Testo integrale con note e bibliografia

Abstract. Il contributo concerne la qualificazione delle prestazioni rese dai riders operanti “on-demand” per conto delle piattaforme digitali come Foodora, Glovo e Deliveroo. L’A. ripercorre in chiave critica l’iter logico-argomentativo delle decisioni recentemente rese in tema dal Tribunale di Torino e dal Tribunale di Milano, che, come ampiamente noto, hanno accertato la natura autonoma dell’attività lavorativa svolta dai fattorini (di causa). Da ultimo, vengono svolte alcune riflessioni sulle prospettive di una regolazione del fenomeno da parte del legislatore e sui possibili spazi di intervento dell’autonomia collettiva.

 

Sommario: 1. Una breve premessa. 2. La varietà nel dato cartolare relativo ai rapporti di lavoro (in senso lato) tra le piattaforme e i riders. 3. Il quadro emerso dall’istruttoria condotta dal Tribunale di Torino e dal Tribunale di Milano sulle concrete modalità di lavoro dei riders. 4. Il rilievo decisivo a fini qualificatori della libertà del rider (e, in precedenza, del pony express) di decidere l’an ed il quando della prestazione. 5. Il trascurabile impatto dell’art. 2 d.lgs. 81 del 2015 nella qualificazione dei riders. 6. I riders e il “nuovo” coordinamento: profili critici. 7. Considerazioni conclusive.

 

Una breve premessa.

Dopo la decisione resa lo scorso maggio dal Tribunale di Torino , anche il Tribunale di Milano si è di recente pronunciato sulla controversa questione dell’inquadramento dei riders, ossia dei ciclo/moto-fattorini operanti per le piattaforme, rispettivamente, Foodora e “Glovo” .
L’esito delle due vertenze è stato il medesimo, avendo entrambi i Giudici accertato la natura autonoma delle prestazioni rese dai riders di causa, ma il percorso logico/argomentativo è stato in parte diverso.
Ciò non può del resto sorprendere, alla luce dell’eterogeneità delle parti del procedimento e, soprattutto, delle relative allegazioni, produzioni e domande.
Sembra infatti opportuno premettere che non sembra potersi discutere in astratto dell’inquadramento giuridico, né dei riders di oggi, né dei loro precursori di ieri, ossia dei pony express : se è vero che questi ultimi sono stati qualificati dalla giurisprudenza consolidata come lavoratori autonomi, è altrettanto vero che tale era stato semplicemente l’esito (prevalente) dei giudizi allora instaurati.
Nulla ovviamente impediva, come è peraltro accaduto, ad un’impresa di assumere moto-fattorini con un contratto di lavoro subordinato per effettuare il servizio di consegna con le modalità proprie del lavoro dipendente: di conseguenza, poco importa, ai fini in esame, tanto che Domino’s Pizza, sulla scia di alcune piattaforme statunitensi , abbia scelto di assumere come lavoratori subordinati diciotto addetti alle consegne di cibo a domicilio , quanto che Foodora abbia di recente paventato di abbandonare il mercato italiano (anche) a causa delle incertezze e dei costi legati al contenzioso e, in generale, alla gestione del rapporto con i riders.
Superata l’idea che vi possa essere un lavoro “ontologicamente” subordinato o autonomo , ogni discussione in punto di qualificazione dei lavori (della c.d. gig economy e non) passa, messo in discussione il dato cartolare, unicamente dalle risultanze emergenti in sede processuale circa il comportamento tenuto dalle parti nella fase esecutiva del rapporto.
Trasferire nel discorso in oggetto riferimenti alle condizioni socio/economiche generali o proprie di un determinato mercato, o, specularmente, alle strategie imprenditoriali di (de)localizzazione del proprio business, rischia di offuscare il punto di vista giuridico che deve assistere l’interprete nel procedimento di qualificazione .

La varietà nel dato cartolare relativo ai rapporti di lavoro (in senso lato) tra le piattaforme e i riders.

