Testo Integrale con note e bibliografia

Sommario: 1. Legge e contrattazione collettiva nella definizione dei nuovi limiti posti ael CTD ed alla STD; 2. Gli effetti (riduttivi ed estensivi) del DLD sui preesistenti rinvii della legge alla contrattazione collettiva; 3. Identificazione in sede collettiva delle attività stagionali; 4. Contrattazione collettiva ed esemplificazione delle condizioni legali legittimanti proroghe e rinnovi del CTD; 5. I contratti collettivi di prossimità e le deroghe alle condizioni dell’art. 19, co. 1; 6. L’incidenza della contrattazione collettiva sulla disciplina della STD; 7. I contratti collettivi preesistenti al DLD tra ultrattività e caducazione.

 


1. Il d.l., 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla l., 9 agosto 2018, n. 96, il c.d. decreto dignità (DLD), ripropone un tema classico per il diritto del lavoro, quello delle tecniche di rinvio della legge alla contrattazione collettiva; un tema che va esaminato in una duplice prospettiva, guardando cioè agli spazi riservati dal legislatore all’autonomia sindacale, ma anche alla sopravvivenza dei contratti collettivi preesistenti al DLD.

Con riferimento al primo punto bisogna subito dire che le nuove disposizioni del DLD in materia di contratto di lavoro a termine (CTD) sono inderogabili da parte del contratto collettivo, mentre per quanto riguarda le modifiche apportate alla disciplina della somministrazione a tempo determinato (STD) si deve distinguere tra quelle più incisive che riguardano il CTD stipulato dall’agenzia con il lavoratore da somministrare e quelle che pongono un limite diretto al contratto di STD, fissando il tetto massimo del 30% all’uso congiunto di lavoratori assunti a termine o utilizzati in STD. Mentre le prime sono inderogabili, quest’ultimo limite è invece derogabile collettivamente.

Un intervento legislativo così restrittivo e repentino come quello realizzato dal DLD in materia di CTD e di STD avrebbe dovuto, se non altro, suggerire al legislatore di lasciare alla contrattazione collettiva la possibilità di un adeguamento, selettivo o temporaneo, alle nuove regole.

Ciò non è avvenuto proprio perché il legislatore nutre la convinzione (rectius: presunzione) non solo di aver tracciato la strada giusta per regolare il CTD e la STD, ma anche che l’assetto normativo prescelto non ha bisogno di adattamenti da affidare alla contrattazione collettiva per modellare la disciplina generale alle peculiari esigenze che possono riguardare uno specifico settore o la realtà di una singola azienda.

Quindi, partendo da questo presupposto, la conseguenza tratta dal legislatore non può essere che quella di preservare le regole legali dalle possibili deviazioni dalla corretta via che avrebbero potuto essere negoziate in sede collettiva.

Si può, quindi, dire che tra le divergenze più nette tra il DLD e il Jobs Act per quanto riguarda la disciplina del CTD e STD deve essere annoverata anche quella relativa agli spazi riservati alla contrattazione collettiva che il Jobs Act aveva alimentato, affidando (con l’art. 51, D. lgs. 81/2015) ai sindacati comparativamente più rappresentativi un’ampia possibilità di adeguamento delle regole legali alle specificità dei vari contesti (nazionale, territoriale ed aziendale).

 

2. Si deve subito avvertire che la ricognizione relativa agli ambiti di intervento dell’autonomia collettiva in materia di CTD e STD deve essere condotta guardando sia alle nuove disposizioni del DLD, ma anche a quelle preesistenti contenute nel D. lgs., 15 giugno 2015, n. 81, almeno per gli effetti riduttivi o accrescitivi indotti dalle nuove norme.

Effetti che talvolta possono comportare il ridimensionamento sostanziale della portata di alcuni rinvii alla contrattazione collettiva già presenti nel D. lgs. 81/2015 e, viceversa, in altri un loro maggior rilievo.

