testo integrale con note e bibliografia

Si apprezza l’intento di superare l’irragionevole dicotomia di trattamento tra assunti prima e dopo il 7.3.15 e armonizzare alcuni altri aspetti della disciplina dei licenziamenti.
Il tentativo, tuttavia, appare molto distante dal delineare un impianto normativo soddisfacente e coerente, e anzi, a una lettura un po’ attenta risulta deludente, tanto più in rapporto ai nomi illustri che lo firmano.
Vediamo, senza pretesa di completezza.
Art.1 - campo di applicazione: sui dirigenti si apprezza l’introduzione espressa della tutela reintegratoria per i vizi di nullità del licenziamento.
Ma manca una tutela adeguata per i casi, sempre più frequenti in prospettiva, in cui il datore di lavoro non intenda applicare al rapporto di lavoro nessuna contrattazione collettiva, lasciando privi di disciplina giustificatezza (giustificazione) e preavviso.
Sul pubblico impiego, manca il coraggio di equipararlo all’impiego privato: il che lo renderà possibile tertium comparationis di questioni di costituzionalità.
Per inciso, sarebbe utile l’esenzione da danno erariale non per chi stipula contratti a termine illegittimi, che ne favorisce l’abuso, ma per chi intima licenziamenti dichiarati illegittimi.
Art.2 - casi di nullità: nel nostro diritto del lavoro il vero peccato mortale resta quello orale: il garzone del barbiere cacciato oralmente ha la tutela più forte tra quelle previste; e il barbiere chiude bottega.
Sul comporto, si apprezza il chiarimento sulla natura del vizio, anche se amplia la tutela non solo rispetto al 18 comma 7, ma anche per imprese piccole e dirigenti. Non è chiara invece la sorte dell’inidoneità sopravvenuta nei casi che non rientrano nella L. 68/99 e della nullità del patto di prova.
Artt.3-4 - reintegrazione e tutela indennitaria: sul licenziamento disciplinare, i riferimenti alla contrattazione collettiva, in un periodo storico in cui si assiste a una frammentazione e polverizzazione della contrattazione, sono del tutto inutili, e per di più contrari all’art.39 Cost., finché non si stabilisce chi è legittimato a stipulare contratti collettivi e quale ne sia l’efficacia soggettiva.
E a ben vedere, il riferimento non è neanche alla contrattazione collettiva, ma al codice disciplinare applicato in azienda: ciascuna azienda può formulare il proprio codice disciplinare, lasciando la determinazione delle ipotesi di reintegrazione alla determinazione unilaterale della parte forte del rapporto di lavoro, anche individuando fattispecie di sanzioni conservative di pura fantasia, o volutamente generiche, per rendere inapplicabile la reintegrazione.
Sul gmo, su ripescaggio e criteri di individuazione si fa un regalo a chi, pur di liberarsi di un lavoratore anche solo antipatico, non esita ad affrontare il costo di un’indennità risarcitoria.
Inoltre, i professori Freccia Rossa nell’art.3 dimenticano il diritto di opzione del lavoratore reintegrato.
Art.5 - vizi formali e procedurali: sul vizio di motivazione e di procedura per gmo, si rende conveniente il licenziamento immotivato, per cercare di lucrare una tutela indennitaria da zero a dodici mensilità, previa ovviamente offerta di conciliazione art.9, e ribaltare sulla parte debole del rapporto l’onere di indovinare e dedurre la vera ragione del licenziamento.
Inoltre, i professori Freccia Rossa reintroducono l’assurdità del licenziamento viziato sul piano formale, ma fondato sul piano sostanziale: il bracciante del contadino con sei dipendenti che uccide la figlia del contadino deve essere reintegrato, se viene licenziato senza previa contestazione disciplinare; e anche il contadino va a fare altro, con il barbiere di prima.
Art.6 - sulle piccole imprese si apprezza l’introduzione del limite di 18 mensilità, anche se solo con oltre 10 di anzianità, che ha aperto la strada alla Corte costituzionale, ma il limite dimensionale riferito solo al numero dei lavoratori è un dato anacronistico e denota una visione astratta che non tiene conto della realtà economica.
