Testo integrale con note e bibliografia

1. Premessa
Si può ritenere che il Metaverso rappresenti il punto (sinora) più avanzato del processo, avviato con il passaggio dall’industria ai servizi e proseguito con l’avvento della digitalizzazione , di scomposizione dell’unità spazio-temporale che costituiva la cifra del diritto del lavoro delle origini .
Tale osservazione appare già di per sé in grado di giustificare il crescente interesse per la tematica in esame, la quale pone chiunque tenti di offrire una mappatura delle questioni regolative sollevate dalla sofisticata ed ancora sperimentale strumentazione in esame davanti ai limiti derivanti da una comprensione inevitabilmente superficiale di un fenomeno che non trovato neppure un’univoca definizione .
D’altro canto, in molti, compreso chi scrive, hanno a lungo ritenuto che il Metaverso fosse un argomento di fantascienza più che di scienza (specie giuridica), considerato pure che lo stesso termine, a quanto consta, è stato per la prima volta menzionato all’interno del romanzo fantasy “Snow Crash” di Neal Stephenson, pubblicato nell’ormai lontano 1992 .
Come spesso accade, però, l’esperienza offre l’occasione per rivedere i propri (pre)giudizi e ciò è puntualmente avvenuto allorché, nel corso di un periodo di ricerca nel cuore della Silicon Valley, un imprenditore del ramo informatico ha invitato chi scrive ad assistere ad una delle riunioni organizzate nel Metaverso con i propri collaboratori, dislocati fisicamente in diversi Paesi del Mondo.
Attraverso un visore (headset) e due controllers (simili a quelli in uso per i videogiochi), ho potuto vivere un’esperienza che sarebbe invero riduttivo ricondurre al “semplice” lavoro da remoto: nella dimensione virtuale, infatti, i partecipanti potevano interagire, attraverso il proprio alter ego virtuale (c.d. avatar), con modalità assai simili a quelle proprie di un incontro dal vivo. Muovendosi all’interno di uno spazio tridimensionale, era possibile visualizzare e proiettare immagini e grafici sullo sfondo, nonché scambiarsi files e appunti in formato digitale; soprattutto, due dei cinque sensi (vista e udito) venivano coinvolti con un’intensità ed un grado di realismo più prossimo ad un meeting in ufficio che ad una riunione nello spazio bidimensionale di Teams, di Zoom, o di Google Meet.
In pratica, si sono aperte le porte di una “second life”, come recita il nome di uno dei portali che, attraverso il proprio Metaverso, hanno tra i primi offerto – ad aziende e privati – uno spazio per svolgere l’eterogenea gamma di attività resa possibile dalla nuova tecnologia: dalle riunioni di lavoro interattive ai giochi di ruolo, dalla formazione a distanza all’esplorazione di un paesaggio immaginario, sino alla celebrazione di un matrimonio o, addirittura, alla discussione di una tesi di laurea .
Ciò spiega perché il Metaverso, pur sviluppatosi inizialmente come potenziamento dell’esperienza videoludica, ha nel tempo attirato un crescente interesse anche al di fuori di tale settore, come dimostrano, oltre al significativo – ma per ora non risolutivo – cambio di denominazione di Facebook in Meta, le recenti operazioni di acquisizione e/o di partnerships tra questi ultimi e i maggiori produttori di videogames , dichiaratamente improntate verso lo sviluppo dello strumento in funzione del cambiamento delle modalità e dell’organizzazione del lavoro .

2. Gioco vs. lavoro nel Metaverso
La diffusione della nuova tecnologia non ha mancato di sollevare delicate questioni giuridiche, che hanno coinvolto il campo del diritto dell’arte e dei contratti: dall’individuazione delle regole in punto di proprietà intellettuale delle opere virtuali realizzate, esposte o vendute nel Metaverso, all’adattamento della disciplina – civilistica e tributaristica – applicabile alle transazioni aventi ad oggetti beni – terreni, isole, complessi, etc. – siti nel solo Metaverso .
