testo integrale con note e bibliografia

Il raffronto testuale fra la proposta originaria e il testo finale della legge n.76

Premessa
La partecipazione dei lavoratori agli utili e alla gestione delle imprese è un tema che ricompare ciclicamente nel dibattito politico e che trova un riferimento nell’articolo 46 della Costituzione italiana che riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge.
Un articolo, come altri sul lavoro, rimasto per anni inattuato e che sottende gli obiettivi di democratizzare i processi produttivi, responsabilizzare i lavoratori e ridurre le disuguaglianze nei rapporti economici.
Questi nobili propositi e il profondo rispetto dell’iniziativa popolare come strumento di cittadinanza attiva hanno guidato l’azione politico-normativa di chi scrive quando la proposta promossa dal sindacato CISL sul tema, sottoscritta da 400.000 cittadini e cittadine, è stata incardinata in Parlamento (d’ora in poi, la “Proposta”).
Nel corso dei lavori nelle commissioni competenti (Finanze e Lavoro) e in Aula la Proposta è passata da 22 a 15 articoli subendo modifiche sostanziali sui processi decisionali ed economici che dovrebbero coinvolgere i dipendenti.
Centralità della contrattazione, volontarietà della partecipazione, non discriminazione, sono principi che sono stati eliminati uno dopo l’altro dal testo di legge sino alla sua approvazione finale (d’ora in poi, la “Legge”)
A nulla possono valere le parole della dirigenza CISL, prima Luigi Sbarra e ora Daniela Fumarola, che dicono di aver raggiunto un “grande risultato storico, dopo 75 anni , “che fatta la legge, la possiamo sempre migliorare e rafforzare, ma partiamo da questa condivisione forte che c’è nella maggioranza di governo”. Le parole della Segreteria della CISL perdono inesorabilmente il loro significato alla luce della eliminazione dei contenuti qualificanti sopra richiamati.
Il compromesso sul testo è evidente e al ribasso.
La Proposta è stata tradita e una recente nomina governativa autorizza a evocare l’esistenza di una contropartita.

Il nuovo testo ha trasformato il concetto di partecipazione: da strumento collettivo di gestione sulla scorta delle esperienze tedesche (Mitbestimmung) e francesi (Participation) - , a beneficio individuale erogabile a discrezione dell’impresa.
Vediamo perché; partendo dal quadro definitorio, sino ad arrivare al merito.

1. L’inversione del paradigma nella partecipazione gestionale: dal contratto collettivo allo Statuto

Obiettivo del provvedimento, come declinato all’art. 1, è quello di disciplinare i 4 tradizionali modelli di partecipazione dei lavoratori: gestionale, economico/finanziaria e organizzativo/consultiva. L’art. 2, pertanto, declina alcune definizioni.
Da subito, si rilevano le prime modifiche alla Proposta come, ad esempio, la soppressione del concetto di “impresa socialmente sostenibile” e il tentativo di inserire nel testo anche le associazioni sindacali maggiormente rappresentative nella definizione di contratti collettivi.
Nei successivi articoli 3 e 4 la Legge entra nel merito, prevedendo la partecipazione gestionale dei lavoratori a seconda che l’impresa adotti o meno il sistema dualistico ex artt. 2409-octies e ss. c.c. ossia abbia o meno la presenza di un “consiglio di gestione” e un “consiglio di sorveglianza”.
In entrambi i casi, a seguito delle modifiche introdotte in fase di esame, la partecipazione dei lavoratori può essere attivata se e solo se disciplinata dagli statuti delle società, così ribaltando il paradigma della Proposta dove l’attività partecipativa avrebbe preso le mosse dalla contrattazione sindacale.
Rispetto al consiglio di sorveglianza, diversamente da quanto previsto in Francia, i membri non avranno alcun potere di veto su questioni inerenti, ad esempio, alla politica sociale e alle condizioni occupazionali, o comunque in eventi che possono incidere sulle condizioni di lavoro dei dipendenti (controllo dell’attività, piano di ristrutturazione o di licenziamento, offerta pubblica di acquisto o procedura di salvaguardia, risanamento o liquidazione) risultando depotenziati.
Quanto alla composizione, l’art. 3 rubricato “Partecipazione dei lavoratori al consiglio di sorveglianza” dispone il coinvolgimento di uno o più rappresentanti dei lavoratori - non più una quota minima non inferiore a un quinto dei componenti del consiglio stesso come invece previsto dalla Proposta.
Analogamente, anche nelle società che non adottano il già menzionato sistema dualistico, all’art. 4 si ribadisce che siano gli statuti a poter prevedere la partecipazione al Cda e, ove costituito, al comitato per il controllo sulla gestione.
In sede referente è stata anche soppressa qualsiasi previsione volta a riconoscere, agli amministratori che siano anche dipendenti della società, permessi retribuiti o accesso ai meccanismi premiali di cui all’art. 19, anch’esso eliminato.

