuale prevede, invece, ricompense per i dipendenti che segnalano le violazioni del SOX alla SEC .
In particolare, il Dodd Franks Wall Street Reform and Consumer Protection Act (“Dodd Franks Act”) del 2010, completa il programma di rafforzamento della lotta alle frodi e agli illeciti nei mercati finanziari americani. Anch’esso si inserisce all’interno del novero delle normative adottate in risposta agli scandali finanziari verificatesi tra il 2007 e il 2008, e amplia la tutela offerta ai whistleblowers del settore finanziario o bancario che segnalano violazioni delle norme sottoposte alla giurisdizione della SEC.
L’impianto normativo introdotto dal Dodd Franks Act riconosce ai whistleblowers il diritto a ricevere una somma compresa tra il 10% e il 30% delle sanzioni civili comminate dalla SEC . Rispetto al FCA, il Dodd Franks Act non segue il modello delle qui tam action: il whistleblower può esclusivamente segnalare le informazioni a sua conoscenza ed attendere l’esito dell’azione amministrativa o giudiziaria promossa dalla SEC. Al termine del procedimento, la SEC determinerà discrezionalmente l’ammontare del reward - nelle misure previste ai sensi di legge - valutando l’effettiva portata delle informazioni fornite e la loro utilità ai fini della condanna del colpevole .
Un altro significativo ed efficace sistema premiale a favore dei whistleblowers venne istituito dal Dodd-Frank Act in seno alla Commodity Futures Trading Commission (“CFTC”) . La norma prevede infatti incentivi economici a favore di coloro che segnalano possibili violazioni del Commodity Exchange Act, normativa che regola i mercati finanziari di derivati statunitensi. La CFTC corrisponde al whistleblower un award pari a una percentuale compresa tra il 10% e il 30% dell’importo delle sanzioni pecuniarie effettivamente riscosse .
Dall’emissione del primo premio nel 2014, la CFTC ha riconosciuto circa 330 milioni di dollari ai segnalatori. Ad oggi, le somme recuperate grazie alle segnalazioni ammontano ad un totale di oltre 3 miliardi di dollari.
Infine, senza pretese di esaustività nella disamina della prolifera disciplina americana in materia, appare altresì utile menzionare la normativa sui whistleblowers che segnalano frodi fiscali all’Internal Revenue Service (“IRS”) . Anche in tale caso è previsto un incentivo economico per un ammontare complessivo tra il 15% e il 30% dei proventi raccolti grazie alla segnalazione fornita dall’informatore.
I numerosi studi condotti sulla normativa americana in materia hanno riportato che gli incentivi finanziari aiuterebbero a smascherare gli illeciti, compensando gli informatori per la loro perdita di reddito e per gli altri danni anche psicologici derivanti dalla segnalazione .
Secondo uno studio del 2010 condotto da Dyck, Morse e Zingales, riguardante il settore sanitario, che ricade sotto l’applicazione del False Claims Act, è emerso che il 46,7% degli illeciti è stato segnalato dai dipendenti delle aziende.
Questo dato è in contrasto con il 16,3% dei casi denunciati dai dipendenti di altri settori nei quali manca un sistema premiale a favore del segnalante .
Alla luce di quanto precede, è evidente che l’inserimento di incentivi finanziari all’interno di un sistema normativo rappresenti il migliore e più efficace strumento ad oggi presente a livello legislativo per incentivare il lavoratore a effettuare la segnalazione.

5. L’introduzione nell’ordinamento italiano di un sistema premiale in favore dei whistleblowers
A ben vedere, l’idea di istituire un sistema di incentivi premiali era già stata caldeggiata sia in Italia sia dalle Istituzioni dell’Unione Europea.
In particolare, già nel 2012, la Commissione per lo studio e l’elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione affermava la necessità di introdurre sistemi premiali a favore dei whistlebowers: “Muovendo dalle sollecitazioni internazionali la Commissione ritiene necessario, in analogia con regimi in vigore in altri Paesi (ad esempio negli Stati Uniti d’America), che sia introdotta, accanto alla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti, un sistema premiale che incentivi le segnalazione. Il sistema proposto si basa sulla corresponsione di una somma di denaro parametrata in termini percentuali a quella oggetto di recupero a seguito della sentenza di condanna della Corte dei conti per danno all’erario o danno all’immagine” .
Successivamente, sulla scorta di quanto indicato dalla menzionata Commissione, la previsione di incentivi economici era stata inserita nelle prime versioni del disegno di legge, poi approvato con L. n. 179/2017.
Segnatamente, l’emendamento 1.60 all’art. 54-bis comma 8-bis indicava: «Qualora si riveli fondata la segnalazione da parte del dipendente, allo stesso sono riconosciute forme di premialità, anche in relazione alla valutazione della professionalità secondo i rispettivi ordinamenti, da definirsi in sede contrattuale. In ogni caso, ai segnalanti che denuncino reati o irregolarità che comportino un danno erariale, ovvero comportino il recupero da parte dello Stato di somme conseguenti agli accertamenti o alla condanna definitiva, è attribuita, in parti eguali, una somma di denaro, a titolo di premio, di importo compreso tra il 5 ed il 15 per cento della somma in questione. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro dello sviluppo economico, sono emanate, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le norme regolamentari per l’attuazione di quanto disposto dal presente comma» . Tuttavia, la versione finale del testo di legge non ha più fatto menzione ad alcun incentivo premiale.
