testo integrale con note e bibliografia
1. Sulla nuova legge sulla partecipazione dei lavoratori si levano già opinioni discordi . I generali consensi , che avevano accompagnato la presentazione della proposta originaria sembrano oggi ridimensionarsi.
Quel testo rappresentava, infatti, non solo un punto di arrivo dopo decenni di disegni di legge depositati in Parlamento, deleghe rimaste inattuate, progetti discussi in ambito scientifico-accademico e dibattiti politico-sindacali , ma anche un testo inedito, saldamente agganciato alla normativa costituzionale (l’art. 46 Cost.) ma anche sufficientemente attento ad alcune nuove dimensioni della partecipazione e/o ad alcuni suoi loci o obiettivi specifici: dalla partecipazione ”organizzativa” - sino a ieri confinata al piano “metagiuridico” e delle prassi contrattuali - a quella “economico-finanziaria” - opportunamente coniugata, nel caso dell’azionariato dei dipendenti, a meccanismi di gestione collettiva del voto nelle assemblee ; dalla partecipazione “gestionale” (i.e. agli organi societari) veicolata dalla contrattazione collettiva, con quote minime di partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori agli organi societari e necessaria nelle società a partecipazione pubblica , alla partecipazione “consultiva” obbligatoria nelle imprese medio grandi (con più di cinquanta dipendenti ) e in alcune specifiche realtà aziendali (istituti di credito, banche, aziende erogatrici di servizi pubblici essenziali ). Fra gli obiettivi, spiccava, infine, il sostegno alla partecipazione come fattore di riconoscimento della sostenibilità sociale delle imprese .
Nel complesso, il testo era di ampio respiro e dai numerosi meriti , non a caso oggetto di iniziali e diffuse approvazioni, poiché introduceva nuovi obblighi per le imprese (per quelle societarie, in particolare), rafforzava il ruolo della contrattazione collettiva, riconoscendo alla partecipazione anche funzioni inedite, prima fra tutte quella di consolidare i processi di sostenibilità delle imprese .
Il ridimensionamento del testo originario, convertito in un articolato drasticamente ridotto da ventidue a quindici disposizioni, ha edulcorato e privato la proposta iniziale delle sue parti più innovative e lodevoli.
A partire da queste generali considerazioni e per approfondirle, si cercherà di valutare, in questo contributo, se e quanto la nuova legge dialoghi con il livello euro-unitario delle regole e delle nuove iniziative delle istituzioni europee sulla partecipazione (rectius: sul coinvolgimento dei lavoratori: employees’ involvement).
Si farà, dunque, il punto sui diritti relativi alla partecipazione dei lavoratori nelle imprese nel diritto Ue, richiamando non solo e sinteticamente gli interventi e gli strumenti più tradizionali e datati – il cd. acquis euro-unitario sull’employees’ involvement – ma, soprattutto, il modo in cui la svolta "sociale" impressa alle politiche unionali dalla prima Commissione Von Der Leyn (2019-24) nel periodo post-Pilastro abbia inciso, anche attraverso atti soft o iniziative legislative tuttora incompiute, sulla partecipazione dei lavoratori nelle imprese.
L’idea che le nuove direttive sociali approvate a partire dal 2019 abbiano influenzato la partecipazione «in modi diversi e ambigui» merita infatti approfondimento, anche alla luce del nuovo slancio impresso alla partecipazione dei lavoratori da altri documenti delle istituzioni europee.
All’interno di questo complessivo quadro verrà approfondita l’analisi e la valutazione della l. n. 76/2025, per capire se e quanto quest’ultima segua o meno le indicazioni provenienti dal livello euro-unitario, proseguendo o esaurendo, in Italia, la fase della «partecipazione a trazione Ue» e, più in generale, se e quanto il tema della partecipazione funga, oggi, da “cartina di tornasole” di un dialogo tra ordinamento nazionale e ordinamento euro-unitario più o meno intenso rispetto al passato.
2. Chiusa la stagione delle direttive specifiche sull’employee’s involvement (dalla prima direttiva sui Comitati Aziendali europei – CAE – alla direttiva-quadro sull’informazione e la consultazione sino alla Direttiva di rifusione sui CAE , passando per le due direttive sulle società europea - SE - e cooperativa europea - SCE ) e la fase della proclamazione dei diritti sociali fondamentali , l’Ue ha conquistato un aquis ormai significativo sui diritti di partecipazione .