Un esempio della prima tipologia è offerto dalla permanente derogabilità collettiva del limite legale (art. 19, co. 2, D. lgs. 81/2015) dei 24 mesi alla reiterazione dei CTD, depotenziata, però, dal DLD che subordina la validità del rinnovo di ogni CTD alla sussistenza di una delle condizioni previste dall’art. 19, co. 1. Condizioni particolarmente restrittive, poiché è utilizzabile, in pratica, soltanto quella relativa alle “esigenze di sostituzione di altri lavoratori”, con il risultato che il rinnovo del CTD potrà avvenire esclusivamente ove ricorrano queste esigenze.

Conseguentemente, in assenza di tale condizione, il rinnovo del CTD non sarà a priori realizzabile, quindi la funzione del limite legale dei 24 mesi viene a svuotarsi, il che finisce per frustrare l’utilità della derogabilità collettiva previsa dal legislatore che consente di estendere la durata massima della sommatoria dei CTD anche oltre i 24 mesi.

In altre parole la finalità di contenimento alla reiterazione dei CTD che il legislatore intendeva perseguire ponendo il limite dei 24 mesi (con l’art. 19, co. 2) è oggi assolta in modo più radicale ed assorbente dalle condizioni selettive (art. 19, co. 1 e 21, co. 01) che devono sussistere per procedere al rinnovo del CTD (ed anche dall’incremento del costo contributivo, pari a 0,5% che si applica ad ogni rinnovo).

In questa prospettiva il limite dei 24 mesi costituisce un vincolo quasi apparente perché non è più quello determinante nel rinnovo del CTD; di conserva viene sminuita la sua derogabilità collettiva perché non è più la contrattazione collettiva il fattore decisivo per regolare il fabbisogno di rinnovi dei CTD in una categoria o in una azienda.

Un esempio opposto – al quale ora si accenna, ma che verrà ripreso in seguito – riguarda le nuove potenzialità dell’art. 34, co. 2, D. lgs. 81/2015 che affidava e continua ad affidare alla contrattazione collettiva (delle agenzie di somministrazione e non dell’utilizzatore) la facoltà di individuare oltre la “durata” anche i “casi” delle proroghe del CTD stipulato dall’agenzia con il lavoratore da somministrare. Dopo il DLD le prospettive di utilizzo dell’art. 34, co. 2 si ampliano notevolmente, in quanto sarà possibile, se non abolire le condizioni previste dal legislatore (art. 19, co. 1) per la validità delle proroghe del CTD del lavoratore somministrato, individuarne non solo il numero (come già avviene), ma anche i casi nei quali si potranno concordate, andando così oltre le condizioni legali.

 

3. Nella nuova organizzazione dei limiti alla reiterazione dei CTD e della STD realizzata dal DLD costituiscono, com’è noto, uno snodo centrale due punti: le condizioni di validità delle proroghe e dei rinnovi (artt. 19, co. 1 e 21, co. 01) e l’area di esenzione espressamente riservata dal legislatore (art. 21, co. 01 e 2) alle attività stagionali.

Appare, quindi, necessario capire quali spazi residuino all’esercizio dell’autonomia collettiva nelle due ipotesi, partendo dalla seconda.

In questa prospettiva si deve inizialmente considerare che l’esenzione riservata alle “attività stagionali” dai vincoli delle condizioni poste alle proroghe ed a qualsiasi rinnovo (art. 21, co. 01), nonché dal limite massimo dei 24 mesi alla reiterazione dei CTD (art. 19, co. 2) darà probabilmente un nuovo slancio alla contrattazione collettiva per quanto attiene l’individuazione delle “ipotesi” di attività stagionali che il legislatore del 2015 ha rimesso alla contrattazione collettiva di ogni livello (artt. 21, co. 2 e 51, D. lgs. 81/2015).

Uno slancio indotto anche dalla necessità di fronteggiare – magari utilizzando la stagionalità – problemi concreti che prima del DLD trovavano soluzioni che risultano, oggi, precluse dalle nuove regole dettate dal legislatore. Come avviene per quanto riguarda l’oggettiva necessità di personale dipendente temporaneo per le imprese sottoposte a picchi di attività ricorrenti e prevedibili. Per fare uno soltanto dei molti esempi possibili: gli incrementi di attività che si verificano nella distribuzione commerciale durante il periodo delle feste natalizie che usualmente va dal 8 dicembre al 6 gennaio.