Inoltre, anche il legislatore europeo aveva riconosciuto agli Stati membri la possibilità di introdurre incentivi finanziari a favore dei whistleblowers, prima nel regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato) e successivamente anche nel regolamento (UE) 2017/1129 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, relativo al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di titoli in un mercato regolamentato .
Nonostante queste prime aperture alla strutturazione di sistemi premiali in favore degli informatori, tanto la Direttiva (UE) 2019/1937 quanto la legge di recepimento italiana (D.lgs. 24/2023) non includono alcuna previsione al riguardo.
Le motivazioni giuridiche sottese alla mancata inclusione di incentivi finanziari in favore dei whistleblowers potrebbe rinvenirsi nelle radici del nostro ordinamento ed in particolare nel principio “Nemo locupletari potest cum aliena iactura” . Il brocardo esclude la possibilità per un soggetto di arricchirsi per effetto della disgrazia (né, a monte, di un illecito) altrui. Alla base vi è il principio immanente negli ordinamenti di civil law secondo il quale ciascuna attribuzione patrimoniale necessità di una causa, di una giustificazione.
Pertanto, appare ragionevole domandarsi se possa ritenersi che l’incentivo finanziario previsto in favore del whistleblower sia realmente privo di giustificazione, nonostante le evidenze empiriche ad oggi a nostra disposizione.
Sul punto diversi studi hanno dimostrato che le normative tese a proteggere i whistleblowers non garantirebbero un’efficace tutela degli stessi contro tutti gli atti ritorsivi, posto che alcuni di tali atti si manifestano sovente in forme subdole e non facilmente denunciabili .
Tali studi dimostrano che il benessere dei whistleblowers e la loro salute mentale sono messi in pericolo dalla possibile esclusione da posizioni lavorative di rilievo svolte precedentemente alla denuncia, e come le organizzazioni utilizzino i sintomi della sofferenza causata per screditarli di fronte all’opinione pubblica e svilire il contenuto delle loro denunce.
Secondo un recente studio , solo nel 20% dei casi l’azienda non compie alcun atto ritorsivo nei confronti di un dipendente che effettua una denuncia.
Infatti, in più di un terzo dei casi i dipendenti vengono licenziati, circa il 16% di tutti i whistleblowers sono vittima di molestie, circa il 10% subisce minacce e circa il 6% è soggetta a demansionamento.
A fronte di questi dati, gli ordinamenti giuridici nazionali dovrebbero adottare un approccio complementare, prevedendo, accanto alle tutele contro atti ritorsivi, un sistema di incentivi monetari. Dato l’elevato costo pagato dai whistleblowers, vi sarebbero valide ragioni per riconsiderare l’incentivo finanziario non come una “ricompensa” o un “premio”, bensì come un “indennizzo” per la potenziale perdita di capacità reddituale e per i danni alla salute psico-fisica che possono derivare dall’effettuazione della segnalazione.
L’idea di un indennizzo è stata anche caldeggiata dalla Direttiva (UE) 2019/1937 ai considerando 94 e 95. Secondo il legislatore europeo, infatti, i sistemi giuridici statali “dovrebbero garantire un risarcimento o un indennizzo reale ed efficace, in modo proporzionato al danno subito e dissuasivo” . È evidente che l’indennizzo previsto dalla Direttiva segue i canoni aurei del risarcimento del danno, prima sofferto, poi specificamente provato e quantificato nel suo preciso ammontare da parte di chi ne chiede ristoro.
Tuttavia, atteso che gli atti ritorsivi vengono attuati anche in forme subdole e non facilmente accertabili, non tutti i danni causati dall’effettuazione della segnalazione potrebbero trovare un effettivo ristoro ex post. Sul punto, il rischio di probatio diabolica è elevato. Infatti, il dipendente dovrebbe essere in grado di fornire precisi elementi di prova circa la sussistenza delle condotte datoriali perpetrate nei suoi confronti nonché offrire una quantificazione precisa del danno subito. A ciò si aggiunga, il timore di affrontare ingenti spese legali senza la certezza di ricevere alcun riconoscimento economico.
Verrebbe a questo punto spontaneo domandarsi se non sarebbe opportuno predeterminare il quantum dell’incentivo finanziario in modo tale da porre il dipendente nella certezza di ottenere un somma che possa controbilanciare gli effetti pregiudizievoli evidenziati dai menzionati studi così da eliminare sul nascere ogni timore legato alla segnalazione.