Gli accordi relativi alle prestazioni di lavoro dei riders presentano una notevole varietà, tanto sul piano degli obblighi dedotti in contratto, quanto dell’inquadramento, con l’unica e ovvia convergenza nell’escludere, attraverso le consolidate “formule di rito”, la natura subordinata del rapporto .
I due casi giunti all’attenzione dei Tribunali di Torino e di Milano avevano ad oggetto rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, ma, a quanto risulta, in altre ipotesi il lavoratore operava quale «prestatore d’opera occasionale».
Alcune piattaforme lasciano «libero di candidarsi o non candidarsi per una specifica corsa» senza fissare alcun turno di lavoro, a differenza di quanto previsto per i riders di Foodora e Glovo, ove è (o, comunque, era allora) in funzione un meccanismo di aggiudicazione preventiva degli “slot” a calendario, senza che questo – almeno dichiaratamente – implichi alcun obbligo di reperibilità o di prestazione minima giornaliera, settimanale o annuale.
Avendo riguardo al compenso, è possibile distinguere una serie di modelli che gravitano tra (o che vedono la combinazione de) i due modelli a tempo e a consegna: Foodora adottava inizialmente un sistema del primo tipo, passando solo in un secondo tempo al sistema “a consegna”, sperimentato anche da Glovo.
Da ultimo, gli accordi intercorrenti tra le piattaforme e i riders prevedono in larghissima parte l’utilizzo di mezzi propri per lo svolgimento dell’attività del rider (bicicletta o motorino, oltre allo smartphone), contemplando al più la consegna dei dispositivi di sicurezza (casco, maglietta, giubbotto e luci) e dell’attrezzatura per trasporto del cibo (piastra di aggancio e box) in comodato da parte della società (previo versamento dell’eventuale caparra).
In sintesi, i modelli organizzativi delle piattaforme della gig economy operanti nel mercato della consegna del cibo presentano, al di là di qualche prevedibile convergenza, differenze significative (già) sul piano cartolare .
Di queste non si può non tenere conto ai fini di un discorso generale sulla qualificazione, per quanto si tratti, come sottolineato in apertura, di dati cedevoli di fronte ad eventuali evidenze di segno contrario tratte dalla ricostruzione, all’esito dell’istruttoria, delle effettive modalità di lavoro .

 

Il quadro emerso dall’istruttoria condotta dal Tribunale di Torino e dal Tribunale di Milano sulle concrete modalità di lavoro dei riders

Si legge nella pronuncia del Tribunale di Torino che i riders (di causa), dopo la sottoscrizione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, potevano candidarsi per uno o più turni (“slot”) del calendario predisposto unilateralmente e accessibile attraverso l’app di Foodora.
Una volta ricevuta la conferma del turno da parte della società, il rider si recava in una delle zone di partenza, ivi ricevendo la notifica del singolo ordine di consegna. Invero, nel ricorso i riders avevano sostenuto come non vi fosse un tasto specifico per rifiutare l’ordine, ma ciò veniva considerato del tutto “logico” dal Tribunale piemontese, dato che l’accordo (inizialmente) contemplava un compenso orario (solo in seguito divenuto “a consegna”) e che quindi non si potesse rifiutare un ordine, una volta data la propria disponibilità al lavoro.
Ad avviso del Giudice di Torino, sarebbe stato confermato dall’istruttoria che i riders erano liberi di scegliere il percorso dal ristorante all’indirizzo del consumatore del pasto, per quanto la loro posizione potesse essere verificata attraverso il profilo dell’applicazione, come confermato nelle telefonate di sollecito dagli stessi ricevute.
Inoltre, secondo quanto riferito dai testimoni escussi, i riders erano liberi pure di non presentarsi al turno per il quale si erano candidati (c.d. “no show”), senza apparentemente subire alcuna sanzione
Anche i riders milanesi operavano secondo il sistema di turnazione “a slot” (definito nell’ambito di un calendario accessibile via app) e a loro volta erano liberi di decidere se lavorare, in quali giorni, per quante ore e in quali fasce orarie. Il rider poteva anche non candidarsi per alcuno slot e non doveva garantire un numero minimo di ore di lavoro giornaliero o settimanale, così come la società non era tenuta ad assicurare al fattorino un numero minimo di consegne ovvero di ore di lavoro.
Tuttavia, avanti al Giudice lombardo era emerso che il rifiuto o la mancata selezione di ordini di consegna, così come la richiesta di riassegnazione di un ordine o il mancato collegamento alla piattaforma durante le fasce orarie per le quali aveva manifestato la propria disponibilità, concorrevano a determinare l’“abbassamento della fedeltà”, da cui discendeva la restrizione, per il fattorino, delle possibilità di prenotare in futuro gli slot secondo le proprie preferenze e di vedersi conseguentemente assegnati gli incarichi dalla piattaforma.