Il punto, quindi, è quello dei parametri in base ai quali un’attività possa essere considerata stagionale, seguendo l’indicazione contenuta nell’art. 21, co. 2, d. lgs. 81/2015 che le indentifica nelle attività “individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi”, precisando che “fino all’adozione del decreto di cui al secondo periodo continuano a trovare applicazione le disposizioni del d.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525”.

L’utilità della contrattazione collettiva risalta anche perché le altre fonti di identificazione delle attività stagionali o sono obsolete riguardando prevalentemente il settore dell’agricoltura (il d.P.R. 1525/1963) o non sono state (ancora) adottate (il decreto del Ministero del lavoro).

Si deve, inizialmente, precisare che il legislatore (con l’art. 21, co. 2) non attribuisce alla contrattazione una funzione creativa della stagionalità per attività che non possono essere artificiosamente ammantate da una stagionalità che non è tale oggettivamente.

Piuttosto, compete alla contrattazione collettiva l’enucleazione delle condizioni di stagionalità che si rinvengono e caratterizzano il settore produttivo o l’azienda ove si applica tale contrattazione.

Alla contrattazione collettiva non va, però, riconosciuta soltanto una funzione di mera specificazione della nozione legale di stagionalità rinvenibile nelle fonti secondarie (il d.P.R. e l’emanando d.m.), ma anche il compito di adeguare tale nozione all’evoluzione che essa subisce nel contesto socio-economico. Una stagionalità che, un tempo (e lo dimostra proprio l’elencazione contenuta nel d.P.R. del 1963), era limitata alle attività agricole ed alle stagioni meteorologiche e che nel tempo si è estesa a quelle fluttuazioni con cadenze cicliche e di misura significa dell’attività produttiva di beni o servizi che non sono conseguenza della scelte dell’impresa (di incrementare la produzione per acquisire maggiori fette di mercato), ma sono indotte da fattori esogeni e periodicamente ricorrenti rispetto ai quali l’impresa si trova nella necessità di adeguare i volumi produttivi, rispetto a quelli standard.

In questa prospettiva, la contrattazione collettiva è chiamata a selezionare le condizioni che permettono di affermare la ricorrenza, nello specifico settore o nell’azienda, degli elementi che qualificano l’attività come stagionale.

È anche possibile che, in alcuni casi, la contrattazione collettiva possa esercitarsi nello specificare ipotesi di attività stagionali già annoverate nel d.P.R. 1525/1963 precisandone il perimetro con un’interpretazione estensiva e adeguatrice rispetto alle datate previsioni che si leggono nel d. P.R..

Un esempio può aiutare a spiegare meglio il concetto ora accennato.

Nell’elenco delle attività stagionali contenuto nel d.P.R. 1525/1963 (così come aggiornato dall’art. 1, d.P.R., 11 luglio 1995, n. 378) si prevedono al n. 48 quelle “…esercitate dalle aziende turistiche, che abbiano, nell’anno solare, un periodo di inattività non inferiore a settanta giorni continuativi o a centoventi giorni non continuativi”.

In questo caso – prescindendo dall’importanza della norma in sé, per quanto riguarda la sua diretta applicazione – la contrattazione collettiva potrebbe intervenire ed operare in una duplice prospettiva: a) chiarendo il significato della disposizione e precisandone l’ambito applicativo con riferimento al settore o all’azienda in cui tale contrattazione sarà applicata; b) oppure assumendo la norma contenuta nel d.P.R. come parametro di partenza per, poi, declinare e sviluppare nuove ipotesi di attività stagionale aggiuntive rispetto a quelle previste dal d.P.R..

La differenza – da apprezzare sul piano dell’interpretazione dell’accordo collettivo – non è, peraltro, priva di conseguenze concrete in quanto, per fare un esempio, il contributo aggiuntivo dell’0,5% non dovrà essere versato per i rinnovi dei CTD di lavoratori impegnati nelle attività stagionali individuate dal d.P.R. 1525/1963, mentre il contributo sarà dovuto quando tali attività siano qualificate come stagionali dalla contrattazione collettiva .

 

4. Venendo al punto di più radicale cambiamento realizzato dal DLD, cioè la disciplina dei rinnovi e delle proroghe del CTD, si deve subito rilevare che il legislatore non prevede alcun rinvio alla contrattazione collettiva, con la conseguenza che tale disciplina deve ritenersi assolutamente inderogabile.

