testo integrale con note e bibliografia

1. Introduzione
In una società che tendenzialmente può apparire per certi versi impegnata e superficiale perché tendente a semplificare i concetti, le relazioni, i percorsi, le attese, i traguardi, occorre guardarsi con autoriflessione e senso critico, riflettendo su quel velato spirito che forse ogni tanto può coinvolgere qualcuno inconsciamente. Mi sto riferendo a quella gelosia sottile e inconscia, che nasce nel vedere qualcuno godere di una tutela o attenzione speciale: non un’invidia esplicita, ma un senso velato di ingiustizia o esclusione, come se quel privilegio altrui mettesse in dubbio il proprio valore o la propria sicurezza. È un'emozione silenziosa, spesso non riconosciuta, che nasce dal confronto implicito con chi appare più protetto o favorito. E per sfatare questa lontana percezione occorre approfondire il tema in esame, per cercare di assumere consapevolezza fattuale, evolutiva, giuridica, oltre anche e fugare ogni lontana e vana gelosia apparente e quantomeno bloccarla a priori.
Perché la legislazione coinvolge anche l’inclusione? La risposta è abbastanza elementare. Il diritto, inteso quale complesso di norme poste a fondamento della convivenza sociale, rappresenta l’elemento strutturale imprescindibile di ogni relazione interpersonale. Ogni interazione, anche la più semplice ed apparentemente informale, è suscettibile di assumere rilevanza giuridica attraverso la configurazione di rapporti regolati da norme, espressi – ad esempio – nella stipulazione implicita di un contratto di trasporto mediante l’acquisto e la vidimazione di un titolo di viaggio. Al di là di esempi suggestivi, seppur didascalici, ciò che preme evidenziare è che la dimensione giuridica non solo permea la quotidianità, ma costituisce altresì la base teorica ed operativa per l’elaborazione di politiche pubbliche, specialmente nei contesti sensibili come quello dell’inclusione scolastica.
In tale prospettiva, affrontare il tema della legislazione scolastica riferita all’inclusione impone un’analisi sistematica che muova dalle fonti primarie del nostro ordinamento, con particolare riferimento alla Carta Costituzionale. È infatti nella Costituzione che si rinvengono i principi fondamentali a tutela della persona, dell’eguaglianza sostanziale e del diritto all’istruzione, i quali rappresentano il presupposto irrinunciabile per una corretta interpretazione ed attuazione della normativa in materia.
L'analisi sistematica della Costituzione italiana consente di cogliere il ruolo centrale riconosciuto all’istruzione e alla funzione docente nell’assetto sociale e giuridico della Repubblica. La scuola, infatti, si configura come punto nodale di connessione tra le istanze della famiglia e quelle del mondo del lavoro, ponendosi quale istituzione intermedia e strategica nel percorso formativo, educativo e valoriale del cittadino.
Non è casuale, in tal senso, la collocazione dei principi costituzionali: gli articoli 29, 30 e 31 sanciscono la tutela della famiglia, mentre l’articolo 32 riconosce il diritto alla salute. A seguire, gli articoli immediatamente successivi (artt. 33 e 34) sono dedicati all’istruzione e all’insegnamento, a testimonianza di una sequenza ordinata che riflette un preciso orientamento culturale e giuridico della nostra Repubblica. Si delinea, così, una struttura valoriale che pone in sequenza la famiglia, la salute, l’istruzione e, successivamente, il lavoro, come fondamento sociale e coesione economica e civile del nostro Paese.
In questo contesto, il ruolo della scuola e della figura del docente acquisiscono diverse valenze strategica che partono dal fine educativo, sociale e arrivano a quello costituzionale. L’insegnamento è descritto dalla stessa normativa come un’attività che va oltre la mera prestazione lavorativa, configurandosi quale esercizio di una vocazione ad alta responsabilità civile, finalizzata alla formazione integrale della persona. Ciò è particolarmente evidente nel contesto dell’inclusione scolastica. L’obiettivo principale oltre ad essere quello di favorire l’integrazione fisica degli studenti è anche quello di promuovere un reale adattamento del contesto scolastico ai bisogni individuali, rimuovendo ogni ostacolo che possa generare esclusione, discriminazione o marginalità.
Lavoro, istruzione e inclusione sono tre pilastri fondamentali della nostra Costituzione in cui il profilo educativo assume una connotazione di prim’ordine ed è per questo che prima di analizzare le tappe fondamentali che hanno condotto all’inclusione, occorre analizzare “la fonte” principale dalla quale tutto trae origine.

2. Inclusione scolastica e Costituzione: tra principio e dovere.
Il principio di inclusione costituisce il fondamento di un sistema educativo realmente democratico e non discriminatorio, trovando nella Carta costituzionale una radice solida e anticipatrice. È vero che la terminologia oggi utilizzata – “inclusione” – appartiene a una fase più recente del lessico giuridico e pedagogico; tuttavia, la Costituzione repubblicana ne prefigura la sostanza, riconducendola a un disegno istituzionale volto a garantire l’accesso all’istruzione in condizioni di effettiva uguaglianza.
Già l’art. 2 Cost. consente di riflettere sul nesso tra riconoscimento dei diritti inviolabili e valorizzazione delle formazioni sociali ove la persona sviluppa la propria personalità. La scuola si colloca, in questa prospettiva, quale primaria formazione sociale, luogo in cui l’individuo apprende, si relaziona e costruisce la propria identità . Ne discende che l’insegnamento non può essere ridotto a mera trasmissione di contenuti, ma si configura come responsabilità costituzionale, chiamata a rendere ciascun alunno protagonista del proprio percorso educativo, in un contesto che valorizzi le differenze e promuova la partecipazione .
A ciò si ricollega l’art. 3 Cost., che, ponendo il principio di uguaglianza formale e sostanziale, impegna la Repubblica non soltanto a riconoscere diritti eguali, ma anche a rimuovere gli ostacoli – economici, sociali, culturali, linguistici e connessi alla disabilità – che limitano il pieno sviluppo della persona. Ne emerge come l’inclusione non possa essere intesa nella sola dimensione della legalità formale, ma debba tradursi in effettività sostanziale, plasmando spazi educativi realmente accessibili, equi e partecipati .
Il principio trova ulteriore radicamento nell’art. 9 Cost., che affida alla Repubblica la promozione della cultura e la tutela del patrimonio – artistico, storico, paesaggistico e, a seguito della recente revisione, anche ambientale e scientifico . Il legame tra scuola e cultura, lungi dall’essere meramente strumentale, assume carattere organico: l’inclusione scolastica diviene infatti strumento essenziale di democratizzazione dell’accesso al sapere, il quale, per definirsi autenticamente tale, deve poter accogliere la pluralità di esperienze e soggettività che popolano l’ambiente educativo. Escludere o marginalizzare significa dunque non solo comprimere diritti individuali, ma sottrarre ricchezza al patrimonio collettivo .
In questa prospettiva si inseriscono anche gli artt. 33 e 34 Cost. , che completano il quadro costituzionale delineando la struttura del sistema scolastico e qualificando l’istruzione quale diritto fondamentale . Da un lato, l’art. 33 riconosce la libertà dell’arte, della scienza e dell’insegnamento, sottolineando come la funzione educativa debba essere esercitata in un orizzonte pluralistico e non uniformante ; dall’altro, l’art. 34 sancisce l’apertura universale della scuola e l’obbligatorietà dell’istruzione inferiore, espressioni di un principio di universalità che rende effettiva la garanzia di inclusione .
Infine, l’art. 38 Cost. riveste un ruolo centrale poiché, nel riconoscere agli “inabili e ai minorati” il diritto all’educazione e all’avviamento professionale, esplicita con chiarezza la dimensione inclusiva dell’istruzione, ponendola quale strumento di emancipazione e di partecipazione sociale per i soggetti in condizione di particolare vulnerabilità . Tale disposizione non si limita a riconoscere un diritto astratto, ma impone un obbligo positivo allo Stato, chiamato a garantire servizi e percorsi personalizzati che rendano effettivo l’accesso alla formazione e al lavoro .
Su queste premesse, l’inclusione si configura quale paradigma costituzionale che, sebbene esposto alle criticità pratiche – scarsità di risorse, disomogeneità territoriali, carenze nella formazione del personale – esige un’interpretazione dinamica delle norme, orientata a soluzioni giuridicamente fondate e concretamente attuabili . La scuola si presenta così come presidio di garanzia sociale, luogo nel quale si esercita il diritto allo studio e, insieme, quello alla cittadinanza attiva, alla relazione e alla crescita individuale e collettiva .