Già nel 1947, quasi 80 anni fa, si rilevava che la categoria del piccolo imprenditore non può essere riferita solo alle altrui prestazioni lavorative, perché altrimenti si perverrebbe all’assurdo risultato di dover qualificare piccolo imprenditore il titolare di un grande complesso industriale totalmente automatizzato (Bigiavi, La “piccola impresa”, 49 ss., cit. in Campobasso, Diritto commerciale, I.2.7, nota 21).
È pur vero che il concetto di impresa piccola viene definito con quattro criteri diversi da c.c., CCI, TUF e raccomandazione 2003/361/CE, richiamata dall’art.1.1.t d.lgs. 11/10: ma oggi un’azienda può avere un miliardo di euro di capitalizzazione e non più di 15 dipendenti.
Quanto alle organizzazioni di tendenza, come è scritta la norma non sono esenti dalla tutela reale.
Art.7 - licenziamenti collettivi: tener conto delle mansioni prevalenti svolte negli ultimi sei mesi si presta a manovre elusive; il criterio della prossimità alla pensione si apprezza, ma non mette al riparo dal fenomeno degli esodati provocato dalla Legge Monti-Fornero; l’espressione lavoratori in eccedenza all’esito della procedura è foriera di incertezze interpretative e controversie; la tutela meramente indennitaria rende conveniente licenziare i lavoratori cinque alla volta per evitare il rischio di reintegrazione.
Artt.8-9 - offerta di conciliazione e revoca del licenziamento: la possibilità di offerta di conciliazione così ampia è un’istigazione a intimare un licenziamento illegittimo e formulare nel contempo offerta di conciliazione prima che si possa giocare a carte scoperte e conoscere gli elementi di prova in mano alle parti, salvo procedere alla revoca del licenziamento se il lavoratore non abbocca.
Art.10 - tentativo obbligatorio di conciliazione: reintroduce una procedura ove il datore di lavoro gioca a carte coperte e senza oneri probatori e il lavoratore può essere condotto a decisioni affrettate e irrevocabili senza una reale assistenza qualificata. Con seri dubbi di costituzionalità e compatibilità CEDU.
Il “pregio” di entrambi i meccanismi è di eliminare sia la necessità (per entrambe le parti) di avvocati e giudici del lavoro, che potranno finalmente andare a … occuparsi di altro, sia di ricorrere a contratti a termine e agenzie interinali per eludere la disciplina limitativa dei licenziamenti.
Art.11 - abrogazioni: in realtà, per omogeneizzare le tutele ante e post 2015 non c’è nessun bisogno di tentare di riscrivere tutto: basta abolire una delle due e lavorare sull’altra.
Inoltre, non c’è bisogno di abrogare l’art.8 L.604/66, se se ne riproduce il contenuto altrove, per giunta dimenticando l’art.30, comma 3 L. 183/10.
Più in generale, non pare si possa scindere la disciplina sanzionatoria da un’individuazione organica e coerente delle fattispecie di recesso: che si dichiara di non voler toccare, ma si vanno a complicare in vari aspetti; manca l’individuazione del concetto stesso di licenziamento, ai sensi dell’ordinamento UE; e del concetto di lavoratore, ai sensi dell’ordinamento UE.
Assai poco elegante per l’equilibrio che si richiede a un giurista, inoltre, il doppiopesismo dottrinale di chi si straccia le vesti quando Cassazione o Corte costituzionale recuperano ipotesi di reintegrazione, ma non quando la Corte di cassazione, da un giorno con l’altro, e mostrando di ignorare la realtà concreta dei rapporti economici con considerazioni microeconomiche astratte e irreali, conia una nozione di giustificato motivo oggettivo inedita, eliminando dal licenziamento per ragioni economiche proprio la necessità di una sottostante difficoltà economica.
Nel complesso, la bozza appare solo l’ennesimo tentativo, disorganico e incoerente, per quanto s’è rilevato, di rimuovere le ipotesi più rilevanti di reintegrazione e di ostacolare l’impugnazione dei licenziamenti illegittimi.
Ma l’interrogativo di fondo resta sempre lo stesso: quale società vogliamo costruire?

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