Ciò non toglie, però, che la contrattazione collettiva possa assolvere alla funzione di mera specificazione della nozione legale delle condizioni rinvenibile nell’art. 19, co. 1, declinandone il significato con riferimento al settore o all’azienda secondo l’ambito applicativo del contratto collettivo .

In questo caso, quindi, la contrattazione collettiva si limiterà ad esemplificare le condizioni legali della proroga e del rinnovo del CTD nelle loro possibili applicazioni in un certo settore o in un’azienda.

Non si può negare un’utilità a questo tipo di intervento della contrattazione collettiva che, a fronte di una formulazione generale molto restrittiva delle causali da parte del legislatore, può fungere da guida per le imprese che applicano il contratto nella ricerca di una casistica che possa in concreto inverare le condizioni legali della proroga e del rinnovo del CTD.

La contrattazione potrà anche costituire un punto di riferimento per il Giudice che dovesse essere chiamato a verificare la validità della causale, senza però che il Giudice debba ritenersi vincolato alle esemplificazioni espresse in sede di contrattazione collettiva.

 

5. A conclusioni diverse sembra possibile pervenire in ordine alla possibilità dei contratti collettivi di prossimità (stipulati ex art. 8, d.l., 13 agosto 2011, n. 138, convertito con l., 14 settembre 2011, n. 148) di derogare al regime legale delle condizioni di validità delle proroghe e dei rinnovi del CTD.

Il DLD, quindi, potrebbe sortire l’effetto di rilanciare (come sembra già emergere nelle prime esperienze applicative) i contratti collettivi di prossimità che costituirebbero l’unico strumento utilizzabile per fronteggiare esigenze del tutto oggettive, fisiologiche ed incomprimibili delle imprese come accade per i picchi di attività; con la conseguenza, quindi, che il contratto collettivo di prossimità potrebbe assumere nel sistema delle relazioni collettive una collocazione non più caratterizzata in termini di assoluta anomalia, come fin qui avvenuto.

Com’è noto, l’art. 8, l. 148/2011 legittima i contratti collettivi di prossimità a derogare ad alcune disposizioni di legge tra le quali è espressamente compresa anche la disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato, richiamata dal legislatore con una formulazione generale che consente di ipotizzare deroghe riferite a qualsiasi aspetto di tale disciplina e non solo di quella in vigore al momento dell’approvazione dell’art. 8, ma anche di quella vigente quando viene concluso il contratto di prossimità.

Naturalmente la legittimità della deroga alla disciplina legale oggetto dei contratti collettivi di prossimità è subordinata alle condizioni poste dal legislatore per la validità di tali contratti che, in particolare, dovranno essere: a) sottoscritti dai sindacati dotati della rappresentatività stabilita dall’art. 8, co. 1; b) finalizzati a perseguire gli obiettivi tassativamente previsti dall’art. 8, co. 1; c) comunque conformi alla Costituzione ed ai vincoli derivanti dalle normative comunitarie.

Gli ultimi due requisiti meritano una particolare attenzione, in quanto il contratto di prossimità deve essere finalizzato “alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività” (art. 8, co. 1).

Ne consegue che la deroga al regime delle causali può essere convenuta con un accordo di prossimità che, attraverso questa deroga, si proponga di realizzare almeno una delle finalità predeterminate dal legislatore nell’art. 8, co. 1.

Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, se la possibilità di prorogare o rinnovare il CTD in assenza di causali fosse funzionale a realizzare un incremento dell’occupazione del personale dipendente a tempo indeterminato, laddove venisse previsto un percorso di stabilizzazione dei lavoratori assunti con CTD con la garanzia della trasformazione a tempo indeterminato del loro contratto, almeno per una parte dei lavoratori interessati.

Quanto ai limiti esterni del contratto collettivo di prossimità, assume rilievo il doveroso rispetto della direttiva 1999/70/CE per quanto attiene le misure di contrasto all’abuso di contratti a termine.