2. due parole sulla partecipazione economica e finanziaria

All’articolo 5 “Distribuzione degli utili” si fa riferimento alla partecipazione economica, senza prevedere particolari innovazioni, ma una riduzione minima e temporanea dell’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.
Quanto alla partecipazione finanziaria dei lavoratori, il nuovo art. 6 della Legge conferma l’orientamento tutto italiano secondo cui questa forma partecipativa è sempre stata di carattere individualistico e prerogativa dell’autonomia statutaria, nonostante il tentativo della Proposta di dare centralità alla contrattazione collettiva. La stessa, infatti, statuiva sin dal primo comma la possibilità dei contratti collettivi di prevedere l’accesso dei lavoratori al possesso di azioni o quote di capitale dell’impresa tramite piani di partecipazione finanziaria (cfr. Allegato 1).
Altre modifiche rilevanti e che vanno in un’ottica peggiorativa sono state relative all’eliminazione della volontarietà dell’adesione dei lavoratori al piano di partecipazione finanziaria, nonché dell’eliminazione del principio di non discriminazione. Questi riferimenti sono espressamente richiamati dalla Risoluzione del Parlamento Europeo del 14 gennaio 2014 Employee Financial Participation ed è, quindi, incomprensibile la loro espunzione dal testo. In quest’ottica suscita perplessità la possibilità prevista dall’art. 6 di attribuire ai lavoratori in modo unilaterale, arbitrario e non condiviso azioni in sostituzione di premi di risultato. Nel complesso, questa disposizione stride con il principio basilare che distingue il lavoro subordinato dall’assunzione del rischio d’impresa (art. 2094 c.c.): il lavoratore diventa, di fatto, un azionista inconsapevole, senza alcun potere decisionale reale e senza le necessarie tutele. Tale previsione sottende una serie di rischi e criticità per il lavoratore, come quelli derivanti dalle fluttuazioni del mercato - che non dipendono evidentemente dal merito del lavoratore - o dalla mancanza di contributi previdenziali sui premi che non incrementano la base contributiva del lavoratore, compromettendone potenzialmente la futura pensione.
3. cenni sulla partecipazione organizzativa e consultiva
Gli artt. 7-8-9-10 della Legge si occupano della partecipazione organizzativa/consultiva.
Rimandando al testo comparato per i dettagli (cfr. Allegato), sommariamente si segnala che tali forme partecipative sono state del tutto depotenziate e rese facoltative per le aziende. Ad esempio, all’Art. 7 è stata soppressa la previsione certa di piani di miglioramento e innovazione, nonché la previsione che i CCNL possano stabilire il riconoscimento di premi aziendali ai dipendenti che hanno contribuito al miglioramento e all’innovazione di prodotti, servizi e processi organizzativi.
Quanto alla partecipazione consultiva dei lavoratori, disciplinata all’art. 9 e declinata in dettaglio all’art. 10, si elimina qualsiasi obbligatorietà della stessa così come la necessità di convocazione minima annuale. In sede referente sono stati, poi, soppressi i contenuti basilari e minimi della consultazione preventiva relativamente, ad esempio, ai dati economici e finanziari, alle scelte strategiche, di investimento e sui relativi piani industriali.
Ancora, è stata soppressa sia la consultazione nelle pubbliche amministrazioni, che quella negli istituti di credito, nelle banche e nelle imprese erogatrici di servizi pubblici essenziali e delle società a partecipazione pubblica per le quali era prevista una condivisibile consultazione su politiche di remunerazione del personale, compresi i dirigenti e gli amministratori; su politiche di incentivazione della produttività del personale; su politiche commerciali (ove presenti).
All’art. 11 sono fatte salve le condizioni di miglior favore previste dai contratti collettivi.
Gli articoli successivi si dedicano a formazione dei lavoratori, al finanziamento dei corsi tramite gli enti bilaterali, il Fondo nuove competenze e i fondi interprofessionali e alla istituzione della Commissione nazionale permanente per la partecipazione dei lavoratori presso il CNEL. Anche queste disposizioni sono state molto indebolite rispetto alla loro formulazione originaria. A titolo esemplificativo, all’art. 12 è stata soppressa la possibilità di riconoscere ai rappresentanti dei lavoratori permessi retribuiti per partecipare ai corsi di formazione, all’art. 13 talune competenze della Commissione nazionale permanente sono state “sfumate” al fine di non renderle vincolanti, in particolare su questioni interpretative che sorgono nell’ambito delle procedure di consultazione e sulle misure correttive in caso di violazione di norme procedurali (lett. b). -
4. L’Esclusione delle Società a Partecipazione Pubblica
Un altro elemento di critica centrale riguarda l’esclusione delle società a partecipazione pubblica dall’obbligo di adottare forme di partecipazione dei lavoratori. Originariamente, la Proposta prevedeva la presenza obbligatoria di rappresentanti dei lavoratori nei consigli delle aziende pubbliche.
Questa scelta delegittima la legge stessa perché chiede un impegno ai privati che il pubblico non è invece disposto a prestare. Politicamente, c’è da chiedersi il motivo di questa esclusione che potrebbe lasciar presagire alla svendita delle quote da parte del Ministero dell’Economia delle società dallo stesso partecipate.
Conclusioni

