testo integrale con note e bibliografia

Shoshana Zuboff, filosofa e docente di psicologia sociale all’università di Harvard, è autrice di un volume, pubblicato nel 2019, che ha aperto la strada al dibattito su temi che stanno assumendo un enorme rilievo nella nostra epoca: si tratta del saggio “Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell'umanità nell'era dei nuovi poteri”.
L’opera prende in esame lo sviluppo tecnologico senza precedenti che avviene nel nostro tempo e i rischi che comporta per la nostra libertà. Ossia, l’avvento di un'architettura globale di sorveglianza, ubiqua e continua, fondata sugli strumenti digitali. Una struttura intesa ad osservare e indirizzare il nostro stesso comportamento per fare gli interessi di pochissimi. E per farsi un’idea di quanto questa visione possa essere precisa nell’esaminare gli sviluppi sociali e politici del nostro tempo, basta osservare, oggi, i rapporti strettissimi, sostanzialmente simbiotici, tra l’Amministrazione Trump e le Big tech. L’ultimo sviluppo dei quali è l’acquisizione del social network TikTok, oggetto di una grande partita politica tra Stati Uniti e Cina, da parte di Larry Ellison che, a partire dalla sua corporation tecnologica, Oracle, ha sviluppato il più vasto conglomerato di media del mondo.
Scrive Zuboff: “L’esperienza umana è diventata ormai una materia prima gratuita che viene trasformata in dati comportamentali […] e poi venduta come ‘prodotti di previsione’ in un nuovo mercato, quello dei ‘mercati comportamentali futuri’, dove operano imprese desiderose solo di conoscere il nostro comportamento futuro per realizzare i loro scopi”. E quando parliamo di TikTok, ci riferiamo a quello che è diventato uno degli strumenti più influenti di orientamento politico in questo intero pianeta.
Come si traduce questo percorso nel mondo del lavoro? Un esempio luminoso viene dai dati di uno studio svolto dal Chartered Management Institute, un’Istituzione che si occupa di supporto ai manager britannici.
Cosa ne emerge? “Un terzo dei datori di lavoro nel Regno Unito - spiega un articolo pubblicato in settembre dal quotidiano britannico Guardian - utilizza la tecnologia ‘bossware’ per monitorare l’attività dei lavoratori, con metodi che includono comunemente la sorveglianza delle email e della navigazione web.”
Ma cosa è il “bossware”? In definitiva è un tipo di software, capace di svolgere attività di spionaggio digitale, utilizzato dai datori di lavoro per monitorare l'attività dei loro addetti, soprattutto in contesti di lavoro da remoto o ibrido. Il bossware può controllare le applicazioni e i siti web utilizzati dai dipendenti, registrare le battute sulla tastiera, scattare screenshot, attivare webcam e microfoni in modo nascosto. Tutto questo senza ottenere il consenso esplicito dei lavoratori. Sul piano del marketing, i bossware sono commercializzati come strumenti per monitorare il tempo e analizzare dell'ambiente di lavoro. Ma l’argomento risulta, ovviamente, controverso.
Ovvie le questioni che l’utilizzo di tali programmi solleva in merito alla privacy e all’autonomia dei lavoratori. E, dato che il lavoro può svolgersi in remoto, si giunge perfino alla violazione della riservatezza nell’abitazione del lavoratore.
L’avvento della digitalizzazione e delle intelligenze artificiali - in particolare, per quanto riguarda queste ultime, l’utilizzo di agenti AI nell’iter di processi organizzativi e operativi e il malaugurato utilizzo di software come i bossware - ci pone di fronte a questioni che investono il peso delle tecnologie nell’insieme delle società umane. Basti pensare all’uso di strumenti come il citato TikTok per influire sui processi democratici degli Stati, allo scopo di distorcere la realtà e le opinioni e anche il voto democratico.
Nell’universo del lavoro ci si trova di fronte a numerose e rilevanti questioni di natura etica, di dignità del lavoro, di rischi di esclusione, di formazione delle competenze necessarie. E, aspetto estremamente rilevante, di utilizzo della digitalizzazione per dare un nuovo impulso alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
L’Unione Europea ha delineato la prima consistente risposta istituzionale a questo processo. Ci riferiamo al primo regolamento organico sull’Intelligenza Artificiale, noto come l’AI Act (Regolamento UE 2024/1689), entrato in vigore il primo agosto 2024. La normativa si applica direttamente in tutti gli Stati membri e introduce un sistema di regole armonizzate per garantire che l’uso dell’AI sia sicuro, trasparente e rispettoso dei diritti fondamentali, anche nei contesti lavorativi.
I princìpi chiave del regolamento sono tre.
In primo luogo un approccio basato sul rischio. Nel quale le applicazioni di AI sono classificate in base al rischio per i diritti e la sicurezza delle persone, classificati come minimo, limitato, alto e inaccettabile; una serie di divieti specifici relativi a sistemi di AI che comportano i rischi “inaccettabili”, come quelli che manipolano il comportamento umano, il social scoring, la valutazione del comportamento sociale, la deduzione delle emozioni sul luogo di lavoro; infine, gli obblighi per i sistemi ad alto rischio. Ossia le applicazioni AI utilizzate per la gestione dei lavoratori (selezione, valutazione, promozione, monitoraggio, assegnazione di compiti) sono considerate “ad alto rischio” e soggette a requisiti rigorosi in termini di trasparenza, qualità dei dati, documentazione, gestione dei rischi e supervisione umana.