3. Le principali tappe storiche
L’idea di inclusione scolastica, così come oggi abbiamo visto esser riconosciuta in ambito costituzionale, è partita da un lungo percorso legislativo a stretto rapporto con lo spirito pedagogico, frutto di un lungo processo evolutivo che ha attraversato fasi segnate da concezioni profondamente diverse del ruolo della scuola nei confronti degli alunni con disabilità . Analizzeremo nei paragrafi successivi questi passaggi a tratti da considerare come svolte significative che hanno condotto al concetto di inclusione che oggi stesso viviamo . Per farlo analizzeremo l’ultimo mezzo secolo di riforme che hanno fatto in modo di vivere il presente dell’inclusione.

3.1 La Legge n. 118/1971: dalla separazione all’inserimento.
Ai fini di una visione più completa, occorre un breve premessa che riguarda la situazione preesistente gli anni Settanta. Un primo vero punto di svolta si rinviene nella Riforma Gentile del 1923, ancor prima di quella in esame. In tale contesto è avvenuto un primo snodo cruciale: il riconoscimento della disabilità. Infatti, seppur fortemente criticabile sotto molti aspetti – per l’impostazione elitaria e classista del sistema scolastico che delineava – questa prima vera riforma rappresentò il primo tentativo organico dello Stato italiano di occuparsi in termini normativi dell’istruzione delle persone con disabilità. E’ importante riconoscere che la riforma riconosceva – sebbene in un contesto separativo - per la prima volta il diritto all’istruzione per ciechi e sordomuti, prevedendo apposite strutture didattiche denominate classi differenziali (per i ciechi) e classi speciali (per i sordi). Come osservato, naturalmente si trattava di un modello fortemente separativo, basato sull’idea che la disabilità dovesse essere affrontata attraverso percorsi formativi distinti da quelli comuni, in funzione di un presunto “adattamento” delle capacità residue dell’alunno .
È essenziale però leggere tale passaggio con la lente della consapevolezza storica. Il modello seguiva certamente l’idea dell’esclusione, fondato su una logica di separazione piuttosto che di inclusione e rifletteva una visione della disabilità come deficit da gestire, più che come condizione da includere. Tuttavia, ad oltre un secolo di distanza, non si può sottovalutare un aspetto fondamentale. Quella riforma, pur con tutti i suoi limiti, fu animata da qualcosa che, in termini giuridici e umani, ha un valore profondo: il riconoscimento. Perché, tra tutti i sentimenti, anche i più ambivalenti o imperfetti, ciò che realmente esclude non è l’errore, ma l’indifferenza. L’amore, l’odio, la pietà, la paura, tutti questi sentimenti presuppongono un contatto, un legame, una presa in carico dell’altro. L’indifferenza, invece, è assenza di sguardo e corrisponde alla cancellazione dell’esistenza dell’altro.
Ecco perché, nella sua arretratezza concettuale, la Riforma Gentile può oggi essere letta come il momento in cui la disabilità smette di essere invisibile e diventa, per la prima volta, oggetto di considerazione normativa. Non ancora inclusione, ma quantomeno presenza. Non ancora pari opportunità, ma almeno un primo considerare l’altro – seppur in maniera arcaica - nella sua differenza.
Nel decennio successivo, tra il 1923 e il 1933, si assistette all’ulteriore sistematizzazione dell’approccio di partenza. Vennero così istituite classi specifiche per gli alunni con ritardi lievi e scuole speciali per coloro che presentavano condizioni di maggiore gravità. Il paradigma sottostante restava quello della separazione, incentrato su una logica medico-deficitologica, che tendeva a categorizzare rigidamente gli studenti in base alla natura e al grado della loro disabilità .
Questo modello rimase sostanzialmente immutato fino agli anni Sessanta. Ancora la riforma del 1962, che pure intendeva ampliare l’obbligo scolastico e democratizzare l’accesso all’istruzione, faceva riferimento a classi differenziali come strumento ordinario per l’inserimento degli alunni con disabilità . Allo stesso modo, il provvedimento del 1968 contemplava l’istituzione di sezioni speciali o gradi speciali, come le scuole materne speciali, perpetuando l’idea di un sistema educativo parallelo, riservato a chi non poteva – o non era considerato in grado di – frequentare la scuola comune.
Se quindi fino ad ora si poteva ipotizzare un presupposto insito nella logica della “separazione”, con la riforma degli anni settanta il concetto ha segnato un passaggio ulteriore. Pur rimanendo ancorata ad una concezione prevalentemente medico-previdenziale, la legge introduce per la prima volta nel nostro ordinamento un principio destinato a produrre una svolta culturale e giuridica di grande rilievo, riconoscendo il diritto dei minori invalidi civili a frequentare la scuola pubblica nelle classi comuni .
Questa previsione segna un cambiamento profondo rispetto al modello della separazione scolastica che aveva dominato fino a quel momento. L’art. 28 della legge in esame stabilisce, infatti, che l’istruzione dell’obbligo deve essere impartita nelle classi “normali” della scuola pubblica, e solo in presenza di gravi disabilità intellettive o menomazioni fisiche particolarmente invalidanti può essere derogata tale regola. È significativo che per la prima volta si introduca nel lessico normativo il termine inserimento, espressione che testimonia l’emergere di un nuovo paradigma educativo e giuridico .
La legge n. 118 del 1971 rappresenta una svolta significativa nel panorama normativo italiano in materia di disabilità, introducendo innovazioni che anticipano, in forma embrionale, i principi oggi riconosciuti a livello internazionale in tema di accessibilità e accomodamento ragionevole . La portata innovativa della norma si manifesta non solo nell’estensione del diritto all’istruzione oltre la scuola dell’obbligo, ma anche nell’introduzione di misure concrete volte a garantire l’effettiva partecipazione degli alunni con disabilità all’interno degli istituti scolastici .
Di particolare rilievo è la definizione di "invalidi e mutilati civili" contenuta all’art. 2, comma 2, della legge, che riconosce tutela anche a soggetti con minorazioni congenite o acquisite, incluse le insufficienze mentali di origine organica o sensoriale, purché comportino una riduzione permanente della capacità lavorativa, o, nel caso di minori, difficoltà persistenti nello svolgimento delle funzioni tipiche dell’età evolutiva. Tale definizione segna un primo tentativo di superare un approccio esclusivamente clinico, proponendo una lettura della disabilità in termini di impatto funzionale e sociale.
Sul piano operativo, la legge introduce misure che mirano a rendere effettivo il diritto all’inclusione scolastica: il trasporto gratuito casa-scuola per studenti non autosufficienti, l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici scolastici e l’assistenza individualizzata durante l’orario scolastico per gli alunni con disabilità gravi. Tali interventi non solo rispondono a esigenze materiali, ma delineano una nuova responsabilità pubblica nella progettazione di ambienti educativi inclusivi, dove la partecipazione scolastica sia garantita attraverso l’adeguamento del contesto alle specificità individuali .
L’analisi della legge 118/1971 quindi, alla luce della normativa vigente, consente di cogliere la portata anticipatrice di un impianto normativo che, seppur ancora embrionale, ha posto le basi per un’evoluzione culturale e giuridica fondata sul riconoscimento della piena cittadinanza delle persone con disabilità e sulla costruzione di un sistema educativo orientato all’inclusione.