Il diritto del lavoro è stato sinora coinvolto in misura forse minore nel dibattito , se si eccettua l’ormai annosa discussione che, soprattutto fuori dai confini nazionali, ha interessato la qualificazione delle prestazioni rese da videogiocatori che gareggiano on-line . Con riferimento a questi ultimi, ci si è in particolare chiesti, come d’altro canto nelle prime indagini sul lavoro tramite piattaforma , sulla figura dei content creators del web , oltre che, più in generale, sul lavoro degli artisti , se le relative prestazioni possano (recte, debbano) essere ricondotte ad un’attività lavorativa, ovvero se le stesse rimangano in ogni caso confinate nel campo dell’hobby, quand’anche i partecipanti ai diversi tornei o giochi, così come i creatori di contenuti, possano mirare a ricchi premi in denaro in ipotesi di vittoria o, nel caso dei secondi, di un elevato numero di visualizzazioni o sottoscrizioni al relativo canale.
I medesimi interrogativi si potrebbero porre oggi rispetto alle prestazioni genericamente rese nel Metaverso, l’eterogeneità delle cui funzioni impone tuttavia una risposta più articolata.
Da un lato, vi è chi, come il videogiocatore per diletto o l’esploratore solitario del Metaverso, non svolge alcuna attività lavorativa ed è anzi un fruitore di un servizio a pagamento, sia “diretto”, sia, forse ancor più, attraverso la condivisione con la piattaforma dei propri dati, utilizzati da quest’ultima a fini commerciali .
Dall’altro lato, qualora il Metaverso costituisca il luogo in cui viene svolta una parte ancillare o accessoria di una prestazione che viene di regola resa nello spazio fisico, non sembra possibile dubitare che si rientri nel concetto di lavoro e, di conseguenza, nel campo di applicazione delle relative tutele. Si pensi, ad esempio, ad una riunione di gruppo o ad un colloquio preliminare all’assunzione, ovvero ad attività che, oggi, si svolgono frequentemente attraverso Microsoft Teams o GoogleMeet e, ancor prima, tramite Skype: tale modalità di impiego della tecnologia del Metaverso pare invero costituire lo sviluppo – e, potenzialmente, condurre ad un’ulteriore diffusione del – lavoro da remoto , essendo in grado di consentire un notevole risparmio, per le imprese e per gli stessi dipendenti, in termini di riduzione dei tempi e dei costi (anche ambientali) degli spostamenti fisici, senza alcuna – apparente – penalizzazione in termini di risultato e/o di produttività. Si può quindi immaginare che, in futuro, tali attività possano spostarsi dalla dimensione virtuale bidimensionale a quella tridimensionale, come già avvenuto in alcune realtà imprenditoriali all’avanguardia, tra le quali il gruppo Hilton, che organizza sul Metaverso i corsi di formazione degli addetti all’accoglienza ed alla pulizia, nonostante le relative prestazioni si svolgano poi, naturalmente, negli spazi fisici degli hotel e non nella dimensione virtuale.
Del tutto eterogenea e ben più complessa si presenta la fattispecie della prestazione lavorativa resa interamente nel Metaverso: al netto del nodo, particolarmente intricato nel caso dei videogiocatori professionisti, circa la natura ludica ovvero lavorativa dell’attività svolta , si tratta di comprendere se, nella seconda ipotesi, si tratti di lavoro subordinato o autonomo e, a monte, sulla base di quale normativa effettuare l’operazione qualificatoria, dalla quale, secondo la tradizione del diritto del lavoro, dipende l’assetto delle tutele concretamente riconosciute ai lavoratori de quibus.

3. Il nodo dell’individuazione della legge applicabile alle prestazioni lavorative rese (esclusivamente) nel Metaverso
È agevole notare come il lavoro svolto nel Metaverso in misura solo accessoria non ponga particolari problemi in merito all’individuazione della normativa applicabile, la quale sarà la stessa che regola la prestazione che, sulla base del contratto di lavoro, si svolge nella realtà fenomenica. Non sembra, infatti, revocabile in dubbio che, nel caso-scuola del dipendente operante in Italia per un’impresa italiana, il tempo trascorso in una riunione nel Metaverso, così come su Microsoft Teams, rientri nell’orario di lavoro ai sensi e per gli effetti della relativa disciplina nazionale.
Diversamente, nell’ipotesi di una prestazione resa interamente nel Metaverso, la questione si presenta oltremodo spinosa, in considerazione della sostanziale – o, forse, solo apparente – aterritorialità della prestazione resa nello spazio virtuale .
