Testo integrale con note e bibliografia

Testo del Decreto

Abstract
Il commento esamina la pronuncia di rigetto emessa dal Tribunale di Firenze all’esito di un ricorso ex art. 28 Stat. Lav. presentato dalle organizzazioni sindacali nei confronti di una cooperativa della grande distribuzione alimentare che durante uno sciopero era ricorsa alla sostituzione, su base volontaria, dei lavoratori scioperanti con altri dipendenti con contratto part-time weekend. Il Tribunale ha rilevato l’assenza di antisindacalità sostenendo la legittimazione della condotta posta in essere dalla società cooperativa che ha osservato le previsioni del CCNL di categoria e le disposizioni di legge.
Sullo sfondo della normativa vigente, anche sovranazionale, e con le suggestioni della giurisprudenza si ricostruisce la valenza del bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica e il diritto di sciopero sottolineandone i profili di problematicità nell’arena delle relazioni industriali. Interrogativi sono posti nel prefigurare una nuovo costruzione del dialogo sociale nei rapporti di lavoro.

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La vicenda – 3. La pronuncia – 3. Dalla cornice giuridica alla prassi delle relazioni industriali – 4. Uno sguardo alla legislazione europea – 5. Ciò che non dice l’art. 40 della Costituzione

Premessa
Sollecita alcune riflessioni riguardo l’andamento e la tenuta delle relazioni industriali, la lettura del decreto emesso dal Tribunale di Firenze nel luglio scorso sulla portata di ciò, che con una consolidata espressione, si definisce “crumiraggio interno” e sulla legittimità della condotta datoriale che non sia ostativa o lesiva dei diritti dei lavoratori.
Prima di addentrarci nell’esposizione del caso e porre in risalto gli aspetti processuali più rilevanti, per un pertinente inquadramento del tema, non si può prescindere dal ripensare quanto, in una forma stringata, sancisce l’art. 40 della Costituzione mantenendo sullo sfondo anche il riferimento alle fonti sovranazionali .
Così come si è configurato nelle Carte e nella prassi, lo sciopero è strumento di rivendicazione e affermazione dei diritti, costituisce la forma più sperimentata di autotutela dei prestatori di lavoro. Alla parte datoriale, dinanzi a tale forma di sospensione del rapporto di lavoro, sono riconosciuti “i poteri di reazione” di un ordinario conflitto di interessi, ma tali poteri non possono interferire con i beni protetti dalla norma quali il diritto dei lavoratori di scioperare. A confine del comportamento del datore di lavoro che agisce per limitare o attenuare i danni provocati dallo sciopero, vi sono i vincoli posti dalla legge ed elaborati dalla giurisprudenza .
La condotta posta in essere dal datore di lavoro per contrastare gli interessi sindacali non può trovare motivazione né tanto meno giustificazione in “un esclusivo interesse” ad avversare l’esercizio dei diritti che la norma protegge. La legittimità del comportamento del datore di lavoro potrà, invece, sostanziarsi in quelle azioni che siano dirette a limitare gli effetti negativi di carattere economico che si riverberano sull’azienda a seguito dello sciopero dei lavoratori. E’ in questa ratio la quale valorizza il bilanciamento del diritto di libertà d’iniziativa economica dell’imprenditore e del diritto di sciopero che si spiega la legittimazione (in dottrina e in giurisprudenza) del c.d. “crumiraggio indiretto”.
La sostituzione dei lavoratori in sciopero con altri dipendenti che non aderiscono all’iniziativa di lotta sindacale è, dunque, misura che non travalica i limiti della liceità e trae il suo precipuo fondamento nell’art 41 Cost. Con un’estensione di questo principio, è da ritenersi che la libertà d’iniziativa economica lasci intoccati i poteri organizzativi in capo al datore di lavoro anche in caso di sciopero e l’imprenditore possa esercitare i suoi poteri facendo ricorso ad altro personale dipendente non scioperante .
Se pur dall’uso si trae l’evidenza che la sostituzione del personale scioperante renda meno efficace l’astensione dei lavoratori, non si può ragionevolmente ritenere che il datore di lavoro accetti le conseguenze dello sciopero senza mettere in moto “i poteri di reazione” che gli sono consentiti dalla legge quale espressione del potere organizzativo dell’impresa, purché questo potere non collida con quei limiti che in definitiva, tutelano la professionalità e la dignità dei lavoratori.
Nel bilanciare l’esercizio della libertà di iniziativa economica con il diritto di sciopero, il Tribunale di Firenze ha rilevato l’assenza di antisindacalità nell’impiegare in una collocazione oraria diversa da quella contrattualmente prevista i lavoratori part-time che svolgono la loro prestazione lavorativa soltanto nel weekend .
1. La vicenda
