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Quello offerto dal Manifesto per un Diritto del lavoro sostenibile, predisposto dai professori Caruso, Del Punta e Treu, è un contributo rilevante sulle prospettive delle regole del lavoro. Significativo nei contenuti, che in più punti convergono con le posizioni della Cisl, ma ancora più opportuno, per così dire, nello spirito e nei tempi.
A 50 anni dallo Statuto dei Lavoratori si coglie infatti l’urgenza di un’evoluzione del diritto del lavoro secondo quel senso di corresponsabilità e di coinvolgimento sociale che ha orientato l’elaborazione di una delle leggi più importanti della Repubblica. Una legge figlia del suo tempo, che ha assicurato per molti anni coesione e sviluppo dentro e fuori i luoghi di lavoro.
Le dinamiche disgreganti degli ultimi anni, accelerate dall’emergenza Covid-19, rendono la riflessione ancora più necessaria. Nell’Italia post-industriale, con la digitalizzazione che avanza, mercati mondiali sempre più interdipendenti, capitali in costante movimento, vi è bisogno di una mobilitazione culturale su obiettivi condivisi. Tale prospettiva ha per indispensabile riferimento la comunità lavorativa e produttiva come luogo della partecipazione, della solidarietà e della responsabilità.
Il lavoro, così come l'impresa, è diventato estremamente liquido, mutevole, sfuggente alle tradizionali categorie qualificatorie. Bisogna domandarsi cosa sia l’unità produttiva quando una app è in grado di governare il lavoro di decine di migliaia di persone. Come organizzare l’azione di rappresentanza nelle piattaforme digitali e nella polverizzazione del luogo di lavoro? Quali sono i confini del lavoro subordinato e quale il perimetro delle tutele legali, contrattuali e bilaterali? Sono domande oramai ricorrenti che necessitano di risposte adeguate.
Si deve prendere atto che il lavoro è frantumato e ancora più sfumata si fa la distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. Emerge, come uno dei portati dell’innovazione tecnologica, una polarizzazione dei lavori tra alte professionalità e forme di neo-sfruttamento; la transizione tecnologica e quella ambientale pongono alle aziende esigenze di continua riorganizzazione che richiedono tutele diversificate; i lavoratori d’altro lato sono esposti a periodi di transizione lavorativa e necessitano di ricorrenti occasioni di riqualificazione professionale.
In questo contesto, molto più complesso rispetto al passato, occorre affermare nuovi diritti fondamentali per ogni persona che lavora e che cerca lavoro. I tempi sono maturi per dare concretezza a un nuovo “Statuto della Persona nel Lavoro”. Il che non significa affidarsi ad una Legge calata dall’alto, ma, piuttosto, dar vita ad una elaborazione e conseguente azione di tutti gli attori sociali, economici e istituzionali, con il comune obiettivo di mettere al centro la piena realizzazione dell’essere umano.
C'è da impegnarsi sul fronte della formazione continua, delle politiche attive; da assicurare percorsi di accompagnamento nelle transizioni studio-lavoro e lavoro-lavoro; da garantire salari e assegni pensionistici equi. In sintesi, da implementare diritti e tutele, ma anche doveri e responsabilità, tenendo conto, tra l’altro, delle indicazioni provenienti dalle organizzazioni comunitarie e internazionali - a partire dall’OIL - in materia di lavoro.
Tante le personalità che nel sindacato e nelle università hanno dedicato la vita a questo obiettivo. Il pensiero va all’impegno dei compianti Massimo D’Antona, Marco Biagi e Ezio Tarantelli. Intellettuali coraggiosi, riformisti veri che hanno messo la forza delle idee e della corresponsabilità davanti all’interesse personale, con il sacrificio più alto.
I rapporti di lavoro devono evolvere nella direzione di una buona flessibilità che permetta al sistema sociale e produttivo di adattarsi al “respiro economico” del tempo senza lasciare la persona priva di reddito, di formazione, di aggiornamento professionale. Questa adattività buona, produttiva, solidale, va rapportata all’innovazione tecnologica ed ai mutamenti organizzativi, definendo regole per il riconoscimento e il sostegno dell’azione sindacale e per contrastare forme di dumping contrattuale.
Nello “Statuto che verrà” tutto questo deve avere la giusta centralità. I rapporti negoziali devono essere improntati ad un ruolo generativo, capace di orientare ed implementare l’azione del legislatore. La via maestra è quella della delega ad una contrattazione che definisca risposte adeguate, “sartoriali”, per ogni comunità lavorativa, che tenga ferma la bussola del Patto della Fabbrica (del 2018), non smantellando il livello negoziale nazionale, valorizzando al contempo la contrattazione di prossimità.
Questa è, per la Cisl, la prospettiva per far progredire diritti e tutele senza l’irrigidimento di una legge invasiva su salari e orari, turni e organizzazione del lavoro, contrattazione e rappresentanza. Materie che devono restare di pertinenza del libero e autonomo incontro tra le parti sociali. Il Governo ha altre responsabilità: quella di sbloccare gli investimenti su infrastrutture materiali e reti della conoscenza; di promuovere politiche attive e incentivi per stimolare consumi, occupazione e produttività; in particolare quella di compiere una lotta senza quartiere ai contratti pirata, assicurando in tal modo adeguate condizioni di tutela sia sul versante economico che normativo.
Quanto al Diritto del lavoro, serve una svolta culturale che lo faccia evolvere da una logica puramente difensiva verso un approccio meno ideologico e più pragmatico che ricerchi un gioco a somma positiva tra impresa e lavoro e d’altro lato eviti una deriva tutta giudiziaria e individualistica, di mera affermazione giuridica all’interno del posto di lavoro. Fondamentale dovrà essere il sostegno allo sviluppo partecipativo delle relazioni industriali. Bisogna partire dal basso, valorizzando ed estendendo le esperienze contrattuali. Prospettiva che presenta difficoltà di non poco conto: la contrattazione decentrata è infatti, al momento, praticata solo da un'azienda su tre. Occorre incentivarla, estenderla specialmente nella declinazione territoriale, con strumenti di supporto fiscale. Centrale al riguardo è in particolare il legame tra contrattazione collettiva, partecipazione organizzativa in azienda (tramite l’azione qualificata di rappresentanti sindacali ed esperti) e dimensione territoriale (attraverso una diffusa rete di servizi alla persona).
Lo scenario in cui ci troveremo ad operare in futuro, anche per fronteggiare l’impatto sociale derivante dalla pandemia da Covid 19, sarà estremamente difficile. Servirà collaborazione, responsabilità, concertazione. Servirà autonomia e valorizzazione dei corpi intermedi. Come 50 anni fa, va creato uno spazio in cui lavorare insieme a un disegno organico e pluralista, che dia opportunità di crescita e realizzazione per tutti, a partire dai più deboli e meno qualificati. Per un’Italia che mai come in questo momento ha bisogno di sviluppo e di una democrazia più forte, fondata sulla partecipazione del lavoro e dell’impresa alla nuova costruzione del bene comune.

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