A supporto della predisposizione di una normativa efficace in materia di whistleblowing, e quindi inclusiva di sistemi premiali, non milita solo l’evidenza empirica dei dati riportati, ma anche i grandi benefici economici che potrebbero derivarne per il nostro ordinamento. Uno studio europeo condotto nel 2017 ha analizzato questi benefici e ha, in particolare, stimato i vantaggi economici derivanti della protezione degli informatori negli appalti pubblici, settore fondamentale per l’economia di uno Stato. Tale studio, realizzato per conto della Commissione, ha evidenziato come una normativa completa e ben attuata in materia di whistleblowing in Italia consentirebbe potenzialmente di individuare capitali illeciti negli appalti pubblici per un valore complessivo compreso tra 3,3 e 5,5 miliardi di euro all’anno e che i fondi pubblici potenzialmente recuperabili nel settore di riferimento ammonterebbero a 596,8 - 994,7 milioni di euro all’anno .
Nonostante le evidenze scientifiche inducano gli ordinamenti moderni a considerare l’introduzione di tali sistemi, sarebbe d’altro canto un errore ignorare il contesto culturale in cui si collocherebbero tali meccanismi. L’attuazione di una simile politica nel nostro paese richiederebbe un cambiamento di paradigma nell’ordinamento giuridico e nella prospettiva culturale. Proprio i dictat culturali sono raramente superati dall’analisi dei dati statistici.
L’implementazione di un sistema del genere in Italia incontrerebbe probabilmente l’opposizione di coloro che sono ancorati alle attuali convenzioni culturali. Come accennato nel paragrafo 2 che precede, in Italia le critiche a tali sistemi vengono mosse in primis dal punto di vista etico-morale, e vengono ben espresse da autorevole dottrina: “il dubbio è che identificare il rimedio all’opacità organizzativa soprattutto negli incentivi economici ai whistleblowers non istituzionali finisca per assecondare, anzi “istituzionalizzare”, la medesima logica opportunistica che è alla base della perpetrazione degli illeciti che si vorrebbe portare alla luce” .
Ampliando l’orizzonte a prospettive diverse rispetto a quelle etico-morali e più pragmatiche, le principali critiche mosse nei confronti dei moderni programmi di incentivazione finanziaria muovono dall’assunto secondo cui tali sistemi motiverebbero i dipendenti a presentare alle autorità accuse infondate con enorme dispendio di risorse sia per le autorità sia per le imprese accusate . Inoltre, coloro che osteggiano l’adozione di tali sistemi sostengono che questi programmi incentiverebbero i dipendenti a condividere informazioni direttamente con le autorità , rendendo inefficaci i canali interni di segnalazione, che invece dovrebbero essere preferiti, in quanto le aziende sarebbero in grado di valutare con maggiore efficacia le segnalazioni nel contesto della loro attività.
A tutte queste critiche è stata data una risposta specifica tramite uno studio condotto nel 2021 da Dey, Heese e Pérez-Cavazos , i cui risultati supportano l’idea secondo cui i sistemi premiali incentiverebbero le segnalazione. I dati raccolti smentiscono le critiche di chi afferma che maggiori incentivi finanziari per gli informatori comporterebbero principalmente azioni legali prive di merito. Inoltre, dai risultati non emerge che maggiori incentivi finanziari comporterebbero la diminuzione della percentuale di cause denunciate internamente prima di informare le autorità, come sostenuto dai critici.
6. Conclusioni
In conclusione, sebbene le misure anti-ritorsione possano costituire un valido strumento per evitare che i lavoratori siano intimiditi e costretti al silenzio, i dati emersi dagli studi menzionati ci inducono a ritenere che la protezione dagli atti ritorsivi non sia sufficiente a concedere efficacia al sistema di segnalazione.
La semplice protezione degli informatori dai pregiudizi subiti sul posto di lavoro, o il risarcimento dei danni ex post, non parrebbe motivare efficacemente le persone a effettuare le segnalazioni.
Come denotano gli studi internazionali esaminati, il timore del whistleblowing può incoraggiare l’osservanza delle norme di legge e scoraggiare la commissione di illeciti. La minaccia che i lavoratori possano denunciare irregolarità all’esterno del contesto aziendale può aumentare la qualità e la quantità delle autodenunce da parte delle società stesse. Le aziende sarebbero incentivate a fornire informazioni alle autorità competenti prima che i loro dipendenti denuncino l’irregolarità, in una sorta di corsa alla segnalazione prima che si chiuda la finestra per l’autodenuncia volontaria.
Alla luce di tutto quanto sopra, vi è da domandarsi se i dati empirici raccolti siano sufficienti a mettere in discussione le preoccupazioni etico-morali che sono alla base dell’attuale assetto normativo.
Per rispondere a questo interrogativo sarebbe necessario comprendere quale sia il reale obiettivo del legislatore: quello di valorizzare il senso etico-morale o quello di evitare che vengano commessi illeciti nocivi per la collettività.
Probabilmente, un approccio più pragmatico come quello americano potrebbe rispondere efficacemente alle esigenze rappresentate e costituire una valida soluzione.

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