A ridosso delle festività natalizie, è proclamato un giorno di sciopero nazionale da parte di organizzazioni sindacali della grande distribuzione cooperativa. Nei punti vendita di una nota cooperativa, in alcune località della provincia di Firenze e nel capoluogo toscano, i lavoratori scioperanti sono sostituiti, su base volontaria, da lavoratori con contratto part-time di 8 ore nel weekend, sottoscritto secondo le previsioni del CCNL distribuzione cooperative.
Le locali organizzazioni sindacali agiscono ex art. 28 Stat. Lav. lamentando che la condotta datoriale abbia neutralizzato gli effetti dello sciopero mediante forme non consentite dalla legge, perché in violazione del CCNL di categoria, stante l’assenza di un contratto collettivo aziendale che disciplini l’impiego dei lavoratori part-time weekend in un altro giorno della settimana e, nel caso di specie, in quello della proclamazione dello sciopero. Nel ricorso si evidenzia anche la mancanza di una clausola di flessibilità di previsione della variazione oraria rispetto a quanto contrattualmente pattuito.
La società cooperativa resistente eccepisce il difetto di attualità del comportamento antisindacale e sostiene la legittimità dell’impiego dei lavoratori part-time weekend in prestazioni di lavoro supplementare, in osservanza del CCNL .
2. La pronuncia
Il Giudice ammette che, considerata la difesa della resistente di aver agito in conformità al contratto collettivo e alla legge, sebbene la condotta contestata dalle organizzazioni sindacali abbia esaurito i suoi effetti nella giornata di sciopero, è da non trascurare la previsione di una possibile reiterazione della condotta datoriale che costituisce una situazione di incertezza sulla sua legittimità e come tale da giustificare l’interesse dei sindacati ad agire in giudizio.
Assunti come pacifici l’assenza di un contratto collettivo aziendale ove sia prevista la collocazione temporale del lavoro part-time weekend in un giorno diverso dal fine settimana, nonché l’effettivo pagamento della maggiorazione retributiva prevista contrattualmente per il lavoro supplementare, la questione dirimente attiene all’eventuale violazione delle clausole del contratto nazionale e della vigente normativa in materia.
Proprio quest’ultimo punto è l’aspetto cocente della pronuncia che pone sotto una lente di ingrandimento la normativa regolatrice del rapporto di lavoro tra dipendenti part- time weekend e imprese della distribuzione cooperativa. Lo si sottolinea ancora, nel caso di specie, sono stati impiegati lavoratori part- time oltre il loro normale orario di lavoro concordato tra datore di lavoro e lavoratore. Ne consegue che, trova qui applicazione la disciplina del D.Lgs. 81/2015 .
Il decreto richiama esplicitamente la menzionata fonte normativa che in un passaggio significativo dell’art. 6, definisce quali siano le prestazioni supplementari. Or dunque, è con questa sottolineatura che la disposizione sul lavoro supplementare trova applicazione anche per il part-time verticale come è il part-time weekend. Conclude il Giudice: “E’ pertanto applicabile anche a questa tipologia di contratto la disciplina del lavoro supplementare”.
D’altra parte, è l’art. 108 del contratto collettivo nazionale di categoria ad ammettere e regolare espressamente il lavoro supplementare quantificando la maggiorazione retributiva dovuta, nonché la necessità del consenso del lavoratore . Lo evidenzia proprio la pronuncia oggetto di commento: i lavoratori che hanno sostituito i dipendenti in sciopero hanno prestato la loro opera in maniera volontaria, volontarietà che peraltro non è stata contestata da parte ricorrente.
Il Tribunale di Firenze reputa inconferente al caso di specie l’espresso richiamo formulato dalle organizzazioni sindacali ricorrenti ad una precedente sentenza della Corte di Cassazione che affermava l’antisindacalità della sostituzione di personale aderente allo sciopero con prestazioni supplementari di lavoratori in regime di contratto weekend a tempo determinato e parziale in violazione della normativa in materia . Parte giudicante ha chiarito, infatti, che la norma allora vigente secondo la quale il lavoro supplementare era previsto solo per il part-time a tempo indeterminato, è stata abrogata e superata dall’art. 6 D.Lgs, n.81/2015 . Pertanto, è da ritenersi pienamente legittimo il lavoro supplementare di dipendenti part-time weekend che sia svolto in una giornata lavorativa diversa dal sabato e dalla domenica.
La pronuncia puntualizza che le organizzazioni sindacali non hanno provato che la società cooperativa abbia impiegato i lavoratori part-time weekend “al solo scopo di ostacolare o vanificare la riuscita dello sciopero”. Ipotesi, peraltro, smentita dal raffronto numerico comparativo tra i lavoratori aderenti allo sciopero e i lavoratori part-time weekend impiegati nella medesima giornata. La comparazione, infatti, ha posto in evidenza che i lavoratori in sciopero sono stati molte decine rispetto alle poche unità di quelli part- time che li hanno sostituiti.
Ne consegue che non sia ravvisabile alcuna condotta antisindacale da parte dell’impresa cooperativa che ha agito nel rispetto della vigente disciplina normativa e della contrattazione collettiva.