In tempi recenti le istituzioni sono tornate sull’employee’s involvement con interventi normativi non più specifici ma riguardanti altre tematiche, fra le quali spiccano quelle dell’economia digitale (Dir. lavoro e piattaforme ; Reg. sull’intelligenza artificiale ), della doppia transizione, della sostenibilità sociale e ambientale riferita alle attività delle grandi imprese (Dir. CSDR e Dir. Due Diligence ); iniziative tutte sintomatiche di un riorientamento "sociale" delle politiche dell'UE.
Tali interventi riprendono il tema della partecipazione dei lavoratori nel contesto di normative di garanzia sociale di più ampio spettro, nelle quali vengono inserite disposizioni specifiche sulla partecipazione dei lavoratori, anche se per lo più nella versione “debole” dei diritti di informazione.
Non trattandosi di interventi generali sull’employees’ involvement, tali normative richiamano il primo filone di interventi comunitari sull’informazione e la consultazione, sviluppatosi nel periodo (anni ’70 e ’80 del secolo scorso) delle cd. direttive settoriali (sui licenziamenti collettivi, i trasferimenti d’azienda, la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) .
Ebbene, fra le disposizioni che incidono in maniera “obliqua” sull’acquis euro-unitario in materia di employees’ involvement vanno almeno ricordate quelle del recente filone legislativo sull’economia digitale e i sistemi di IA: le norme della dir. lavoro e piattaforme che impongono doveri di trasparenza e informazione quando le piattaforme impiegano sistemi di monitoraggio e decisionali automatizzati (art. 9) e quelle del Reg. sull’IA che richiedono al deployer-datore di lavoro di informare i lavoratori e i loro rappresentanti dell’uso dei sistemi di IA ad alto rischio ai quali saranno soggetti (art. 26, § 7).
A questi interventi “obliqui” se ne aggiungono altri, nei quali i riferimenti al coinvolgimento dei lavoratori sono più intensi perché vanno oltre i semplici diritti di informazione, essendo caratterizzati dal richiamo di prassi consultative, anche se non proprio co-decisionali. Così è nelle due direttive sul dovere di diligenza ai fini della sostenibilità rispetto ai diritti umani (e sociali, in particolare) e all’ambiente (DDD) e sugli obblighi di rendicontazione (Dir. Reporting), nonché nel Regolamento delegato della Commissione che integra quest’ultima .
Queste norme prevedono che i lavoratori e i loro rappresentanti – in qualità di portatori di interessi (stakeholders) – vengano coinvolti nella elaborazione della politica di DD affinché quest’ultima sia per quanto più possibile “partecipata”, realizzi «un’interazione e un dialogo autentici al livello appropriato» e diventi «una pratica di interlocuzione e ascolto di parti interessate qualificate a fornire un apporto conoscitivo essenziale» . Pertanto, si prevede che in occasione della elaborazione dei piani e delle strategie riguardanti l’attuazione del dovere di diligenza i rappresentanti dei lavoratori vengano informati «al fine di svolgere consultazioni efficaci e trasparenti» e che possano anche presentare richiesta motivata di informazioni supplementari .
Ancora più articolate sono le nuove norme sulla partecipazione introdotte dalla dir. sulla rendicontazione di sostenibilità (i nuovi artt. 19-bis e 29-bis della Dir. 34 del 2013 introdotti dalla dir. 2022/2464) e dal Reg. delegato della Commissione che la integra.
Non solo si prevede un obbligo di informazione sulla rendicontazione, ma anche un dovere di discuterne con i rappresentanti dei lavoratori a livello appropriato, affinché i rappresentanti dei dipendenti possano formulare un parere, se del caso comunicato ai pertinenti organi di amministrazione, direzione o controllo .
Informazione, consultazione, discussione e comunicazione di pareri costituiscono, dunque, una linea continua lunga la quale scorrono le prassi partecipative.
È vero che nessuna di queste disposizioni, a partire da quelle della dir. lavoro e piattaforme e del Reg. sull’IA, giunge ad imporre alle imprese doveri di trattativa e di negoziazione, né, tanto meno, obblighi di co-decisione, mentre da più parti si evidenzia l’opportunità di prevedere non tanto (e non solo) informazioni capillari, quanto negoziazioni/concertazioni con le rappresentanze collettive dei lavoratori .