3.2.- La svolta verso l’integrazione: il c.d. documento Falcucci
Il Documento Falcucci del 1975, pur privo di forza normativa, rappresenta un atto di indirizzo politico-culturale di rilevanza giuridica, che segna l’avvio del superamento del modello scolastico selettivo a favore di un paradigma inclusivo. Esso anticipa una visione dell’istruzione come diritto soggettivo universale, fondato sulla valorizzazione delle differenze e sull’uguaglianza sostanziale, influenzando profondamente l’evoluzione legislativa successiva in materia di inclusione scolastica.
Il Documento Falcucci anticipa l’attuazione concreta dei principi costituzionali di uguaglianza sostanziale, pari dignità e diritto all’istruzione (artt. 2, 3, 34 e 38 Cost.), ponendo le basi per una scuola inclusiva fondata sulla personalizzazione dei percorsi educativi. In tale prospettiva, l’alunno con disabilità è riconosciuto come titolare di diritti soggettivi e protagonista attivo del proprio sviluppo. La funzione della scuola viene ridefinita in una prospettiva costituzionalmente orientata, assumendo il ruolo di istituzione promotrice dell’inclusione e della coesione sociale, nonché strumento essenziale per la piena attuazione dei diritti di cittadinanza, in particolare per i soggetti in condizione di vulnerabilità. Tuttavia, la concreta realizzazione di tale funzione non può essere demandata esclusivamente al sistema scolastico, ma richiedeva un’organizzazione integrata delle politiche pubbliche, fondata sulla collaborazione strutturata tra scuola, servizi sanitari e sociali. In assenza di una presa in carico unitaria e multidimensionale, il rischio era quello di una tutela frammentata e disomogenea, incapace di garantire l’effettività dei diritti fondamentali . Solo in questa prospettiva era possibile tradurre i principi costituzionali in pratiche educative inclusive.
Nel documento della Commissione Falcucci emerge con chiarezza una concezione della prevenzione che va ben oltre l’ambito sanitario, delineandola come azione educativa e sociale volta ad affrontare precocemente le cause strutturali delle disuguaglianze. In quest’ottica, la scuola dell’infanzia assume un ruolo strategico nella costruzione di percorsi inclusivi, anticipando l’attuale riconoscimento del diritto all’educazione prescolare come parte integrante di un sistema formativo continuo. L’intervento della Commissione si estende all’intero impianto dell’istruzione obbligatoria, interpretata non come mera risposta compensativa, ma come leva trasformativa capace di valorizzare le differenze individuali e di realizzare un’effettiva uguaglianza sostanziale. L’accento posto sulla personalizzazione dell’intervento educativo e sull’adattamento dell’azione pubblica alle condizioni soggettive anticipa principi che troveranno piena espressione nelle successive riforme legislative. Tuttavia, la Commissione evidenzia anche che la realizzazione di una scuola realmente inclusiva richiede una revisione profonda delle finalità educative e un impegno concreto nella pratica quotidiana, attraverso strumenti progettuali, collegialità e flessibilità organizzativa, senza i quali ogni enunciazione rischia di restare a livello di principio .
Uno degli aspetti più innovativi del modello proposto dalla Commissione Falcucci è l’affermazione del principio di territorialità, che ridefinisce l’identità stessa della scuola pubblica come istituzione aperta e inclusiva, responsabile dell’intera popolazione scolastica del proprio territorio, senza discriminazioni o selezioni preventive. In tal modo, si delinea una visione universalistica della scuola come luogo primario di esercizio dei diritti di cittadinanza e di costruzione del legame sociale. Per rendere concretamente attuabile questo principio, la Commissione insiste sulla necessità di contenere le dimensioni degli istituti e dei gruppi classe, sottolineando come la qualità dell’interazione educativa e l’efficacia della personalizzazione didattica dipendano anche da scelte organizzative. Si inizia a percepire, in relazione al numero di alunni, soprattutto in presenza di disabilità, rivelano una concezione della scuola come spazio capace di adattarsi alle esigenze individuali, anziché imporre modelli rigidi e standardizzati. Tale approccio si fonda su un’idea di equità sostanziale, che riconosce la necessità di differenziare gli interventi per garantire pari opportunità a tutti. La stessa definizione di disabilità adottata dalla Commissione, che considera l’impatto delle condizioni individuali sui processi di apprendimento e relazione, anticipa il paradigma bio-psico-sociale poi formalizzato dall’ICF dell’OMS. In questa cornice, la scuola a tempo pieno non è concepita come semplice estensione oraria, ma come ambiente educativo arricchito, capace di promuovere percorsi personalizzati attraverso la collegialità del corpo docente, la corresponsabilità educativa e il lavoro interprofessionale. Anche la figura dell’insegnante viene vista come risorsa per gli alunni con disabilità e come parte integrante di un progetto educativo condiviso, volto a rafforzare l’intera comunità scolastica . In particolare lo stesso l’insegnante non è più concepito come semplice esecutore di programmi ministeriali, ma come un professionista riflessivo, chiamato a sviluppare competenze culturali, pedagogiche e relazionali in un percorso di formazione continua. Questa visione anticipa una concezione moderna della funzione docente, fondata sulla capacità di interpretare i cambiamenti sociali e cognitivi degli alunni e di adattare di conseguenza le strategie didattiche. Particolare attenzione viene riservata alla stabilità del personale scolastico, considerata condizione imprescindibile per garantire la continuità educativa, soprattutto in presenza di alunni con bisogni educativi speciali. La relazione educativa, infatti, non può essere costruita in modo efficace senza un rapporto duraturo, basato sulla fiducia reciproca e sulla conoscenza progressiva delle risorse e delle difficoltà di ciascun alunno. In questo senso, la Commissione sottolinea come l’organizzazione scolastica debba essere funzionale alla qualità delle relazioni, ponendo la dimensione umana e relazionale al centro dell’azione educativa.
Il principio di continuità didattica, oggi pienamente recepito nell’ordinamento scolastico italiano, rappresenta un pilastro fondamentale per la realizzazione di percorsi educativi inclusivi e personalizzati. Già sancito dall’articolo 14 della Legge 104/1992, tale principio è stato progressivamente rafforzato dalla normativa successiva, in particolare dal D.Lgs. 66/2017 e dalla sua modifica con il D.Lgs. 96/2019, che introducono misure volte a garantire la stabilità del personale docente, con particolare attenzione agli alunni con disabilità . In questa direzione si colloca anche il recente Decreto Ministeriale n. 32/2025, che prevede la possibilità di confermare, su richiesta degli organi collegiali, l’insegnante di sostegno a tempo determinato per l’anno scolastico successivo . Tale misura è stata ulteriormente dettagliata dalla Circolare ministeriale n. 363/2025, che pone in rilievo l’importanza di un approccio partecipativo, fondato sul coinvolgimento attivo delle famiglie, dei Gruppi di Lavoro Operativi (GLO) e degli Uffici Scolastici Territoriali. Ne emerge una visione dell’inclusione come processo condiviso, centrato sulla continuità delle relazioni educative e sulla co-progettazione dei percorsi formativi, in linea con una prospettiva realmente centrata sulla persona. .
In linea con una concezione evolutiva e professionale del sistema educativo, la Commissione Falcucci attribuisce all’aggiornamento permanente dei docenti un ruolo strategico, considerandolo non come un'opzione individuale, ma come un diritto-dovere intrinseco alla funzione docente e un elemento strutturale della politica scolastica. Tale visione riconosce che l’insegnamento non può essere esercitato efficacemente senza un costante aggiornamento teorico e una riflessione critica sull’esperienza didattica, in dialogo con i progressi delle scienze dell’educazione. La professionalità docente, quindi, viene definita come una costruzione continua, in cui la dimensione teorica e quella esperienziale si alimentano reciprocamente, con l’obiettivo di rispondere in modo consapevole e competente alle trasformazioni culturali, sociali e cognitive che attraversano il mondo della scuola.
Da un punto di vista giuridico, le indicazioni qui discusse trovano progressiva formalizzazione nei provvedimenti normativi successivi che di seguito poi andremo ad analizzare nel dettaglio, a partire dalla Legge n. 517/1977, che istituisce l’integrazione degli alunni con disabilità nella scuola comune, fino alla Legge n. 104/1992, che ne riconosce il diritto all’educazione e all’istruzione nell’ambito di un progetto individualizzato. Le più recenti evoluzioni normative – come il Decreto Legislativo n. 66/2017, integrato dal D.Lgs. n. 96/2019 – confermano e consolidano questo impianto, ridefinendo il ruolo delle istituzioni scolastiche in chiave inclusiva, cooperativa e territoriale di cui appresso si dirà.