Il rilievo decisivo a fini qualificatori della libertà del rider (e, in precedenza, del pony express) di decidere l’an ed il quando della prestazione.

La cifra delle due pronunce italiane sui riders è stata l’attenzione prestata al momento genetico del rapporto e, in particolare, al dato della libertà – contrattualmente garantita – del rider di decidere l’an e il quando eseguire la propria prestazione .
Ad avviso del Giudice milanese, tale libertà rappresenterebbe un fattore essenziale dell’autonomia organizzativa, che, traducendosi nella libertà di stabilire la quantità e la collocazione temporale della prestazione lavorativa, i giorni di lavoro e quelli di riposo e il loro numero, risulterebbe incompatibile con il vincolo della subordinazione.
In precedenza, il Tribunale di Torino aveva avuto modo di notare che “se il datore di lavoro non può pretendere dal lavoratore lo svolgimento della prestazione lavorativa non può neppure esercitare il potere direttivo e organizzativo”, richiamando sul punto la giurisprudenza sui pony express.
Con riferimento a questi ultimi, va peraltro ricordato che una risalente decisione della Pretura di Milano, partendo dal dato sociologico (e preesistente) della dipendenza economica del lavoratore dall’impresa , aveva escluso che il fattorino, alla luce della naturale compressione della volontà per effetto dell’esigenza di far fronte ad esigenze primarie, godesse di uno spazio di libertà effettivo (i.e. non solo formale o meramente cartolare) nella scelta relativa al “se”, oltre che al “quando” lavorare .
Tuttavia, già in sede di impugnazione della decisione citata, il Tribunale di Milano aveva notato come l’assenza dell’obbligo di presentarsi al lavoro giorno per giorno e di tenersi a disposizione nell’arco della giornata in cui il pony express dichiarava la propria disponibilità escludevano quella continuità in senso tecnico necessaria per la sussistenza di qualsiasi rapporto di lavoro subordinato .
Allo stesso esito interpretativo era poi giunta la Corte di Cassazione, a sua volta rimarcando l’assenza di alcuna direzione datoriale sullo svolgimento della prestazione (tra cui l’itinerario per la consegna) , di un controllo o della soggezione a forme di potere gerarchico e disciplinare, oltre che della necessaria continuità della prestazione . Tale approdo giurisprudenziale si è poi consolidato nel tempo, tanto che, solo sette anni or sono, la Cassazione confermava ancora una volta una sentenza di merito che, nell’escludere la natura subordinata del rapporto tra un’agenzia ed un moto-fattorino incaricato di effettuare le consegne, aveva valorizzato proprio l’autonomia decisionale di quest’ultimo sul quomodo e sul quando svolgere la prestazione e sull’itinerario da percorrere, unitamente ad altri indici, come la proprietà dei mezzi di locomozione e gli oneri di gestione a proprio carico e rischio di impresa a carico del lavoratore .

