testo integrale con note e bibliografia

1. La teoria ecologica di Bronfenbrenner e l’orizzonte normativo
Il modello ecologico dello sviluppo umano, teorizzato da Urie Bronfenbrenner, rappresenta una delle più significative acquisizioni delle scienze sociali del secondo Novecento e offre, al contempo, chiavi di lettura preziose per il giurista interessato alla dimensione inclusiva del sistema scolastico. L’autore individua l’essenza del processo evolutivo non in una dinamica lineare di causa-effetto, bensì in un adattamento reciproco e progressivo tra individuo e ambiente, in cui il soggetto che cresce interagisce con contesti mutevoli e multilivello . Non a caso, già nel 1979, Bronfenbrenner definiva l’ecologia dello sviluppo come studio delle relazioni dinamiche tra la persona e le situazioni ambientali prossimali, con l’ulteriore compito di cogliere le interconnessioni tra tali situazioni e i contesti più ampi di carattere politico, culturale e istituzionale .
In tale prospettiva, il bambino non è assimilabile ad una “tabula rasa” plasmata passivamente dall’ambiente, né a un soggetto predeterminato da spinte endogene universali; al contrario, la crescita risulta plasmata da una molteplicità di influenze, poiché l’individuo è sempre inserito in molteplici contesti di vita. L’articolazione in microsistema (famiglia, scuola, relazioni di cura quotidiane), mesosistema (interrelazioni tra famiglia, scuola e gruppo dei pari), ecosistema (ambiti indiretti che incidono pur senza coinvolgere direttamente il minore) e macrosistema (cultura, politica e istituzioni) consente di descrivere con raffinatezza la complessità del processo formativo.
Sul piano giuridico-educativo, tale ricostruzione evidenzia la necessità di concepire la scuola come “comunità-sistema”, luogo non esclusivo di trasmissione di conoscenze cognitive, bensì ambiente di promozione della dimensione socio-relazionale, chiamato a realizzare un’integrazione multilivello con le altre agenzie educative. L’approccio circolare e contestuale, sottolineato da taluni , si oppone a logiche deterministiche e richiede che ciascun attore del sistema generalmente inteso — dalla famiglia alla comunità locale, fino alle istituzioni politiche — si faccia portatore di valori inclusivi.
In tale cornice, la cultura dell’inclusione non può che fondarsi su un impegno diffuso, costruito nel dialogo intersoggettivo e nella cooperazione tra i diversi sottosistemi. L’informazione e la formazione diventano strumenti indispensabili: la scuola, le famiglie, le associazioni e gli enti territoriali sono chiamati a condividere responsabilità e ad abbattere barriere, secondo una logica bio-psico-sociale che valorizza i facilitatori della partecipazione e della cittadinanza attiva. Ne discende che il progetto educativo , per essere autenticamente conforme ai principi costituzionali di uguaglianza sostanziale e diritto all’istruzione , debba assumere natura relazionale, dialogica e co-costruita .
L’ambiente scolastico, pertanto, si configura quale laboratorio di socializzazione primaria e secondaria, nel quale l’alunno sperimenta in modo continuativo la relazione con l’altro. È attraverso tali relazioni che si forma il sé, come attestano i principali modelli psicologici, e si sviluppano quei processi identitari che permettono all’individuo di riconoscersi nella comunità di appartenenza. In questa prospettiva, l’educazione si presenta come una forma di comunicazione intersoggettiva volta a formare cittadini responsabili, capaci di contribuire al progresso materiale e spirituale della società, nel rispetto del dettato costituzionale.
Ne consegue che il diritto all’istruzione, letto in chiave ecologico-sistemica, non si riduce ad accesso formale al servizio scolastico, ma implica la predisposizione di condizioni organizzative, relazionali e contrattuali idonee a garantire la piena inclusione e la partecipazione effettiva di ciascun discente.