3.3. La logica dell’individualizzazione. La Legge n. 517 del 4 agosto 1977
La Legge 4 agosto 1977, n. 517, ha rappresentato un punto di svolta nel sistema scolastico italiano perché ha superando l’impostazione segregativa basata sull’istituzionalizzazione in classi differenziali o scuole speciali .
Il testo legislativo ha delineato un modello di scuola unitaria, in cui la diversità dell’alunno non costituisce causa di esclusione, bensì presupposto per una didattica personalizzata. Tra le principali innovazioni si evidenziano: la riforma dei criteri di valutazione, l’eliminazione degli esami di riparazione e il rafforzamento della collegialità nella programmazione didattica.
Sul piano dell’inclusione, la legge ha sancito il diritto degli alunni con disabilità a frequentare la scuola primaria e secondaria di primo grado ordinaria, introducendo strumenti operativi idonei a garantire l'effettività del principio. In particolare, è stata istituita la figura dell’insegnante di sostegno quale risorsa specialistica a supporto dell’integrazione nella classe comune. Parallelamente, è stata promossa la personalizzazione dell’insegnamento, attraverso il lavoro collegiale del consiglio di classe e la definizione di interventi educativi individualizzati .
In attuazione dei principi sanciti dalla legge, il Ministero della Pubblica Istruzione ha emanato nel medesimo anno una circolare esplicativa che ha previsto la costituzione di gruppi di lavoro interdisciplinari (antenati degli attuali GLO), finalizzati alla progettazione condivisa e al monitoraggio dei percorsi di inclusione.
La Legge n. 517/1977 ha anticipato i successivi interventi normativi che a breve verranno analizzati, ponendo di fatto le basi per un modello educativo fondato sulla rimozione degli ostacoli alla partecipazione e sul principio di corresponsabilità educativa. Pur a fronte di difficoltà applicative e disomogeneità territoriali, il suo impianto originario conserva rilevanza sia sul piano normativo sia su quello etico-pedagogico.

3.4.- Il perfezionamento dell’individualizzazione. La legge n. 270 del 1982.
Prima di introdurre nuove prospettive normative, è opportuno soffermarsi sull’analisi dell’impatto prodotto dalla Legge 4 agosto 1977, n. 517, valutandone sia le innovazioni introdotte sul piano ordinamentale e didattico-pedagogico, sia le criticità strutturali emerse nella fase di attuazione.
La legge ha segnato l’avvio di un modello educativo orientato all’odierna inclusione scolastica, promuovendo un’organizzazione didattica fondata sulla cooperazione tra i docenti e sul principio di corresponsabilità educativa. L’integrazione dell’alunno con disabilità viene concepita come processo collegiale, affidato all’intero consiglio di classe e non più demandato unicamente all’insegnante curricolare o alla nuova figura del docente di sostegno, introdotta dalla medesima normativa.
Tale riforma ha comportato una riorganizzazione funzionale dell’ambiente scolastico, finalizzata a renderlo permeabile alle esigenze educative differenziate, in dialogo con il contesto sociale e territoriale. L’ambiente classe viene così reinterpretato quale spazio dinamico, flessibile e inclusivo, idoneo ad accogliere pratiche didattiche differenziate, laboratoriali e cooperative.
Significativa è stata anche la ridefinizione del sistema valutativo. La Legge n. 517/1977 ha superato il modello meramente certificativo, introducendo una valutazione globale e formativa, centrata sui processi di apprendimento e sull’evoluzione individuale dell’alunno, in coerenza con i principi della pedagogia inclusiva .
Tuttavia, l’applicazione della legge ha evidenziato sin da subito alcune carenze di tipo normativo e organizzativo. In particolare, si rileva l’assenza di disposizioni in merito alla figura del docente di sostegno nella scuola dell’infanzia e nella scuola secondaria di secondo grado, determinando un’applicazione disomogenea del diritto all’inclusione lungo l’intero arco dell’istruzione. Inoltre, la normativa originaria fissava criteri rigidi per l’assegnazione delle ore di sostegno (massimo sei ore settimanali), subordinando l’accesso a parametri clinici, con evidenti limiti in termini di equità ed efficacia.
In risposta a tali criticità, il legislatore è intervenuto con la Legge 20 maggio 1982, n. 270, che ha integrato e modificato la disciplina previgente. Tale intervento ha ampliato il campo di applicazione del diritto al sostegno, estendendolo alla scuola dell’infanzia e introducendo un criterio di proporzionalità tra numero di alunni con disabilità e dotazione organica di docenti di sostegno (indicativamente nella misura di 1:4), in sostituzione del precedente limite orario fisso.
Ulteriore elemento qualificante della riforma del 1982 è stata l’istituzione del docente di sostegno con contratto a tempo indeterminato, equiparato giuridicamente al docente curricolare. Ciò ha segnato un passaggio cruciale nel riconoscimento istituzionale della professionalità specifica del sostegno, consolidandone il ruolo all’interno dell’organico funzionale dell’autonomia scolastica .

