testo integrale con note e bibliografia
Una breve premessa - che meriterebbe ben altro approfondimento, ma che qui deve essere contenuta nei limiti del presente contributo - precede le altrettanto brevi considerazioni sulla proposta di riforma del regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi avanzata dal Gruppo Freccia Rossa.
Per formazione, valori e metodo mi sento vicino alla tradizione giuridica e politica che considera i diritti – in particolare quelli sociali e del lavoro – come conquiste collettive, maturate nei luoghi in cui questi diritti trovano effettiva applicazione.
In questa prospettiva il compito dei giuristi - siano essi accademici, magistrati o avvocati - è limitato: ordinare e sistematizzare i risultati delle mobilitazioni degli attori sociali, senza mai sostituirsi a questi, né tantomeno concepirsi come attori sociali. Così come è altrettanto velleitario immaginare mutamenti della realtà sociale possano derivare direttamente da un provvedimento legislativo o da un indirizzo giurisprudenziale o dottrinale.
Guardando all’esperienza normativa italiana si constata come, nonostante i tanti mutamenti di paradigma, lo Statuto dei lavoratori del 1970, la legge 604/1966 e la stessa Costituzione rimangano norme ancora vitali perché frutto di grandi movimenti collettivi.
I tentativi di imporre dall’alto modelli giuridici astratti, diversamente, si rivelano – e si sono rilevati - sempre fragili: alle innovazioni giurisprudenziali di segno espansivo seguono spesso interventi legislativi restrittivi e regressivi.
Se oggi volgessimo lo sguardo alle (assenza di) dinamiche sociali in materia di licenziamento, dovremmo concludere che basterebbe la disciplina e le regole proprie dei contratti civilistici e commerciali anche nella disciplina del licenziamento. L’evoluzione normativa lo conferma. Riforma dopo riforma, la sanzione per l’illegittimità del licenziamento è divenuta prevalentemente la quantificazione economica di un danno. Tuttavia il risarcimento, anche se costituzionalmente orientato, resta pur sempre un indennizzo e non diventa mai l’affermazione piena di un diritto.
Riguardo al documento del Gruppo Freccia Rossa, limitando l’analisi ad un solo profilo specifico del licenziamento per giusta causa, appare condivisibile la proposta di circoscrivere la reintegrazione del lavoratore al solo caso in cui venga accertato un fatto contestato riconducibile ad un’infrazione per la quale il codice disciplinare preveda espressamente una sanzione conservativa [art. 3, lett. a: «... perché il fatto contestato è riconducibile a infrazioni specificamente tipizzate nel codice disciplinare applicato con espressa previsione di sanzione conservativa»].Per tutti i fatti, non espressamente rientranti in infrazioni tipizzate, la tutela resterebbe - o meglio diventerebbe - prettamente indennitaria [art. 4].
La scelta di differenziare il rimedio in base ad una specifica tipizzazione e ad una espressa previsione della sanzione ha suscitato critiche, fondate tuttavia su argomenti spesso autoreferenziali e scarsamente attenti alla realtà applicativa.
L’impostazione del Gruppo Freccia Rossa si muove, da un lato, nel solco già tracciato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 129/2024) e, dall’altro, recupera un orientamento – oggi minoritario e superato – della Corte di cassazione (sentenze n. 19578, 13533 e 12365/2019).
Se, infatti, l’autonomia e la libertà sindacale sono correttamente valorizzate per legittimare la reintegra come rimedio nei casi tipizzati, lo stesso principio deve valere laddove le parti abbiano scelto di non ricondurre altre condotte a sanzioni conservative.
Né rileva l’obiezione secondo cui la contrattazione collettiva ricorre normalmente a clausole indeterminate. Al contrario, la proposta del Gruppo costituisce un chiaro stimolo affinché le parti sociali disciplinino con maggiore precisione le infrazioni e le relative sanzioni.
La proposta, peraltro, non svuota il potere del giudice: questi conserva sempre la facoltà di accertare l’insussistenza della giusta causa o dell’illeceità del fatto contestato, senza però poterla ricondurre - per via di un procedimento di sussunzione - a un’infrazione punibile con sanzione conservativa.
Nella prassi giudiziaria, l’uso delle clausole generali, compresa la procedura di sussunzione, conduce spesso a valutazioni soggettive dell’organo giudicante. Non sono infrequenti decisioni motivate in maniera assertiva, con formule del tipo «a parere dello scrivente la condotta è sussumibile». Un approccio che, lungi dal garantire coerenza sistematica, finisce per alimentare incertezza e disparità applicative. Ciò emerge perché è oggettivamente difficile tracciare il confine - evocato dalla stessa Cassazione - tra il potere di ricondurre la condotta contestata ad una sanzione conservativa e il divieto di sindacato sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato. Si tratta di distinzioni meramente teoriche che, nella pratica e nei giudizi di merito, non consentono una reale separazione tra la procedura permessa e quella vietata all’organo giudiziale.
Proprio per questo è auspicabile un impiego più rigoroso e oggettivo delle categorie legali nella qualificazione del fatto contestato (contenuto oggettivo, portata soggettiva, circostanze, modalità, intensità dell’intenzione), così da rendere più trasparente l’accertamento della legittimità del licenziamento e della rottura del vincolo fiduciario.
La proposta del Gruppo Freccia Rossa, in conclusione, coglie tale esigenza, distinguendo chiaramente le conseguenze del fatto espressamente tipizzato, per il quale è prevista una sanzione conservativa, da quelle derivanti dall’applicazione di clausole generali, i cui contorni sono oggi sempre più indefiniti e troppo spesso accompagnati da motivazioni giudiziali mancati di chiara esposizione del percorso logico giudico utilizzato.
In chiusura, due ulteriori questioni, che qui possono essere solo accennate per ragioni di spazio.
1. lasciando invariato il diritto potestativo del lavoratore di optare per l’indennità in luogo della reintegra, si potrebbe prevedere l’onere di esercitare tale scelta fin dal ricorso introduttivo.
Una simile previsione consentirebbe, da un lato, di distinguere – anche ai fini dell’urgenza – le cause in cui l’oggetto è una effettiva reintegra da quelle in cui si discute di un mero risarcimento; dall’altro, favorirebbe una maggiore apertura culturale del sistema, riconoscendo dignità giuridica autonoma anche alla sola tutela indennitaria.
2. una sostanziale riforma, al contrario, potrebbe immaginare un unico rimedio per il licenziamento nullo o illegittimo: la reintegrazione, con pagamento delle retribuzioni e versamento dei contributi dal licenziamento all’effettiva reintegra, nei limiti di dodici mensilità. Al datore di lavoro, per contro, potrebbe essere riconosciuta la facoltà di evitare la reintegra corrispondendo un’ulteriore indennità pari ad altre dodici mensilità, anch’essa soggetta a contribuzione.
