testo integrale con note e bibliografia

1. La legge, le sue finalità e l’approccio attoriale.
La legge 15 maggio 2025, n. 76 si prefigge esplicitamente l’obiettivo di attuare l’art. 46 cost. e, quindi, di realizzare l’impegno della Repubblica a riconoscere il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione.
In realtà, fin dall’art. 1, appare chiaro che il legislatore non corrisponderà alla sua promessa, mirando, piuttosto a “rafforzare la collaborazione tra i datori di lavoro e i lavoratori” e ad “allargare e consolidare i processi di democrazia economica e di sostenibilità delle imprese”, in una prospettiva volontaristica che rimette alla contrattazione collettiva e/o all’esercizio unilaterale delle prerogative imprenditoriali/datoriali la realizzazione di varie forme di partecipazione, queste sì, elencate e definire, seppur sommariamente o tautologicamente, dalla Legge.
Per ben due delle quattro forme, infatti, il legislatore ricorre al termine “partecipazione” per dotare di significato la partecipazione stessa, rispetto “ai profitti e ai risultati dell’impresa, anche tramite forme di partecipazione al capitale, tra cui l’azionariato” (partecipazione economia e finanziaria) e “che avviene attraverso l’espressione di pareri e proposte sul merito delle decisioni che l’impresa intende assumere” (partecipazione consultiva).
Nelle rimanenti forme, utilizza, in un caso, l’espressione, costituzionalmente qualificata, di “collaborazione dei lavoratori” ma alle “scelte strategiche dell’impresa” (partecipazione gestionale”); nell’altro, la locuzione “coinvolgimento dei lavoratori”, di chiara matrice euro-unitaria, “nelle decisioni relative alle varie fasi produttive e organizzative della vita dell’impresa” (partecipazione organizzativa”).
Al di là delle considerazioni di carattere generale circa la corrispondenza tra obiettivo teorico e contenuti concreti, pare rilevante sottolineare che, per ben tre delle forme, “collaborazione”, “partecipazione” e “coinvolgimento” si riferiscono ai “lavoratori” e solo per la rimanente ovvero quella “consultiva”, la Legge omette la specificazione, limitandosi ad affermare che essa “avviene attraverso l’espressione di pareri e proposte”. I “lavoratori”, quindi, e non i loro rappresentanti, sono al centro della dinamica attoriale, così come, d’altronde, previsto dall’art. 46 cost. ma anche, almeno in prima battuta, dall’art. 27 CDFUE, che a loro riconosce la garanzia dell’informazione e della consultazione, e, persino, dall’art. 28 CDFUE, rispetto al “diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi” e di ricorrere ad azioni collettive, compreso lo sciopero.
Sull’altro versante, l’attore evocato è l’impresa o, con meno enfasi, il datore, anche in questo caso, senza riferimenti alle loro formazioni collettive, in quasi perfetta simmetria con l’art. 46 cost. (“aziende”) e con i già citati art. 27 e 28 CDFUE (quest’ultimo, però, “datori di lavoro”). A fronte dello schematismo dell’apparato definitorio (art. 2), la Legge disegna, invece, una parte attoriale decisamente variegata e, spesso, non dicotomica, di frequente, anzi, resa unitaria dal rinvio, condizionante, alla contrattazione collettiva, come strumento di attivazione delle varie forme partecipative, o a organi bilaterali, quali ‘luoghi’ della partecipazione.
Attori, strumenti e ‘luoghi’ delle varie forme di partecipazione costituiranno, dunque, il prisma di osservazione e analisi della legge nei paragrafi che seguono.

2. Gli attori della partecipazione e le loro caratteristiche.
Data lo loro notevole diversità, l’analisi verrà condotta con riferimento a ciascuna forma di partecipazione, cercando, poi, in sede di conclusioni, di individuare alcune tendenze comuni.
La forma maggiormente pregnante, non a caso affrontata per prima nell’articolato della Legge, è la “partecipazione gestionale”, esclusiva della società per azioni, dato il riferimento operato dagli art. 3 e 4 al sistema dualistico (art. 2409-octies ss. cod. civ.) e a quello monistico (art. 2409-sexiesdecies e ss. cod. civ.) di ‘gestione’ dell’impresa.
Nel primo, è la contrattazione collettiva a poter disciplinare la partecipazione di uno o più rappresentanti dei lavoratori dipendenti al consiglio di sorveglianza e regolare le modalità di loro individuazione. Si tratta, quindi, di una iniziativa congiunta delle parti negoziali, da assumersi, considerata l’assenza di specificazioni da parte dell’art. 3, nella parte obbligatoria di un contratto collettivo nazionale, territoriale o aziendali, stipulato da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o, per il livello aziendale, dalle loro RSA o dalla RSU.