 

Il trascurabile impatto dell’art. 2 d.lgs. 81 del 2015 nella qualificazione dei riders
Tanto nell’arresto torinese, quanto nella decisione milanese, il peso decisivo riconosciuto alla libertà del rider di decidere l’an (oltre al quando) della prestazione ha reso secondario, se non addirittura superfluo, l’accertamento relativo alla sussistenza dell’eventuale potere direttivo/organizzativo esercitato dalla piattaforma sul rider durante lo svolgimento dell’attività lavorativa “liberamente” prestata.
Ciò concorre a spiegare il limitato impatto nei due giudizi del discusso art. 2 d.lgs. 81 del 2015, del quale comunque i due Giudici hanno proposto due diverse letture .
Ad avviso del Tribunale di Torino, la norma, peraltro invocata dai ricorrenti solo in via subordinata, non avrebbe, a prescindere dalla volontà del legislatore, un «contenuto capace di produrre nuovi effetti giuridici sul piano della disciplina applicabile alle diverse tipologie di rapporti di lavoro» : in sostanza, il Tribunale di Torino guarda all’art. 2 d.lgs. n. 81 del 2015 come ad una norma apparente , in quanto limitata a positivizzare un pregresso indirizzo espansivo della giurisprudenza. Quest’ultima, infatti, non avrebbe mai distinto chiaramente tra etero-direzione ed etero-organizzazione , come confermato dal continuo riferimento – specie nelle massime in materia di lavoro subordinato – al “vincolo di soggezione del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro” .
Su questo aspetto la pronuncia di Torino si intreccia con l’arresto milanese, che, pur aderendo alla tesi per cui l’art. 2 d.lgs. n. 81 del 2015 andrebbe interpretato alla stregua di una norma di disciplina , abbraccia a sua volta una visione restrittiva della subordinazione, sostenendo che il potere direttivo – da intendersi nell’accezione comprensiva del potere di organizzare, oltre che di conformare, la prestazione altrui – avrebbe mantenuto la sua storica centralità come criterio qualificatorio . Ciò continuerebbe a relegare in secondo piano i c.d. indici sussidiari, al contrario valorizzati dall’orientamento giurisprudenziale sulla c.d. “subordinazione attenuata” , quali la modalità di pagamento del compenso, la continuità, l’osservanza di un orario di lavoro fisso e continuativo, la suddivisione del rischio, la presenza di una postazione fissa. Non per nulla, tali elementi vengono giudicati dal Tribunale di Milano singolarmente inidonei “a fondare la riconduzione del rapporto al tipo contrattuale del lavoro subordinato”, oltre che, nel caso di specie, solo in minima parte ricorrenti .

 