3.5.- Una giurisprudenza di rilievo per il concetto di integrazione
Un passaggio determinante nell’evoluzione del diritto all’inclusione scolastica si registra nel 1983, con il ricorso presentato dai coniugi Salvi-Carosi al TAR del Lazio. Oggetto del contendere era la mancata riammissione della figlia, studentessa con disabilità neuropsichica, alla prima classe di un istituto professionale romano. Pur in presenza di pareri medico-legali favorevoli alla frequenza scolastica, l’alunna venne di fatto esclusa dalle lezioni tramite una condotta omissiva da parte dell’amministrazione, priva di un formale provvedimento.
Il TAR, con ordinanza del 28 novembre 1984, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 3, della Legge n. 118/1971, nella parte in cui – utilizzando il termine “facilitata” – non garantiva in modo vincolante l’accesso delle persone con disabilità alla scuola secondaria di secondo grado. Il giudice amministrativo ha rilevato il possibile contrasto con gli artt. 3, 30, 31 e 34 della Costituzione, affermando la necessità di una lettura costituzionalmente orientata della norma.
Il caso Salvi-Carosi ha evidenziato, in modo emblematico, il divario tra i principi enunciati dalla normativa e le prassi scolastiche, ancora segnate da logiche selettive. In tale contesto, la giurisprudenza ha assunto un ruolo fondamentale nell’ampliare la portata applicativa delle tutele previste per le persone con disabilità, estendendo il concetto di handicap a tutte le condizioni che determinano ostacoli significativi all’apprendimento, all’inserimento sociale e alla partecipazione attiva alla vita scolastica.
Particolare rilievo assume, nella decisione, il riconoscimento della funzione educativa della scuola quale fattore centrale nello sviluppo integrale della persona. L’istituzione scolastica non è intesa solo come luogo di istruzione, ma anche come spazio relazionale e sociale che contribuisce alla costruzione dell’identità, al rafforzamento delle competenze emotive e all’acquisizione di autonomia. Viene inoltre valorizzato il ruolo strategico dell’istruzione come ponte verso l’inserimento lavorativo e la piena cittadinanza.
Infine, la vicenda ha sollecitato una revisione della formulazione normativa dell’art. 28 della L. 118/1971, chiedendo che si passi da un linguaggio programmatico a una previsione normativa precettiva e cogente. Il diritto all’istruzione, anche nei gradi superiori, deve assumere carattere vincolante, imponendo agli attori istituzionali non solo l’astensione da condotte escludenti, ma l’adozione attiva di misure organizzative e didattiche adeguate. L’effettività del diritto non può dipendere da risorse residuali, ma richiede un impegno pieno e strutturale da parte dell’amministrazione scolastica.