3. Dalla cornice giuridica alla prassi delle relazioni industriali
Nella pronuncia del Tribunale di Firenze, come emerge dall’excursus narrativo e dal campo di riflessione suggerito dal decreto, si è riproposta la questione del bilanciamento tra il diritto di sciopero e la libertà d’iniziativa economica imprenditoriale. Questi diritti, richiamando una pronuncia della Cassazione , sono “l'uno condizione di esistenza dell'altro (l'impresa consente il lavoro e il lavoro consente l'impresa) di guisa che, il primo non può dirsi leso quando il secondo sia esercitato per limitare gli effetti negativi dell'astensione dal lavoro sull'attività economica dell'azienda”. In definitiva, come già evidenziato, il diritto di sciopero non è leso quando la continuità dell’attività produttiva sia esercitata per limitare gli effetti negativi dello sciopero e senza violare le norme a tutela di situazioni soggettive dei lavoratori.
E’ un ragionevole punto di equilibrio tra due diritti che “vivono non in modo autosufficiente, ma in una continua interazione tra di loro” e tale contemperamento si impone alla luce anche di un mercato del lavoro sempre più frastagliato e complesso. Nell’architettura del diritto del lavoro la questione del rapporto tra libertà economiche-sociali e il regime delle tutele orienta il ruolo assegnato all’economia di mercato e la competitività dell’economia in una crescita equilibrata e nella capacità di armonizzarsi con la protezione dei diritti.
Deviando, almeno in parte, dall’esame del decreto in commento, è da osservare che riguardo alla criticità delle relazioni industriali, si sono innestati nodi tematici sottoposti anche al vaglio delle aule giustizia. Qualora l’impresa adibisca lavoratori non scioperanti a mansioni inferiori rispetto a quelle da loro normalmente svolte, la giurisprudenza si è interrogata, con risposte affatto omogenee, sulla relazione tra l’azione di “crumiraggio interno” e la tutela della professionalità dei lavoratori ex art. 2103.
La riformulazione del novellato del suddetto articolo nella nuova disciplina dei contratti di lavoro modellata dal D. Lgs. N. 81/2015 ha apportato modifiche sostanziali all’esercizio del potere di jus variandi, ampliando i poteri del datore di lavoro, sempre che tale variazione non superi i limiti contemplati dalla legge.
Paiono avere un particolare rilievo concreto quale limite all’esercizio del potere di jus variandi le “mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento” di quelle svolte e non l’equivalenza delle mansioni. Secondo il comma 2 dell’art. 2103, “il lavoratore può essere assegnato a mansioni di livello inferiore rispetto a quelle del livello d’inquadramento in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore”.
Dunque, secondo il sommesso parere dello scrivente e le suggestioni che si ricavano dalla legislazione, l’accadimento di uno sciopero potrebbe essere valutato come condizione che comporta “una modifica degli assetti organizzativi aziendali” tale da legittimare, se pur in maniera temporanea e provvisoria, l’adibizione dei lavoratori non scioperanti a mansioni di livello inferiore a quelle effettivamente prestate. Previsione riconosciuta, peraltro, ante D. Lgs 81/215, in una pronuncia della Cassazione che ha legittimato l’attribuzione al lavoratore di mansioni inferiori “eccezionalmente e marginalmente per specifiche e obiettive esigenze aziendali quali quelle di evitare la paralisi della produzione in occasione di uno sciopero” .