I riders e il “nuovo” coordinamento: profili critici
A fronte dell’indubbio legame con l’art. 2 d.lgs. n. 81 del 2015 , non è sfuggita ai commentatori la mancata menzione, nel corpo della pronuncia di Torino (e lo stesso può dirsi con riguardo all’arresto milanese), dell’art. 15, comma 1, lett. a), l. n. 81 del 2017, ovvero di una disposizione con la quale il legislatore avrebbe inteso (ri)marcare i confini della collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409, n. 3) Cod. Proc. Civ.
Come noto, all’esito della citata novella, la collaborazione andrebbe considerata «coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa».
Da ciò, secondo autorevole dottrina, sarebbe derivato che “nelle collaborazioni coordinate, è necessario un accordo tra le parti per determinare le modalità di esecuzione, mentre nelle collaborazioni organizzate dal committente allo stesso spetta il potere di determinare unilateralmente le modalità di esecuzione della prestazione del collaboratore” .
Se, dunque, l’elemento discretivo tra etero-direzione (e/o etero/organizzazione) e coordinamento andrebbe individuato nella circostanza che il collaboratore di fatto si trovi ad organizzare autonomamente l’attività lavorativa , entrambi i Giudici, trovandosi di fronte ad un accordo di collaborazione coordinata e continuativa (e non ad una collaborazione occasionale), avrebbero forse potuto dedicare un maggiore approfondimento ai profili concernenti la gestione dell’incarico in proprio da parte del rider.
In altre parole, sarebbe stato opportuno, ai fini della verifica della genuinità del coordinamento, svolgere un accertamento più puntuale circa l’effettiva autonomia nella fase di esecuzione dell’opus, avendo riguardo all’eventuale potere di conformazione e di verifica della prestazione , anche laddove quest’ultima fosse stata “liberamente” prestata – relativamente all’an ed al quando – dal rider.
È condivisibile quanto il Giudice milanese afferma, ossia che anche nel rapporto di lavoro autonomo il committente impartisce istruzioni in ordine al contenuto e agli obiettivi dell’incarico affidato e fissa standard quali/quantitativi delle prestazioni concordate, verificando il rispetto degli stessi da parte del prestatore; tuttavia, nel caso dei riders, salva la libertà di rendersi disponibili per l’inserimento nel turno di lavoro, praticamente tutto viene stabilito in via unilaterale dal gestore della piattaforma , che risulta avvalersi di un inedito sistema di controllo da remoto della prestazione (via GPS) e, soprattutto, di attribuzione degli incarichi legato ai discussi ratings .
Per quanto sia senz’altro vero che, anche in passato, il pony express meno disponibile avrebbe plausibilmente ricevuto meno proposte , non può essere sottovalutato che, nell’ambito di un oscuro (in quanto ignoto nel suo concreto funzionamento) sistema algoritmico, vengono sicuramente combinati una serie di dati complessi, tra i quali, con ogni probabilità, l’accettazione o il rifiuto di precedenti proposte da parte del rider, come pure la valutazione, peraltro non necessariamente “oggettiva” (ovvero legata alla qualità della prestazione e non ad altri fattori), resa dagli utenti .
Del resto, lo stesso Giudice milanese ha ritenuto corretto verificare attraverso l’esame testimoniale quali fossero le conseguenze del mancato riscontro al fine di comprendere se, dietro la mancata assegnazione degli incarichi, si celasse una sanzione, atipica ma pur sempre afflittiva, in quanto tale espressione di un potere giuridico difficilmente compatibile, specie a seguito dei chiarimenti forniti dal legislatore, con un genuino rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (ovvero di lavoro autonomo) .
Il discorso si sposta così dal piano degli effetti giuridici del meccanismo di aggiudicazione degli incarichi a quello dell’accertamento del relativo funzionamento, mentre, a rigore di logica, il percorso avrebbe potuto essere invertito. Delle due l’una: o l’intelligenza artificiale ha raggiunto livelli tali da generare autonomamente tale sistema (ma, oltre che come, nell’interesse di chi? Della piattaforma stessa, quale sorta di “noumeno 4.0”?), oppure, come sembra più verosimile, l’algoritmo è pur sempre opera dell’uomo, ossia è stato creato dai programmatori in vista dell’interesse, tipicamente imprenditoriale, all’ottimizzazione del servizio di consegna dei cibi (o di trasporto, nel caso di Uber) fornito ai propri clienti dalla società che gestisce la piattaforma .
Accedendo a questa seconda lettura, sarebbe pur sempre “l’uomo” (e non la piattaforma…) a dover fornire delle risposte chiare sul punto: non per nulla, il Tribunale di Milano ha sentito, in qualità di testi, il responsabile e altri collaboratori della sede milanese di Glovo, non ottenendo tuttavia informazioni o indicazioni univoche al riguardo, presumibilmente anche a causa della mancata conoscenza (o, meglio, conoscibilità) del complesso funzionamento del programma – che, peraltro, non è detto non possa andare nelle more incontro a modifiche – da parte dei non tecnici. Per questo motivo, si sarebbe forse potuto ordinare alla convenuta il deposito, se non delle istruzioni relative al sistema di assegnazione degli incarichi (il che avrebbe richiesto sicuramente una consulenza tecnica d’ufficio), della documentazione o del materiale contenente i dati relativi alla distribuzione di questi ultimi a seconda della disponibilità (preventiva e successiva) fornita dai singoli riders nel tempo, delle loro caratteristiche e del loro comportamento nella fase di esecuzione della prestazione lavorativa.