Ciò vale, con maggiore evidenza, per il Reg. sull’IA e per la dir. su lavoro e piattaforme poiché entrambi sono maggiormente attestati sugli obblighi di informazione.
Ma è anche vero che, a parte la dir. su lavoro e piattaforme, tutti gli interventi richiamati non hanno una matrice e un contenuto propriamente sociali – non a caso si è parlato di una loro incidenza “obliqua” (i.e. di un effetto indiretto) sulla materia della partecipazione – trattandosi di atti legislativi che hanno basi giuridiche riguardanti il mercato interno e le libertà economiche . Ne consegue che la capacità di questi provvedimenti di incidere su tematiche sociali – prima fra tutte quella della partecipazione – era limitata.
E allora, proprio a partire da questa considerazione, non si può non riconoscere che, anche se con interventi indiretti, la partecipazione dei lavoratori continua ad essere alimentata dalla norme europee; i diritti di partecipazione non vengano dimenticati, né marginalizzati, dal legislatore e continuano ad essere al centro di una tutela oggi più sistematica e dinamica rispetto al passato.
3. Quanto affermato, trova conferma in altri documenti delle istituzioni europee, in particolare, in alcune Risoluzioni del Parlamento (PE), nelle quali la partecipazione dei lavoratori è oggetto di nuovo slancio politico.
Innanzitutto e per restare nel solco del processo normativo sulla due diligence, va segnalato che l’europarlamento aveva suggerito, in una risoluzione del 10 marzo 2021 contenente raccomandazioni in ordine al contenuto della proposta della Commissione di conferire, all’interno della categoria degli stakeholders, uno status speciale ai rappresentanti dei lavoratori attribuendo loro diritti più incisivi . Questa idea è stata timidamente raccolta dal testo definitivo della DDD che ha tralasciato il proprium di questi soggetti, dato che l’attuale norma sul dialogo con i portatori di interessi (l’art. 13 DDD) non riserva loro una posizione privilegiata , benché esista una concisa disposizione specifica sulla elaborazione della politica di due diligence «previa consultazione con i dipendenti della società e i loro rappresentanti» (l’art. 7, § 2).
Il rilancio politico della partecipazione è, tuttavia, riconducibile ad altre posizioni espresse dal PE, fra le quali spicca la Risoluzione dello stesso anno sulla democrazia sul luogo di lavoro . Qui, la partecipazione dei lavoratori viene innanzitutto inquadrata nella più ampia cornice della democrazia sul luogo di lavoro, considerata valore fondamentale dell’Ue, strumento di garanzia dell’equilibrio di potere tra datori di lavoro e lavoratori e di rafforzamento dei diritti umani nelle imprese, soprattutto quando il coinvolgimento dei lavoratori riguarda i processi di DD .
Oltre a sottolineare che la partecipazione dei lavoratori e la contrattazione collettiva sono essenziali per affrontare gli effetti delle ristrutturazioni, gli sviluppi tecnologici, la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio e, in generale, un’equa e giusta transizione, la Risoluzione ribadisce che i lavoratori «non sono semplici “portatori di interessi” delle società, ma "parti costituenti" accanto ad azionisti e dirigenti» e ne considera, quindi, la partecipazione nell’impresa «componente chiave di un modello pluralistico di governo societario basato sui principi della democrazia, sull’equità e sull’efficienza» .
Nella visione del documento, l’idea – certamente condivisibile – è che la trasformazione dell’impresa nel senso della sostenibilità ambientale e sociale non possa avvenire «senza modificare il suo assetto organizzativo e gestionale, senza, cioè, operare nel senso della democratizzazione della governance dell’impresa, dando spazio alla partecipazione interna ed esterna degli altri soggetti di tale trasformazione» .
Vengono poi individuati e suggeriti due filoni di intervento.
Il primo è quello della revisione della direttiva sui CAE, che già in questa Risoluzione viene sollecitata (anticipando la successiva Risoluzione d'iniziativa legislativa): il Parlamento invita la Commissione ad esaminare le azioni necessarie per migliorare la partecipazione dei lavoratori e l’applicazione della direttiva sui CAE, anche attraverso una revisione della relativa direttiva e al fine di rafforzare l’employees’ involvement in particolare nei processi di ristrutturazione.