In presenza di un simile intervento da parte della contrattazione collettiva, l’impresa ovvero la società che adotti il sistema duale, può prevedere la partecipazione di uno o più rappresentanti dei lavoratori dipendenti, secondo quanto indicato dal contratto collettivo applicato o applicabile.
L’attivazione della “partecipazione gestionale” è, quindi, doppiamente condizionata: all’intervento della contrattazione collettiva e alla determinazione della singola impresa. I suoi protagonisti sono i rappresentanti dei lavoratori al consiglio di sorveglianza (art. 3) ma anche il rappresentante dei lavoratori che aderiscono ai piani di partecipazione finanziaria (art. 3 comma 3), così come individuati dai contratti collettivi. La loro natura, dunque, non è predeterminata dalla Legge, la quale, attraverso un complesso sistema di rinvii, insiste, però, sulla loro indipendenza, non escludendo, tuttavia, almeno ex professo, che essi possano essere “legati alla società o alle società da questa controllate o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita”. È di tutta evidenza, però, che se il concetto di indipendenza viene declinato in senso assoluto, come assenza di contatti diretti con la società, l’interpretazione sistematica porterebbe a escludere la compatibilità del vincolo di subordinazione con la presenza nel consiglio di sorveglianza, esclusa, peraltro, dall’art. 2409-duodecies comma 10 lett. c), non richiamato, però, espressamente, dall’art. 3.
Spetterà alla contrattazione collettiva sciogliere il nodo interpretativo e decidere se privilegiare la dimensione sindacale della rappresentanza, adottare una soluzione di mezzo che consenta a tutta la forza lavoro di esprimere i rappresentanti o optare per una sorta di ‘terzo canale’ ma anche ‘canale terzo’, il quale, privilegiando l’indipendenza, faccia cedere la scelta su soggetti altri rispetto ai lavoratori e ai loro rappresentanti.
Nel caso in cui l’impresa adotti il sistema monistico, la legge attribuisce, ancora una volta, alla contrattazione collettiva la prerogativa di prevedere la partecipazione di uno o più amministratori rappresentanti gli interessi dei lavoratori al consiglio di amministrazione e, se istituito, al comitato per il controllo sulla gestione, ma non di regolare le loro modalità di individuazione, affidata, direttamente, ai lavorati stessi. Nel sistema monistico, però, il meccanismo dei rinvii esclude (così, dal combinato disposto dell’art. 2409-septiesdecies e dell’art. 2399 cod. civ.) che possano essere nominati amministratori coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale. Simili rapporti ne comprometterebbero, infatti, ancora una volta, l’indipendenza, intesa quale garanzia dell’interesse sociale rispetto a quello dei lavoratori. Non è un caso che gli amministratori, in generale, non possano assumere incarichi direttivi, qualora non già ricoperti nella medesima impresa, entro il termine di tre anni dalla cessazione del mandato. A nostro avviso, nel sistema monistico, si è in presenza di una ipostatizzazione del ‘terzo canale’/’canale terzo’ di rappresentanza, affidata a soggetti portatori dell’interesse dei lavoratori ma necessariamente esterni ad esso.
Anche nel caso del sistema monistico, i protagonisti della partecipazione gestionale risultano, quindi, gli amministratori rappresentanti gli interessi dei lavoratori nel consiglio di amministrazione e, eventualmente, nel comitato per il controllo sulla gestione.
Nella “partecipazione economica e finanziaria”, il sistema attoriale risulta decisamente più semplice, consistendo nelle parti della contrattazione collettiva aziendale o territoriale, la quale può prevedere la distribuzione ai lavoratori dipendenti di una quota degli utili di impresa, la quale può adottare i piani di partecipazione finanziaria dei lavoratori dipendenti e, laddove la società adotti il sistema duale e ne preveda la partecipazione al consiglio di sorveglianza, dal già citato rappresentante dei lavoratori che aderiscono ai piani di partecipazione finanziaria.