4. Uno sguardo alla legislazione europea
In un sistema di relazioni industriali sempre più influenzato da vicende e strategie di carattere sovranazionale, anche i conflitti che si traducono in azioni collettive di lotta sindacale devono confrontarsi con la legislazione dell’Unione europea.
Il diritto di sciopero, condizionato dalla riserva di competenza statale sancita dall’art. 153, paragrafo 5, TFUE, resta materia interamente regolata dagli Stati membri. Tuttavia, nella previsione dell’art. 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione che a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha assunto lo stesso valore giuridico dei Trattati, “i lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero” .
La produzione normativa e documentale dell’Unione europea sulla contrattazione collettiva e il ruolo ricoperto dalle parti sociali pone in luce che, di fatto, a livello sovranazionale, le relazioni industriali abbiano dovuto cimentarsi costantemente in un confronto tra labour e management . Soffermarci su questo, però, ci condurrebbe su tutt’altro terreno e allontanerebbe da quanto, qui, va considerato e circoscritto.
Ripensando a come nell’arena dell’Unione europea si sono affermati le libertà fondamentali e i diritti sociali, almeno un punto dell’art. 28 della Carta dei diritti fondamentali, è espresso in maniera non foriera di dubbi. Si afferma con circostanziata chiarezza, infatti, che le azioni collettive sono esercitabili per i conflitti che sorgono in relazione agli interessi da tutelare dinanzi alla propria controparte negoziale. Detto altrimenti, il conflitto è funzionale all’attività negoziale. I lavoratori e i datori di lavoro negoziano, concludono contratti collettivi e, se i lori interessi confliggono, possono avvalersi di azioni collettive, compreso lo sciopero .
Pur emergendo un non allineamento nella definizione della nozione di sciopero così come formulata dalla Carta dei diritti fondamentali a confronto con la Carta sociale europea , va dato atto che, a differenza dell’art. 40 della nostra Costituzione, limitato alla sola previsione del riconoscimento del diritto di sciopero, la Carta dei diritti fondamentali precisa quali sono le condizioni (“conflitti di interessi”) in cui si afferma il diritto di sciopero e la Carta sociale europea circoscrive i confini dell’esercizio di questo diritto (“fatti salvi gli obblighi eventualmente derivanti dalle convenzioni collettive in vigore”) .

5. Ciò che non dice l’art. 40 della Costituzione
Che l’art. 40 della Costituzione sia stato il risultato di un accordo tra “anime” diverse quali la corrente della sinistra comunista-socialista, quella cattolica e l’altra liberale e che a prevalere sia stata la volontà dei Padri costituenti di annullare la concezione dello sciopero “reato” del regime fascista e affermarlo quale “diritto” dell’Italia repubblicana e democratica, è traslato dalle pagine dei libri di storia e dall’iter di formazione della Costituzione, nella sua ossatura e nei suoi contenuti. Il risultato di siffatta combinazione è che riconosciuto il diritto di sciopero, si rinvia alle leggi ordinarie per la disciplina di dettaglio.
La scarna definizione di sciopero così come recita l’art.40 si è accompagnata ad una carenza di disposizioni legislative in materia che hanno influenzato il sistema delle relazioni industriali. Il vuoto legislativo è stato colmato dalle sentenze della Corte costituzionale e della giurisprudenza del lavoro chiamate a dirimere le questioni sorte proprio dalla mancata regolamentazione del diritto di sciopero.
L’assenza legislativa ha condizionato il settore privato, mentre quello dei servizi pubblici ha vissuto una nuova stagione delle relazioni industriali con la L. 146/1990 (modificata dalla Legge 83/2000). Una legge regolatrice dello sciopero, in quei servizi “volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà, ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione e alla libertà di comunicazione” .
Il contemperamento tra i diritti costituzionalmente tutelati i quali, in particolari situazioni, possono trovarsi a confliggere ha animato la costruzione della Legge 146/1990 nella quale la contrattazione collettiva ha assunto una posizione centrale. Nel solco di questo modus operandi, è legittimo chiedersi, dunque, se sia possibile trasferire l’esperienza maturata in questo ambito al settore del privato.
E’ opportuno interrogarsi se nel settore privato siano applicabili nuove forme di lotta sindacale capaci di intervenire in maniera efficace nella costruzione di un dialogo sociale innovativo e nell’influenzare le norme di regolazione dei rapporti di lavoro. Al passo con i tempi, come si dice con un’espressione abusata, ma non logora.
A fronte di nessun obbligo, oggi vigente, di comunicazione e dichiarazione di voler esercitare il diritto di sciopero e, senza alcuna volontà di azzardare scenari del tutto improbabili, ma esclusivamente come spunto di riflessione, la proposta di una dichiarazione preventiva di adesione allo sciopero da parte del lavoratore avanzata nella XVII legislatura e calzante per il settore dei servizi pubblici, potrebbe, soprattutto nel settore della grande distribuzione per la sua peculiarità di offrire servizi ai cittadini, favorire un’organizzazione del lavoro tale da non esporre chi sciopera ad alcuna censura e non gravare in maniera specifica su chi non aderisce allo sciopero.
Un siffatto ragionamento potrebbe incoraggiare lo sviluppo di relazioni industriali e collaborazioni virtuose capaci di tradursi essenzialmente in una minore asperità dei rapporti di lavoro.
La decisione commentata, aderente all’attuale legislazione, sembra confermare e riconoscere l’equilibrio dei contrapposti interessi.

 

 

 

 

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