Il secondo filone di intervento riguarda la rappresentanza e la partecipazione dei lavoratori agli organi societari, soprattutto nei casi di ristrutturazioni societarie transfrontaliere (fusioni, scissioni e trasformazioni cross-border) .
Alla luce della quasi coeva dir. 2019/2021, che introduce una disciplina organica delle fusioni, scissioni e trasformazioni transfrontaliere (modificando la dir. 2017/1132), la Risoluzione sottolinea che alcune carenze del diritto dell’UE si supererebbero introducendo soglie per uno standard unionale minimo di rappresentanza a livello di consigli di amministrazione ed, infine, che il numero/la percentuale di seggi nei consigli di amministrazione potrebbe raggiungere persino la parità .
Anche la successiva e più recente Risoluzione del 13 marzo 2025, sugli aspetti sociali e occupazionali dei processi di ristrutturazione , rimarca l’importanza della partecipazione (e della contrattazione collettiva) nell’anticipazione e nella gestione dei processi di ristrutturazione, che devono rispettare i diritti fondamentali dei lavoratori e, fra questi, il diritto di informazione e consultazione.
Va infine ricordato che, nel 2023, il PE europeo ha adottato una Risoluzione d'iniziativa legislativa con la quale ha specificamente invitato la Commissione ad intervenire sulla Dir. 2008/38/CE proponendone le relative modifiche .
4. Nel solco di queste iniziative si colloca, dunque, la proposta di revisione della dir. 2009/38/ sui CAE , presentata dalla Commissione all’inizio del 2024 a seguito del rapporto di valutazione della dir. del 2009 (previsto dal suo art. 15 e) pubblicato già nel 2018 .
La proposta di aggiornamento della dir. 2009/38, che ha intrapreso la strada dei negoziati interistituzionali all’inizio dell’anno 2025, è stata oggetto di accordo provvisorio nel terzo e ultimo trilogo, svoltosi nel mese di maggio di quest’anno .
Non disponendosi ancora di questo testo, ci si soffermerà sugli aspetti fondamentali della originaria proposta della Commissione.
Innanzitutto, vale la pena di sottolineare che sin dall’incipit della relazione illustrativa la partecipazione dei lavoratori, in linea con lo spirito delle altre iniziative richiamate nei paragrafi precedenti, è ampiamente collegata ai processi di riconversione produttiva e riorganizzazione del lavoro connessi alla doppia transizione, verde e digitale.
La relazione alla proposta si apre ricordando che l’esigenza di un «coinvolgimento significativo dei lavoratori e dei loro rappresentanti a tutti i livelli» dipende, soprattutto, dalla «trasformazione in corso nel mondo del lavoro, sospinta dal perseguimento della sostenibilità ambientale, economica e sociale e dalla diffusione di nuove tecnologie» e che tale coinvolgimento può efficacemente contribuire alla previsione e alla gestione dei cambiamenti.
Diverse nuove sfide emergevano dal rapporto di valutazione di pochi anni addietro: il basso tasso di istituzione di nuovi CAE, la frequente inefficacia dei processi di consultazione, l’eccesso di ostacoli alle informazioni causato dalle disposizioni sulla riservatezza, l'accesso dei CAE alla giustizia, la mancanza di mezzi di ricorso efficaci, le sanzioni (spesso non sufficientemente dissuasive ), l'interpretazione di alcuni concetti, l'equilibrio di genere all’interno dei comitati .
Ebbene, la proposta di revisione mira a risolvere tali criticità, rafforzando il ruolo dei CAE, agevolandone la costituzione e prevedendo informazioni e consultazioni più efficaci.
Fra le modifiche più significative si annovera il rafforzamento del diritto di consultazione, dato che il testo proposto dalla Commissione prevede una più articolata procedura consultativa, finalizzata ad instaurare «un dialogo autentico, tempestivo e significativo tra la direzione aziendale e il CAE» , per la cui realizzazione si dispone che nel corso della procedura di consultazione i rappresentanti dei lavoratori non solo possano esprimere, sulla base delle informazioni ricevute, un parere (come già previsto dalla dir. 2009/38 ), ma abbiano anche «diritto a ricevere per iscritto una risposta motivata dalla direzione centrale o da qualsiasi altro livello di direzione più appropriato prima dell'adozione della decisione» .