2. L’ottica ecologica per l’attuazione del progetto di vita
La prospettiva ecologica offre un paradigma interpretativo di straordinaria rilevanza giuridico-pedagogica, in quanto consente di concepire l’inclusione non come concessione episodica, bensì come architettura complessiva di abbattimento delle barriere alla partecipazione e all’apprendimento . In tale quadro, il “progetto di vita” della persona con disabilità o con bisogni educativi speciali non può essere ridotto a mero piano assistenziale, ma diventa esercizio concreto di diritti fondamentali, attraverso l’armonizzazione tra autonomia individuale e sostegno sociale. Un contesto inclusivo si configura, secondo questa logica, come ambiente educativo capace di prevedere percorsi di personalizzazione per tutti, garantendo flessibilità curricolare e didattica in conformità con i principi costituzionali di eguaglianza sostanziale (art. 3, co. 2, Cost.) e con il diritto universale all’istruzione (artt. 33 e 34 Cost.) . Il CCNL Comparto Istruzione e Ricerca 2019-2021 sottoscritto il 18 gennaio 2024, ha rafforzato questo approccio attraverso specifiche disposizioni in materia di formazione dei docenti e valorizzazione della didattica inclusiva, riconoscendo la centralità dei progetti personalizzati; allo stesso modo, i CCNL AGIDAE, ANINSEI e FISM del luglio 2025, ha previsto, con riferimento alle scuole non statali, strumenti di flessibilità contrattuale e organizzativa volti a favorire l’attuazione del progetto di vita degli studenti .
La scuola, tuttavia, non esaurisce il percorso di inclusione: secondo la logica ecologica, essa rappresenta solo uno dei sotto insiemi in cui la persona è inserita, in costante interazione con servizi sanitari e sociali, con il mondo del lavoro, con le associazioni e con la comunità. Diventa, quindi, fondamentale che vi sia un’osmosi tra i diversi livelli sistemici (micro, meso, eco e macro), affinché il progetto di vita sia co-costruito nella prospettiva di una cittadinanza attiva. La persona non ha solo bisogno di formazione formale, ma anche di reti relazionali, opportunità lavorative, contesti di svago e socialità: solo attraverso la sinergia di tutti questi fattori si realizza un’inclusione autentica .
La scuola, in quanto istituzione pubblica e presidio costituzionale, ha il compito di farsi promotrice di questo modello integrato, fungendo da nodo di collegamento tra i vari sistemi e garantendo continuità progettuale. La co-progettazione con le famiglie, con le agenzie educative del territorio, con le imprese, con gli enti locali e nazionali – inclusi i Ministeri dell’Istruzione, della Salute e del Lavoro – è la via maestra per costruire una società inclusiva, nella quale il progetto di vita non sia dichiarazione programmatica , ma diritto effettivo .

3. Dall’ottica ecologica a quella “ecologico-giuridica”: l’attuazione dei valori costituzionali
Il tema dell’inclusione interroga il giurista nella sua dimensione più profonda: se la scuola è, per definizione costituzionale, “aperta a tutti” (art. 34 Cost. ), essa deve essere posta nelle condizioni di garantire realmente pari opportunità di crescita, a prescindere dalle condizioni economiche, sociali, linguistiche e culturali di partenza. L’inclusione, dunque, non è solo obiettivo pedagogico, ma obbligo giuridico che discende dai valori supremi della Carta.
Il riferimento all’art. 38 Cost., che assegna alla Repubblica il compito di assicurare alle persone con disabilità i mezzi per l’integrazione e lo sviluppo personale , si innesta sul principio di uguaglianza sostanziale (art. 3, co. 2, Cost.), ponendo in capo alle istituzioni scolastiche il dovere di predisporre misure capaci di superare gli ostacoli che limitano la piena realizzazione del progetto educativo. In tale contesto, l’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF) dell’OMS offre una matrice bio-psico-sociale che supera la visione medicalizzante - legata ad un concetto di integrazione - e pone al centro la persona nella sua interazione con i contesti di vita, consegnandoci il concetto di inclusione .
Ne discende una lettura dell’inclusione come processo di co-progettazione “a più mani”: la persona, la famiglia, la scuola e la comunità devono concorrere alla definizione di un progetto di vita che non si limiti a tutelare, ma che promuova attivamente lo sviluppo delle capacità e dei talenti individuali. Ciò produce benefici non solo per la persona con disabilità, ma per l’intera collettività, che trae arricchimento dalla valorizzazione delle differenze.
La trasformazione richiesta non è tanto rivoluzione sociale, quanto riposizionamento degli interventi: dall’individuo all’ambiente, dai deficit alle potenzialità, dalle barriere ai facilitatori. In tale prospettiva, la famiglia si conferma primo luogo di cura e di mediazione, la scuola presidio di accoglienza e formazione, e la comunità il contesto più ampio in cui si realizza la cittadinanza inclusiva. Non un’utopia, ma un obiettivo giuridicamente necessario, funzionale al pieno sviluppo della persona umana, come richiesto dall’art. 2 Cost.