Originariamente, la Proposta prevedeva strumenti di rappresentanza dei lavoratori nella governance aziendale sulla scorta delle esperienze tedesche (Mitbestimmung) e francesi (Participation).
Il nuovo testo, però, ha trasformato il concetto di partecipazione: da strumento collettivo di gestione a beneficio individuale erogabile a discrezione dell’impresa.
Depotenziamento della rappresentanza, relatività della partecipazione, arbitrio aziendale rispetto alla decisione di attuare o meno forme di partecipazione rischiano di generare un aumento delle diseguaglianze all’interno delle imprese, tra lavoratori che accettano il “premio in azioni” e quelli che ne restano esclusi, ma anche l’incertezza retributiva a causa della sostituzione dei premi salariali concordati con strumenti aleatori (azioni).
Lungi dall’essere un passo avanti, la Legge è un caso emblematico di come un principio di grande valore costituzionale possa essere svuotato di significato attraverso interventi legislativi che tradiscono i loro propositi iniziali di democrazia e partecipazione, per chissà quali logiche politiche.
In generale, la partecipazione è uno strumento di politica distributiva e di giustizia sociale? In astratto, certo.
Tuttavia, non può e non deve essere messa in contrapposizione con specifici strumenti di politica salariale che sono quanto mai urgenti e necessari come invece stanno facendo il sindacato CISL e il Governo. Sono prolifiche le dichiarazioni pubbliche di come questa Legge è considerata la risposta alle drammatiche condizioni di povertà salariale che attualmente interessano oltre 6 milioni di lavoratori in Italia.
Purtroppo, si continuano a confondere i piani della gestione dell’azienda con quelli della retribuzione proporzionata e sufficiente al lavoro prestato, due aspetti che la nostra Carta costituzionale tratta in modo autonomo e ben differente. La presenza di un salario di investimento non può in alcun modo sopperire alla mancanza di salari fissi adeguati.
Così, mentre la Germania dispone un nuovo aumento del salario minimo legale - quasi 2 euro in più a partire dal 2027 che lo porteranno dagli attuali 12,82 euro a 14,6 euro - in Italia, dove fra il 1990 e il 2020, i salari medi annuali sono calati del 2,9%, si latita. L'esempio tedesco dimostra che il salario minimo per legge può tranquillamente convivere con la contrattazione collettiva e smentisce chi ne fa una narrazione distorta e strumentale. Come opposizioni abbiamo chiesto di calendarizzare quanto prima in commissione Lavoro alla Camera la pdl di iniziativa popolare depositata a dicembre 2024. Richiesta che reitereremo fin quando non si discuterà nel merito.
Ma questa, è un’altra storia.

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