Vi è inoltre un tentativo di più compiuta definizione della competenza dei comitati, che la dir. 2009/38 limita, come è noto, alle «questioni transnazionali». Alla ristretta definizione di tali questioni contenuta nella direttiva del 2009 , se ne sostituisce una in cui si fa uso di un’espressione che promette una più facile presunzione della natura transnazionale della questione («sono considerate questioni transnazionali quelle che si può ragionevolmente prevedere interessino…»), nella quale viene esplicitato il riferimento all’incidenza della questione sui lavoratori di imprese o stabilimenti di più Stati ma anche alle possibili conseguenze che le misure possono avere sui lavoratori di un’impresa o di uno stabilimento in un altro Stato . È il caso, per esempio, di licenziamenti e collocamenti in esubero che, pur riguardando i lavoratori di un solo Stato possono finire per incidere sui lavoratori di un altro Stato, «a causa di cambiamenti nella catena di approvvigionamento o nelle attività di produzione transfrontaliere, laddove tali misure possano determinare cambiamenti sostanziali nell'organizzazione del lavoro o nelle relazioni contrattuali» .
Un’ulteriore misura volta a rafforzare i diritti di partecipazione dei CAE è la previsione di due riunioni annue – non più una – quando il comitato operi in base alle prescrizioni accessorie contenute nell’allegato I alla direttiva.
Sono infine previste modifiche relative al trattamento o alla mancata comunicazione di informazioni riservate , alle sanzioni e all'accesso alla giustizia.
Nel complesso e in ragione di quanto si sottolineerà nel prosieguo, i contenuti della proposta evidenziano alcuni “temi caldi” legati ai diritti di informazione e di consultazione e all’esigenza di renderli effettivi: dai processi di riconversione produttiva connessi alla doppia transizione alle tematiche della sostenibilità, della gestione dei cambiamenti, della dimensione transnazionale delle imprese e delle catene di approvvigionamento nelle attività transfrontaliere.
5. Se lo slancio impresso al tema della partecipazione dagli interventi sin qui esaminati (alcuni ancora in itinere) avvalora l’idea che le politiche europee continuano a svolgere un ruolo centrale in materia di partecipazione, più incerti e controversi sono gli esiti dell’attività giurisprudenziale della CgUe. Vi si farà solo un cenno per completezza in questa sede, con l’avvertenza che il tema meriterebbe specifico ed ulteriore approfondimento.
I casi ai quali si farà riferimento non solo e in generale confermano il cauto uso della Carta dei diritti fondamentali Ue da parte della Corte – per quel che qui interessa del suo art. 27 – ma fanno registrare posizioni poco garantiste del diritto al coinvolgimento anche nelle sedi, le società europee, in cui il vincolo dei meccanismi di involvement è stato introdotto dal legislatore del 2001 come un vincolo forte, strutturalmente collegato alla costituzione di tali società di secondo grado .
Rispetto al primo profilo – riguardante il diritto sociale collettivo all’informazione e alla consultazione (art. 27 CdfUe) – va ricordato che, sin dalla nota sentenza AMS , la Corte non ha inteso impiegare il congegno costruito nella sentenza Kücükdeveci e non ha attribuito a quel diritto (o principio, come suggeriva in quella vicenda l’Avv. Generale Villalón nelle Conclusioni) la capacità di infiltrarsi nelle controversie fra privati (insorte dinanzi a giudici nazionali), neppure attraverso i generali obblighi giudiziali di disapplicazione o interpretazione conforme al diritto euro-unitario di normative nazionali difformi. I giudici di Lussemburgo hanno recentemente ribadito tale posizione in Plamaro, in relazione agli obblighi di informazione e consultazione previsti dalla direttiva 98/59/Ce sui licenziamenti collettivi .
Ancor più sorprendente è la recente posizione della CgUe rispetto alla (necessaria) partecipazione nelle società europee.
Nonostante che il Reg. 2157/2001 chiarisca che le norme sul ruolo dei lavoratori nella SE (oggetto della dir. 2001/86/CE) costituiscono «un complemento indissociabile» del regolamento , prevedendo che l’iscrizione di una SE possa avvenire soltanto previa conclusione di un accordo sulle modalità relative al coinvolgimento dei lavoratori (ai sensi dell’art. 4 della direttiva), la Corte ha avallato, in Konzernbetriebsrat der O SE & Co. KG , l’elusione dei diritti all’involvement attraverso un’interpretazione molto letterale della direttiva, poco attenta al suo “effetto utile” e all’avvertenza – contenuta nel Considerando 35 della Dir. 2019/2121 – che «in determinate circostanze, il diritto delle società di effettuare operazioni transfrontaliere potrebbe essere utilizzato per scopi abusivi o fraudolenti, ad esempio per eludere i diritti dei lavoratori». Tanto più che, nella fattispecie considerata, la SE, dopo essere stata costituita e registrata, era diventata unica azionista di una società tedesca con un consiglio di sorveglianza composto per un terzo da rappresentanti dei lavoratori e che in quest’ultima – successivamente trasformata in società in accomandita semplice - la cogestione dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza era cessata proprio per effetto della trasformazione.