Considerazioni conclusive

Come più volte sottolineato, non è (né potrebbe essere) lo scopo di questo scritto (né del singolo pronunciamento di un Giudice) accertare se i riders di oggi (o i moto-fattorini di ieri) siano in sé subordinati o autonomi, dipendendo ogni giudizio da una molteplicità di variabili, tra le quali il dato contrattuale e, soprattutto, la situazione di fatto, così come ricostruita dall’istruttoria, a sua volta condizionata dalle allegazioni, dai capitoli di prova e dalle domande di parte.
Pare perciò potersi concludere sul punto che la corretta postura nell’affrontare le questioni lavoristiche connesse alla gig economy debba tendere, in punto di qualificazione, verso la distinzione analitica ben più che verso l’assimilazione sintetica.
Da ciò occorre che prendano avvio le riflessioni dei giuristi (e non solo), le quali possono (o, forse, debbono) in un secondo tempo certamente proseguire – ma, appunto, “fuori sentenza” – in una prospettiva de iure condendo, specie se la soluzione raggiunta de iure condito risulti inappagante in una logica di protezione del lavoro “in ogni forma e applicazione” che trova un preciso addentellato nell’art. 35 della Carta costituzionale .
A tale riguardo, si è da più parti segnalata l’ingiustizia sostanziale di una situazione che vede i riders – i quali non pedalano di certo per hobby – sostanzialmente sguarniti di tutele, e ci si è perciò mossi nella direzione di garantire loro un nucleo essenziale di diritti , i quali, nelle proposte sinora avanzate, ruotano quasi sempre attorno ai temi i) del compenso minimo; ii) dell’orario di lavoro e delle ferie; iii) dell’assicurazione contro gli infortuni e per i danni arrecati a terzi; iv) dell’informativa sul funzionamento del sistema di ratings e di assegnazione degli incarichi mediante il già menzionato “algoritmo” .
Ci si è trovati, come sempre, innanzi alla classica (per il diritto del lavoro) alternativa – per quanto non stringente – tra legge e contrattazione collettiva .
Una legge sul lavoro su piattaforma avrebbe il pregio dell’obbligatorietà, ma potrebbe scontare il difetto di lasciare irragionevolmente scoperto un ampio novero di lavoratori impiegati nello svolgimento di compiti non dissimili da quelli svolti dai gig workers per la sola circostanza, che poco ha a che vedere con le esigenze di tutela, di non essere coordinati “via app”, sempre a patto che la scelta del legislatore, come pareva dalla prima bozza di “decreto dignità” circolata , non dovesse in futuro volgere nella direzione di una modifica della stessa nozione di subordinazione diretta ad abbracciare proprio i rapporti di lavoro “on-demand”, de iure condito ricondotti, come visto, dal Tribunale di Torino e dal Tribunale di Milano, al lavoro autonomo .
Al contempo, le vicende processuali sembrano (o sembravano) avere funto da volano per l’apertura di un tavolo di confronto per la fissazione in via contrattuale collettiva di minimi di trattamento, caldeggiata dallo stesso Ministro del Lavoro, significativamente quale alternativa ad un intervento eteronomo .
Invero, la scelta di puntare sulle relazioni industriali, invece che sulla (sola) azione legislativa (non solo nazionale: si pensi al caso della Regione Lazio), potrebbe consentire di tenere meglio conto delle specificità del settore e degli interessi – non necessariamente omogenei – dei lavoratori ivi coinvolti , pur postulando ovviamente il raggiungimento – eventualmente attraverso il sostegno o la “moral suasion” dell’attore pubblico – di un’intesa, per sua natura incoercibile (vertendosi pur sempre in materia di autonomia collettiva), con le società che gestiscono le piattaforme : in tal senso, fintanto che la giurisprudenza continuerà a ritenere applicabile l’art. 36 Cost. al solo lavoro subordinato , l’inserimento della figura del rider nell’ultima versione del CCNL della logistica appare tanto importante sul piano simbolico, quanto privo di immediate ricadute di carattere pratico .
In conclusione, la situazione attuale si presenta colma di incognite e irta di complessità, almeno in parte frutto delle inevitabili incongruenze risultanti da una fase di legislazione sul lavoro – sia consentita l’amara battuta – “continuativa” ma tutt’altro che “coordinata”. Proprio per questo, qualsiasi soluzione il legislatore intenda adottare, in luogo o, meglio, a sostegno della contrattazione collettiva , dovrà in ogni caso essere meditata (nel tempo) e mediata (dal Parlamento), nonostante (o, meglio, proprio a fronte de) le comprensibili istanze provenienti dalla realtà sociale .

 

 

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