Ciò significa che il contratto collettivo di prossimità, mentre può incidere sul regime legale delle proroghe e dei rinnovi del CTD, dovrebbe comunque preservare almeno uno dei tre limiti (sussistenza di ragioni obiettive a giustificazione della reiterazione del CTD; fissazione della loro durata massima totale o di un limite al numero dei rinnovi) previsti dalla direttiva per prevenire il rischio di abusi derivanti dalla reiterazione dei CTD e che il legislatore declina nel nostro ordinamento imponendo, in particolare, il limite dei 24 mesi alla durata massima dei rinnovi del CTD (art. 19, co. 2) ed il numero massimo di 4 proroghe (art. 21, co. 2).

Quindi le modifiche alla nuova disciplina delle proroghe e dei rinnovi del CTD eventualmente apportate dal contratto collettivo di prossimità non potrebbero eliminare del tutto anche i vincoli legali alla durata massima dei rinnovi o al numero delle proroghe.

6. Per quanto attiene alle modifiche apportate dal legislatore alla STD, si registrano aperture più significative alla contrattazione collettiva derivanti sia direttamente dal DLD sia dalla possibilità di valorizzare, come inizialmente accennato, gli spazi già riservati alla contrattazione collettiva dalla normativa preesistente (il D. lgs. 81/2015).

Il primo caso riguarda il limite quantitativo (30%) fissato dall’art. 31, co. 2 al numero massimo di lavoratori con CTD o in STD di cui un datore di lavoro può complessivamente avvalersi.

In questa ipotesi il legislatore consente la derogabilità del limite del 30% da parte di uno qualsiasi dei contratti collettivi applicati dall’utilizzatore tra quelli previsti dall’art. 51, D. lgs. 81/2015.

Ma il punto di maggior interesse si evidenzia in relazione alle nuove potenzialità dell’art. 34, co. 2, ultima parte, D. lgs 81/2015 laddove stabilisce che “il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore”.

In attuazione di questo rinvio il contratto collettivo nazionale delle agenzie di somministrazione all’art. 47, co. 2, disciplinando le proroghe del CTD prima del DLD, aveva previsto che il “termine inizialmente posto al singolo contratto di lavoro può essere prorogato fino ad un massimo di 6 volte. Il singolo contratto, comprensivo delle eventuali proroghe, non può avere una durata superiore a trentasei mesi”.

A seguito del DLD si dischiude per la contrattazione collettiva (nazionale o aziendale) applicata dalle agenzie di somministrazione (e, quindi, non dall’utilizzatore) una prospettiva ulteriore, potendo disciplinare i “casi” e la “durata” delle proroghe del CTD concluso dall’agenzia con il lavoratore da somministrare, anche modificando la nuova disciplina legale delle proroghe (art. 21, co. 01) del CTD che sarebbe, altrimenti (ex art. 34, co. 2), applicabile anche alle agenzie (ancorché con le modalità dell’art. 2, co. 1-ter, DLD).

In particolare sarà possibile, se non abolire le causali delle proroghe del CTD del lavoratore somministrato, individuarne non solo il numero, ma anche i casi nei quali potranno essere concordate, andando oltre quelle prestabilite dal legislatore, per esempio individuando causali soggettive riferite alla condizione personale (età, stato disoccupazione, ecc.) del lavoratore con il quale si conviene la proroga del CTD.

Le osservazioni accennate consentono di evidenziare un aspetto peculiare relativo ai rinvii operati dal legislatore alla contrattazione collettiva per quanto riguarda la STD; si tratta di distinguere i rinvii riservati alla contrattazione collettiva (di qualsiasi livello) delle agenzie di somministrazione da quelli che sono, invece, rivolti alla contrattazione delle imprese utilizzatrici.

Questa distinzione delle fonti collettive legittimate ad attuare o modificare la disciplina legale della STD ha sempre avuto un rilevo nell’ambito della STD, ma con il DLD la prospettiva cambia significativamente per il tipo di intervento del legislatore che è incentrato sul CTD stipulato dall’agenzia con il lavoratore somministrato piuttosto che sul contratto commerciale concluso dall’agenzia con l’utilizzatore (come avveniva precedentemente). I contenuti dell’intervento del legislatore si caratterizzano per l’applicazione al CTD della disciplina generale del lavoro a termine prevista dal capo III del D. lgs. 81/2015 (cfr. art. 34, co. 2), con alcune limitate eccezioni (la percentuale massima di utilizzo di lavoratori a termine, il diritto di precedenza e l’intervallo temporale tra un CTD e quello successivo).