A monte, la controversia era stata originata dalla circostanza che la SE era stata costituita da due società (stabilite una nel Regno Unito, l’altra in Germania) senza dipendenti e che, per questa ragione, prima dell’iscrizione nel registro delle imprese (avvenuta in Inghilterra), non si era dato luogo ad alcun negoziato sul coinvolgimento dei lavoratori.
Ebbene, nonostante la richiesta del CAE di procedere ex post alla istituzione della delegazione speciale di negoziazione per stipulare l’accordo sul coinvolgimento e malgrado il successivo ricorso all’autorità giudiziaria, la Corte ha escluso che l’obiettivo perseguito dalla dir. 2001/86 (artt. da 3 a 7) possa esigere lo svolgimento ex post di negoziati qualora la SE sia costituita da società prive di dipendenti ancorché poi divenga – come nella fattispecie - società controllante di affiliate che impiegano lavoratori in diversi Stati .
L’impressione che si trae è che mentre le istituzioni forniscono nuova legittimazione alla partecipazione dei lavoratori, la tutela riconosciuta dalla CgUe ai diritti di coinvolgimento rimane piuttosto debole, per via di interpretazioni molto formalistiche dei testi normativi ed in linea con la generale debolezza della tutela giudiziale europea dei diritti sociali collettivi.
Se l’idea proposta nelle prime pagine era quella di verificare se e quanto la nuova legge italiana sulla partecipazione dialogasse con il livello euro-unitario delle regole e delle iniziative sul coinvolgimento dei lavoratori, la risposta, già intuibile dallo svolgimento dell’analisi, è che l’intervento legislativo – a dispetto del mantenuto richiamo ai principi e ai vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Ue (art. 1, l. n. 76/2025) - non incroci il binario delle numerose e anche recenti iniziative euro-unitarie sul coinvolgimento dei lavoratori nelle imprese . Si presenteranno qui di seguito argomenti in grado di motivare questa valutazione.
Lo scollamento – ma non è questa una novità – inizia dalle categorie e dal lessico, dato che il diritto euro-unitario impiega da tempo un termine - “coinvolgimento” dei lavoratori (nella terminologia inglese “employee involvement”) – che, per riprendere la definizione contenuta nella dir. 2001/86 - descrive «qualsiasi meccanismo, ivi comprese l’informazione, consultazione e partecipazione, mediante il quale i rappresentanti dei lavoratori possono esercitare un’influenza sulle decisioni che devono essere adottate» e che allude, dunque, ad ogni congegno utile a coinvolgere i lavoratori (i.e.: i loro rappresentanti) nei processi decisionali dell’impresa. Il legislatore europeo articola, dunque, i sistemi di coinvolgimento nell’informazione/consultazione, da una parte, e la partecipazione, dall’altra; il tratto caratteristico della “partecipazione” è rappresentato dalla natura strutturale del “coinvolgimento” (la stabile presenza di rappresentanti dei lavoratori negli organi societari, che la legge italiana definisce partecipazione “gestionale”).
Pur potendo riconoscersi che le definizioni proposte dall’art. 2 della l. n. 76/2025 pongono rimedio alla vaghezza della terminologia e si confrontano «con coraggio tassonomico» con il problema definitorio , sono evidenti alcune dissonanze con il diritto Ue, tanto è vero che la preferibilità del termine “coinvolgimento”, rispetto a “partecipazione”, era stata indicata durante le audizioni parlamentari e che – circostanza di non poco conto - l’uso di quel termine ricorre in altri frammenti legislativi interni, riguardanti il coinvolgimento dei lavoratori nelle imprese sociali (d. lgs. n. 112/2017) , nelle trasformazioni, fusioni e scissioni transfrontaliere (d. lgs. n. 19/2023, nel quale, peraltro, la partecipazione è intesa solo come partecipazione “organica”, in coerenza con il diritto euro-unitario) e nelle società europee (d. lgs. n. 188/2005 ).