3.6.- La logica dell’integrazione nella legge n. 104 del 1992
La legge in oggetto si configura come una legge quadro volta a disciplinare in modo sistematico e organico l’assistenza, l’integrazione sociale e la tutela dei diritti fondamentali delle persone con disabilità. Essa costituisce un punto di snodo nella progressiva affermazione del paradigma inclusivo nel diritto italiano, delineando un impianto normativo orientato al superamento dell’approccio meramente assistenzialistico, in favore di un modello centrato sul riconoscimento della piena soggettività giuridica della persona disabile.
L’intervento legislativo si caratterizza per un’estensione assiologica che abbraccia l’intero ciclo di vita della persona – dall’infanzia all’età avanzata – riconoscendone, in chiave unitaria, il diritto all’autonomia, alla partecipazione e alla pari dignità sociale. Tale visione, ispirata ai principi costituzionali di uguaglianza sostanziale (art. 3, comma 2, Cost.) e al diritto all’istruzione (art. 34 Cost.), viene ulteriormente consolidata con l’approvazione, nel 2000, di una seconda legge quadro, volta a razionalizzare e integrare il sistema di welfare, anche in funzione della sussidiarietà orizzontale e della cooperazione tra enti pubblici e soggetti del terzo settore .
Sotto il profilo giuridico, la normativa assume una funzione di “infrastruttura dei diritti”, in quanto si propone di rimuovere, mediante politiche pubbliche integrate, le barriere – fisiche, sociali e culturali – che ostacolano il pieno sviluppo della persona con disabilità. In particolare, l’attenzione riservata all’integrazione scolastica riveste un ruolo centrale nella costruzione di un sistema educativo realmente inclusivo, non più fondato su logiche di separatezza o compensazione, bensì orientato alla valorizzazione delle differenze come risorsa per la comunità scolastica .
La Legge, nel riordinare la normativa sulla disabilità ha segnato principi fondamentali tutt’ora in vigore anche se la loro mera enunciazione, pur sempre apprezzabile sotto il profilo valoriale, non sempre si è tradotta in una effettiva implementazione a livello amministrativo e territoriale. L’impostazione della legge dunque segna un importante passaggio culturale e giuridico. Si supera definitivamente l’approccio esclusivamente medico e assistenzialista, per approdare a una visione integrata della persona con disabilità, valorizzata nella sua globalità e nella sua piena soggettività giuridica. Il legislatore riconosce il diritto della persona con disabilità a realizzarsi nei diversi contesti di vita – scolastico, lavorativo, sociale e relazionale – lungo l’intero arco dell’esistenza, ponendo le basi per una progettualità personalizzata e interdisciplinare.
In materia di diritto all’istruzione, la legge 104 del 1992 assume un rilievo fondamentale, poiché delinea un impianto normativo organico volto a garantire l’effettiva integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Il testo legislativo riconosce il diritto all’educazione e all’istruzione come diritto soggettivo pieno e incondizionato, da esercitarsi nel rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza sostanziale, pari dignità sociale e partecipazione attiva alla vita della comunità. La normativa affronta in modo sistemico diversi aspetti centrali per la realizzazione dell’integrazione come per esempio il diritto all’istruzione della persona con disabilità da esercitarsi prioritariamente nella scuola comune, le finalità e le modalità dell’integrazione scolastica che si fondano sullo sviluppo delle potenzialità individuali in ambito affettivo, cognitivo e relazionale nonchè l’organizzazione dei servizi necessari per supportare tale processo, compresi l’assegnazione del docente di sostegno, la predisposizione di ausili didattici e l’attivazione di progetti individualizzati. Anche il ruolo dei gruppi di lavoro per l’integrazione scolastica, sia a livello di istituzione scolastica sia sul piano territoriale, con funzioni di raccordo e progettazione educativa ma anche la valutazione degli apprendimenti, che deve essere coerente con gli obiettivi previsti nel piano educativo, pur nel rispetto delle disposizioni generali del sistema scolastico .
Tra le principali innovazioni introdotte dalla legge si evidenziano tre strumenti fondamentali, che rappresentano il perno della progettazione educativa personalizzata. La diagnosi funzionale, redatta dalle strutture sanitarie competenti, descrive la situazione complessiva dell’alunno, evidenziando difficoltà e potenzialità nei diversi ambiti di sviluppo. A questa si affianca il profilo dinamico funzionale, elaborato congiuntamente da scuola, famiglia e servizi sociosanitari, che definisce le tappe evolutive e orienta la pianificazione degli interventi. Infine, il piano educativo individualizzato, obbligatorio per ogni alunno con disabilità, rappresenta il documento operativo che esplicita gli obiettivi didattici, le strategie metodologiche, le forme di sostegno e le modalità di verifica e valutazione, in una prospettiva integrata e condivisa tra tutte le figure coinvolte.
Questi strumenti, nel loro insieme, costituiscono un modello avanzato di presa in carico educativa, incentrato sulla personalizzazione e sull’interdisciplinarità e anticipano in parte le linee guida internazionali che verranno formalizzate solo successivamente con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Tuttavia, nonostante l’impianto normativo appaia solido e coerente, numerose criticità sono emerse sul piano attuativo. Tra queste si segnalano in particolare la disomogeneità nella redazione e nell’utilizzo della documentazione tra territori diversi, la mancanza di formazione specifica del personale scolastico e le difficoltà di raccordo tra scuola, servizi sanitari e enti locali. Tali carenze hanno spesso compromesso l’effettiva attuazione dei diritti riconosciuti dalla legge, determinando una significativa distanza tra il dettato normativo e le pratiche reali. In questa prospettiva, risulta evidente la necessità di rafforzare i meccanismi di monitoraggio, formazione e coordinamento, affinché l’inclusione scolastica non resti un principio astratto, ma si traduca in un’effettiva condizione di accesso, partecipazione e apprendimento per ogni studente con disabilità.
Sulla scorta di ciò la legge prevede dei punti fondamentali che andiamo ad evidenziare. Principiando dall’art. 3 che offre una prima vera e propria definizione di persona con disabilità, letteralmente la legge parla di “persona handicappata” ovvero colui che presenti una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che sia causa di difficoltà nei processi di apprendimento, relazione o integrazione lavorativa e tale da determinare una condizione di svantaggio sociale o di emarginazione. È una definizione che si allontana da logiche esclusivamente mediche o diagnostiche, per abbracciare definitivamente una concezione multidimensionale della disabilità. Ed in questo contesto è anche opportuno fare riferimento alle norme maggiormente significative .
L’art. 12 stabilisce il diritto all’integrazione scolastica in tutti gli ordini e gradi di scuola, affermando che nessuna difficoltà di apprendimento o condizione di disabilità può costituire ostacolo all’accesso al diritto all’educazione. Si tratta di un principio di portata sistemica che impone alla scuola l’obbligo di rimuovere le barriere che ostacolano il pieno sviluppo della personalità dell’alunno con disabilità, nel rispetto dei principi costituzionali .
Anche l’art. 13 ribadisce che l’inclusione si realizza prioritariamente all’interno delle classi comuni, attraverso l’impiego di docenti specializzati per il sostegno, la cui presenza deve essere strutturata secondo criteri di adeguatezza e continuità. Il legislatore valorizza il ruolo del docente di sostegno quale figura cardine del progetto educativo individualizzato, pur senza escludere la responsabilità condivisa dell’intero corpo docente. La partecipazione degli insegnanti di sostegno agli organi collegiali scolastici è espressione del principio della collegialità e della corresponsabilità nella progettazione didattica.
L’art. 14 pone in evidenza la necessità della formazione permanente di tutto il personale docente sui temi dell’integrazione scolastica, sottolineando che l’effettività del diritto all’inclusione richiede competenze specifiche e aggiornate, non limitate ai soli docenti di sostegno. In questo contesto, la formazione diventa uno strumento fondamentale per superare resistenze culturali e favorire una scuola realmente inclusiva.
La disposizione contenuta nell’art. 15 introduce la costituzione di gruppi di lavoro provinciali per l’integrazione scolastica, con funzioni consultive e propositive nei confronti degli uffici scolastici territoriali. Tali organismi, se efficacemente strutturati e valorizzati, possono costituire un'importante sede di coordinamento interistituzionale e di condivisione di buone pratiche.
Infine, l’art. 16 sancisce il principio della valutazione personalizzata dell’alunno con disabilità, prevedendo che il rendimento scolastico sia misurato in relazione agli obiettivi stabiliti nel Piano Educativo Individualizzato (PEI). La valutazione non può prescindere dalla considerazione delle potenzialità del soggetto, del suo percorso evolutivo e dei progressi conseguiti rispetto alla situazione di partenza.
Nonostante le novità di rilievo, tuttavia, permangono in ambito applicativo numerose criticità. Dalla carenza di organico specializzato, alla disomogeneità nella qualità dei servizi di sostegno, fino alla difficoltà di attuazione del PEI in modo coerente ed efficace. Tali problematiche rischiavano di compromettere la piena attuazione dei diritti esaminati, rendendo necessaria una riflessione sulla concreta esigibilità del diritto all’istruzione integrativa che di fatto hanno reso necessarie una serie ha trovato progressivo sviluppo e implementazione attraverso una serie di interventi normativi successivi, finalizzati ad adeguare l’assetto normativo al fine di rafforzarlo .
Tra questi, particolare rilievo assume il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275, che ha dato attuazione all’art. 21 della legge n. 59/1997 in materia di autonomia scolastica, ridefinendo profondamente l’organizzazione interna delle istituzioni scolastiche .
Tale regolamento ha introdotto l’autonomia progettuale e organizzativa delle scuole, attribuendo loro la possibilità di definire curricoli, percorsi formativi, articolazioni dell’offerta educativa e modalità didattiche in funzione delle specifiche esigenze dell’utenza. In questo quadro, la possibilità di strutturare progetti educativi personalizzati per alunni con disabilità, coerenti con i principi sanciti dalla legge 104/1992, è divenuta parte integrante del diritto all’inclusione. Il riconoscimento dell’autonomia didattica e organizzativa si lega strettamente alla valorizzazione della libertà di insegnamento (art. 1, comma 2, DPR 275/1999), intesa non come esercizio responsabile di scelte metodologiche e pedagogiche in grado di rispondere ai bisogni educativi speciali, nel rispetto delle finalità del sistema nazionale di istruzione.
Altro elemento innovativo introdotto dal regolamento è la flessibilità nella gestione dell’orario di insegnamento, che consente una personalizzazione delle attività educative anche sotto il profilo temporale, contribuendo a rendere effettiva la partecipazione degli alunni con disabilità alla vita scolastica quotidiana. Tale flessibilità può essere impiegata, ad esempio, per articolare percorsi differenziati, modulare tempi di apprendimento, o integrare attività individualizzate previste nei PEI (Piani Educativi Individualizzati), in coerenza con i principi di cui all’art. 16 della legge 104/1992 .
Nella medesima direzione si inserisce l’evoluzione del concetto di offerta formativa, originariamente delineata come POF (Piano dell’Offerta Formativa) e successivamente trasformata, con la legge 13 luglio 2015, n. 107, in PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa). L’art. 1, comma 14, della legge 107/2015 stabilisce che il PTOF debba contenere la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa delle istituzioni scolastiche, includendo azioni specifiche per la promozione dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità. Tale previsione risponde all’esigenza di rendere strutturale e programmata la progettualità inclusiva, superando l’idea di intervento episodico o emergenziale .
Occorre tuttavia interrogarsi sull’effettiva capacità delle scuole di esercitare in modo pieno e consapevole la propria autonomia nella progettazione e nella prospettazione dell’integrazione degli studenti con disabilità. Nonostante l’impianto normativo sia teoricamente coerente con i principi dell’integrazione scolastica, permangono disomogeneità territoriali, carenze di risorse e in alcuni casi anche un’insufficiente formazione del personale rispetto alle potenzialità offerte dalla flessibilità organizzativa. Ciò evidenzia la necessità di un costante monitoraggio dell’attuazione del PTOF e del ruolo effettivo che i progetti inclusivi ricoprono all’interno delle istituzioni scolastiche, al fine di garantire non solo il rispetto formale delle norme, ma la piena realizzazione del diritto all’educazione inclusiva come diritto fondamentale della persona.