4. Benessere, clima e cultura organizzativa come substrati del modello ecologico
La letteratura scientifica ha posto in rilievo come il successo dei processi inclusivi sia strettamente collegato al benessere organizzativo e al clima culturale delle istituzioni scolastiche. In tale ambito, la distinzione tra “cultura” organizzativa e “clima” organizzativo, elaborata da Denison e successivamente ripresa da Schneider e altri autori , assume rilievo anche giuridico, in quanto condiziona l’effettività dei diritti riconosciuti agli studenti e studentesse di ogni ordine e grado.
Per cultura si intende l’insieme dei valori, delle convinzioni e delle norme condivise che costituiscono la struttura profonda delle organizzazioni; essa è radicata nei processi di socializzazione e tende a riprodurre nel tempo un mondo simbolico dotato di stabilità, ma al contempo fragile perché dipendente dalle azioni dei membri. Il clima, invece, descrive in modo più immediato e statico la percezione soggettiva che i membri hanno dell’ambiente organizzativo, delle pratiche e delle routine quotidiane.
Kurt Lewin, con la celebre equazione B=f(P,E), ha posto in rilievo come il comportamento sia funzione dell’interazione tra persona ed ambiente, anticipando l’idea di clima come prodotto di scelte manageriali e politiche organizzative . Berger e Luckmann, al contrario, hanno sottolineato la dimensione costruttiva della cultura, intesa come risultato della reciproca interazione tra individui e contesto sociale .
Applicando tali categorie al sistema scolastico, è evidente come la realizzazione di un modello ecologico di inclusione richieda tanto un clima organizzativo favorevole (motivazione del personale, soddisfazione lavorativa, relazioni positive), quanto una cultura condivisa fondata su valori di equità, partecipazione e corresponsabilità. La letteratura pedagogica, ed in particolare gli studi di Formisano , hanno peraltro mostrato la stretta correlazione tra benessere organizzativo e inclusione, evidenziando come la motivazione e la soddisfazione del personale incidano direttamente sulla qualità della relazione educativa e, quindi, sull’effettiva fruizione del diritto all’istruzione da parte degli studenti .
In questa prospettiva, i CCNL del comparto scuola – statale e non statale – assumono rilievo essenziale. Le clausole sulla formazione, sulla valorizzazione professionale e sul benessere organizzativo, inserite nei rinnovi contrattuali del 2024 e del 2025, costituiscono strumenti giuridici volti a trasformare in realtà i principi di uguaglianza e inclusione. Una scuola che investe sul clima e sulla cultura organizzativa non solo tutela i propri lavoratori, ma si pone come contesto favorevole alla realizzazione del progetto di vita di ciascun alunno, in attuazione diretta degli artt. 2, 3 e 34 della Costituzione.

5. Il patto per l’inclusione e l’idea di contrattualizzare il progetto di vita
Il processo di inclusione, per essere effettivo, non può che fondarsi sulla corresponsabilità di una pluralità di attori: la scuola, le famiglie, i servizi socio-sanitari, le istituzioni territoriali e le associazioni rappresentative. L’obiettivo ultimo non è infatti solo quello di garantire l’accesso all’istruzione, ma di costruire condizioni che rendano possibile l’autonomia personale e l’integrazione nei contesti sociali e lavorativi . Si tratta, in altre parole, di tradurre in pratica il principio del “progetto di vita” della persona, nella sua accezione più ampia e costituzionalmente fondata .
In questo senso, la prospettiva ecologica richiede che i contesti di vita siano progressivamente rimodellati secondo i principi dell’accessibilità e dell’“accomodamento ragionevole”, richiamati dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata con L. 18/2009) . Ne discende la necessità di un’evoluzione culturale che consenta il pieno coinvolgimento di tutti i soggetti del macrosistema sociale nel processo di inclusione. Solo una rinnovata sensibilità sociale ed educativa può aprire la strada a soluzioni innovative di accompagnamento, capaci di rispondere alla pluralità dei bisogni espressi.