La nuova legge usa invece il termine “coinvolgimento” solo per definire la partecipazione organizzativa, alludendo al modo in cui i lavoratori possono essere coinvolti, per l’appunto, nelle decisioni relative alle fasi produttive e organizzative dell’impresa (art. 2, lett. c, l. n. 76/2025); così disponendo, la legge evoca le sole forme di partecipazione “diretta”, definite e studiate, da tempo, dai sociologi.
Ma a parte questi rilievi, meramente formali, scollamenti più importanti si rilevano sul piano sostanziale. Se ne evidenziano almeno tre.
(1) Manca, nella legge, la considerazione della dimensione transnazionale delle imprese, che avrebbe reso opportuno almeno un richiamo alla normativa interna sui CAE – il d. lgs. 113/2012 (attuativo della seconda direttiva sui CAE: dir. 2009/38) - se non altro per ribadire che sulle questioni transnazionali – sulle quali le scelte aziendali hanno contenuti ed effetti del tutto peculiari - i diritti di informazione e di consultazione rimangono in capo ai comitati e non possono essere confusi né assorbiti dalla mera e debole possibilità che i rappresentanti sindacali, nell’ambito delle commissioni paritetiche, siano «preventivamente consultati in merito alle scelte aziendali» (art. 9, l. n. 76/2025).
Sono anche assenti richiami alla recente disciplina delle trasformazioni, fusioni e scissioni transfrontaliere (d. lgs. n. n. 19/2023, di attuazione della dir. Ue 2019/2121), nella quale ampio spazio è dedicato alla tutela collettiva dei lavoratori e, in particolare, al coinvolgimento, con chiara impronta europea, qui visibile sin dal lessico e dalle definizioni.
Lo stesso d. lgs. n. 25/2007, di trasposizione della dir. quadro sull’informazione e la consultazione (dir. 2002/14), è richiamato una sola volta nella l. n. 76/2025, peraltro con l’unico scopo di definire quali sono le norme dei contratti collettivi “fatte salve” dalla disposizione sulla possibile consultazione preventiva delle commissioni paritetiche .
Il raccordo sia con la normativa interna sul coinvolgimento dei lavoratori nelle imprese transnazionali, sia e più in generale con i testi legislativi che hanno recepito normative europee è invisibile nella nuova legge.
(2) Ancor più carente si rivela l’intervento legislativo alla luce delle nuove frontiere della partecipazione generate dall’economia digitale, l’innovazione tecnologica (IA), la doppia transizione, la questione della sostenibilità sociale e ambientale, anche alla luce dei più recenti interventi euro-unitari “obliqui” sulla partecipazione.
Le sfide poste dalla digitalizzazione e dall’automazione algoritmica, entrata prepotentemente nelle imprese, sono ormai ampiamente indagate nel dibattito e da tempo sono state intercettate dal sindacato europeo . Tanto è vero che già il penultimo Action Program (2019-2023) della CES segnalava l’importanza della partecipazione collettiva relativamente all’uso dei sistemi di I.A., rimarcando che «collective bargaining, participation and co-determination are decisive issues, not least because of the acceptance of AI in operational use».
Sulla stessa lunghezza d’onda, già alla fine del 2022, la CES segnalava l’opportunità che, indipendentemente dall’approdo della Direttiva lavoro e piattaforme e dalle sue norme sulla gestione algoritmica del lavoro , venissero introdotte norme generali sul management algoritmico (i.e. applicabili a tutte le imprese e non alle sole piattaforme) per rafforzare i diritti di informazione, consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori nonché i diritti di contrattazione sindacali .
La l. n. 76/2025 – e, per questi aspetti, anche la proposta originaria - rivela una certa miopia su questi temi, restando saldamente ancorata al (pur nobile) fondamento costituzionale della “collaborazione dei lavoratori alla gestione delle imprese” e alle tradizioni delle nostre relazioni industriali, come mostra la riedizione del metodo partecipativo basato sulle commissioni paritetiche, sperimentato da tempo nel nostro sistema, peraltro non sempre con successo .
Maggiore apertura era data dalla proposta originaria al tema della sostenibilità, anch’esso centrale nel rilancio della partecipazione in ambito Ue .