4.- L’estensione del paradigma inclusivo ai Bisogni Educativi Speciali: la svolta culturale della Direttiva MIUR del 2012
Con la Direttiva del Ministero dell’Istruzione del 27 dicembre 2012 e la successiva Circolare n. 8 del 6 marzo 2013, il sistema scolastico italiano ha conosciuto un rilevante ampliamento del paradigma inclusivo attraverso l’introduzione formale del concetto di Bisogni Educativi Speciali (BES). Questa innovazione ha esteso l’attenzione educativa oltre i confini tradizionali della disabilità certificata (ai sensi della L. 104/1992) e dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (L. 170/2010) , includendo una più ampia varietà di condizioni che possono interferire con il processo di apprendimento.
La nozione di BES si fonda su un modello bio-psico-sociale, che riconosce come le difficoltà scolastiche possano derivare non solo da diagnosi cliniche, ma anche da fattori ambientali, socioeconomici, culturali e linguistici. In questa prospettiva, la fragilità educativa viene letta in chiave sistemica e contestuale, superando la logica della medicalizzazione del disagio scolastico.
A livello operativo, la Direttiva ha introdotto strumenti di personalizzazione della didattica, tra cui il Piano Didattico Personalizzato (PDP), rivolto agli studenti con bisogni non certificati ma documentati. Il PDP, redatto in sede collegiale, consente l’adozione di strategie pedagogiche, misure compensative e dispensative, garantendo un intervento mirato e proporzionato alle necessità dell’alunno.
Questa evoluzione ha avuto un impatto rilevante sulla cultura scolastica, affermando il principio secondo cui il diritto all’istruzione deve essere garantito nella sua dimensione sostanziale, adattando l’offerta formativa alle caratteristiche individuali degli studenti. La scuola è così chiamata a farsi carico non solo delle situazioni patologiche, ma di tutte le condizioni che ostacolano il pieno sviluppo delle potenzialità educative del discente.
Tuttavia, non sono mancate criticità interpretative e applicative. L’assenza di una fonte normativa primaria ha sollevato dubbi circa il valore giuridico delle misure previste per gli studenti BES non certificati. Inoltre, l’ampiezza della categoria ha posto problemi di sostenibilità per le istituzioni scolastiche, spesso prive delle risorse, della formazione e del supporto adeguati a garantire un'inclusione effettiva e non solo formale.
Nonostante tali limiti, l’introduzione dei BES rappresenta un passaggio significativo nel percorso verso un modello scolastico realmente inclusivo, che riconosce la diversità come componente strutturale del contesto educativo. Essa sollecita il superamento di una visione integrativa per abbracciare una prospettiva partecipativa e dinamica, orientata alla rimozione delle barriere che ostacolano il successo formativo e l’effettiva parità di accesso all’istruzione.

5.- La logica dell’inclusione
Un’importante innovazione nel sistema normativo volto a garantire l’inclusione scolastica delle persone con disabilità è stata introdotta con il decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66, recante “Norme per la promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità”, successivamente modificato e integrato dal decreto legislativo 7 agosto 2019, n. 96 . Tale intervento legislativo si colloca nel più ampio contesto della riforma del sistema educativo delineata dalla legge n. 107/2015, e si propone di rafforzare il principio dell’inclusione come diritto soggettivo pienamente esigibile e garantito in tutte le fasi del percorso scolastico .
Tra le principali novità normative introdotte, merita particolare attenzione l’istituzione dell’Osservatorio Permanente per l’inclusione scolastica, organismo consultivo e propositivo con funzioni di raccordo tra le istituzioni scolastiche, le associazioni rappresentative e le altre componenti della società civile coinvolte nei processi di inclusione .

5.1.- La riforma dei gruppi di lavoro per l’inclusione scolastica
Tra le innovazioni più significative introdotte dal decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66 , e successivamente perfezionate con il decreto legislativo 7 agosto 2019, n. 96, vi è la revisione complessiva dell’architettura dei gruppi di lavoro deputati alla promozione, coordinamento e attuazione dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, attraverso una modifica sostanziale dell’articolo 15 della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
La versione originaria della legge 104/1992 prevedeva l’istituzione, presso ciascun ufficio scolastico provinciale, di gruppi di lavoro per l’integrazione scolastica (GLHI), con funzioni consultive in materia di organizzazione e programmazione degli interventi. A livello interprovinciale, operava altresì il GLIP (Gruppo di Lavoro Interprovinciale per l’handicap), con compiti di raccordo tra i diversi soggetti istituzionali coinvolti.
Il nuovo impianto normativo sostituisce tale struttura con un sistema più articolato, ispirato a un modello multilivello e interistituzionale, che mira a garantire una maggiore efficacia degli interventi, una più capillare diffusione delle buone pratiche e un coinvolgimento attivo delle comunità educanti nei territori.
La riforma pertanto prevede l’attivazione di quattro distinti gruppi di lavoro, ciascuno con competenze e ambiti di intervento specifici che di seguito analizzeremo. Dapprima il Gruppo di Lavoro Interistituzionale Regionale (con acronimo di GLIR), istituito presso ciascun Ufficio Scolastico Regionale, hanno funzioni di coordinamento e indirizzo strategico delle politiche per l’inclusione a livello regionale. Esso assicura il raccordo tra le amministrazioni scolastiche e le altre istituzioni pubbliche competenti in materia di inclusione, in una logica di programmazione integrata dei servizi. Successivamente il Gruppo per l’Inclusione Territoriale (con acronimo GIT), previsto a livello provinciale o di ambito territoriale, ha il compito di supportare le scuole nella predisposizione dei Piani Educativi Individualizzati (PEI), garantendo coerenza tra le risorse assegnate e le effettive esigenze degli alunni con disabilità. Il GIT rappresenta un’innovazione sostanziale, in quanto introduce una funzione tecnico-operativa di accompagnamento, finalizzata a evitare disomogeneità territoriali nella fruizione dei diritti. Il Gruppo di Lavoro per l’Inclusione (con acronimo GLI), è attivo all’interno di ciascun istituto scolastico ed è composto dal dirigente scolastico, dai docenti curricolari e di sostegno, da eventuali figure professionali interne o esterne alla scuola. Il GLI svolge un ruolo fondamentale nella predisposizione del Piano per l’Inclusione e nella promozione di iniziative educative volte alla realizzazione di un contesto scolastico inclusivo. Infine, il Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione (con acronimo GLO), introdotto dall’articolo 9 del d.lgs. 66/2017, si configura come l’organo deputato all’elaborazione e alla verifica del PEI per ciascun alunno con disabilità. Il GLO, che si riunisce è composto dai docenti del consiglio di classe, dai genitori, da un rappresentante dell’ente locale e dalle figure professionali che seguono l’alunno, secondo quanto stabilito dal profilo di funzionamento .
Questa ridefinizione dei gruppi di lavoro rappresenta una risposta all’esigenza di superare i limiti delle strutture previste originariamente dalla legge 104/1992, ritenute non sempre adeguate a garantire la tempestività e l’efficacia delle misure inclusive. Il nuovo assetto mira invece a favorire una governance più articolata e partecipativa, basata sulla cooperazione tra scuola, famiglia, territorio e servizi socio-sanitari.
Tuttavia, va osservato che l’effettività di tale modello multilivello dipende in larga misura dalla sua concreta attuazione, dalla disponibilità di risorse e dalla formazione dei soggetti coinvolti. La presenza di una struttura normativa avanzata non è di per sé sufficiente a garantire un'inclusione scolastica reale e sostanziale, se non accompagnata da una piena assunzione di responsabilità istituzionale e da un coordinamento efficace tra i vari livelli organizzativi.