La proposta di un vero e proprio “patto per l’inclusione” va in questa direzione: un algoritmo, per usare la felice metafora della Morganti , che definisce una sequenza di azioni mirate e personalizzate finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo ultimo dell’inclusione piena. Non si tratta, tuttavia, soltanto di un modello pedagogico; è possibile ipotizzare forme di traduzione giuridica di tali dinamiche nella contrattazione di istituto, ad esempio attraverso la previsione di clausole che disciplinino il benessere, il welfare organizzativo e la cooperazione con enti esterni.
A questo riguardo, la contrattazione collettiva nazionale di riferimento ha già aperto a spazi di intervento, inserendo nel perimetro contrattuale riferimenti a progetti personalizzati e a forme di welfare integrativo funzionali all’inclusione. In tale quadro, “contrattualizzare” – anche solo in parte – il progetto di vita significa garantire strumenti giuridicamente cogenti per rendere effettiva la collaborazione tra scuola, famiglie e territorio, trasformando così un principio pedagogico in diritto soggettivo esigibile.

6. Il welfare generativo: dal costo all’investimento sociale
La crisi economica degli ultimi decenni ha reso evidente l’inadeguatezza di un modello di welfare esclusivamente redistributivo, incapace di contrastare l’espansione delle disuguaglianze sociali e l’acuirsi dei fenomeni di povertà strutturale. In questo scenario, si colloca la proposta culturale del “welfare generativo”, elaborata dalla Fondazione Zancan ed evocata fin dai rapporti 2012-2013 , che segna il superamento della concezione meramente assistenziale in favore di una prospettiva capace di rigenerare le risorse già disponibili .
Il welfare generativo non considera più i destinatari di prestazioni come meri beneficiari, ma come soggetti responsabili, chiamati a contribuire, in base alle proprie capacità, alla produzione di valore sociale . È così che esso si radica direttamente nei valori costituzionali: la solidarietà come dovere inderogabile (art. 2 Cost.), la responsabilità sociale di ciascun cittadino nel concorrere al bene comune (art. 4 Cost.), l’uguaglianza sostanziale che impone attenzione prioritaria alle persone più fragili (art. 3, co. 2, Cost.) .
Il passaggio dal welfare redistributivo a quello generativo implica dunque uno spostamento dalla logica del “costo” a quella del “rendimento”, dalla mera redistribuzione alla rigenerazione delle risorse . Ciò comporta il superamento dell’“amministrazione senza rendimento” e l’adozione di soluzioni innovative, capaci di attivare processi di corresponsabilità, coinvolgendo beneficiari e comunità locali.
L’impatto di tale modello sulla scuola e sull’inclusione è rilevante: i CCNL più recenti hanno cominciato a recepire logiche di welfare integrativo e mutualistico (si pensi alle clausole sui fondi per l’assistenza sanitaria e per il sostegno al reddito), che, se opportunamente declinate, potrebbero diventare strumenti di promozione dell’inclusione scolastica e sociale. Una scuola che interpreta il welfare come investimento e non come costo si colloca in una prospettiva costituzionalmente orientata, ponendo al centro il pieno sviluppo della persona e la sua partecipazione attiva alla vita comunitaria .

7. La proposta di legge sul welfare generativo e la questione dell’effettività
In questo quadro si inserisce la proposta di legge attualmente ferma alla Camera , che mira a dare attuazione normativa al paradigma del welfare generativo. Il testo collega l’erogazione delle prestazioni del sistema integrato di welfare ad un impegno attivo dei beneficiari a favore della collettività, configurando le cosiddette “azioni a corrispettivo sociale” (ACS) . Si tratta di attività svolte, su base volontaria, da chi riceve forme di sostegno economico, a beneficio della comunità, secondo un modello già sperimentato nel servizio civile nazionale.
L’impianto normativo mira a superare definitivamente la concezione assistenzialistica del welfare come spesa a fondo perduto, per sostituirla con un sistema in cui le risorse sono reinvestite e rigenerate attraverso la partecipazione attiva dei destinatari . Gli attori istituzionali – Stato, regioni, enti locali – sono chiamati ad assumere un ruolo di coordinamento, in sinergia con le realtà del terzo settore e con le associazioni.