La compagine attoriale torna a complicarsi nella “partecipazione organizzativa”, governata dall’impresa, la quale può promuovere l’istituzione di una commissione paritetica, composta “in eguale numero” da rappresentanti suoi e dei lavoratori, finalizzata “alla predisposizione di proposte di piani di miglioramento e di innovazione dei prodotti, dei processi produttivi, dei servizi e dell’organizzazione del lavoro” (art. 7). L’approccio minimalista e scarsamente sistematico del legislatore, non consente di distinguere o di sovrapporre con certezza questa commissione paritetica a quella “per la partecipazione consultiva”, così definita, invece, espressamente, dall’art. 9 comma 2. Tuttavia, proprio quest’ultimo riferimento puntuale porterebbe a ritenere che si tratti di due commissioni paritetiche diverse, la prima delle quali dovrebbe, quindi, chiamarsi commissione paritetica per la partecipazione organizzativa, titolare esclusiva della prerogativa di elaborare i già menzionati piani di miglioramento e innovazione (arg. ex art. 10 comma 5).
Laddove istituita, la commissione paritetica assume una funzione attoriale fondamentale per la realizzazione della partecipazione organizzativa. Anche in questo caso, però, il legislatore non afferma né esclude la natura sindacale dei rappresentati dei lavoratori, lasciando all’impresa la decisione sul tema. A meno che non si affermi la presenza di un’unica commissione e si applichi anche a quella dell’art. 7 la previsione dell’art. 9 comma 2, espressamente riferita, però, alla commissione paritetica per la partecipazione consultiva, secondo la quale i contratti collettivi definiscono la composizione delle commissioni paritetiche.
Rimane, poi, da chiarire il ruolo dei referenti della formazione, dei piani di welfare, delle politiche retributive, della qualità dei luoghi di lavoro, della conciliazione e della genitorialità nonché dei responsabili della diversità e dell’inclusione delle persone con disabilità, quali attori della partecipazione organizzativa. Da questo punto di vista, la Legge non va oltre la promettente rubrica dell’art. 8, la quale li qualifica come “soggetti di riferimento della partecipazione organizzativa”. Si dovrà, quindi, attendere l’intervento ‘declaratorio’ della contrattazione collettiva aziendale, eventuale ma, comunque, necessario per l’inserimento di dette figure nell’organigramma della singola impresa.
Da ultimo ma non certo in ordine d’importanza del panorama attoriale, occorre sottolineare il richiamo agli enti bilaterali, attraverso i quali le imprese possono favorire forme di partecipazione organizzativa dei lavoratori non specificate nella natura, nella struttura e nella funzione ma ragionevolmente riconducibili a quegli enti per tutte queste caratteristiche.
Ancora più numerosa si presenta la compagine attoriale nella “partecipazione consultiva”, coinvolgendo, in primo luogo, le parti della contrattazione collettiva di qualsiasi livello, alla quale viene attribuita la prerogativa di regolare la composizione delle commissioni paritetiche per la partecipazione consultiva nonché le sedi, i tempi, le modalità e i contenuti della consultazione, potendo, peraltro, prevedere condizioni di miglior favore rispetto a quelle legali.
Il secondo attore protagonista è l’impresa che applica il contratto collettivo, obbligata a costituire la commissione paritetica, laddove prevista dal contratto collettivo stesso. L’impresa, al termine della procedura di consultazione, con riferimento ai temi ivi discussi, può dare avvio alla definizione congiunta, nell’ambito della o delle commissioni paritetiche, a seconda dell’interpretazione che si preferisce, di piani di miglioramento e di innovazione.
Estremamente problematica, data la scarsa chiarezza del testo, risulta essere la fase di convocazione della commissione. Da un lato, infatti, “il datore di lavoro convoca la commissione paritetica (…) mediante comunicazione scritta, trasmessa anche tramite posta elettronica certificata”; dall’altro “la consultazione ha inizio entro cinque giorni dal ricevimento dell’istanza di convocazione”. Nella prima frase, il datore di lavoro sembra disporre di un potere libero di convocazione; nella seconda, emerge, invece, la necessità di una attivazione da parte di un soggetto altro rispetto al datore, il quale, alla luce della prima affermazione, non ne avrebbe bisogno. Inoltre, l’istanza alla quale dare seguito in cinque giorni, renderebbe obbligato, da parte del datore, l’esercizio del potere di convocazione, degradandolo ad atto dovuto. Lo stesso avverrebbe, di conseguenza, per la seconda convocazione, da effettuarsi entro trenta giorni dalla chiusura della procedura “al fine di illustrare il risultato della consultazione e i motivi dell’eventuale mancato recepimento dei suggerimenti proposti nel parere della commissione paritetica”.