La regolamentazione europea, che funge da riferimento anche nei casi in cui il conflitto di leggi coinvolga la normativa di un ordinamento extra-UE , rimette, in prima battuta, alla volontà delle parti la scelta della legge applicabile ai contratti individuali di lavoro , al pari di quanto avviene in via generale nella materia contrattuale .
Tuttavia, a garanzia del prestatore di lavoro, si prevede che quest’ultimo non possa essere comunque privato della protezione assicuratagli dalle disposizioni alle quali non è permesso derogare convenzionalmente in virtù della legge che, in mancanza di scelta, sarebbe stata applicabile. Nel dettaglio, essa va individuata (i) nella legge del Paese “nel quale o, in mancanza, a partire dal quale il lavoratore, in esecuzione del contratto, svolge abitualmente il suo lavoro” (lex loci laboris) , o, in alternativa, (ii) nella legge da quella del Paese ove ha sede l’impresa che ha provveduto ad assumere il lavoratore , a meno che dall’insieme delle circostanze risulti che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con la legge di un Paese diverso da quelli sopra indicati (iii) .
Come è stato rilevato in dottrina, l’autonomia privata (nella scelta della legge) va dunque incontro al limite qualificato di carattere protettivo che rispecchia la debolezza del lavoratore subordinato e impone l’applicazione delle norme inderogabili della legge altrimenti applicabile , la quale va individuata secondo i menzionati criteri, che devono essere letti in senso progressivo , o “a cascata” : di conseguenza, un rilievo preminente spetta alla lex loci laboris, da intendersi alla stregua della base professionale ovvero del luogo in cui il lavoratore pone in essere gli atti collegati alle mansioni assegnate ed in adempimento dell’obbligazione caratteristica assunta .
La circostanza per cui i lavoratori del Metaverso accedono a quest’ultimo spazio dal proprio domicilio, mediante l’apposita strumentazione ivi collocata, potrebbe essere valorizzata nella prospettiva della riconduzione di tale luogo a quello di svolgimento della prestazione , o, come si è argomentato con riguardo ai lavoratori del settore dei trasporti tra Stati , al luogo “a partire dal quale” l’attività viene resa e al quale il lavoratore “fa ritorno” al termine della prestazione (i), o, ancora, in alternativa, a quello avente il collegamento più stretto con il contratto (meglio, con la prestazione) di lavoro (iii) .
Dal momento che il lavoratore (inteso ovviamente come persona-fisica e non come Avatar: v. infra) non si muove, sicché non si può parlare di una prestazione itinerante né, a fortiori, di un’ipotesi di distacco (eventualmente, anche) transnazionale , è inevitabile guardare al luogo ove egli si sia dotato degli strumenti, si colleghi ed esegua la prestazione, pur considerando che questa sarà visibile o “ricevuta” nel contesto diverso e “parallelo” del Metaverso.
La lettura proposta consentirebbe, in definitiva, di individuare la legge applicabile o, comunque (i.e. in presenza di un accordo con cui le parti scelgano la normativa che regoli il rapporto), il nucleo essenziale garantistico, a partire dalla retribuzione minima , facendo riferimento al luogo di residenza o domicilio del lavoratore.
Al contempo, però, vi sarebbe un incentivo, per l’impresa committente della prestazione “virtuale”, a selezionare i lavoratori che si trovino ad operare (ossia risiedano o dimorino) in Paesi ove le tutele lavoristiche risultino meno protettive .
Per arginare simili condotte di law shopping, si potrebbe vagliare la possibilità dei lavoratori di tali Paesi di rivolgersi al Giudice del luogo ove l’impresa ha sede per invocare il rispetto delle norme di applicazione necessaria del Foro (v. art. 9 del Regolamento “Roma I”), quand’anche al contratto trovasse applicazione la normativa di un diverso Paese in forza dell’accordo tra le parti o, comunque, le protezioni fondamentali garantite dall’ordinamento individuato sulla scorta dei già menzionati criteri ex art. 8, commi 2 e seguenti, del Regolamento “Roma I”.