L’effetto di tale intervento è quello della restrizione non già del contratto di STD, ma delle modalità di assunzione a termine delle agenzie, specialmente per quanto attiene ai rinnovi dei CTD (ed anche, in parte, delle proroghe).

Ciò comporta – di qui il rilievo per il tema esaminato in questa sede – la possibilità per le agenzie e le loro associazioni di rappresentanza di coltivare, come avviene per ogni datore di lavoro, i rinvii alla contrattazione collettiva che consentono di modificare la disciplina legale del CTD; rinvii che potranno essere declinati, come prevede l’art. 51, D. lgs. 81/2015, a livello di contrattazione sia nazionale sia aziendale sia territoriale.

Quindi al tradizionale rinvio operato dal legislatore alla sola contrattazione delle imprese utilizzatrici o quello accordato alle agenzie di somministrazione (dall’art. 34, co. 2, ultima parte in materia di proroghe al CTD) si aggiungono, in generale, tutti quelli riservati alla contrattazione collettiva applicabile a qualsiasi datore di lavoro, in particolare quelli previsti dall’art. 19, co. 2 quanto al limite di durata massima di 24 mesi alla sommatoria dei CTD, ma anche quelli relativi all’identificazione delle attività stagionali (art. 21, co. 2, ultima parte), alla formazione (art. 26), al dimezzamento dell’indennità risarcitoria dovuta nei casi di trasformazione a tempo indeterminato del CTD (art. 28, co. 3).

La contrattazione collettiva delle agenzie potrebbe, allora, affrontare e dare soluzione ad alcuni problemi che sono emersi nelle prime applicazioni del DLD.

In primo luogo quello del computo del limite dei 24 mesi alla sommatoria dei CTD (“conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale”) che un’agenzia può stipulare con lo stesso lavoratore.

La questione che si pone in questo caso riguarda i dubbi insorti in ordine alla computabilità nel predetto limite anche dei CTD che l’agenzia aveva concluso prima dell’entrata in vigore del DLD. Se così fosse, l’effetto per le agenzie sarebbe dirompente, in quanto dal 1 novembre (cioè dalla fine del periodo transitorio previsto dall’art. 1, co. 2, DLD) non potrebbero più avvalersi dei lavoratori utilizzati a termine per 24 mesi prima del DLD.

Di fronte a questi dubbi (alle loro implicazioni sociali) ed alla posizione assunta dal Ministero del lavoro con la citata circolare 31 ottobre 2018 n. 17 che sembra optare per la computabilità anche dei CTD pregressi, la contrattazione collettiva potrebbe avvalersi della facoltà di deroga consentita dall’art. 19, co. 2 prevedendo un criterio di computo del limite dei 24 mesi che consideri solo i CTD stipulati dopo l’entrata in vigore del DLD.

Altro tema è quello della STD utilizzata per fare fronte ad attività stagionali svolte dall’utilizzatore.

Qui la discrasia si profila per il fatto che le assunzioni dirette con CTD di lavoratori impiegati in attività stagionali sono, come più sopra si è detto, esentate (art. 21, co. 01) dal rispetto dai vincoli in materia di rinnovi. Ma tale esenzione potrebbe non operare con riferimento alla STD e, più precisamente, al CTD concluso dall’agenzia con il lavoratore da somministrare, con la conseguente necessità per l’agenzia di indicare nel caso di rinnovo del CTD la causale che lo legittima.

La questione potrebbe anche trovare soluzione in via interpretativa correggendo quella che appare essere una lacuna legislativa e sostenendo, ad esempio, che ciò che rileva ai fini della esenzione riservata alla stagionalità non il soggetto che stipula il CTD, quanto piuttosto il fatto oggettivo che i “lavoratori [siano] impiegati nelle attività stagionali” (evocando l’art. 21, co. 2), anche se si tratta di quelle dell’impresa utilizzatrice.