Dalla soluzione di questa spinosa questione interpretativa dipende l’attribuzione del ruolo di protagonista al datore o alla commissione paritetica, rimanendo, comunque, da chiarire se l’istanza debba pervenire dalla commissione nella sua composizione bilaterale o anche dai soli rappresentanti dei lavoratori che la compongono.
Una volta convocata, quale che sia la soluzione preferita, la commissione paritetica assume, comunque, un ruolo centrale nella realizzazione della partecipazione consultiva. E lo stesso può dirsi dei rappresentanti dei lavoratori che la compongono, i quali possono presentare, in sede di consultazione, un parere scritto, da allegare al verbale della procedura. Gli stessi componenti posso rivolgersi alla Commissione nazionale permanente in caso di controversie interpretative in ordine alle modalità di esecuzione delle procedure, ovvero di presunte violazioni delle stesse.
Dall’analisi testuale dell’art. 9 comma 1, un ruolo solo marginale sembra poter essere attribuito, nella “partecipazione consultiva”, alle titolari dei diritti di informazione e consultazione (RSU e RSA), le quali possono essere preventivamente consultate in merito alle scelte aziendali nell’ambito della commissione paritetica. La medesima marginalizzazione colpisce i rappresentanti dei lavoratori, le strutture territoriali degli enti bilaterali di settore, destinatari della consultazione in assenza di quelle.
Tuttavia, proprio il richiamo alle RSU/RSA come soggetti consultabili nell’ambito della commissione pare avvalorare l’interpretazione secondo la quale i rappresentanti dei lavoratori che la compongono non abbiano natura sindacale.

3. Gli strumenti e le procedure della partecipazione.
Tanto chiarito, almeno si auspica, rispetto alla dimensione attoriale delle varie forme di partecipazione, risulta più agevole riflettere sugli strumenti e le procedure della stessa.
Per quanto riguarda la “partecipazione gestionale”, il ruolo fondamentale è svolto dal contratto collettivo e dallo statuto della società. Il primo, infatti, nel sistema duale, può disciplinare la partecipazione di uno o più rappresentanti dei lavoratori dipendenti al consiglio di sorveglianza e regolare le loro modalità di individuazione; il secondo, può concretamente prevederla. Lo stesso può dirsi del sistema monistico, con la differenza che il contratto collettivo può, sì, disciplinare la partecipazione di uno o più rappresentanti dei lavoratori dipendenti al consiglio di amministrazione e/o, eventualmente, al comitato per il controllo sulla gestione, ma non regolare le loro modalità di individuazione che avviene mediante elezione da parte dell’assemblea.
Nella “partecipazione economica e finanziaria”, gli strumenti fondamentali risultano essere il contratto collettivo aziendale, che può distribuire ai lavoratori dipendenti di una quota degli utili di impresa, e la determinazione imprenditoriale/datoriale, la quale può prevedere piani di partecipazione finanziaria dei lavoratori dipendenti.
La “partecipazione organizzativa” ruota, evidentemente, sui cardini della determinazione imprenditoriale/datoriale unilaterale, la quale può promuovere l’istituzione di commissioni paritetiche per la partecipazione organizzativa e, nelle imprese che occupano meno di trentacinque dipendenti, può favorire, anche attraverso gli enti bilaterali, forme di partecipazione dei lavoratori alla loro organizzazione. Un ruolo potenzialmente rilevante viene riconosciuto alla contrattazione collettiva aziendale nell’introduzione nell’organigramma aziendale dei soggetti di riferimento della “partecipazione organizzativa” - referenti e responsabili ex art. 8.
Nella “partecipazione consultiva” il grande protagonista è, ancora una volta, il contratto collettivo. La questione decisiva è, qui, se l’indicativo debba o possa assumere un carattere imperativo ovvero se la frase “i contratti collettivi definiscono la composizione delle commissioni paritetiche per la partecipazione consultiva nonché le sedi, i tempi, le modalità e i contenuti della consultazione” sia da intendersi come impositiva di un obbligo o, più modestamente, ricognitiva di una prerogativa. A supporto della tesi dell’obbligo, si potrebbe portare, nell’ambito di una interpretazione sistematica della Legge, il costante ricorso al “qualora” nelle ricognizioni di prerogative della contrattazione collettiva effettuate nell’articolato. In quei casi la contrattazione collettiva può; in questo soltanto deve (o dovrebbe).