Dal punto di vista giuridico, la proposta valorizza la dimensione personalista e solidarista della Costituzione, con particolare riferimento agli artt. 2, 3 e 4 Cost. Essa, infatti, riconosce che la pari dignità sociale e l’uguaglianza sostanziale non possono essere raggiunte solo attraverso la tutela di diritti passivi, ma richiedono anche il riconoscimento di doveri positivi di solidarietà. In questa prospettiva, il welfare generativo appare funzionale al “pieno sviluppo della persona umana” e alla sua “effettiva partecipazione” al progresso materiale e spirituale della società.
Resta, tuttavia, il nodo dell’effettività. Senza adeguate risorse finanziarie, strumenti di monitoraggio e percorsi di formazione per gli operatori, il rischio è che il modello resti confinato alla dimensione dichiarativa. La sfida del legislatore è allora quella di tradurre in norme efficaci e in procedure realmente applicabili il principio del welfare generativo, evitando che esso si riduca a un paradigma suggestivo ma inattuato.

8. L’apertura oltre la dimensione scolastica: i percorsi di PCTO come strumento di inclusione
Nell’ottica del welfare generativo non si può non far riferimento alla riflessione pedagogica di Andrea Canevaro, il quale ha evidenziato con chiarezza come l’inclusione non possa esaurirsi nella logica dell’“assistenza” o della “presa in carico” , ma debba tradursi nel riconoscimento della persona con disabilità – o, più in generale, con bisogni educativi speciali – quale soggetto titolare del proprio progetto di vita, capace di autodeterminarsi e di assumere progressivamente responsabilità verso se stesso e verso la comunità . Tale passaggio – da oggetto di intervento a soggetto protagonista – esige un impegno corale da parte di tutti gli attori che ruotano attorno alla persona: la famiglia, anzitutto, quale elemento di continuità insostituibile; la scuola, in quanto istituzione primaria di formazione e socializzazione; i servizi sanitari e sociali; le associazioni e le reti comunitarie.
In questa prospettiva, la progettazione educativa non deve limitarsi a colmare carenze o a compensare deficit, ma deve saper valorizzare i punti di forza e le potenzialità del soggetto, predisponendo spazi di autonomia e possibilità concrete di scelta, persino nell’errore, che è parte integrante del processo di apprendimento e di crescita. È questa la logica sottesa al “Progetto di vita” delineato anche a livello normativo e contrattuale: non una costruzione imposta per la persona, ma un percorso co-costruito con la persona e con la sua rete di riferimento, orientato a favorire la massima indipendenza possibile.
I contesti nei quali tale progettualità deve radicarsi sono molteplici, e proprio in questa molteplicità risiede la necessità di un’azione integrata. In tal senso, la scuola è chiamata ad assumere un ruolo di snodo centrale, favorendo sinergie con le altre agenzie educative e sociali. Un ambito privilegiato in cui tale funzione si esplica è rappresentato dai Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO) , considerabili oggidì come un valido strumento educativo e giuridico volto a realizzare concretamente il diritto all’inclusione, anche da un punto di vista pratico .
Sotto il profilo giuridico, il CCNL del Comparto Istruzione e Ricerca 2019-2021, valorizza il collegamento della scuola con il territorio e con il mondo del lavoro, riconoscendo la necessità di garantire pari opportunità di accesso ai PCTO anche agli studenti con disabilità, mediante la previsione di strumenti di personalizzazione e di sostegno. Similmente, il CCNL AGIDAE, ANINSEI e FISM, relativi al settore non statale, hanno rafforzato le clausole sulla cooperazione con imprese, enti locali e realtà del terzo settore, proprio al fine di rendere effettivo il principio di uguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3, comma 2, Cost.
È evidente, tuttavia, che la scuola da sola non può garantire l’effettività di tali percorsi. La costruzione di reti – intese come alleanze tra famiglie, servizi, associazioni, comunità e istituzioni – è condizione imprescindibile affinché i PCTO divengano reali opportunità di crescita, e non meri adempimenti burocratici. In quest’ottica, i percorsi di orientamento e di inserimento lavorativo rappresentano non soltanto strumenti di professionalizzazione, ma tappe essenziali verso l’autonomia e l’autodeterminazione, elementi che concorrono al pieno sviluppo della persona umana e all’effettiva partecipazione di ciascuno alla vita sociale, secondo la prospettiva delineata dall’art. 4 Cost .