Ma per maggior certezza la contrattazione collettiva applicabile alle agenzie di somministrazione potrebbe individuare come “ipotesi” (art. 21, co. 2) di attività stagionale quella che si realizza presso l’utilizzatore e nella quale il lavoratore somministrato verrebbe impiegato.

 

7. Infine resta il tema complesso della contrattazione collettiva (nazionale e aziendale) preesistente al DLD .

Un tema complesso, in quanto il DLD - che pure detta alcune regole volte a diversificare gli effetti della sua entrata in vigore - non si occupa di chiarire l’impatto della riforma sulle clausole dei contratti collettivi stipulati nel vigore delle norme previgenti (diversamente da quanto era avvenuto in passato con l’art. 11, co. 2, D. lgs., 6 settembre 2001, n. 368).

Si deve, allora, di verificare se le modifiche - quelle che erano state apportate dalla contrattazione collettiva alle norme legali preesistenti al DLD - possono ancor oggi considerarsi valide e, quindi, fruibili. Problema che non si pone, invece, per la contrattazione collettiva correlata a norme che non hanno subito variazioni da parte del DLD, anche quando cambiano la portata e gli effetti di tali norme (è il caso, ad esempio, al quale in precedenza si è fatto più volte riferimento della contrattazione collettiva delle agenzie di somministrazione, in ordine al numero massimo delle 6 proroghe possibili per i CTD dei lavoratori somministrati).

Com’è noto, la contrattazione collettiva (nazionale e aziendale) è intervenuta ripetutamente nel passato per adeguare i limiti fissati dal legislatore con il D. lgs. 81/2015 quanto alla durata massima dei CTD nel caso della loro reiterazione ed alla percentuale dei lavoratori che potevano essere assunti a termine o di cui l’impresa si poteva avvalere tramite la STD.

Adesso il DLD ha novellato le norme relative alla durata massima dei CTD (ridotta da 36 a 24 mesi) ed ha introdotto il nuovo limite legale del 30% per l’utilizzo cumulativo di lavoratori con CTD o in STD che, peraltro, va a sostituire la previsione dell’art. 32, co. 2, nel testo previgente al DLD che sottoponeva la STD agli eventuali “limiti quantitativi individuati dai contratti collettivi applicati dall’utilizzatore”.

A fronte di questi cambiamenti, si potrebbe ritenere che la profonda trasformazione della disciplina legale derogata dal contratto collettivo, comporti la caducazione delle modifiche concordate in sede collettiva o almeno di quelle con le quali le parti sindacali hanno inteso mutare le disposizioni di legge oggi non più vigenti.

Ad esempio, si potrebbe considerare venuta meno l’efficacia dei contratti collettivi delle imprese utilizzatrici che avevano limitato quantitativamente la STD in applicazione di quanto, prima del DLD, stabiliva l’art. 32, co. 2. Ciò in quanto non solo è venuta meno la norma che le parti avevano voluto attuare in sede collettiva, ma, per di più, è stato posto dal legislatore un diverso limite (quello del 30%) che pone un tetto alla quantità di lavoro somministrato di cui il datore di lavoro può avvalersi con la conseguenza alterazione del contesto nel quale la volontà collettiva si è formata ed espressa.

Una conclusione diversa si potrebbe, forse, prospettare se il contratto collettivo, pur utilizzando gli spazi rimessi dal legislatore all’autonomia sindacale, non si sia limitato ad una mera modifica della legge, ma abbia costruito una propria disciplina del CTD e/o della STD a misura dell’ambito applicativo del contratto.

Nei casi in esame l’indagine interpretativa non deve essere finalizzata a valutare se il contratto collettivo sia migliorativo o peggiorativo rispetto alle nuove norme, quanto piuttosto se l’espressione della volontà collettiva si sia formata non già in base ad una libera composizione e regolazione degli interessi collettivi delle parti, bensì sul presupposto di derogare o attuare le norme legali all’epoca vigenti; con la conseguenza che il venir meno di quest’ultime, potrebbe comportare anche la caducazione delle clausole collettive che su di essa si fondavano.

Un’indagine, quella ora prefigura, dagli esiti quanto mai incerti, ciò induce ad auspicare che i contratti collettivi provvedano con grande rapidità ad intervenire sulla materia confermando o adeguando gli accordi preesistenti.

 

 

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