D’altro canto, l’art. 21 del Regolamento europeo n. 1215/2012 (c.d. “Bruxelles I”, erede della Convenzione di Bruxelles del 1968) consente al lavoratore di convenire il datore di lavoro, alternativamente, avanti alle autorità giurisdizionali i) dello Stato in cui è domiciliato, o ii) del luogo in cui o da cui egli svolge abitualmente la propria attività, o, ancora, iii) del luogo in cui è o era situata la sede dell’impresa presso la quale egli è stato assunto.
Se, dunque, il lavoratore impiegato deciderà di convenire l’impresa per la quale opera nel Metaverso presso il luogo ove essa ha sede, egli potrà vedersi riconosciuta la protezione garantita delle norme di applicazione necessaria del Foro.
Queste, si badi, non coincidono con le disposizioni cui non è permesso derogare convenzionalmente ai sensi dell’art. 8 del Regolamento “Roma I” : infatti, come si legge nel considerando n. 37 del Regolamento da ultimo citato, le norme di applicazione necessaria del Foro, non solo non corrispondono alle norme inderogabili convenzionalmente, ma vanno anche intese in senso più restrittivo rispetto ad esse, tanto che autorevole dottrina ha parlato al riguardo di norme “super-imperative” .
Secondo la giurisprudenza nazionale, rientrerebbero tra le norme di applicazione necessaria in Italia, o, comunque, afferirebbero all’ordine pubblico internazionale del Foro, non già tutte le garanzie lavoristiche (in nome del – superato – principio del favor) , bensì le guarentigie espressive dei valori di massimo rango dell’ordinamento costituzionale e multi-level : a titolo esemplificativo, il requisito di giustificazione del licenziamento (ma non la tutela reale) , il principio della retribuzione proporzionata e sufficiente (ma non il diritto alla corresponsione del trattamento di fine rapporto ).
Le incertezze che circondano un approccio inevitabilmente case-by-case dovrebbero spingere verso l’individuazione in via preventiva di un nucleo essenziale di diritti che possano essere considerati una res extra commercium in ciascuno degli ordinamenti che compongono lo spazio giuridico europeo. In questo senso, si potrebbe innanzitutto guardare al novero delle garanzie contemplate all’art. 3, par. 1, Dir. 96/71/CE, ove trovano menzione: il limite dell’orario di massimo di lavoro e dell’impiego dei minori al lavoro; il diritto al riposo, alle ferie retribuite, al minimo salariale; la salute e la sicurezza sul lavoro; il divieto di discriminazione; la tutela della genitorialità . Per quanto, come già anticipato, la posizione del lavoratore del Metaverso debba essere tenuta distinta da quella del lavoratore distaccato, la disposizione che contempla, in riferimento alle garanzie menzionate, l’applicazione della legge Paese in cui viene resa la prestazione pare espressiva della volontà del legislatore europeo di isolare le condizioni di lavoro ritenute fondamentali. Non per nulla, le stesse hanno poi trovato menzione, oltre che nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, anche nel Pilastro Europeo dei Diritti Fondamentali del 2017, risultando espressione, anche al di fuori del contesto Ue, dell’ideale universalistico del decent work .
Al contempo, considerato che l’elenco di attribuzioni sopra proposto appare meramente orientativo e che lo stesso decent work funge da imperativo di policy e non ha carattere di law in senso stretto (i.e. diritto positivo e cogente) , sarebbe opportuno vagliare la possibile introduzione di una regolamentazione internazionale di carattere olistico per i lavoratori del Metaverso, la quale, però, si scontrerebbe, a tacer d’altro, con la pluralità e, soprattutto, con la complessa tracciabilità degli (rectius, di tutti gli) spazi virtuali ove tale normativa verrebbe in ipotesi a trovare applicazione.
Di converso, lumeggiare, in (non rigida) alternativa, lo sviluppo, specie nell’immediato, di una contrattazione collettiva “ad hoc” per il Metaverso rischierebbe, alla luce dei dubbi che circondano la normativa utile all’individuazione dei soggetti, degli ambiti e degli effetti della negoziazione sindacale, di condurre l’interprete nel campo della temutissima fantascienza…non solo giuridica.

4. Le peculiari istanze di tutela dei lavoratori del Metaverso
Relativamente ai lavoratori che svolgono nel Metaverso una parte marginale o accessoria della propria prestazione, le istanze protettive si presentano in larga parte simili a quelle del lavoro da remoto, ma si pongono anche alcune esigenze specifiche che non possono essere trascurate.