6. Tra norma e realtà: il c.d. Decreto scuola 2024
Nel percorso sin qui sviluppato è possibile notare come l’evoluzione normativa sia sempre più attenta ai diritti educativi e all’inclusione sostanziale. In tale contesto il Decreto-Legge 7 giugno 2024, n. 82 — noto come Decreto Scuola 2024 — si presenta come l’ennesimo tentativo di conciliare esigenze pratiche e ambizioni pedagogiche. Tra gli obiettivi dichiarati vi è il rafforzamento della qualità dell’offerta formativa, con particolare attenzione alla formazione iniziale e continua del personale scolastico, alla revisione dei meccanismi di reclutamento e al contrasto della dispersione scolastica, in linea con i target europei e gli impegni assunti nell’ambito del PNRR. Tuttavia occorre pur sempre interrogarsi sulla reale capacità della norma di incidere sulle disuguaglianze educative, che oggi non si misurano soltanto in termini di accesso, ma di partecipazione effettiva, riconoscimento e valorizzazione della diversità.
Il decreto, pur contenendo disposizioni che enunciano il principio di inclusione, risulta ancora ancorato a una visione prevalentemente organizzativa e amministrativa della riforma scolastica, con il rischio di perdere di vista la dimensione culturale e relazionale dell’inclusività.

6.1.- Tra innovazione e applicazione: il D.lgs. n. 62/2024
Con l’adozione del Decreto Legislativo n. 62 del 3 maggio 2024, attuativo della Legge n. 227/2021, il legislatore italiano è intervenuto in maniera sostanziale sul piano definitorio e operativo della disabilità, collocandosi in coerenza con gli standard internazionali e con un’evoluzione ormai consolidata in ambito pedagogico e giuridico. Tra le innovazioni più significative, emerge la ridefinizione della nozione di “persona con disabilità” alla luce del modello bio-psico-sociale proposto dall’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF) dell’OMS. In tal modo, si supera definitivamente una concezione riduttiva e medicalizzante della disabilità, ancora improntata a termini obsoleti come “handicap” o “minorazione”, in favore di una visione centrata sull’interazione tra condizione individuale e contesto ambientale.
Tale cambio di prospettiva lessicale e concettuale non è neutro perchè assume rilevanza giuridica e operativa, in quanto incide sulla definizione dei diritti, dei bisogni e degli strumenti di supporto. In particolare, il decreto recepisce e valorizza il principio dell’accomodamento ragionevole, sancito dall’art. 2 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ratificata con L. n. 18/2009), elevandolo a criterio di azione per le istituzioni chiamate a garantire pari opportunità e accesso effettivo ai diritti fondamentali. L’inclusione, dunque, non è più affidata a interventi standardizzati, ma costruita attraverso misure personalizzate, proporzionate e contestuali, in grado di rimuovere concretamente gli ostacoli alla partecipazione sociale e scolastica.
In questa direzione si inserisce l’introduzione di una valutazione di base unica e di una valutazione multidimensionale, che consentono di rilevare in maniera integrata e interdisciplinare i bisogni e le risorse della persona, al fine di costruire un Progetto di vita individuale coerente e condiviso. Questo progetto si connette strettamente con il Piano Educativo Individualizzato, divenendo non solo un atto formale, ma un dispositivo dinamico di inclusione scolastica e sociale. Tuttavia, se da un lato il decreto appare avanzato sotto il profilo della tutela formale, dall’altro lascia aperta la questione della sua attuazione concreta. Resta pur sempre affidata alla responsabilità delle singole istituzioni e alla qualità del coordinamento professionale, anche ai diversi livelli, la responsabilità di tradurre in prassi i principi enunciati. Il passaggio dal diritto dichiarato al diritto realizzato, dunque, rimane la vera sfida del nuovo impianto normativo.

7. Segregazione, separazione, integrazione, inclusione e …. ?
Il processo di inclusione scolastica, sebbene ampiamente normato, richiede oggi un rafforzamento strutturale e culturale in più direzioni. La transizione verso una didattica digitale inclusiva impone un ripensamento delle modalità di erogazione del servizio scolastico, affinché l’accesso alle tecnologie non diventi un ulteriore fattore discriminante . In tal senso, il principio di non discriminazione si estende oggi anche alla sfera digitale, richiedendo investimenti continui in infrastrutture e formazione del personale. Infine, resta imprescindibile il passaggio da una normativa formalmente inclusiva ad una prassi effettiva, in cui la progettazione del “progetto di vita” non si limiti a documenti prescrittivi, ma diventi espressione concreta della personalizzazione educativa e dell’integrazione tra scuola, famiglia e territorio, nel rispetto dei diritti fondamentali del minore e in coerenza con i principi dell’inclusione piena e partecipata.

8. Conclusioni
Nel corso degli ultimi cinque decenni, il sistema scolastico italiano ha progressivamente abbandonato una concezione meramente integrativa, centrata sulla sola presenza fisica degli alunni con disabilità nelle classi comuni, per abbracciare un modello inclusivo di tipo pluridimensionale, attento ai diritti fondamentali della persona e alle specificità dei percorsi educativi individuali. In tale contesto, la riforma introdotta nel 2024 rappresenta un ulteriore avanzamento, segnando un passaggio significativo sia sul piano semantico – attraverso l’adozione di un lessico giuridicamente e pedagogicamente più coerente (si pensi, ad esempio, al concetto di "accomodamento ragionevole") – sia sul piano sostanziale, grazie all'integrazione sempre più strutturata tra il Piano Educativo Individualizzato (PEI) e il progetto di vita dello studente, in conformità con i principi delineati dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
Tuttavia, la reale portata innovativa della disciplina non può esaurirsi nella normativa formale. L’effettività del diritto all’inclusione si misura, infatti, nella capacità del sistema educativo di garantire condizioni concrete per l’attuazione dei principi enunciati. Ciò implica un impegno costante su più fronti. Una formazione iniziale e in servizio del personale scolastico adeguata e aggiornata, un investimento strutturale in risorse materiali e professionali, e una rete collaborativa stabile tra scuola, famiglia, enti locali, servizi sanitari e sociali. Solo mediante tale approccio sinergico sarà possibile tradurre il dettato normativo in pratiche educative capaci di rimuovere le disuguaglianze e promuovere una partecipazione attiva e significativa di tutti gli studenti al contesto scolastico e sociale.

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