C’è poi il capitolo della formazione: viene introdotto l’obbligo di alfabetizzazione all’AI del personale coinvolto, il quale deve essere adeguatamente formato e reso consapevole dei rischi e delle opportunità. Dunque, un obbligo formativo pensato per favorire un uso responsabile, corretto e inclusivo dell’AI. Da attuare tenendo ben conto delle peculiarità individuali del personale coinvolto: è necessario abbattere i rischi di esclusione e discriminazione.
Dunque siamo di fronte alla affermazione di princìpi di diritto che codificano l’applicazione dei nuovi agenti digitali per quel che riguarda la vita personale e quella lavorativa dei cittadini nel territorio dell’Unione. Il tempo ci dirà quanto questo impegno di regolamentazione sarà realmente applicato nell’articolazione dell’Unione che ne richiede l’assunzione nella normativa di ogni singolo Paese dei 27.
Veniamo infine alla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. A testimonianza di quanto la questione sia urgente, l’OIL - l’Organizzazione Internazionale del Lavoro - ha pubblicato, il 28 aprile, in occasione della Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro 2025, un Rapporto intitolato “Rivoluzionare la salute e la sicurezza sul lavoro. L’intelligenza artificiale e la digitalizzazione nel mondo del lavoro”. Spiega il primo capitolo del Rapporto, intitolato in modo più che significativo “Come la digitalizzazione sta trasformando la salute e la sicurezza sul lavoro”, che “la digitalizzazione sta rimodellando il mondo del lavoro, introducendo pratiche innovative, promuovendo nuovi settori e ridisegnando gli ambienti di lavoro”.
Procedendo nella definizione del quadro il Rapporto afferma che “l’intelligenza artificiale e gli strumenti digitali offrono alle aziende delle opportunità importanti per migliorare la sicurezza e la salute sul lavoro. Se progettate e realizzate in modo efficace, queste tecnologie contribuiscono a mitigare i rischi professionali, a ridurre gli infortuni e le malattie professionali e a migliorare l’efficienza, la produttività e la performance. […] Tuttavia, è importante notare che i vantaggi della digitalizzazione non sono universalmente condivisi”. Infatti, “sebbene la digitalizzazione offra numerosi vantaggi in materia di Salute e Sicurezza sul Lavoro, essa può comportare rischi importanti che devono essere prevenuti e gestiti con attenzione. Errori nell’interazione persona-robot, sfide ergonomiche ed esposizione a rischi di rumore e vibrazioni sono alcuni dei potenziali rischi associati all’utilizzo delle tecnologie digitali. I dispositivi indossabili e intelligenti, se progettati in modo improprio, possono causare sforzi fisici, mentre i velivoli senza pilota, come i droni e gli schermi montati sulla testa possono comportare rischi di lesioni, perdita di equilibrio e problemi alla vista. I progressi tecnologici possono anche portare a un’intensificazione del lavoro, all’insicurezza lavorativa e al ‘tecnostress’, poiché i lavoratori sono sottoposti a una pressione crescente per adattarsi a strumenti e processi in rapida evoluzione”. I rischi sono, insomma, molteplici: “La sfumatura dei confini tra lavoro e vita privata dovuta al lavoro mobile e online può contribuire al burnout, mentre la sorveglianza invasiva e il monitoraggio costante possono violare la privacy e ridurre l’autonomia lavorativa. […] I rischi legati al processo decisionale basato sull’Intelligenza Artificiale sono la frammentazione dei compiti, la perdita di soddisfazione lavorativa e il senso di parzialità, con il rischio di emarginare determinati gruppi di lavoratrici e lavoratori e aggravare le disuguaglianze sul lavoro”.
In Italia, il 23 settembre, la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato la legge 132 che contiene disposizioni e deleghe al Governo in materia di intelligenza artificiale. Si può dire che si tratti di un’occasione parzialmente mancata. Nonostante l’argomento dell’uso dell’intelligenza artificiale per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro sia citato nell’articolo 11, non sono, poi, state adottate misure specifiche per sostenere questa lodevole affermazione.
Quindi, il nuovo sentiero va disegnato con attenzione. Ma anche con decisione perché, un percorso corretto, ci indirizzerà nella giusta direzione.
Digitale e AI producono decisioni informate e l’implementazione di misure mirate e più efficaci. La realtà virtuale e altre tecnologie immersive offrono ambienti di formazione sicuri e realistici, permettendo ai lavoratori di sviluppare competenze senza esporsi a rischi reali. I DPI intelligenti permettono di prevenire numerosi rischi. I sistemi digitali possono, dunque, aiutare le organizzazioni a rispettare più efficacemente norme e nuove necessità in materia di salute e sicurezza.
Quel che è centrale per conseguire i risultati migliori è che la digitalizzazione sia analizzata e contrattata nel modo più trasparente tra imprese e rappresentanze dei lavoratori. Informazione, consapevolezza, tutele certe sono le chiavi di un’innovazione realmente efficace.

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