Alla luce del passaggio da uno spazio bidimensionale ad uno tridimensionale, le regole sull’utilizzo dei videoterminali, elaborate per garantire la salute e la sicurezza dei telelavoratori, dovrebbero essere rimeditate ed aggiornate, anche in considerazione dell’evoluzione della scienza medica, sia per chi opera all’interno di una realtà interamente virtuale (Virtual Reality), sia per chi presta la propria attività in una realtà fisica potenziata (Augmented Reality), che consente alla persona, la quale pure si muove nel mondo “reale”, di ottenere, mediante un’apparecchiatura visiva, informazioni aggiuntive sull’ambiente circostante (ad esempio, il livello di benzina di un’auto o l’altezza di un individuo) .
Vista l’intensità di simili esperienze e le prime evidenze dell’insorgenza, a determinate condizioni, della “Virtual Reality Sickness”, sarebbe quanto mai opportuno prestare una notevole attenzione alla prevenzione dello stress lavoro-correlato, oltre a vigilare sull’effettivo esercizio del diritto alla disconnessione e a fornire un’apposita formazione sull’utilizzo della tecnologia virtuale.
In ottemperanza alla più recente regolamentazione in materia di condizioni di lavoro trasparenti (d.lgs. n. 104/2022), il datore di lavoro che intendesse imporre o consentire l’espletamento di una parte della prestazione sul Metaverso sarebbe pure tenuto a darne informazione al lavoratore sin dal momento dell’assunzione : la stessa individuazione del luogo – fisico vs. virtuale – dovrebbe rimessa all’accordo, analogamente a quanto previsto per il lavoro agile .
Peraltro, come è emerso nell’esperienza del lavoro da remoto, non tutte le attività lavorative possono essere efficacemente svolte a distanza e non è un caso che l’individuazione di tali prestazioni, così come delle modalità di selezione del personale cui è stato concesso (o, durante la stagione pandemica, imposto) il ricorso al c.d. smart working, è stata in numerose realtà aziendali affidata – per quanto non formalmente demandata dalla legge – alla contrattazione collettiva .
Se, come anticipato, il lavoro accessorio sul Metaverso costituisce un’evoluzione del lavoro da remoto, è prevedibile che la contrattazione collettiva aziendale possa, nella logica di una gestione condivisa dell’innovazione , occuparsi della definizione dei requisiti di accesso al (lavoro sul) Metaverso, nonché, a completamento della regolamentazione di matrice legale, delle relative tutele.
Tornando alle singole guarentigie, nel caso della prestazione svolta – specialmente se interamente – nella Virtual Reality, bisognerebbe tenere in debito conto dello “sdoppiamento” e della successiva immedesimazione della persona nell’Avatar.
A tale riguardo, ha comprensibilmente fatto discutere il caso britannico della ricercatrice che ha lamentato di essere stata vittima di un’aggressione sessualmente connotata, essendo stato il relativo Avatar oggetto, su Meta Horizon World, di palpeggiamenti e di commenti sessisti da parte (degli Avatar) dei colleghi .
Se non si può negare che una condotta perpetrata all’interno di uno spazio virtuale, come il cyberbullismo sui social media, possa offendere e creare un danno alla persona in carne ed ossa, vi sono pure studi che hanno evidenziato come una persona possa sentire sul corpo gli effetti di quanto occorso al proprio Avatar, come ad esempio una sensazione di vertigini laddove l’alter ego virtuale si trovi in prossimità di un’altura sita nel Metaverso.
Tale fenomeno, noto come “Effetto Proteus” , verrebbe di certo amplificato, qualora l’esperienza virtuale dovesse, come da molti preconizzato, incamerare in futuro la funzione tattile, avvicinandosi così (sin troppo pericolosamente) alla realtà fenomenica.
Nel caso della prestazione resa interamente nel Metaverso, l’Avatar verrebbe oltretutto a coincidere con la proiezione sul lavoro della persona che il primo rappresenta , al punto da potersi immaginare, se non proprio che esso possa divenire un soggetto di diritto (il che, al momento, appare invero avveniristico), la configurabilità, de iure condendo, di un diritto ad un’identità virtuale anche diversa, nel look, rispetto alla persona reale che l’Avatar incarna .