Lavorare su questo terreno significa, in definitiva, progettare per il futuro: accompagnare i giovani, con e senza disabilità, lungo un cammino di emancipazione che non si esaurisce nei confini dell’istituzione scolastica, ma che si proietta nel più ampio contesto della cittadinanza attiva e del lavoro dignitoso .

9. Le reti di scuole per una possibile applicazione generalizzata del welfare generativo
Il nodo dell’applicazione generalizzata del welfare generativo, che non si limiti alla singola istituzione, può essere affrontato ricorrendo anche allo strumento giuridico delle reti di scuole, previste dall’art. 7 del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 . Tali reti, costituite mediante accordi tra istituzioni scolastiche (anche con la partecipazione di soggetti privati), consentono di ampliare l’offerta formativa e di perseguire finalità comuni di ricerca, sperimentazione, documentazione e formazione del personale .
Il D.P.R. n. 119/2009 ha ulteriormente precisato le modalità di organizzazione e di gestione delle reti, riconoscendo agli accordi sottoscritti tra scuole piena valenza giuridica e demandando ai dirigenti scolastici, sentite le RSU e i direttori dei servizi generali e amministrativi (DSGA), il compito di stipularli . È evidente che tali strumenti consentono di estendere buone pratiche oltre i confini della singola scuola, promuovendo un modello di inclusione sistemico e territoriale .
Le reti, infatti, non si limitano a razionalizzare risorse e carichi amministrativi, ma possono diventare incubatori di esperienze di welfare generativo, consentendo di istituire laboratori condivisi, percorsi di formazione e orientamento, attività di documentazione e diffusione di pratiche inclusive. D’altra parte, l’art. 7, co. 6, del D.P.R. 275/1999 prevede ciò espressamente, autorizzando le scuole a istituire laboratori di ricerca didattica e sperimentazione, di orientamento scolastico e professionale, nonché di formazione del personale.
Si tratta di uno strumento prezioso per superare le diseguaglianze territoriali e per assicurare che anche le istituzioni scolastiche più fragili possano beneficiare di pratiche innovative. In questo senso, il richiamo alla contrattazione collettiva e agli accordi di rete permetterebbe di radicare il welfare generativo entro forme giuridicamente vincolanti, evitando che resti mera dichiarazione di principio.

10. La strada della contrattazione collettiva d’Istituto
L’assenza, allo stato, di una disciplina legislativa idonea a rendere effettivo il modello del welfare generativo impone di individuare strumenti alternativi – anche in via di ipotesi – attraverso i quali dare concretezza a tale paradigma. Allo scopo, la contrattazione collettiva d’istituto si presenterebbe, ad avviso di chi scrive, come terreno privilegiato di sperimentazione e di innovazione, idoneo a colmare almeno in parte la lacuna normativa .
Come ricordava Francesco Carnelutti già nel 1927, la contrattazione collettiva si configura come «un ibrido giuridico, con il corpo di un contratto e l’anima di una legge» . La sua efficacia normativa e la sua prossimità alle esigenze reali delle comunità scolastiche ne fanno uno strumento capace di regolamentare aspetti connessi non soltanto al rapporto di lavoro , ma anche al benessere organizzativo e, in un’ottica ecologica, all’attuazione dei principi di inclusione.
Il contratto integrativo di istituto, infatti, disciplina materie che si collocano al crocevia tra organizzazione scolastica e vita comunitaria . Esso potrebbe certamente prevedere clausole che introducano pratiche inclusive vincolanti, trasformando buone prassi in diritti esigibili. Partendo dalla proposta di legge sul welfare generativo, la contrattazione scolastica potrebbe sperimentare progetti di inclusione sociale coerenti con il progetto di vita di ciascun alunno con disabilità, specie nelle scuole tecniche e professionali, ove l’attenzione al mondo del lavoro è più diretta.
Si tratterebbe, volendo essere molto pragmatici, di favorire: il recupero, il mantenimento e il potenziamento delle abilità relazionali, operative e delle autonomie personali; l’acquisizione di un ruolo sociale attivo; il miglioramento della qualità della vita; l’ottimizzazione delle risorse disponibili, evitando il ricorso esclusivo a modelli assistenzialistici passivizzanti.