Una volta attivato, lo strumento della “partecipazione consultiva” appare potenziato, rispetto al diritto di consultazione sancito da altre disposizioni di legge o di contratto collettivo, dal diritto riconosciuto ai rappresentanti dei lavoratori che compongono la commissione paritetica di presentare, durante la procedura, un parere scritto, da allegare al verbale di consultazione; ma anche dal diritto dei componenti delle commissioni paritetiche di rivolgersi alla Commissione nazionale permanente in caso di controversie interpretative in ordine alle modalità di esecuzione delle procedure, ovvero di presunte violazioni delle stesse; e, ancora, se si valorizza il ruolo dell’istanza di convocazione rispetto alla libertà del datore di lavoro di convocare la commissione paritetica, l’obbligo che incombe sul datore stesso di illustrare il risultato della consultazione e i motivi dell’eventuale mancato recepimento dei suggerimenti proposti nel parere della commissione paritetica/dei rappresentanti dei lavoratori.

4. I ‘luoghi’ della partecipazione.
In questo quadro di attori e strumenti, un ruolo fondamentale viene svolto dai ‘luoghi’ potenziali della partecipazione, che vanno dai gangli vitali delle società per azioni (consiglio di sorveglianza, consiglio di amministrazione e, eventualmente, comitato per il controllo sulla gestione) nella “partecipazione gestionale”, alle commissioni (per la “partecipazione organizzativa” e per la “partecipazione consultiva”) o alla commissione unica, qualora si propenda per un ‘luogo’ organizzativo/consultivo unico. Si tratta, in ogni caso, di ‘luoghi’ caratterizzati dalla bilateralità, presumibilmente ma non necessariamente asimmetrica nel caso degli organi delle società per azioni, certamente simmetrica per le/la commissioni/e.
Sostanzialmente trilaterale è, invece, la composizione della Commissione nazionale permanente per la partecipazione dei lavoratori, la quale, non sembra, però, poter essere annoverata tra i ‘luoghi’ della partecipazione: essa svolge, piuttosto, una funzione di supporto esterno, fondamentalmente alla “partecipazione consultiva”, attraverso la pronuncia di pareri non vincolanti “su eventuali controversie interpretative che dovessero sorgere in ordine alle modalità di svolgimento delle procedure previste nelle imprese dei diversi settori” e la proposta agli “organismi paritetici” (rectius alle commissioni paritetiche) di “eventuali misure correttive nei casi di violazione delle norme procedurali relative alla partecipazione dei lavoratori”.

5. A conclusione: gli obiettivi della partecipazione nel prisma attoriale e ‘locale’.
Dall’analisi degli attori e dei ‘luoghi’ discendono, quasi naturalmente, alcune brevi considerazioni conclusive, le quali consentono di coinvolgere nell’analisi sin qui condotta anche gli obiettivi delle diverse forme di partecipazione.
Attori forti, della partecipazione ‘forte’, perseguono gli obiettivi ambizioni: la sorveglianza e l’amministrazione delle società per azioni. La loro presenza realizza, al massimo grado, il diritto di cui all’art. 46 cost., pur rimanendo soggetta alla ‘doppia condizionalità’ della previsione nel contratto collettivo e dell’inserimento nello statuto e costituendo un ‘terzo canale’/‘canale terzo’ di rappresentanza dei lavoratori.
La “partecipazione economica e finanziaria” persegue, invece, obiettivi specifici, attraverso attori specializzati: la partecipazione agli utili, “effettuata in esecuzione di contratti collettivi aziendali o territoriali”; la predisposizione, da parte dell’impresa, di piani di partecipazione finanziaria, nei quali vengano individuati “strumenti di partecipazione dei lavoratori al capitale della società” anche sotto forma di “attribuzione di azioni in sostituzione di premi di risultato”.
Le due commissioni paritetiche o la commissione paritetica unica, comunque fondate sulla bilateralità simmetrica, da un lato, vedono ridursi la ‘partecipazione organizzativa’ alla “predisposizione di proposte di piani di miglioramento e di innovazione dei prodotti, dei processi produttivi, dei servizi e dell’organizzazione del lavoro”; dall’altro assistono alla qualificazione della “partecipazione consultiva” come “preventiva rispetto alle scelte aziendali” (art. 9).
Il risultato è un approccio attoriale e funzionale alquanto eterogeneo che, tuttavia, mette chiaramente al centro delle varie forme della partecipazione l’impresa, dalla volontà della quale dipende la realizzazione, nella migliore delle ipotesi, di tre delle quattro, qualora si voglia riconoscere rispetto alla ‘partecipazione consultiva’ un obbligo datoriale di attivazione della relativa commissione e un potere di istanza della sua convocazione in capo ai rappresentanti dei lavoratori componenti della stessa.

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