Specularmente, però, l’impresa datrice di lavoro o committente di una prestazione sul Metaverso potrebbe avere un interesse ad imporre un certo standard di immagine agli (o, meglio, degli) Avatar che si interfaccino nello spazio virtuale con i clienti e con i terzi nell’espletamento delle mansioni per conto della stessa.
Sempre con riguardo alle prestazioni rese esclusivamente nel Metaverso, una questione particolarmente delicata riguarda le forme e le modalità di corresponsione della retribuzione.
Infatti, non può essere escluso che, almeno in parte, il lavoratore si veda attribuire un compenso in monete virtuali (e.g., in criptovalute) .
Se ciò non sembra porre particolari problemi qualora si tratti di una quota di salario (variabile ed) eccedente il minimum and/or adequate wage (come nel caso del calciatore Lionel Messi o dei videogiocatori professionisti di basket della NBA 2K League, i quali percepiscono un salario di ingresso fisso – cui si aggiungono i premi legati alle vittorie dei tornei – di 35.000 dollari annui, all’incirca analogo a quello percepito dai giocatori “reali” della Lega di sviluppo dei giovani prospetti della stessa NBA) , laddove l’intero stipendio venga corrisposto in tale forma, vi sarebbe il serio rischio di un “ritorno al futuro” del truck system, per di più caratterizzato dalle incertezze legate al valore aleatorio della moneta virtuale e, soprattutto, dall’inutilizzabilità del bene scambiato per far fronte alle primarie esigenze del lavoratore .
Da ultimo, una delicatissima questione che meriterebbe un ampio approfondimento concerne il controllo dell’attività lavorativa sul Metaverso, visto che la tecnologia consente e, anzi, implica il monitoraggio costante e la registrazione di tutto quanto avviene nello spazio virtuale, destinato a rimanere definitivamente “impresso” nella blockchain . Appare di palmare evidenza come tale quadro si presenti di dubbia coerenza con l’imperativo proprio della disciplinare europea in materia di trattamento dei dati personali (v. art. 5 Reg. Ue 2016/679 – GDPR) di limitare l’acquisizione ed il trattamento di questi ultimi secondo i canoni dell’adeguatezza, della proporzionalità e della necessarietà (principio di minimizzazione) . Proprio per questo, secondo parte della dottrina risulterebbe necessario un coinvolgimento delle autorità pubbliche o, almeno, sindacali nella fase di progettazione del software del Metaverso, in modo tale da limitare le potenzialità invasive della tecnologia in parola .

5. Rilievi di sintesi
In conclusione, è possibile affermare che nel Metaverso (o, meglio, nei Metaversi ) si possono compiere attività alquanto eterogenee, alcune di carattere ludico/ricreativo ed altre di lavoro in senso stretto, nonché, all’interno di queste ultime, alcune svolte solo accessoriamente o marginalmente rispetto ad una prestazione resa nel mondo reale ed altre in via esclusiva nello spazio virtuale.
L’elevata complessità della tematica, spinosissima sul piano tecnologico , impone di mantenere nell’analisi una postura prudente e mediana , evitando di abbracciare un punto di vista polarizzato nel senso della “meta-scetticismo” o, alternativamente, della “meta-utopia”: così come ritenere che il Metaverso resterà appannaggio della sola esperienza videoludica potrebbe apparire oltremodo limitativo e sminuente, viste le potenzialità già espresse dalla nuova tecnologia, ipotizzare il transito completo dell’esperienza lavorativa – ed umana – all’interno dello spazio virtuale finirebbe per scontrarsi con un duplice dato di realtà, ossia con l’implausibile remotizzabilità di ogni prestazione lavorativa e, in apicibus, con l’implicazione della persona – nella sua unicità, che la rende intrinsecamente insostituibile con un Avatar – nella dimensione socio/relazionale che costituisce, riprendendo l’insegnamento di Arendt, la cifra stessa della condizione umana .
Se il futuro (della tecnologia) può ancora – in larga parte – attendere, il presente (della regolazione) suggerire comunque di anticipare il cambiamento attraverso la sperimentazione di soluzioni che, alla luce delle caratteristiche proprie del lavoro reso nel Metaverso, non possono che incarnare l’ideale universalistico che costituisce la cifra di una stagione del diritto del lavoro complessivamente orientata verso l’imperativo olistico del decent work.

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