Le attività contrattualizzabili potrebbero essere svolte presso aziende, enti pubblici, cooperative sociali, associazioni di volontariato, con un attento sistema di monitoraggio e di valutazione degli esiti . In questo modo, i diritti individuali si trasformerebbero in “diritti a corrispettivo sociale”: ciò che la persona riceve come sostegno è finalizzato a metterla in condizione di contribuire al benessere altrui. Ne deriverebbe un duplice beneficio: per il soggetto, che sviluppa autonomia e responsabilità, e per la comunità, che si arricchisce di capitale sociale.
La contrattazione collettiva nazionale, dal suo canto, pur non disciplinando espressamente tali ipotesi, offre spazi sufficientemente ampi per introdurre clausole di questo tipo nella contrattazione decentrata, rendendo la contrattazione d’istituto un laboratorio di welfare generativo applicato al mondo scolastico.

11. Osservazioni conclusive e di sintesi
L’analisi condotta ha messo in luce come il tema dell’inclusione scolastica si collochi al crocevia tra principi costituzionali, dinamiche pedagogiche e strumenti giuridico-contrattuali, assumendo un rilievo che travalica la dimensione meramente organizzativa per radicarsi nel cuore stesso della legalità costituzionale. La scuola, nella prospettiva ecologico-sistemica, si configura quale presidio di cittadinanza, laboratorio di socializzazione primaria e secondaria, ma soprattutto luogo giuridicamente deputato a garantire l’effettività del diritto fondamentale all’istruzione.
Il modello ecologico consente di superare ogni concezione riduttiva dell’inclusione come intervento settoriale o assistenziale: la persona con disabilità o con bisogni educativi speciali non è destinataria passiva di misure protettive, bensì soggetto attivo di un progetto di vita che deve essere costruito attraverso la cooperazione multilivello tra famiglia, istituzioni scolastiche, comunità e contesti lavorativi . Tale progetto, per essere conforme ai principi degli artt. 2, 3, 33 e 34 Cost., non può limitarsi a garantire accesso formale alla scuola, ma deve tradursi in condizioni effettive di partecipazione, valorizzazione delle capacità e pieno sviluppo della persona umana.
In questa direzione, la contrattazione collettiva - nazionale e decentrata - emerge come strumento privilegiato per colmare il divario tra enunciazione e attuazione dei diritti. Essa, lungi dal limitarsi alla regolazione dei rapporti di lavoro, assume la funzione di veicolo di innovazione giuridica e sociale, rendendo cogenti prassi inclusive e traducendo in obblighi giuridici la responsabilità diffusa per l’inclusione scolastica. La possibilità di “contrattualizzare” il progetto di vita, attraverso clausole relative a benessere organizzativo, welfare integrativo, flessibilità didattica e collaborazione con enti esterni, rappresenta un passo decisivo verso l’effettività dei diritti inclusivi, trasformando la logica pedagogica in diritto soggettivo esigibile.
Parimenti, l’adozione del paradigma del welfare generativo potrebbe segnare il superamento della logica assistenzialistica, sostituendo al concetto di costo quello di investimento sociale: l’inclusione diventa così fattore di arricchimento collettivo, generatore di capitale sociale e promotore di coesione comunitaria. In tale prospettiva, l’inclusione non è più solo strumento di tutela delle fragilità, ma vero e proprio motore di progresso costituzionalmente orientato, in grado di coniugare solidarietà e responsabilità.
Un ulteriore elemento di rilievo è rappresentato dalle reti di scuole, che si prestano a costituire laboratori giuridico-organizzativi capaci di generalizzare le buone prassi e superare le disuguaglianze territoriali. La dimensione reticolare, infatti, consente di estendere la portata delle esperienze innovative, radicandole in forme giuridicamente vincolanti e rafforzando la dimensione cooperativa che il modello ecologico richiede.
In conclusione, l’inclusione scolastica si rivela non già un obiettivo contingente, ma un imperativo costituzionale, espressione di un dovere collettivo di rimozione degli ostacoli e di promozione del pieno sviluppo della persona. Il percorso delineato mostra che solo attraverso la sinergia tra principi costituzionali, strumenti contrattuali e modelli pedagogici sarà possibile trasformare l’inclusione da promessa a realtà, rendendo effettivo quel “diritto all’uguaglianza sostanziale” che rappresenta la cifra più alta della nostra democrazia.
La sfida è dunque culturale, giuridica e politica: costruire una scuola inclusiva significa costruire, al tempo stesso, una società più giusta, coesa e solidale .

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