Nella l. n. 76/2025 – nonostante il formale richiamo ai «processi (…) di sostenibilità delle imprese» (art. 1) - non resta traccia della coraggiosa definizione di "impresa socialmente sostenibile" – «l’impresa che persegue volontariamente il raggiungimento di obiettivi di equità sociale e di protezione ambientale con finalità economiche di creazione di valore per tutti i portatori di interesse» contenuta nell’art. 2, co. 1, lett. e) - della PDL Cisl, né delle previsioni relative al Garante della sostenibilità sociale delle imprese e al suo compito di valutazione della sostenibilità, finalizzata a certificare le condotte d’impresa responsabili. In tali attività il Garante avrebbe dovuto tener conto di una serie di fattori fra i quali primeggiava proprio l’adozione di strumenti di partecipazione dei lavoratori e di piani di azionariato (art. 21) .
Parimenti obliterato è il tema della partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori nelle ristrutturazioni e nelle riconversioni produttive, oggi per lo più legate alla doppia transizione. È un tema di spicco già nella Risoluzione sulla democrazia sul luogo di lavoro e ancor più centrale nella Risoluzione del 2025 (sugli aspetti sociali e occupazionali dei processi di ristrutturazione) ed è un tema sul quale ampiamente si sofferma anche la relazione illustrativa della proposta di revisione della dir. sui CAE.
(3) Last but not least, va segnalato che il ridimensionamento del ruolo della contrattazione collettiva - visibile, per esempio, nelle norme sulla partecipazione agli organi societari (artt. 3-4), che “consegnano” alla disponibilità delle imprese l’introduzione della partecipazione “gestionale” - è una rinuncia alla funzione cardine della contrattazione in materia di partecipazione, da sempre riconosciuta anche nella progettualità legislativa delle precedenti fasi .
Le dissonanze con le iniziative europee sul coinvolgimento dei lavoratori riguardano qui, sia la tecnica normativa, per effetto della quale gran parte delle tradizionali direttive sull’employees’ involvement (le direttive sui CAE, SE e SCE), proprio in omaggio al principio di sussidiarietà orizzontale, assegnano un ruolo primario agli accordi fra le parti (in quei casi tramite apposite strutture negoziali, le cdd. delegazioni speciali di negoziazione) per definire le concrete modalità del coinvolgimento; sia l’auspicio, più generale, all’avvicinamento di due prassi – contrattazione e partecipazione – non antitetiche perché in grado entrambe di conferire rilevanza al “punto di vista” dei lavoratori. Come chiariscono le due Risoluzioni del PE del 2021 e del 2025, la partecipazione e la contrattazione collettiva sono ambedue prassi importanti nell’anticipazione e nella gestione dei processi di ristrutturazione, degli sviluppi tecnologici, delle transizioni.
Ed allora, senza dover seguire a tutti i costi l’Europa né il mantra per cui “l’Europa ce lo chiede”, si ha la netta impressione che la nuova legge sia rimasta troppo avvinta alla prospettiva dell’ordinamento interno e delle “vie italiane” alla partecipazione (le commissioni paritetiche sono un tratto ormai risalente del nostro sistema contrattuale e di relazioni industriali), limitandosi ad arare il terreno delle tradizioni partecipative nazionali, senza seminarvi niente di nuovo né stimolare feconde operazioni di cross-fertilization.
ABSTRACT: L’A. si propone di valutare se e quanto la nuova legge italiana sulla partecipazione dialoghi con il livello euro-unitario delle regole e delle iniziative delle istituzioni europee sull’employees’ involvement. Dopo un’analisi delle misure adottate dall’Ue, non solo di quelle più datate ma, soprattutto, delle più recenti, riconducibili alla svolta "sociale" delle politiche Ue della prima Commissione Von Der Leyn (2019-24) e al periodo post-Pilastro, il contributo evidenzia come la l. n. 76/2025 sia rimasta troppo avvinta alla prospettiva dell’ordinamento interno e delle “vie italiane” alla partecipazione, dialogando poco con le più recenti iniziative euro-unitarie che, anche in modo indiretto e “obliquo” e soprattutto in relazione a determinate realtà (doppia transizione, ristrutturazioni, dimensione transnazionale delle imprese, sostenibilità), rilanciano le forme di coinvolgimento dei lavoratori nelle imprese.